PER NON DIMENTICARE
2023.06.02 – IL POPOLO NON NE PUO’ PIU’ DI QUESTI ABUSI …
Speranza è riuscito a sfuggire al tentativo di linciaggio da parte di alcuni cittadini molto arrabbiati.
tratto da: CLICCA QUI
2023.02.06 – UCRAINA (non il Popolo Ucraino) COME NEL 1941???
ALTRO CHE 25 APRILE ITALIANO …
CORAGGIOSISSIMA SARA CUNIAL ALLA CAMERA LI MANDA TUTTI A STENDERE TRA LE URLA DEI NUOVI FARISEI
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https://youtu.be/Lm7FRpmZ1no
GINO CHINELLATO: VENETO DOC
Gino Chinellato, classe 1915 e nato a Venezia Mestre; veneto doc.
Fin dall’infanzia si distinse per la sua passione verso i motori tant’è che a soli 8 anni entrò come garzone in un noto garage auto di Mestre. Nonostante il suo sogno fosse quello di entrare nell’Aviazione Militare, il destino gli giocò un brutto scherzo perchè fu chiamato al servizio di leva militare. I suoi piani allora si adattarono: di necessità virtù. Decise di arruolarsi come volontario della Marina Militare nel corpo del glorioso Battaglione San Marco con destinazione Tientsin (Cina); di lì a poco divenne autista del comandante. Rientrato in Italia a causa della catastrofica invasione giapponese, partì per l’Africa dove purtroppo fu fatto prigioniero e spedito in America. Non tutto il male vien per nuocere e fu così che le sue doti tecniche motoristiche lo fecero inserire negli stabilimenti della Cadillac con mansione di capo alla sala prove motori. L’amore per la sua terra e le sue radici lo fecero a seguito rientrare, nonostante le proposte per rimanere negli Stati Uniti fossero lusinghiere. Stabilitosi in Italia avviò un ambizioso progetto insieme allo storico amico Carlino Francesconi: costruire una rivoluzionaria vettura sportiva siglata CFM al fine di poter gareggiare alla Mille Miglia categoria 750 cc. A questo punto la nostra storia si ricopre di giallo, un inghippo tutt’oggi irrisolto e ancor vivo nei pensieri della famiglia Chinellato.
Fu proprio la gestazione del motore CFM ad essere accompagnata da una particolare stranezza; poco prima della Mille Miglia del 1948 l’ingegnere Bohlin, ex generale tedesco responsabile per l’alta Italia della gestione degli automezzi dell’esercito di occupazione e amico di Ferdinand Porsche, si recò a Venezia in compagnia di quest’ultimo per prendere visione del motore CFM. Porsche fu prodigo di consigli suggerendo al nostro Chinellato e a Francescon di far girare l’albero motore su rulli e non su bronzine. Abbandonato il progetto per i costi troppo elevati di sviluppo, Gino vide le sue soluzioni applicate ad una Porsche scesa in gara in Italia nel 1956. Andando nella specificità tecnica, le innovazioni rispetto al progetto veneto constavano nella cilindrata, nell’attacco del motore alla trasmissione e nella marca dei carburatori che mantenevano comunque il sistema di comando CFM. La delusione bruciò troppo e la coppia Chinellato-Francesconi si divise. Nonostante tutto Gino continuò ad operare nel suo mondo a motori, mettendo in piedi un’attività artigianale di grande rispetto e tutt’oggi operante grazie al subentro del figlio Gianni. Informatori della famiglia ci dicono che il progetto del tempo di Gino fosse talmente all’avanguardia che fu messo da parte, protetto e nascosto per tempi più proficui.
Per molti appassionati Gino rimane il padre fondatore di quel motore e la sua famiglia vuole a maggior ragione difendere il suo primato, consapevoli e sicuri che senza di lui nessun altro motore sarebbe potuto nascere e l’oramai famosa casa automobilistica non avrebbe avuto, forse, tale successo.
Oggi, giorno in cui Gino avrebbe compiuto 105 anni, vogliamo ricordare le sue gesta poichè in fondo quest’uomo ha segnato la storia automobilistica.
Il MLNV-GVP ricerca da sempre la verità e questa è la nostra.
Alice Lollo
…MA QUALE LIBERTA’?!
Oggi 25 aprile la Repubblica Italiana festeggia la ricorrenza nazionale della liberazione; nel 1945 il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia (CLNAI) proclamò l’insurrezione generale in tutti i territori ancora occupati dai nazifascisti, indicando a tutte le forze partigiane attive al nord Italia di attaccare i presidi fascisti e tedeschi imponendo la resa. Il CLNAI inoltre emanò dei decreti legislativi “in nome del popolo italiano” atti a condannare a morte tutti i gerarchi fascisti incluso Benito Mussolini, raggiunto e fucilato tre giorni dopo.
Questo è ciò che la storia ci insegna, o meglio ciò che gli esperti vogliono tramandare di generazione in generazione. La realtà, forse, è differente. Il 25 aprile 1945 tutto il nord-est era ancora interamente invaso dai tedeschi. Solo qualche giorno dopo, il 29 aprile, si compì l’ultimo eccidio a Castello di Godego (TV) con rastrellamenti e fucilazioni. Non furono anche costoro morti per mano nazifascista? Non furono a conti fatti i primi deceduti dopo la presunta liberazione dell’Italia?
Chi festeggia il 25 aprile la liberazione dell’Italia in realtà fa riferimento ad un falso storico, oppure ritiene che il territorio fosse comunque libero sebbene i veneti venissero ancora fucilati. I veneti non faceva parte della Repubblica Italiana? La vera resa incondizionata che sancisce la cessazione delle ostilità è da fissarsi in data 2 maggio 1945, quando le truppe tedesche sul territorio si eclissarono. Ma allora cosa festeggiano i veneti oggi?
San Marco Evangelista, patrono di Venezia!
Se per una volta nella vita provaste a dubitare delle false certezze che vi tengono schiavi, rinchiusi in un sistema e nella totale accettazione perchè la realtà fa paura. Liberazione di cosa e da chi? Liberi di cercare la verità. Allora se provaste ad andare a fondo nella storia, cogliere i titoli di coda e non gli incipit, captare significati e simboli nascosti allora capireste che i veneti non sono mai stati italiani.
“PRIMA TI IGNORANO, POI TI DERIDONO, POI TI COMBATTONO, POI VINCI”
(Mahatma Gandhi)
WSM
Alice Lollo
IL GIORNO DELLE MEMORIA DEGLI INDIANI SIOUX
Il genocidio ignorato dei nativi.
Oggi cade l'anniversario di una dichiarazione di guerra troppo spesso ignorata o non considerata come tale.
Il 1 febbraio 1876 il ministro degli Interni degli Stati Uniti d'America dichiarò guerra ai Sioux “ostili”, quelli cioè che non avevano accettato di trasferirsi nelle riserve, dopo che era stato scoperto l'oro nelle Black Hills, il cuore del territorio Lakota.
Come si potevano traferire migliaia di uomini, donne e bambini dalla terra dov'erano nati, in una stagione dell'anno in cui il territorio era coperto di neve?
Molti indiani pare neanche ricevettero l'ordine, in quanto impegnati nelle loro attività di caccia, lontano dalla propria residenza.
Quella dichiarazione di guerra del 1 febbraio fu l'inizio del massacro degli Indiani d'America, che culminerà con l'eccidio di Wounded Knee, passato alla storia grazie a canzoni, libri e film.
Sul finire del dicembre 1890, la tribù di Miniconjou guidata da Piede Grosso, appresa la notizia dell'assassinio di Toro Seduto, partì dall'accampamento sul torrente Cherry, sperando nella protezione di Nuvola Rossa.
Il 28 dicembre furono intercettati dal Settimo Reggimento, che aveva l'ordine di condurli in un accampamento sul Wounded Knee: 120 uomini e 230 tra donne e bambini furono portati sulla riva del torrente, circondati da due squadroni di cavalleria e trucidati.
“Seppellite il mio cuore a Wounded Knee” di Dee Brown è il libro (anche film) che ha commosso generazioni di persone e ispirato cantanti di tutte le generazioni e latitudini, fino a Fabrizio De Andrè che compose la canzone “Fiume Sand Creek”, Prince e Luciano Ligabue.
Protagonista delle lotte indiane per 40 anni fu il Capo Nuvola Rossa (1822-1909) che si confrontò aspramente con l'agente governativo perché venisse rispettata l'autorità tradizionale dei capi indiani.
Nel 1888 invitò i Gesuiti a creare una scuola per i bambini Lakota nella riserva indiana, una scelta necessaria per mantenere il legame degli Indiani con la loro terra.
Pochi anni prima il governo aveva cercato di obbligare i bambini a frequentare una scuola “bianca” per essere “civilizzati” con risultati disastrosi per la cultura indiana.
Nuvola Rossa andò a Washington più volte di ogni altro capo indiano e rimane il leader più rispettato del suo popolo, insieme ad Alce Nero, noto per la sua forte carica spirituale.
Quest'ultimo aveva 13 anni nel 1876 ed era già impegnato nella causa, tanto che l'anno dopo andò a Londra per incontrare la Regina Elisabetta.
Così racconta il massacro di Wounded Knee: «Brillava il sole in cielo.
Ma quando i soldati abbandonarono il campo dopo il loro sporco lavoro, iniziò una forte nevicata.
Nella notte arrivò anche il vento.
Ci fu una tempesta e il freddo gelido penetrava nelle ossa.
Quello che rimase fu un unico immenso cimitero di donne, bambini e neonati che non avevano fatto alcun male se non cercare di scappare via».
I Sioux, che preferiscono chiamarsi Dakota o Lakota, sono la principale tribù degli Stati Uniti, con 25.000 membri.
Ora vivono in riserve nei loro antichi territori.
Continuare a raccontare la loro storia (pochi giorni fa è stata la Giornata della memoria) è un modo per non dimenticare di cosa è stato capace l'uomo nel corso della storia e fare in modo che episodi simili non si ripetano.
Tratto da (CLICCA QUI)
2015.03.08 – GIORNATA INTERNAZIONALE DELLA DONNA … AUGURI!
L'italia dimostra come sempre una grande ipocrisia nel celebrare le feste e le ricorrenze anche per il riconoscimento di diritti fondamentali, come quelli rivendicati dalle donne.
Nel frattempo, come per le donne di allora, oggi l'italia con ripugnante ipocrisia ignora il diritto di autodeterminazione del Popolo Veneto.
Per tali ragioni anche in questa occasione vogliamo festeggiare le donne ricordando il coraggio e la determinazione di alcune donne venete … le “done de Besica e Loria” durante l’insorgenza contro le autorità d’occupazione napoleoniche di allora … la combattitività delle "loriate" e delle "bessegate" da un appunto sul diario di Pietro Basso, "sartor" di Asolo che l'8 luglio 1809 scrive "Le done de Loria, accordate con quele de Besega, le a desfà la municipalità" …“correva l' 8 luglio di 205 anni fa quando le donne di Loria e Bessica hanno scritto un capitolo dell'insorgenza veneta contro il regime napoleonico.”
Auguri a tutte le Donne.
WSM
Venetia 8 marzo 2015
Sergio Bortotto, Presidente del MLNV e del Governo Veneto Provvisorio.
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In molti credono che questa ricorrenza nasca in memoria di alcune operaie morte nel rogo del 1908 della Cotton, una fabbrica di New York. Non è vero.
La Giornata Internazionale della Donna è infatti nata un anno più tardi, nel 1909 (sempre negli Usa), per merito del Partito Socialista americano che, il 28 febbraio, diede vita a una manifestazione per il diritto di voto delle donne.
Successivamente, tra il novembre 1908 e il febbraio 1909, migliaia di operaie di New York scioperarono per settimane: chiedevano un aumento del salario e un miglioramento delle condizioni di lavoro.
E così, nel 1910 l’VIII Congresso dell’Internazionale socialista, decise di istituire una giornata dedicata alle donne.
Ma la data che cambiò il corso di questa storia fu il 25 marzo del 1911 quando nella fabbrica Triangle di New York si sviluppò un incendio e 146 lavoratori (soprattutto donne) morirono.
La data dell’8 marzo entrò per la prima volta nella storia della Festa della Donna qualche anno più tardi, nel 1917: un gruppo di donne di San Pietroburgo scesero in piazza per chiedere la fine della guerra; le delegate della Seconda conferenza internazionale delle donne comuniste a Mosca scelsero l’8 marzo come data in cui istituire la Giornata Internazionale dell’Operaia.
Il simbolo, come noto, è la mimosa.
Perché?
Semplice: è uno dei pochi fiori che fiorisce a marzo.
Questa celebrazione si è tenuta per la prima volta negli Stati Uniti nel 1909, in alcuni paesi europei nel 1911 e in Italia nel 1922, dove si svolge ancora oggi.
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Il «Woman's Day» negli Stati Uniti (1908-1909)
Nel VII Congresso della II Internazionale socialista, tenuto a Stoccarda dal 18 al 24 agosto 1907, nel quale erano presenti 884 delegati di 25 nazioni – tra i quali i maggiori dirigenti marxisti del tempo, come i tedeschi Rosa Luxemburg, Clara Zetkin, August Bebel, i russi Lenin e Martov, il francese Jean Jaurès – vennero discusse tesi sull'atteggiamento da tenere in caso di una guerra europea, sul colonialismo, sulla questione femminile e sulla rivendicazione del voto alle donne.
Su quest'ultimo argomento il Congresso votò una risoluzione nella quale si impegnavano i partiti socialisti a «lottare energicamente per l'introduzione del suffragio universale delle donne», senza «allearsi con le femministe borghesi che reclamavano il diritto di suffragio, ma con i partiti socialisti che lottano per il suffragio delle donne».
Due giorni dopo, dal 26 al 27 agosto, fu tenuta una Conferenza internazionale delle donne socialiste, alla presenza di 58 delegate di 13 paesi, nella quale si decise la creazione di un Ufficio di informazione delle donne socialiste: Clara Zetkin fu eletta segretaria e la rivista da lei redatta, Die Gleichheit (L'uguaglianza), divenne l'organo dell'Internazionale delle donne socialiste.
Non tutti condivisero la decisione di escludere ogni alleanza con le «femministe borghesi»: negli Stati Uniti, la socialista Corinne Brown scrisse, nel febbraio del 1908 sulla rivista The Socialist Woman, che il Congresso non avrebbe avuto «alcun diritto di dettare alle donne socialiste come e con chi lavorare per la propria liberazione».
Fu la stessa Corinne Brown a presiedere, il 3 maggio 1908, causa l'assenza dell'oratore ufficiale designato, la conferenza tenuta ogni domenica dal Partito socialista di Chicago nel Garrick Theater: quella conferenza, a cui tutte le donne erano invitate, fu chiamata «Woman’s Day», il giorno della donna.
Si discusse infatti dello sfruttamento operato dai datori di lavoro ai danni delle operaie in termini di basso salario e di orario di lavoro, delle discriminazioni sessuali e del diritto di voto alle donne.
Quell'iniziativa non ebbe un seguito immediato, ma alla fine dell'anno il Partito socialista americano raccomandò a tutte le sezioni locali «di riservare l'ultima domenica di febbraio 1909 all'organizzazione di una manifestazione in favore del diritto di voto femminile».
Fu così che negli Stati Uniti la prima e ufficiale giornata della donna fu celebrata il 23 febbraio 1909.
Verso la fine dell'anno, il 22 novembre, si vide a New York iniziare un grande sciopero di ventimila camiciaie, che durò fino al 15 febbraio 1910.
Il successivo 27 febbraio, domenica, alla Carnegie Hall, tremila donne celebrarono ancora il Woman's Day.
La Conferenza di Copenaghen (1910)
Il Woman's Day tenuto a New York il successivo 28 febbraio venne impostato come manifestazione che unisse le rivendicazioni sindacali a quelle politiche relative al riconoscimento del diritto di voto femminile. Le delegate socialiste americane, forti dell'ormai consolidata manifestazione della giornata della donna, proposero alla seconda Conferenza internazionale delle donne socialiste, tenutasi nella Folkets Hus (Casa del popolo) di Copenaghen dal 26 al 27 agosto 1910 – due giorni prima dell'apertura dell'VIII Congresso dell'Internazionale socialista – di istituire una comune giornata dedicata alla rivendicazione dei diritti delle donne.
Negli ordini del giorno dei lavori e nelle risoluzioni approvate in quella Conferenza non risulta che le 100 donne presenti in rappresentanza di 17 paesi abbiano istituito una giornata dedicata ai diritti delle donne: risulta però nel Die Gleichheit, redatto da Clara Zetkin, che una mozione per l'istituzione della Giornata internazionale della donna fosse «stata assunta come risoluzione».
Mentre negli Stati Uniti continuò a tenersi l'ultima domenica di febbraio, in alcuni paesi europei – Germania, Austria, Svizzera e Danimarca – la giornata della donna si tenne per la prima volta il 19 marzo 1911 su scelta del Segretariato internazionale delle donne socialiste.
Secondo la testimonianza di Aleksandra Kollontaj, quella data fu scelta perché, in Germania, «il 19 marzo 1848, durante la rivoluzione, il re di Prussia dovette per la prima volta riconoscere la potenza di un popolo armato e cedere davanti alla minaccia di una rivolta proletaria.
Tra le molte promesse che fece allora e che in seguito dimenticò, figurava il riconoscimento del diritto di voto alle donne».
In Francia la manifestazione si tenne il 18 marzo 1911, data in cui cadeva il quarantennale della Comune di Parigi, così come a Vienna, dove alcune manifestanti portarono con sé delle bandiere rosse (simbolo della Comune) per commemorare i caduti di quell'insurrezione.
In Svezia si svolse il 1º maggio 1911, in concomitanza con le manifestazioni per la Giornata del lavoro.
La manifestazione non fu ripetuta tutti gli anni, né celebrata in tutti i paesi: in Russia si tenne per la prima volta a San Pietroburgo solo nel 1913, il 3 marzo, su iniziativa del Partito bolscevico, con una manifestazione nella Borsa Kalašaikovskij, e fu interrotta dalla polizia zarista che operò numerosi arresti; l'anno seguente gli organizzatori vennero arrestati, impedendo di fatto l'organizzazione dell'evento.
In Germania, dopo la celebrazione del 1911, fu ripetuta per la prima volta l'8 marzo 1914, giorno d'inizio di una «settimana rossa» di agitazioni proclamata dai socialisti tedeschi, mentre in Francia si tenne con una manifestazione organizzata dal Partito socialista a Parigi il 9 marzo 1914.
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L'8 marzo 1917
Le celebrazioni furono interrotte dalla prima guerra mondiale in tutti i paesi belligeranti, finché a San Pietroburgo, l'8 marzo 1917 (il 23 febbraio secondo il calendario giuliano allora in vigore in Russia) le donne della capitale guidarono una grande manifestazione che rivendicava la fine della guerra: la fiacca reazione dei cosacchi inviati a reprimere la protesta incoraggiò successive manifestazioni che portarono al crollo dello zarismo ormai completamente screditato e privo anche dell'appoggio delle forze armate, così che l'8 marzo 1917 è rimasto nella storia a indicare l'inizio della Rivoluzione russa di febbraio.
Per questo motivo, e in modo da fissare un giorno comune a tutti i Paesi, il 14 giugno 1921 la Seconda conferenza internazionale delle donne comuniste, tenuta a Mosca una settimana prima dell'apertura del III congresso dell’Internazionale comunista, fissò all'8 marzo la «Giornata internazionale dell'operaia».
In quei giorni fu fondato il periodico quindicinale Compagna, che il 1º marzo 1925 riportò un articolo di Lenin, scomparso l'anno precedente, che ricordava l'otto marzo come Giornata internazionale della donna, la quale aveva avuto una parte attiva nelle lotte sociali e nel rovesciamento dello zarismo.
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La confusione sulle origini della ricorrenza e l'ufficializzazione dell'ONU.
La connotazione fortemente politica della Giornata della donna, l'isolamento politico della Russia e del movimento comunista e, infine, le vicende della seconda guerra mondiale, contribuirono alla perdita della memoria storica delle reali origini della manifestazione.
Così, nel secondo dopoguerra, cominciarono a circolare fantasiose versioni, secondo le quali l'8 marzo avrebbe ricordato la morte di centinaia di operaie nel rogo di una inesistente fabbrica di camicie Cotton o Cottons avvenuto nel 1908 a New York, facendo probabilmente confusione con una tragedia realmente verificatasi in quella città il 25 marzo 1911, l'incendio della fabbrica Triangle, nella quale morirono 146 lavoratori (123 donne e 23 uomini, in gran parte giovani immigrate di origine italiana ed ebraica).
Altre versioni citavano la violenta repressione poliziesca di una presunta manifestazione sindacale di operaie tessili tenutasi a New York nel 1857, mentre altre ancora riferivano di scioperi o incidenti avvenuti a Chicago, a Boston o a New York.
Nonostante le ricerche effettuate da diverse femministe tra la fine degli anni settanta e gli ottanta abbiano dimostrato l'erroneità di queste ricostruzioni, le stesse sono ancora diffuse sia tra i mass media che nella propaganda delle organizzazioni sindacali.
Con la risoluzione 3010 (XXVII) del 18 dicembre 1972[17], ricordando i 25 anni trascorsi dalla prima sessione della Commissione sulla condizione delle Donne (svolta a Lake Success, nella Contea di Nassau, tra il 10 ed il 24 febbraio 1947), l'ONU proclamò il 1975 "Anno Internazionale delle Donne".
Questo venne seguito, il 15 dicembre 1975, dalla proclamazione del "Decennio delle Nazioni Unite per le donne: equità, sviluppo e pace" ("United Nations Decade for Women: Equality, Development and Peace", 1976-1985), tramite la risoluzione 3520 (XXX)[18].
Il 16 dicembre 1977, con la risoluzione 32/142 l'Assemblea generale delle Nazioni Unite propose ad ogni paese, nel rispetto delle tradizioni storiche e dei costumi locali, di dichiarare un giorno all'anno "Giornata delle Nazioni Unite per i diritti delle Donne e per la pace internazionale" ("United Nations Day for Women's Rights and International Peace") e di comunicare la decisione presa al Segretario generale.
Adottando questa risoluzione, l'Assemblea riconobbe il ruolo della donna negli sforzi di pace e riconobbe l'urgenza di porre fine a ogni discriminazione e di aumentare gli appoggi a una piena e paritaria partecipazione delle donne alla vita civile e sociale del loro paese.
L'8 marzo, che già veniva festeggiato in diversi paesi, divenne la data ufficiale di molte nazioni.
2011.09.11 – GLI ATTENTATI ALLE TORRI GEMELLE E AL PENTAGONO
La mattina dell'11 settembre 2001 diciannove affiliati all'organizzazione terroristica di matrice fondamentalista islamica al-Qāʿida dirottarono quattro voli civili commerciali.
I terroristi fecero intenzionalmente schiantare due degli aerei sulle torri nord e sud del World Trade Center di New York, causando poco dopo il collasso di entrambi i grattacieli e conseguenti gravi danni agli edifici vicini. Il terzo aereo di linea venne dirottato contro il Pentagono. Il quarto aereo, diretto contro il Campidoglio o la Casa Bianca a Washington,[3] si schiantò in un campo vicino Shanksville, nella Contea di Somerset (Pennsylvania), dopo che i passeggeri e i membri dell'equipaggio tentarono, senza riuscirci, di riprendere il controllo del velivolo.
Gli attacchi terroristici dell'11 settembre causarono circa tremila vittime.
Nell'attacco alle torri gemelle morirono 2.752 persone, tra queste 343 vigili del fuoco e 60 poliziotti.
La maggior parte delle vittime era civile; settanta le diverse nazionalità coinvolte.
Gli attacchi ebbero grandi conseguenze a livello mondiale: gli Stati Uniti d'America risposero dichiarando la "guerra al terrorismo" e attaccando l'Afghanistan controllato dai Talebani, accusati di aver volontariamente ospitato i terroristi.
Il parlamento statunitense approvò lo USA PATRIOT Act mentre altri stati rafforzarono la loro legislazione anti-terroristica, incrementando i poteri di polizia.
Le borse rimasero chiuse quasi per una settimana, registrando enormi perdite subito dopo la riapertura, con quelle maggiori fatte registrare dalle compagnie aeree e di assicurazioni.
L'economia della Lower Manhattan si fermò per via della distruzione di uffici del valore di miliardi di dollari.
I danni subiti dal Pentagono furono riparati un anno dopo e sul luogo fu eretto un piccolo monumento commemorativo.
La ricostruzione del World Trade Center è invece stata più problematica, a seguito di controversie sorte riguardo ai possibili progetti e sui tempi necessari al loro completamento.
La scelta della Freedom Tower per la ricostruzione del sito ha subito ampie critiche, conducendo all'abbandono di alcune parti del progetto originario.
Altre 24 persone sono ancora elencate tra i dispersi.[32] Tutte le vittime erano civili a parte 55 militari uccisi al Pentagono.
Furono più di 90 i paesi che persero cittadini negli attacchi al World Trade Center.
Il NIST ha stimato che circa 17 400 civili erano presenti nel complesso del World Trade Center al momento degli attacchi, mentre i dati sui turisti elaborati dalla Port Authority of New York and New Jersey (l'"Autorità portuale di New York e del New Jersey") suggeriscono una presenza media di 14 154 persone sulle Torri Gemelle alle 8:45 del mattino.
La gran parte delle persone al di sotto delle zone di impatto evacuò in sicurezza gli edifici, come pure 18 persone che si trovavano nella zona di impatto della torre meridionale.
Al contrario, 1 366 delle vittime si trovavano nella zona di impatto o nei piani superiori della torre settentrionale; secondo il Rapporto della Commissione, centinaia furono le vittime causate dall'impatto, mentre le restanti rimasero intrappolate e morirono a seguito del collasso della torre.
Quasi 600 persone furono invece uccise dall'impatto o morirono intrappolate ai piani superiori nella torre meridionale.
Almeno 200 persone saltarono dalle torri in fiamme e morirono, come raffigurato nella emblematica foto The Falling Man ("L'uomo che cade"), precipitando su strade e tetti degli edifici vicini, centinaia di metri più in basso.
Alcune persone che si trovavano nelle torri al di sopra dei punti di impatto salirono fino ai tetti degli edifici sperando di essere salvati dagli elicotteri, ma le porte di accesso ai tetti erano chiuse; inoltre, non vi era alcun piano di salvataggio con elicotteri e, quella mattina dell'11 settembre, il fumo denso e l'elevato calore degli incendi avrebbe impedito agli elicotteri di effettuare manovre di soccorso.
Le vittime tra i soccorritori furono 411.
Il New York City Fire Department (i vigili del fuoco di New York) perse 341 vigili del fuoco e 2 paramedici; il New York City Police Department (la polizia di New York) perse 23 agenti, il Port Authority Police Department (la polizia portuale) 37. I servizi di emergenza medica privata persero altri 8 tecnici e paramedici.
La Cantor Fitzgerald L.P., una banca di investimenti i cui uffici si trovavano ai piani 101-105 del WTC 1, perse 658 impiegati, più di qualunque altra azienda.
La Marsh Inc., i cui uffici si trovavano immediatamente sotto quelli della Cantor Fitzgerald ai piani 93-101 (dove avvenne l'impatto del volo 11), perse 295 impiegati, mentre 175 furono le vittime tra i dipendenti della Aon Corporation.
Dopo New York, lo Stato che ebbe più vittime fu il New Jersey, con la città di Hoboken a registrare il maggior numero di morti.
È stato possibile identificare i resti di sole 1 600 delle vittime del World Trade Center; gli uffici medici raccolsero anche «circa 10 000 frammenti di ossa e tessuti non identificati, che non possono essere collegati alla lista dei decessi».
Altri resti di ossa furono trovati ancora nel 2006, mentre gli operai approntavano il Deutsche Bank Building per la demolizione.
La morte per malattie ai polmoni di alcune altre persone è stata fatta risalire alla respirazione delle polveri contenenti centinaia di composti tossici (quali amianto, mercurio, piombo, ecc.) causate dal collasso del World Trade Center.
La gravità dell'inquinamento ambientale derivante da tali polveri – che investirono tutta la punta sud dell'isola di Manhattan – fu resa nota al grande pubblico solo a distanza di circa quattro anni dall'evento: sino ad allora le agenzie governative statunitensi avevano sottovalutato o nascosto il rischio ambientale, forse allo scopo di non causare ulteriore panico e di rendere più spediti i soccorsi, lo sgombero delle macerie, il ripristino delle normali attività della città così gravemente ferita.
Tali dubbi e teorie hanno dato luogo a innumerevoli dispute e controversie circa la natura, l'origine e i responsabili degli attentati, contestando il contenuto dei resoconti ufficiali circa l'accaduto e suggerendo, tra l'altro, che persone con incarichi di responsabilità negli Stati Uniti fossero a conoscenza del pericolo e che deliberatamente avrebbero deciso di non prevenirli, o che individui estranei ad al-Qāʿida avrebbero partecipato alla pianificazione o all'esecuzione degli attacchi.
Una delle più diffuse teorie pone in dubbio che gli edifici colpiti a New York siano crollati per conseguenza del solo impatto degli aerei e degli incendi che ne sono seguiti.
Tuttavia, la comunità degli ingegneri civili concorda con la versione che vuole il collasso delle Torri gemelle provocato dagli impatti ad alta velocità degli aviogetti e dai conseguenti incendi, piuttosto che da una demolizione controllata della quale non è mai stata fornita alcuna prova.
Analizzando numerosi detriti raccolti subito dopo il crollo, il Dr. Steven Jones, professore di Fisica della Brigham Young University, coadiuvato da un team internazionale composto da nove scienziati, ha individuato chiaramente residui di esplosivo nano-termite, generalmente usato per scopi militari e per le demolizioni controllate degli edifici.
Dopo un rigoroso processo di peer-review, la notizia della scoperta e la relativa documentazione sono state pubblicate sulla prestigiosa rivista scientifica Bentham Chemical Phisics Journal, una delle testate più accreditate e rispettate negli U.S.A.
In sintesi, come già dimostravano (per chi aveva gli occhi attenti per capirlo) alcuni filmati girati durante il crollo, è possibile adesso affermare ufficialmente che a determinare il crollo delle Twin Towers non sono stati gli aerei che le hanno colpite, ma tutta una serie di cariche di esplosivo piazzate con estrema perizia e maestria in numerosi punti dei due edifici.
Non ditemi che c'e gente che crede ancora che la causa è stata il dirottamento.
Anche i bambini di 10 anni lo sanno, che è stata l'ennesima menzogna mondiale.
Serviva una scusa per dichiarare la guerra ,e costi quel che costi l'hanno trovata.
www.lonesto.it
1992.05.23 – MUOIONO GIOVANNI FALCONE, LA SUA COMPAGNA E LA SCORTA
Giovanni Falcone
Giovanni Salvatore Augusto Falcone (Palermo, 18 maggio 1939 – Palermo, 23 maggio 1992) è stato un magistrato italiano.
Fu assassinato con la moglie Francesca Morvillo e tre uomini della scorta nella strage di Capaci per opera di cosa nostra.
Assieme al collega e amico Paolo Borsellino è considerato una delle personalità più importanti e prestigiose nella lotta alla mafia in Italia, anche a livello internazionale.
Agente della scorta di Giovanni Falcone, venne ucciso nella strage di Capaci.
Era al volante della prima delle tre Fiat Croma che riaccompagnavano il magistrato, appena atterrato a Punta Raisi da Roma, a Palermo.
Al suo fianco stava l'agente scelto Antonio Montinaro, sul sedile posteriore l'agente Rocco Dicillo; Falcone guidava la Croma bianca che li seguiva, sulla quale viaggiava anche la moglie Francesca Morvillo.
Nell'esplosione, avvenuta sull'Autostrada A29 all'altezza dello svincolo per Capaci, i tre agenti morirono sul colpo, dato che la loro Croma marrone fu quella investita con più violenza dalla deflagrazione, tanto da essere sbalzata dal manto stradale in un giardino di olivi a più di dieci metri di distanza.
Schifani aveva 27 anni e lasciò la moglie Rosaria Costa, 22 anni e un figlio di appena 4 mesi. Quando, nella camera ardente allestita a Palazzo di Giustizia a Palermo, il Presidente del Senato Spadolini si avvicinò alla vedova, lei gli disse: « Presidente, io voglio sentire una sola parola: lo vendicheremo. Se non puoi dirmela, presidente, non voglio sentire nulla, neanche una parola. »
Le parole che poi Rosaria pronunciò ai funerali del marito, di Falcone, della Morvillo e del resto della scorta fecero presto il giro dei notiziari per la disperazione ma anche lucidità che ne traspariva:
« Io, Rosaria Costa, vedova dell'agente Vito Schifani mio, a nome di tutti coloro che hanno dato la vita per lo Stato, lo Stato…, chiedo innanzitutto che venga fatta giustizia, adesso.
Rivolgendomi agli uomini della mafia, perché ci sono qua dentro (e non), ma certamente non cristiani, sappiate che anche per voi c'è possibilità di perdono: io vi perdono, però vi dovete mettere in ginocchio, se avete il coraggio di cambiare…
Ma loro non cambiano… […] …loro non vogliono cambiare…
Vi chiediamo per la città di Palermo, Signore, che avete reso città di sangue, troppo sangue, di operare anche voi per la pace, la giustizia, la speranza e l'amore per tutti. Non c'è amore, non ce n'è amore… »
Agente della scorta di Giovanni Falcone, ucciso nella strage di Capaci.
Dicillo viaggiava sul sedile posteriore della prima delle tre Fiat Croma che riaccompagnavano il magistrato, appena atterrato a Punta Raisi da Roma, a Palermo.
Rocco Dicillo è seppellito nel cimitero di Triggiano, suo paese natale, dove gli sono state intitolate una piazza e una via.
Assistente della Polizia di Stato, era il capo della scorta di Giovanni Falcone, ucciso nella strage di Capaci.
Montinaro aveva 30 anni e lasciava la moglie Tina e due figli.
Tina Montinaro è una delle promotrici dell'associazione vittime di mafia, e da anni gira l'Italia per parlare del sacrificio di suo marito e della necessità della lotta alla mafia.
In sua memoria il Comune di Calimera ha intitolato una piazza ed eretto un piccolo monumento costituito da un masso estratto dal luogo dell'attentato e da un albero di mandarino di Sicilia.
1987.10.15 -THOMAS SANKARA UN UOMO DA RICORDARE
Veniva assassinato oggi Thomas Sankara, rivoluzionario, leader e primo Presidente del Burkina Faso.
Dedicò la sua vita alla lotta per eliminare la povertà.
Thomas Sankara, il "Che Guevara" africano ucciso nella terra degli uomini integri
Il ruolo delle forze nell'ombra.
1973.09.11 – IL PRESIDENTE DEL CILE SALVADOR ALLENDE VIENE TRUCIDATO DAL GOLPISTA PINOCHET
…no non mi riferisco alla mezza farsa delle torre gemelle…mi riferisco al 11 settembre del 1973!!
Quando il compagno Salvador Allende presidente fantastico del Cile democratico venne trucidato dalla soldataglia di quel delinquente assassino di Pinochet protetto dai nostri "amici" amerikani!!!
Comicia cosí un viaggio nella barbarie durato molti anni con migliaia di morti democratici cileni…ma questa storia è meglio non saperla vero? Meglio ricordare il 2011 fa più comodo!
Onore al presidente Allende morto da uomo con il fucile in mano dentro il palazzo presidenziale!!
1965.02.23 – MUORE ARTHUR STANLEY JEFFERSION – STANLIO
1956.10.23 – LA RIVOLTA UNGHERESE
Morirono circa 2.652 Ungheresi (di entrambe le parti, ovvero pro e contro la rivoluzione) e 720 soldati sovietici. I feriti furono molte migliaia e circa 250.000 (circa il 3% della popolazione dell’Ungheria) furono gli Ungheresi che lasciarono il proprio Paese rifugiandosi in Occidente.
La rivoluzione portò a una significativa caduta del sostegno alle idee del comunismo nelle nazioni occidentali.
Il Partito comunista ungherese approfittò della Prima Conferenza mondiale dei partiti comunisti, che si tenne a Mosca nel novembre 1957, per far votare la condanna a morte di Nagy da tutti i dirigenti comunisti presenti, fra cui Maurice Thorez e Palmiro Togliatti, con l’unica eccezione del polacco Gomulka.
Nagy fu condannato a morte e impiccato il 16 giugno 1958.
Palmiro Togliatti disse: “È mia opinione che una protesta contro l’Unione Sovietica avrebbe dovuto farsi se essa non fosse intervenuta, nel nome della solidarietà che deve unire nella difesa della cività tutti i popoli“.
Giorgio Napolitano ex Presidente della Repubblica italiano, (nel 1956 responsabile della commissione meridionale del Comitato Centrale del PCI) condannò come controrivoluzionari gli insorti ungheresi.
L’Unità arrivò persino a definire gli operai insorti “teppisti” e “spregevoli provocatori” giustificando l’intervento delle truppe sovietiche sostenendo invece che si trattasse di un elemento di “stabilizzazione internazionale” e di un “contributo alla pace nel mondo“.
Luigi Longo sostenne la tesi della rivolta fascista: “L’esercito sovietico è intervenuto in Ungheria allo scopo di ristabilire l’ordine turbato dal movimento rivoluzionario che aveva lo scopo di distruggere e annullare le conquiste dei lavoratori…“.
1956.06.28 – LA RIVOLTA IN POLONIA
La rivolta fu repressa nel sangue con i carri armati dal generale sovietico Konstantin Rokossovsky, allora ministro della guerra polacco.
Gli operai uccisi dai militari furono circa 100.
La rivolta diffuse un vivo fermento in tutta la Polonia, che si propagò anche in Ungheria sino a esplodere nella insurrezione del 23 ottobre.
Per allontanare il pericolo di una sollevazione in Polonia, i russi furono costretti ad allentare le redini della dittatura aprendo qualche spiraglio di libertà nel Paese.
Furono liberati in quella circostanza, dagli insorti, il cardinale Stefan Wyszyński, nonché il dirigente comunista Władysław Gomułka, nel 1949 imprigionato sotto l’accusa di ‘titoismo’.
L’Unità approvò la repressione e in quei giorni scrisse:
«La responsabilità per il sangue versato ricade su un gruppo di spregevoli provocatori che hanno approfittato di una situazione temporanea di disagio in cui versavano Poznan e la Polonia»
1953.06.19 – MOTI OPERAI IN GERMANIA
I Moti operai del 1953 in Germania Est si svolsero nel giugno e luglio del 1953.
Uno sciopero degli operai edili si trasformò in una rivolta contro il governo della Germania Est.
A Berlino la rivolta venne schiacciata con la forza dal Gruppo delle Forze Sovietiche in Germania
Nel maggio 1953, il Politburo del Partito di Unità Socialista della Germania (SED) innalzò le quote di lavoro dell’industria tedesca orientale del 10 percento.
Il 15 giugno, una sessantina di operai edili di Berlino Est iniziarono a scioperare quando i loro superiori annunciarono un taglio di stipendio in caso di mancato raggiungimento delle quote.
La loro dimostrazione il giorno seguente fu la scintilla che causò lo scoppio delle proteste in tutta la Germania Est.
Lo sciopero portò al blocco del lavoro e a proteste in praticamente tutti i centri industriali e le grandi città del Paese.
Le domande iniziali dei dimostranti, come il ripristino delle precedenti (e inferiori) quote di lavoro, si tramutarono in richieste politiche.
I lavoratori chiesero le dimissioni del governo della Germania Est.
Il governo, per contro, si rivolse all’Unione Sovietica, che schiacciò la rivolta con la forza militare.
Ancora oggi non è chiaro quante persone morirono durante le sollevazioni e per le condanne a morte che seguirono.
Il numero ufficiale delle vittime è 51.
Dopo l’analisi dei documenti resi accessibili a partire dal 1990, il numero di vittime sembrerebbe essere di almeno 125.
Malgrado l’intervento delle truppe sovietiche, l’ondata di scioperi e proteste non venne riportata facilmente sotto controllo.
In più di 500 città e villaggi ci furono dimostrazioni anche dopo il 17 giugno.
Il momento più alto delle proteste si ebbe a metà luglio.
L’Unità, l’organo del Partito Comunista Italiano, il 19 giugno 1953, dopo l’intervento dei carri armati sovietici a Berlino Est, approvò senza riserve la repressione definendo la rivolta un ‘complotto a opera degli statunitensi e di Adenauer’.
1947/2017 – E IL COMUNE VIETA UNA TARGA IN MEMORIA DELLE FOIBE
1945.01.27 – SHOAH – RICORDARE, PERCHE’ NON SI RIPETANO GLI STESSI ORRORI!
È stato così designato dalla risoluzione 60/7 dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite del 1º novembre 2005, durante la 42ª riunione plenaria.
La risoluzione fu preceduta da una sessione speciale tenuta il 24 gennaio 2005 durante la quale l'Assemblea generale delle Nazioni Unite celebrò il sessantesimo anniversario della liberazione dei campi di concentramento nazisti e la fine dell'Olocausto.
In questo giorno si celebra la liberazione del campo di concentramento di Auschwitz, avvenuta il 27 gennaio 1945 ad opera delle truppe sovietiche dell'Armata Rossa.
La scoperta di Auschwitz e le testimonianze dei sopravvissuti rivelarono compiutamente per la prima volta al mondo l'orrore del genocidio nazista.
Ad Auschwitz, circa 10-15 giorni prima, i nazisti si erano rovinosamente ritirati portando con loro, in una marcia della morte, tutti i prigionieri sani, molti dei quali morirono durante la marcia stessa.
L'apertura dei cancelli di Auschwitz mostrò al mondo intero non solo molti testimoni della tragedia ma anche gli strumenti di tortura e di annientamento utilizzati dentro a quel lager nazista.
In realtà i sovietici erano già arrivati precedentemente a liberare dei campi come quello di Chełmno e quello di Bełżec ma questi, essendo di sterminio e non di concentramento, erano vere e proprie fabbriche di morte dove deportati venivano immediatamente gasati, salvando solo poche unità speciali.
La data del 27 gennaio in ricordo della Shoah, lo sterminio del popolo ebraico, è indicata quale data ufficiale agli stati membri dell'ONU, in seguito alla risoluzione 60/7 del 1º novembre 2005.
1940/1945 – AUSCHWITZ: FINE DI UNA LEGGENDA?
(Buddha)
DI CARLO MATTOGNO
Passiamo ora alla questione della capacitá di cremazione dei crematori.
Tuttavia, negli archivi della Bauleitung, che furono lasciati "intatti" dalle SS di Auschwitz e che Pressac ha esaminato integralmente, non esiste traccia di questi enormi lavori, perció questi lavori non sono mai stati eseguiti. Dunque la cremazione di 675.000 cadaveri nei forni crematori é tecnicamente impossibile, di conseguenza ad Auschwitz-Birkenau non è stato perpetrato alcuno sterminio in massa.
Veniamo ora alla questione delle camere a gas omicide.
b) l' apparato che veniva utilizzato per la prova dei residui dell' acido cianidrico si chiamava " Gasrestnachweisgerät für Zyklon", cioè apparato di prova del gas residuo per lo Zyklon;c) questo apparato era in dotazione obbligatoriamente a tutte le installazioni di disinfestazione ad acido cianidrico, comprese quelle di Auschwitz;d) la richiesta di 10 analizzatori di gas combusti ad una ditta che produceva impianti di combustione è perfettamente comprensibile: ma per quale motivo la Bauleitung di Auschwitz avrebbe dovuto richiedere 10 apparati di prova dei residui di acido cianidrico ad una ditta che produceva appunto impianti di combustione, invece di ordinarli direttamente alle ditte che li distribuivano insieme allo Zyklon B e alle maschere antigas – cioè la DEGESCH e, in particolare, la ditta Tesch und Stabenow – con le quali l' amministrazione di Auschwitz era regolarmente in contatto?
La conclusione è che i 10 Gasprüfer erano dei semplici analizzatori dei gas di combustione per i crematori. Essi erano destinati ai 10 condotti del fumo dei crematori II e III oppure alle 10 canne fumarie dei crematori di Birkenau.
1) tutti i crematori di Birkenau furono progettati fin dall' inizio a scopo criminale
2) il numero delle vittime di Auschwitz fu di 1.100.000
3) i crematori di Birkenau potevano cremare 8.000 cadaveri al giorno.
Con ciò il dogmatismo teologico propugnato nel 1979 dagli storici francesi, incautamente violato da Pressac, è ora pienamente ristabilito: a Pressac non resterà che fare pubblica ammenda. A quanto pare, egli ha già cominciato a farla, prestando la sua collaborazione suicida a questo libro.
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Bild.De: Bufala e controbufala
Il 16 febbraio 2009 è stata allestita a Berlino una esposizione delle piante di Auschwitz trovate nel novembre 2008 e presentate dal quotidiano Bild.De nel numero dell’8 novembre 2008 come una scoperta sensazionale, anzi sconvolgente, perché, per la prima volta su una pianta, era «scritto nero su bianco “Gaskammer”», camera a gas. Ho già dimostrato che questi documenti erano noti da anni e che la “Gaskammer” in questione era semplicemente la camera a gas di dinfestazione ad acido cianidrico progettata e costruita nelle due “baracche di spidocchiamento” dei settori BIa e BIb di Birkenau, designate appunto “Entlausungsbaracken” e indicate come BW 5a e 5b[1].
Foto satellitare dell'impianti in questione. Cerchiato di rosso.BW5a -
Bild.De è ritornato sulla questione proprio nel numero del 16 febbraio, con un articolo intitolato Per la prima voltavengono mostrati i documenti dell’atrocità in Germania. I disegni costruttivi diAuschwitz[2]. A differenza della pubblicazione precedente, però, in cui campeggiavano le piante dell’edificio di accesso (Eingangsgebäude) al campo di Birkenau, della “Gaskammer” e del crematorio, in questo numero del quotidiano appare soltanto il crematorio[3]. La pianta della “Gaskammer” è scomparsa. E non solo la pianta. Ecco infatti il relativo commento:
«L’autenticità dei documenti è stata verificata dall’Archivio Federale. Nella perizia si dice: “Il risultato è l’accertamento che sull’autenticità delle fonti di storia contemporanea non sussiste alcun dubbio”. Nell’esposizione tra l’altro vengono mostrati i progetti di ampliamento del campo principale. Un primo disegno in bella copia del futuro KL Birkenau, che fu costruito per ordine di Himmler. Una pianta del crematorio con spogliatoio e camera a gas»(corsivo mio).
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In precedenza Bild.De aveva parlato di «un impianto di disinfestazione (Entlausungsanlage) con camera a gas (Gaskammer)» e di un crematorio, che aveva descritto così:
«Particolarmente istruttivo: il disegno del piano interrato. Esso mostra i basamenti per i forni crematori, che furono successivamente forniti dalla ditta “Topf und Söhne” di Erfurt. Nella pianta è schizzato anche il “L-Keller” (Leichenkeller: scantinato obitorio), che ha una larghezza di otto metri. I progettisti delle Waffen-SS non avevano stabilito la sua lunghezza. Vi si può leggere: “Lunghezza a seconda delle esigenze che si presenteranno”».
Ora invece la «camera a gas» trasmigra inspiegabilmente dall’impianto di disinfestazione al crematorio, che acquisisce per di più anche uno «spogliatoio».
Mentre prima si poteva attribuire la bufala soprattutto all’ ignoranza storica dei redattori, nella controbufala la malafede è evidente.
Ma non è per questo che ho esposto questa sordida operazione giornalistica, quanto piuttosto per mostrare la metodologia dei giornalisti (e degli storici) di regime.
Il testo di Bild.De dell’8 novembre 2008 fu semplicemente tradotto – o riassunto – e come tale apparve in una miriade di mezzi di informazione.
Ci fosse stato un giornalista cui sia balenato il dubbio, o che abbia soltanto sentito se non il dovere, almeno la curiosità di ascoltare il parere di uno specialista! -
Un’eco della controbufala in Italia
«piani per la costruzione del più gigantesco e moderno campo nazista munito di 174 baracche in grado di accogliere ciascuna fino a 744 deportati (130mila in tutto), progetti per l’aerazione di camere a gas»(!),
e che il ritrovamento avrebbe rappresentato
«una piccola sensazione storica [?] dal momento che documentava le concrete intenzioni del regime nazista di erigere ad Auschwitz un campo di sterminio di dimensioni gigantesche ancor prima dell’approvazione della soluzione finale della questione ebraica e quindi dell’Olocausto durante la famigerata conferenza di Wannsee il 20 gennaio del 1942.
I piani scoperti dalla Bild Zeitung e ora esposti a Berlino risalgono infatti alla primavera del 1941 e sono controfirmati da Heinrich Himmler, il capo delle SS ed uno dei più stretti collaboratori di Adolf Hitler.
Ancor prima dell’invasione dell’Unione Sovietica e dell’avvio sistematico della Shoah, il regime nazista aveva ben chiaro in testa le dimensioni e le modalità dello sterminio degli ebrei europei, camere a gas e forni crematori compresi».
Lasciando da parte il significato attribuito alla conferenza di Wannsee, che risale ad una trentina d’anni fa ed è stato ampiamente superato e invalidato dalle ricerche olocaustiche degli ultimi due decenni, la pretesa che il campo di Birkenau fosse stato progettato fin dall’inizio come “campo di sterminio” è francamente ridicola.
Primo, perché il primo progetto del campo di Bireknau, denominato «Rapporto esplicativo del progetto preliminare per la nuova costruzione del campo per prigionieri di guerra delle Waffen-SS, Auschwitz, Alta Slesia» (Erläuterungsberichtzum Vorentwurf für den Neubau des Kriegsgefangenenlagers der Waffen–SS, Auschwitz O/S)[4], proprio quello che prevede le 174 baracche summenzionate, risale al 30 ottobre 1941, non già «alla primavera del 1941».
Secondo, perché esso fu progettato come Campo per prigionieri di guerra sovietici (Kriegsgefangenenlager), non per detenuti ebrei.
Terzo, perché il campo di Birkenau fu istituito come campo di lavoro nel quadro del “Generalplan Ost”, come ha mostrato lo storico olocaustico Jan Erik Schulte nell’articolo articolo intitolato Dal campo di lavoro al campo di sterminio. Storia della genesi di Auschwitz-Birkenau 1941-1942 (Vom Arbeits– zum Vernichtungslager. DieEntstehungsgeschichte von Auschwitz–Birkenau 1941/42)[5].
Di ciò mi sono occupato nell’articolo Genesi e funzioni del campo di Birkenau. 2008[6].
Quarto, perché, come riconoscono due tra i più considerati storici olocaustici di Auschwitz, Jean-Claude Pressac e Robert Jan van Pelt, il progetto del campo di Birkenau non considerava ovviamente la presenza di camere a gas omicide.
Il nostro valente giornalista aggiunge:
«“La realtà dell’Olocausto non ha più bisogno di essere provata”, dichiara un portavoce della casa editrice tedesca [Springer, che ha organizzato l’esposizione]. “Ma i progetti originali che mostrano i piani per il campo, le camere a gas dove centinaia di migliaia di deportati ed ebrei vennero assassinati col gas Zyklon B, dimostra ancora una volta la dimensione di questi crimini».
Ribadisco, a costo di apparire tedioso, che non esiste alcun piano di una camera a gas omicida.
Ed ecco la chicca finale:
«Ora possono visionare di prima mano questi progetti dell’orrore nutrendo magari l’augurio che un giorno a guardarseli sia anche il vescovo Williamson e tutti gli altri negazionisti».
Per quanto mi riguarda, caro Walter Rauhe, questi progetti li ho visionati e me li sono guardati a Mosca fin dal 1995, li ho fatti fotocopiare e li ho studiati con tutta calma. Per la precisione, ho visionato 88.200 pagine di documenti originali, di cui quelli trovati a Berlino sono un’infima parte. E proprio questa documentazione mi ha convinto profondamente che ad Auschwitz-Birkenau non esistettero mai camere a gas omicide.
3) La “pensatrice” italiana dell’anti-“negazionismo”
Questi esempio mostrano a sufficienza che la metodologia di questa gente è quella del copia-incolla. La verifica delle fonti non esiste. Ciò dipende dal fatto che, soprattutto in certi campi, non è lecito verificare. Qualcuno ha già pensato per loro. Qualcuno ha già scritto per loro. Essi devono soltanto copiare-incollare.
In campo olo-revisionistico, questo qualcuno è Pierre Vidal-Naquet, un dilettante della storia contemporanea che aveva acquisito qualche nozioncina storica dagli scritti di Georges Wellers e aveva tratto il suo impianto argomentativo dall'articolo di Nadine Fresco Les redresseurs de morts[7], uno dei primi saggi contro il revisionismo in cui erano già fissati quasi tutti gli argomenti capziosi adottati dagli olo-propagandisti successivi[8].
In Italia, per nostra somma fortuna, abbiamo addirittura la versione femminile di Vidal-Naquet: Valentina Pisanty, una dottoressa in semiotica incautamente prestata alla storiografia. Costei fu infatti indotta a redigere un'opera di una mediocrità disarmante, dal titolo L’irritante questione delle camere a gas. Logica delnegazionismo[9], in cui pretendeva di dimostrare che il revisionismo non è una storiografia scientifica, ma una strategia ingannatrice, basata su una metodologia fallace, mirante a negare per scopi inconfessabili (ma sempre riconducibili all' “antisemitismo”) la realtà della Shoah. Dato che la dottoressa prendeva in esame anche qualche presunta fallacia tratta da qualcuno dei miei scritti, risposi prontamente col libro L'«irritante questione» delle camere a gas ovvero daCappuccetto rosso ad…Auschwitz. Risposta a Valentina Pisanty, pubblicato nel 1998 dall'Editore Graphos di Genova. Riassumo lapidariamente:
La qualificazione e la competenza specifica della Pisanty in campo storiografico sono nulle, trattandosi di una dottoressa in semiotica, esperta in favole, con specializzazione in Cappuccetto Rosso.
Il titolo stesso del libro è ingannatore, in quanto fa riferimento a una presunta frase di Paul Rassinier contenuta in una inesistente “seconda edizione” del suo memoriale Passage de la ligne.
La bibliografia è in massima parte un’accozzaglia eterogenea di opere di argomento disparato in cui quelle olocaustiche sono poche, mal lette e mal digerite, senza alcuna opera in tedesco, lingua fondamentale per questo genere di studi, che la dottoressa Pisanty ignorava.
Preselezione opportunistica delle opere revisionistiche: Le pochissime opere revisionistiche citate sono il frutto di una spietata preselezione, grazie alla quale la Pisanty ha escluso dal suo campo di indagine tutti gli studi più documentati e più recenti.
– Documenti: La Pisanty non fornisce i riferimenti esatti neppure dei documenti che cita. La cosa non stupisce, perché essa li trae quasi sempre dai testi revisionistici.
– Plagio storico–critico e argomentativo: Nel libro della Pisanty l’appropriazione indebita (senza riferimento alla fonte) di fonti o documenti di altre opere non è un fenomeno sporadico, ma una vera e propria metodologia. Il suo intero libro è, in massima parte, il risultato di un inverecondo saccheggio di testi altrui, revisionistici e non revisionistici, dalle chiavi interpretative alle argomentazioni, dalle obiezioni agli inquadramenti storici, fino alle osservazioni e alle spiegazioni più minute. Ciò che la Pisanty ha aggiunto di proprio, sono soltanto delle osservazioni semiotiche decisamente insulse o cavillose. Ho elencato minuziosamente i passi originali e i passi da lei plagiati. Per quanto riguarda l’aspetto qui considerato, i testi saccheggiati sono quelli di Deborah Lipstadt[10] e di Pierre Vidal-Naquet[11].
Nel mio studio citato sopra Olocausto: dilettanti allo sbaraglio avevo già confutato le elucubrazioni sofistiche dei suoi due maestri, Vidal-Naquet e Lipstadt[12], e si comprende facilmente perché la nostra esperta in favole non l’abbia menzionato neppure di sfuggita.
– Plagio dei miei testi: In relazione al “rapporto Gerstein”, la Pisanty plagia sfrontatamente addirittura il mio libro[13], non solo le mie indicazioni storiografiche relative alla storia processuale dei documenti, ma addirittura le critiche da me rivolte agli altri autori revisionisti, appropriandosi di esse senza il minimo riferimento alla fonte e spacciandole per sue!
Argomenti e strategie ermeneutiche:
– La «premessa indiscussa»: La Pisanty parte dall’assunzione aprioristica, fideistica e indiscutibile della realtà storica dello sterminio ebraico. Da ciò scaturiscono due princìpi ermeneutici aberranti che infirmano radicalmente i suoi argomenti: il primatodella testimonianza sul documento (in senso stretto) e l’accettazione aprioristicadell’attendibilità della testimonianza. Il primo principio comporta il rovesciamento della normale metodologia storiografica. Il secondo conduce inevitabilmente alla negazione del più elementare senso critico, alla fede cieca nella veridicità delle testimonianze e, alla fine, al loro travisamento sistematico. Ciò si concretizza infatti nei seguenti
– Sofismi epistemologici
Confondendo «i principi fondamentali del diritto» con i principi fondamentali della storiografia, la Pisanty pretende che le testimonianze abbiano «valore di prova», e presume, sempre fideisticamente, che:
1) tutte le testimonianze siano indipendenti,
2) tutte le testimonianze siano veridiche e contengano solo errori marginali e involontari,
3) al di là di questi errori esse abbiano tutte un «nucleo essenziale» di verità.
Sulla base di questi presupposti dogmatici, la Pisanty si lambicca il cervello nel tentativo di spiegare razionalmente le assurdità e le contraddizioni di cui esse sono cosparse, minimizzandole, arrampicandosi sugli specchi per escogitare una spiegazione plausibile, appellandosi all’ ignoranza generale delle circostanze (che è in realtà soltanto sua), tacendole semplicemente, quando sono troppo assurde e troppo contraddittorie.
– Il diario di Anna Frank
– Il diario del dottor Kremer
– I “Protocolli di Auschwitz”
– I manoscritti dei membri del Sonderkommando
– Le fotografie
La Pisanty in questo libro preseleziona alcuni capitoli nei quali preseleziona alcune obiezioni, quasi sempre marginali ed isolate dal contesto. Con questa tecnica ella frantuma la struttura argomentativa dell’opera; indi critica in modo capzioso questi episodi marginali e conclude che, in ogni caso, essi non toccano la «qualità» della «testimonianza oculare» di Gerstein.
La critica della Pisanty alle mie argomentazioni si basa su due presupposti assunti fideisticamente:
1) a Belzec (Treblinka e Sobibór) sono esistite camere a gas omicide, dunque
2) Il rapporto Gerstein è necessariamente veridico.
In altri termini, poiché, per la storiografia ufficiale, il rapporto Gerstein è (ma non per tutti[14]) la prova essenziale dell’esistenza di camere a gas omicide a Belzec, ne consegue che esso è veridico perché è veridico. Sulla base di questi presupposti la Pisanty pretende di spiegare le innumerevoli contraddizioni e assurdità del rapporto Gerstein, ma non sul piano storico e tecnico, bensì su quello meramente semiotico.
La mia replica riguarda:
– Il primo gruppo di argomenti della Pisanty: pretesi «errori di battitura»
– Il secondo gruppo di argomenti: miei pretesi «errori interpretativi»
– Il terzo gruppo di argomenti: presunte «obiezioni inesistenti»
– Le obiezioni di carattere tecnico
– I punti meritevoli di considerazione
– Le critiche indirette
– Il documento “Tötungsanstalten in Polen”
– I garanti di Gerstein: Il barone von Otter, Il vescovo Dibelius, Wilhelm Pfannenstiel, Rudolf Reder
– Le altre testimonianze «non trattate da Mattogno»: Jan Karski, I testimoni SS, Chaim Hirszman.
– La visita ad Auschwitz di Eichmann
– La prima gasazione omicida
– «La prima gasazione a cui Höss assistette»
– «La prima operazione di sterminio ebraico»
– Le «inesattezze»
– L’ordine di Himmler di sospendere le gasazioni
– Statistiche e cifre
– La visita di Höss a Chelmno [Kulmhof]
– Il grasso umano
– I “Gasprüfer” di Auschwitz
– Il plagio di Filip Müller.
«i negazionisti raccolgono il testimone dell’ antisemitismo storico»[15].
“Antisemitismo”, ecco la parola magica, che ci porta allo scopo di questo articolo: mostrare, con un altro esempio autorevole, come giornalisti e storici di regime intendano e trasmettano le fandonie pisantyane[16].
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Gli scopiazzatori della “pensatrice” dell’anti-“negazionismo”
Nell’Osservatore Romano del 26-27 gennaio 2009 è apparso il seguente articolo di Anna Foa (nella foto.BW5a):
«L'antisemitismo unico movente deinegazionisti
Il negazionismo della Shoah non è un'interpretazione storiografica, non è una corrente interpretativa dello sterminio degli ebrei perpetrato dal nazismo, non è una forma sia pur radicale di revisionismo storico, e con esso non deve essere confuso.
Il negazionismo è menzogna che si copre del velo della storia, che prende un'apparenza scientifica, oggettiva, per coprire la sua vera origine, il suo vero movente: l'antisemitismo. Un negazionista è anche antisemita. Ed è forse, in un mondo come quello occidentale in cui dichiararsi antisemiti non è tanto facile, l'unico antisemita chiaro e palese.
L'odio antiebraico è all'origine di questa negazione della Shoah che inizia fin dai primi anni del dopoguerra, riallacciandosi idealmente al progetto stesso dei nazisti, quando coprivano le tracce dei campi di sterminio, ne radevano al suolo le camere a gas, e schernivano i deportati dicendo loro che se anche fossero riusciti a sopravvivere nessuno al mondo li avrebbe creduti. Il negazionismo attraversa gli schieramenti politici, non è solo legato all'estrema destra nazista, ma raccoglie tendenze diverse: il pacifismo più estremo, l'antiamericanismo, l'ostilità alla modernità. Esso nasce in Francia alla fine degli anni Quaranta a opera di due personaggi, Maurice Bardèche e Paul Rassinier, l'uno fascista dichiarato, l'altro comunista. Dopo di allora, si sviluppa largamente, e i suoi sostenitori più noti sono il francese Robert Faurisson e l'inglese David Irving, nessuno dei due storico di professione.
I negazionisti sviluppano dei procedimenti assolutamente fuori dal comune nella loro negazione della realtà storica. Innanzitutto, considerano tutte le fonti ebraiche di qualunque genere inattendibili e menzognere. Tolte così di mezzo una buona parte dei testimoni, tutta la memorialistica espressa dai sopravvissuti ebrei e la storiografia opera di storici ebrei o presunti tali, i negazionisti si accingono a demolire il resto delle testimonianze, delle prove, dei documenti.
Tutto ciò che è posteriore alla sconfitta del nazismo è per loro inaffidabile perché appartiene alla “verità dei vincitori”. La storia della Shoah l'hanno fatta i vincitori, continuano instancabilmente a ripetere, mettendo in dubbio tutto quello che è emerso in sede giudiziaria, dal processo di Norimberga in poi: frutto di pressioni, torture, violenze. Resta però ancora una parte di documentazione da confutare, quella di parte nazista che precede il 1945. Qui, i negazionisti hanno scoperto che nessuna affermazione scritta dai nazisti dopo il 1943 può dichiararsi veritiera, perché a quell'epoca i nazisti cominciavano a perdere la guerra e avrebbero potuto fare affermazioni volte a compiacere i futuri vincitori. “Et voilà”, il gioco è fatto: la Shoah non esiste!
Il negazionismo si applica in particolare a dimostrare l'inesistenza delle camere a gas, attraverso complessi ragionamenti tecnici: non avrebbero potuto funzionare, avrebbero avuto bisogno di ciminiere altissime e via discorrendo. È questa la tesi che ha dotato di notorietà uno pseudo-ingegnere, Fred Leuchter, e che domina nei siti negazionisti di internet.
Oggi, il negazionismo è considerato reato in molti Paesi d'Europa, anche se una parte dell'opinione pubblica rimane restia – come chi scrive – a trasformare, mettendoli in prigione, dei bugiardi in martiri. Non mancano poi sostenitori del negazionismo in funzione antiisraeliana. Bisogna però ripetere che dietro il negazionismo c'è un solo movente, un solo intento: l'antisemitismo. Tutto il resto è menzogna»[17].
Non mi soffermo a confutare questo concentrato di sciocchezze, che rasentano spesso la comicità. La storiella del «dopo il 1943», ad esempio, è veramente spassosa. Quale mirabile inventiva!
La cosa più grave è che Anna Foa non è una semplice collaboratrice dell’OsservatoreRomano, ma è soprattutto una storica di prestigio[18], che però non soltanto non si è mai curata di aprire un libro revisionistico, ma non è stata neppure capace di presentare un riassunto decente delle favole pisantyane, avendo profuso nello scritto sopra citato spropositi assurdi che la stessa Pisanty non ha osato neppure sfiorare. Da ciò si desume che questa storica non ha letto nemmeno il libro della Pisanty, ma si è basata semplicemente su resoconti giornalistici. Un copia-incolla di seconda mano.
E questi sarebbero gli “storici” olocaustici: individui che si riducono ad attingere dagli scopiazzatori-giornalisti, ma che, nonostante ciò, rivendicano orgogliosamente la loro qualifica di “storici” accademici, sottolineando con compiacimento e una punta di disprezzo che né «il francese Robert Faurisson» né «l'inglese David Irving» è uno «storico di professione»!
Un indubbio merito, a paragone di uno “storico di professione” olocaustico.
Per questo motivo non si curano minimamente della letterarura scientifica revisionistica.
Valentina Pisanty, novella Pizia, ha vaticinato e non bisogna far altro che diffondere il responso.
E se si trattasse di Oracoli Sibillini?
L'“irritante questione” delle camere a gas ovvero da Cappuccetto Rosso ad… Auschwitz. Risposta a Valentina Pisanty. Riedizione riveduta, corretta e aggiornata. 2007: http://vho.org/aaargh/fran/livres7/CMCappuccetto.pdf
Edizione riveduta, corretta e aggiornata 2009:
http://civiumlibertas.blogspot.com/2007/11/slomo-in-grand….
Non è ora che si decida a prenderla in considerazione e a controbattere?
In fondo è così facile confutare le “pseudoargomentazioni” revisionistiche! E allora che cosa aspetta a farlo?
Note:
http://civiumlibertas.blogspot.com/2007/11/slomo-in-grand…, 19. Appendice, e in: http://ita.vho.org/038Bild_Mattogno.htm.
[2] Testo in:
http://www.bild.de/BILD/berlin/aktuell/2009/02/16/die-bau….
[3]Da: http://www.bildblog.de/5904/die-bauplaene-von-auschwitz-2/
[4] RGVA (Archivio russo di Stato della guerra, Mosca), 502-1-233, p. 24.
[5] In: Vierteljahreshefte für Zeitgeschichte, 1, 2002, pp. 41-69.
[6] In : http://vho.org/aaargh/fran/livres8/CMGeneralplanOst.pdf.
[7] Nadine Fresco, Les redresseurs de morts. Chambres à gaz: la bonne nouvelle. Comment onrévise l'histoire, in: “Les Temps Modernes”, 35e année, N° 407, Juin 1980, pp.2150-2211.
[8] Vedi al riguardo il capitolo I, “Pierre Vidal-Naquet”, del mio studio Olocausto: dilettanti allosbaraglio. Edizioni di Ar, Padova, 1996, pp. 11-89. In rete: http://www.vho.org/aaargh/fran/livres4/sbara1.pdf
[9] Bompiani, Milano, 1998.
[10] Deborah Lipstadt, Denying the Holocaust. The Growing Assault on the Truth and Memory. A Plume Book, New York, 1994.
[11] P. Vidal-Naquet, Gli assassini della memoria. Editori Riuniti, Roma, 1993.
[12] Olocausto: dilettanti allo sbaraglio, op. cit., capitolo III, “Deborah Lipstadt”, pp. 145-159.
[13] Il rapporto Gerstein. Anatomia di un falso. Sentinella d’Italia, Monfalcone, 1985.
[14] Michael Tregenza considera Gerstein inattendibile. Vedi il mio studio Bełżec nellapropaganda, nelle testimonianze, nelle indagini archeologiche e nella storia. Effepi, Genova, 2006, pp. 69-70.
[15] V. Pisanty, L’irritante questione delle camere a gas. Logica del negazionismo, op. cit., p. 251.
[16] Il primo esempio è l’articolo di Bernardo Valli Negazionismo. Gli assassini della memoriache cancellano l’Olocausto (Repubblica, 3 febbraio 2009, pp. 32-33) di cui mi sono già occupato nel mio scritto La “Repubblica” della disinformazione, in: http://civiumlibertas.blogspot.com/2009/02/carlo-mattogno….
[17] L’articolo appare in vari siti, ad es.
http://paparatzinger2-blograffaella.blogspot.com/2009/01/…
[18] Si veda il suo curriculum qui: http://w3.uniroma1.it/dsmc/docenti/foa.htm.
[19] Vedi il mio articolo già citato La “Repubblica” della disinformazione.
[20] Franco Damiani, “Sorgente di Vita” stronca (?) il “negazionismo”, in:
http://francodamiani.blogspot.com/search?q=sorgente+di+vi…
"nel programma destinato al restauro e alla conservazione dei più importanti musei di tutto il mondo" (p.94).
"violato e saccheggiato dai naziskin in caccia di macabri souvenir e dai negazionisti alla ricerca di prove "scientifiche"" (p. 94),
"prevede che quel che resta dei due edifici venga protetto (probabilmente sarà messo sotto vetro) e reso accessibile solo agli studiosi" (p.96).
"membro delegato dall'Unesco al progetto e al controllo dell'operazione è un italiano, Marcello Pezzetti, storico e ricercatore del Cdec (Centro di documentazione ebraica contemporanea), uno dei massimi esperti mondiali del luogo più oscuro della memoria collettiva d'Europa" (pp.94-95).
"studiando le mappe originali del campo e interrogando gli ultimisopravvissuti della prima squadra di "sonderkommando" [sic] (i prigionieri addetti alla spoliazione delle vittime e alla raccolta [!] dei cadaveri) Pezzetti ha trovato il luogo e l'edificio. "Del Bunker 1 avevano parlato, nei processi celebrati dopo la guerra, pochi testimoni. Nessuno di loro, però, era stato portato fisicamente al campo per identificare il luogo e la costruzione", racconta Pezzetti.
Per una malintesa esigenza di pacificazione, la realpolitik imponeva che non si facessero scomode ricerche su un territorio che avrebbe dovuto essere tutelato e consacrato al ricordo e che veniva invece colonizzato da polacchi in cerca di terreni a buon mercato dove ricostruire le case distrutte dalla guerra e da alcuni vecchi abitanti che a suo tempo erano stati evacuati dai nazisti. Fra questi ultimi, tornarono "a casa" anche coloro che prima della costruzione di Birkenau possedevano e abitavano l'edificio poi trasformato in camera a gas. E sulle rovine della vecchia villetta fatta saltare parzialmente dalle Ss nel novembre del 1944 [sic!], ricostruirono la nuova abitazione""(p.95).
"Non è possibile vivere in qualcosa che non esiste. "Quella famiglia non può aver vissuto in una camera a gas, perché i Tedeschi distrussero la casetta rossa nel 1943. Di essa non rimase alcuna traccia; i Tedeschi non lasciarono sul posto neppure un pezzetto delle sue fondamenta", spiega il dott. Franciszek Piper, del Museo Statale di Auschwitz-Birkenau. "Solo nel 1955 i proprietari del terreno costruirono una nuova casa sul luogo della camera a gas e ci andarono ad abitare". […].
"Sfortunatamente, quando, nel 1957, furono fissati i confini del campo — dichiara Jerzy Wróblewski, direttore del Museo Statale di Auschwitz-Birkenau, il terreno in cui si trovava la prima camera a gas nel 1942-1943 fu lasciata fuori, sebbene fosse adiacente. Non so per quale ragione all'epoca si prese questa decisione. Forse perché vi era già stata costruita una nuova casa e negli anni di generale ricostruzione dopo le devastazioni della guerra nessuno osò chiedere che fosse demolita".
"Se il giornalista di Le Monde avesse voluto ottenere informazioni alla fonte, al Museo, avremmo potuto mostrargli il noto studio Auschwitz: Nazi Death Camp, pubblicato la prima volta da Interpress nel 1977, che contiene una pianta di Birkenau nella quale è segnato il luogo della prima camera a gas. Già negli Ottanta, prima che qualcuno qui avesse sentito parlare del signor Pezzetti, io consultai i documenti catastali dei proprietari e stabilii al metro l'ubicazione della casetta rossa", dice Piper. Una pianta della casa — egli rileva — si trova a p. 114 del terzo volume del compendio in cinque volumi Auschwitz pubblicato in polacco, in tedesco e in inglese". […].
"l'ubicazione [del "Bunker 1"] fu identificata nel 1945 nei rapporti sia della commissione sovietica sia di quella polacca. Essa fu indicata da detenuti che testimoniarono all'epoca, incluso Schlomo Dragon".
"Già negli Ottanta, prima che qualcuno qui avesse sentito parlare del signor Pezzetti, io consultai i documenti catastali dei proprietari e stabilii al metro l'ubicazione della casetta rossa".
"mappa del catasto, con tanto di documento autografo della proprietaria e l'indicazione gaskammer [sic]",
"Abitazione costruita da contadini polacchi sui resti del Bunker n. 1, smantellato dai nazisti nella primavera del 1943".
La presunta "scoperta" ha naturalmente un risvolto propagandistico-economico.
"Oggi casa e terreno sono stati acquistati, l'edificio abbattuto per scoprire le fondamenta del vecchio bunker [il presunto Bunker 1 C.M], "il terreno sarà compreso nel percorso [di visita al campo C.M.] del museo, restituito alla memoria e alla preghiera", spiega Pezzetti. Tutto grazie a lui e al dottor Richard Prasquier, un cardiologo parigino che da piccolo scampò con la famiglia alla "liquidazione" del ghetto di Varsavia ed ha finanziato tutta l'operazione".
"Due famiglie di contadini polacchi, gli Harmata e i Wichaj (sei persone tra nonni,figlio con moglie e due nipotini), nel mese di novembre hanno traslocato in una casa tutta nuova, studiata nei minimi particolari, con moquettes e marmi".
"Sì, perché la famiglia nel '47, alla fine della guerra, era rientrata nella casa che, requisita dai nazisti nel '42, era stata utilizzata fino all'aprile del '43 come camere a gas per gli ebrei".
"Quando otto anni fa ho scoperto che la casa abitata da questa famiglia era nientemeno che il "bunker 1", cioè la prima camera a gas di Birkenau", racconta Marcello Pezzetti della Fondazione CDEC, "ho capito subito che si trattava di un luogo particolarmente importante per la memoria ebraica, che doveva entrare nel circuito museale di Auschwitz-Birkenau".
"visto che, per farli decidere a trattare, avevo iniziato a portare davanti alla casa pulmann di visitatori ai quali indicavo la casa come la prima camera a gas e il suo giardino come un cimitero. Per anni, al nostro arrivo, usciva l'anziana nonna che tentava di mandarci via con parole e modi bruschi".
"perché la famiglia non voleva che i vicini pensassero che aveva accettato soldi da ebrei".
1938.03.02 – LE PROFEZIE DI PAPA PIO XII
- A PROPOSITO DELLA MONARCHIA IN ITALIA
- LA SCIENZA NON PUO' SOSTITUIRSI A DIO
- LA MINACCIA DELLE ACQUE
- I PAPI ARRIVERANNO DA LONTANO
- QUANDO IL PONTEFICIE SARA' ITINERANTE
- LA DISOCCUPAZIONE ESPLODERA' ALLA FINE DEL MILLENNIO
- IL MONDO AVRA' BISOGNO DI ABILI DIPLOMATICI
- IL TEMPO DEI FALSI PROFETI
- L'ISLAM SARA' SEMPRE PIU' PRESENTE IN EUROPA
- BUROCRAZIA E CORRUZIONE
- L'UOMO "OGGETTO" DELLA SOCIETA'
- GIUSTIZIA SOCIALE IN CRISI
- LA FAMIGLIA DISTRUTTA
- NON AVRETE PIU' LA DEMOCRAZIA MA LA CORRUZONE
- IL DISFACIMENTO DELLA CLASSE POLITICA ITALIANA
- IL GRANDE PROBLEMA SARA' LA CINA
- DALLA CIVILTA' DEL MATERIALISMO ALLA CIVILTA' DELLO SPIRITO
- E GLI UOMINI PARLERANNO CON GLI ANGELI
Elezione
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Insediamento
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Fine pontificato
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Motto
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Opus iustitiae pax
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Cardinali creati
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Predecessore
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Successore
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Nome
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Eugenio Maria Giuseppe Giovanni Pacelli
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Nascita
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Sepoltura
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Firma
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I titoli nobiliari della famiglia Pacelli (nobili romani, nobili di Acquapendente e di Sant'Angelo in Vado, concessi alla famiglia nel 1853 e 1858) erano conseguenza dei tempi della seconda Repubblica Romana (1848-1849), quando il papa-re Pio IX si rifugiò a Gaeta e Marcantonio Pacelli (1804-1902) da Onano (Viterbo), nonno paterno di Eugenio, che aveva seguito il Papa nella cittadina laziale (allora parte del Regno delle Due Sicilie), fu premiato con i titoli di principe e di marchese sia per la sua fedeltà sia per aver contrastato efficacemente dopo la fine della Repubblica, nel ruolo di sostituto del ministro dell'interno, i liberali che si opponevano al governo papalino.
Lo stesso Marcantonio fu, successivamente, tra i fondatori dell'Osservatore Romano (1861).
Dopo le elementari frequentate in una scuola privata cattolica e la frequenza al liceo di Stato "Ennio Quirino Visconti", Eugenio Pacelli entrò nel Collegio Capranica e poi, dal1894 al 1899, studiò teologia alla Gregoriana presso cui si addottorò nel 1901, quando già da due anni era stato ordinato sacerdote (1899).
Del 1902 è la laurea ingiurisprudenza in utroque iure (vale a dire, sia in diritto civile, sia in quello canonico), anche se non ebbe mai modo di praticare l'avvocatura, strada che seguì suo fratelloFrancesco, giurista per la Santa Sede e uno dei principali negoziatori dei futuri Patti Lateranensi del 1929.
Eugenio sentì sin da piccolo la "vocazione": pare che nei momenti liberi amasse far finta di celebrare la messa.
Determinante per la sua formazione fu l'influenza che ebbe, a partire dall'età di 8 anni, il reverendo Giuseppe Lais, scienziato astronomo, discendente da una storica famiglia romana di origine sassone, per molti anni precettore e mentore del futuro papa Pio XII, in seguito insignito da papa Benedetto XV della medaglia d'oro pontificia.
Pio XI morì il 10 febbraio 1939. In qualità di camerlengo, toccò proprio a Pacelli dirigere il conclave che ne seguì.
Il 2 marzo 1939, dopo solo tre scrutini e un giorno di votazioni, la scelta ricadde sullo stesso Pacelli, che si impose il nome di Pio XII, a simboleggiare la continuità dell'operato con il precedente capo della Chiesa.
Fatto insolito per un conclave, fu eletto colui che, alla vigilia, aveva le migliori possibilità di diventare papa.
In effetti Pacelli rappresentava un'ottima scelta politica in quanto era il più esperto in diplomazia tra i cardinali del Collegio.
Pacelli fu il primo segretario di Stato dal 1667 (Clemente IX) e il secondo camerlengo (dopo Leone XIII) a venir eletto papa.
L'elezione e l'incoronazione di Pacelli ebbero un'accoglienza mista in Germania.
Da parte di alcuni settori della stampa tedesca, giunsero commenti alquanto ostili: il Berliner Morgenpost scrisse che «l'elezione di Pacelli non è accolta favorevolmente in Germania poiché egli è sempre stato ostile al nazionalsocialismo»; la Frankfurter Zeitung scrisse che «molti dei suoi discorsi hanno dimostrato che non comprende del tutto le ragioni politiche e ideologiche che hanno iniziato la loro marcia vittoriosa in Germania».
D'altra parte l'elezione fu accolta favorevolmente in ambienti diplomatici: il capo del Dipartimento degli Affari vaticani presso il Ministero degli affari esteri del Reich, il consigliere Du Moulin, redasse un memorandum sulle tendenze politiche e sulla personalità del nuovo pontefice ove si descriveva il neo eletto come «molto amico della Germania».
A Berlino ci si ricordò che Pacelli era stato il promotore del Concordato fra la Santa Sede e il Terzo Reich e che, quando le relazioni fra Chiesa e regime nazionalsocialista si erano fatte tese, l'atteggiamento del segretario di Stato era stato sempre – secondo i dispacci dell'ambasciatore Bergen – molto più conciliante di quello di Pio XI.
Il giorno stesso della elezione del nuovo pontefice, il conte Ciano, ministro italiano degli affari esteri, annotava nel suo diario che alla vigilia Pignatti di Custoza, ambasciatore d'Italia presso la Santa Sede, gli aveva detto essere Pacelli il cardinale favorito dai tedeschi:
« 2 marzo – Viaggio di ritorno.
A Tarvisio ricevo la notizia dell'elezione alla tiara del cardinal Pacelli.
Non mi sorprende: ricordo il colloquio ch'ebbi con lui il 10 febbraio.
Fu molto conciliante.
E pare che nel frattempo abbia anche notevolmente migliorate le relazioni con la Germania, al punto che Pignatti ha ieri riferito essere il Pacelli il cardinale favorito dai tedeschi.
A tavola avevo detto a Edda ed ai miei collaboratori: "Il Papa sarà eletto entro oggi.
È Pacelli, che assumerà il nome di Pio XII".
La realizzazione della mia previsione ha interessato tutti »
(Renzo De Felice (a cura di), Galeazzo Ciano, Diario 1937-1943, Rizzoli, Milano, 1980, p. 259)
Dopo la cerimonia dell'incoronazione, il 12 marzo, Ciano annotò, sempre nel suo diario: Mussolini "è contento dell'elezione di Pacelli.
Si ripromette di fargli pervenire alcuni consigli circa quanto potrà fare per governare utilmente la Chiesa".
Uno dei primi atti di Pio XII dopo la sua elezione fu, nell'aprile del 1939, quello di togliere dall'Indice i libri di Charles Maurras, animatore del gruppo politico di estrema destra – antisemita e anticomunista – Action Française, che aveva molti simpatizzanti e seguaci cattolici; agli aderenti revocò, tra l'altro, anche l'interdizione dai sacramenti irrogata da Pio XI.
Alcuni storici tendono a leggere questo episodio non tanto in chiave antisemita quanto pragmaticamente anticomunista, stante la necessità di favorire gruppi e aggregazioni che sapessero competere, quanto a organizzazione e rapidità di azione politica, con quelli di ispirazione marxista, la cui capacità di mobilitazione nelle Brigate Internazionali nella recente guerra civile spagnola era chiaramente emersa.
Altri storici, comunque, sono del parere che il provvedimento sarebbe stato in linea con una minore riprovazione nei confronti del pregiudizio antisemita, in un periodo storico in cui anche l'Italia iniziava a dar concreta applicazione alle cosiddette leggi per la difesa della razza.
Secondo la sociologa e storica francese Jeannine Verdès-Leroux, i discorsi antisemiti divulgati da L'Action Française hanno contribuito «a rendere "possibile", "accettabile" l'introduzione dello statuto degli ebrei nell'ottobre 1940; l'assuefazione ai discorsi di Maurras e dei suoi accoliti – discorsi che si erano diffusi, avevano oltrepassato la cerchia degli adepti – ha attenuato, in qualche modo, il carattere mostruoso di quelle misure».
Nella sua prima enciclica Summi Pontificatus (1939), Pio XII condannò in nome della pace ogni forma di totalitarismo, nel solco della dottrina della regalità di Cristo che era stata uno dei cardini del pontificato di Pio XI.
Sempre nel 1939, proclamò san Francesco d'Assisi e santa Caterina da Siena patroni d'Italia.
Nel 1940 riconobbe definitivamente le apparizioni di Fatima e consacrò nel 1942 il mondo intero al Cuore Immacolato di Maria.
Inoltre incontrò più volte suor Lucia e le ordinò di trascrivere i famosi segreti di Fatima diventando quindi il primo pontefice a conoscere il famoso terzo segreto, che ordinò però di far restare nascosto.
Eletto in un periodo di grandi tensioni internazionali, con il regime nazista che iniziava ad occupare molti territori europei, il Papa tentò invano di scongiurare il rischio di una nuova guerra mondiale con diverse iniziative fra cui la più famosa è il discorso alla radio del 24 agosto 1939 in cui pronunciò la frase simbolo del suo pontificato: "Nulla è perduto con la pace; tutto può essere perduto con la guerra".
Tuttavia tali iniziative furono inutili.
Il 1º settembre, la Germania invase la Polonia e il 3, Francia e Regno Unito risposero all'attacco: è la seconda guerra mondiale.
Papa Pacelli tentò con altri appelli di far cessare le ostilità e organizzò aiuti alle popolazioni colpite e creò l'ufficio informazioni sui prigionieri e sui dispersi.
Cercò, inoltre, di distogliere il fascismo dall'idea di far entrare in guerra l'Italia, ma nonostante ciò il 10 giugno 1940 anche l'Italia entrò in guerra.
Vari e ripetuti furono gli appelli del Papa in favore della pace.
Vanno ricordati in particolare i radiomessaggi natalizi di Pio XII del 1941, 1942 e 1943, in cui Pacelli delineò anche un nuovo ordine mondiale basato sul rispetto reciproco fra le Nazioni e i popoli.
Mussolini commentò il radiomessaggio del 1942 con sarcasmo: «Il Vicario di Dio – cioè il rappresentante in terra del regolatore dell'universo – non dovrebbe mai parlare: dovrebbe restare tra le nuvole.
Questo è un discorso di luoghi comuni che potrebbe agevolmente essere fatto anche dal parroco di Predappio».
Nel 1941 trasformò la Commissione delle Opere Pie, nata nel 1887, nell'Istituto per le Opere di Religione (IOR).
Durante l'occupazione nazista dell'Italia, dopo l'8 settembre, offrì asilo politico presso la Santa Sede a molti esponenti politici antifascisti tra cui Alcide De Gasperi e Pietro Nenni, appellandosi al fatto che la Città del Vaticano era uno Stato sovrano.
Non sempre i tedeschi rispettarono l'extra-territorialità di alcune altre aree a Roma di pertinenza della Santa Sede: nell'inverno del 1943 i tedeschi fecero irruzione nella basilica di San Paolo fuori le mura, dove arrestarono chi vi si era rifugiato, ed è stato scoperto di recente un piano segreto di Hitler che prevedeva l'occupazione del Vaticano e l'arresto di Pio XII, il quale secondo il dittatore nazista ostacolava i piani della Germania.
A questo proposito, per evitare che Hitler tenesse prigioniero il papa, Pio XII preparò una lettera di dimissioni da utilizzare in caso di propria cattura, dando istruzioni di tenere un successivo Conclave a Lisbona.
Nel 1943, quando i tedeschi imposero agli ebrei romani di versare oro in cambio di un'effimera e temporanea salvezza, il Vaticano contribuì fornendo 20 dei 50 chili d'oro richiesti.
Durante il corso della guerra, nonostante le numerose informazioni ricevute Pio XII non condannò mai né si impegnò mai pubblicamente per fermare le deportazioni degli ebrei nei campi di concentramento.
Secondo lo storico vaticanista Alberto Melloni, i tedeschi avrebbero poi organizzato il ratto del ghetto di Roma proprio per fare un affronto a papa Pacelli.
Dopo l'armistizio dell'8 settembre e la fuga dei Savoia dalla capitale, Pio XII dovette fronteggiare da solo l'occupazione nazista della città.
Negli ultimi giorni di maggio del 1944, i tedeschi si preparavano alla fuga e avevano minato i ponti sul Tevere per impedire alle forze angloamericane di procedere nell'avanzata verso nord.
Pacelli ammonì: "Chiunque osi levare la mano contro Roma, si macchierà di matricidio".
Il 4 giugno 1944, dopo la Liberazione, ricevette in Vaticano i soldati alleati.
La domenica successiva i romani si recarono in massa a Piazza San Pietro a salutare e a festeggiare il Papa, che, di fatto, era l'unica autorità religiosa, morale e politica rimasta nella capitale dopo l'8 settembre.
Per questo Pio XII fu anche soprannominato "Defensor civitatis".
Negli anni successivi, Pio XII, anche per il suo carattere schivo e introverso, ridusse all'osso l'organizzazione della Curia Romana (dal 1944 non nominò nessun nuovo Segretario di Stato).
Tuttavia fu un Papa particolarmente amato dalla gente: istituì l'Angelus domenicale dalla finestra di Piazza San Pietro e fu il primo Papa le cui immagini vennero trasmesse in televisione (sul cui uso emise anche un'enciclica, la Miranda Prorsus).
Grazie alla conoscenza di numerose lingue, fu uno dei primi a rivolgersi in lingua straniera ai pellegrini che venivano a Roma.
Nel 1950 affermò, nella Humani Generis, la compatibilità tra fede cattolica ed evoluzionismo, nondimeno considerando l'evoluzione una teoria scientifica e non una realtà già dimostrata, e la necessità di doverose ulteriori chiarificazioni concettuali.
Nel 1952 in un famoso discorso alle ostetriche ammise la possibilità che i coniugi avessero rapporti sessuali anche durante il periodo di sterilità naturale della donna che è ancora oggi l'unico mezzo di contraccezione riconosciuto dalla Chiesa.
Inoltre, in molti discorsi ai giovani sposi, rilanciò il ruolo della famiglia e del matrimonio e indicò la Sacra Famiglia come modello di santità per le famiglie.
Venendo incontro alle richieste del mondo moderno autorizzò diversi provvedimenti, preludio delle riforme del Concilio Vaticano II: permise la celebrazione della Messa nelle ore serali, apportò modifiche alla lettura dei Salmi nel Breviario dei sacerdoti, riorganizzò l'ufficio del digiuno eucaristico riducendolo a tre ore per i cibi solidi, a un'ora per le bevande ed eliminandolo del tutto per l'acqua e i medicinali.
Consapevole dei benefici apportati dal progresso, ma anche dei pericoli insiti in esso, aggravati dall'instabilità della situazione internazionale dovuta alla guerra fredda, Pio XII era convinto che la vera pace avrebbe potuto scaturire solo da un nuovo ordine cristiano del mondo.
Un tale ordine gli sembrava minacciato dalla perdita del senso di responsabilità individuale, schiacciato dalla massificazione sociale, in cui ognuno era come diventato una semplice ruota di organismi privi di consapevolezza, e in cui la libertà risultava dunque svuotata:
« È però un fatto doloroso che oggi non si stima e non si possiede più la vera libertà […]
Questa è la condizione dolorosa, la quale inceppa anche la Chiesa nei suoi sforzi di pacificazione, nei suoi richiami alla consapevolezza della vera libertà umana […]
Invano essa moltiplicherebbe i suoi inviti a uomini privi di quella consapevolezza, ed anche più inutilmente li rivolgerebbe ad una società ridotta a puro automatismo.
Tale è la purtroppo diffusa debolezza di un mondo che ama di chiamarsi con enfasi "il mondo libero".
Esso si illude e non conosce se stesso. »
(Radiomessaggio di Pio XII del Natale 1951)
Nel 1953 tenne il suo secondo ed ultimo concistoro per la creazione di nuovi cardinali.
In seguito rivolse la sua attenzione anche alle vicende dei cattolici ungheresi, colpiti dalla repressione militare successiva alla rivoluzione del 1956.
Ai fatti dell'Ungheria dedicò, infatti, tre encicliche:
la Luctuosissimi Eventus
la Laetamur Admodum
la Datis Nuperrime.
La salute di Pio XII si aggravò durante la fine del decennio: fu afflitto per molto tempo da un singhiozzo continuo, dovuto forse ad una gastrite.
Già all'inizio del 1954 una malattia l'aveva portato in fin di vita ma sopravvisse.
Secondo alcune testimonianze, nel dicembre di quell'anno avrebbe avuto un'apparizione di Cristo che lo avrebbe miracolosamente guarito.
Pare che papa Pacelli gli abbia chiesto di "portarlo via" («Voca me!») presumendo di trovarsi in punto di morte, ma Gesù non abbia dato risposta.
L'Osservatore Romano confermò la notizia dell'apparizione.
Tra i suoi ultimi atti ufficiali, l'enciclica Fidei Donum (1957) con la quale invitò la Chiesa intera a riprendere lo slancio missionario soprattutto condividendo i sacerdoti con le giovani chiese.
Pio XII morì a Castel Gandolfo alle 3:52 del 9 ottobre 1958 a seguito di un'ischemia circolatoria e di collasso polmonare, all'età di 82 anni.
Il successore di Pio XII, papa Giovanni XXIII, lo bandì a vita dal Vaticano.
Eugenio Pacelli è sepolto nelle Grotte Vaticane vicino alla tomba di Pietro, che egli contribuì a individuare.
Il silenzio sull'olocausto
Una delle critiche più gravi rivolte a Pio XII è quella di aver mantenuto il silenzio circa lo sterminio degli ebrei – fatto di cui era a conoscenza, essendone stato informato più volte da più fonti.
Afferma lo storico Giovanni Miccoli: «non vi è dubbio che il Vaticano fu ben presto consapevole del salto di qualità che la persecuzione antiebraica aveva compiuto con lo scoppio della guerra».
Per quanto riguarda la “soluzione finale della questione ebraica”, numerose sono le attestazioni che la Santa Sede ne fu via via largamente informata con sufficiente precisione.
Ad esempio il 12 maggio 1942 don Pirro Scavizzi scriveva a Pio XII che: «la lotta antiebraica è implacabile e va sempre più aggravandosi, con deportazioni ed esecuzioni anche in massa.
La strage degli ebrei in Ucraina è ormai al completo.
In Polonia e in Germania la si vuole portare ugualmente al completo, col sistema delle uccisioni di massa».
Il 29 agosto 1942 monsignor Andrej Szeptycki confermava la gravità delle notizie: «non passa giorno senza che si commettano i crimini più orrendi. […]
Gli ebrei ne sono le prime vittime.
Il numero degli ebrei uccisi nel nostro piccolo paese ha certamente superato i 200.000.
Man mano che l'esercito avanza verso est, il numero delle vittime cresceva.
A Kiev, in pochi giorni, vi è stata l'esecuzione di circa 130.000 uomini, donne e bambini.
Tutte le piccole città dell'Ucraina sono state testimoni di analoghi massacri, e tutto ciò dura da un anno».
Il 18 settembre 1942, monsignor Giovanni Battista Montini, all'epoca impegnato nell'Ufficio informazioni del Vaticano, scriveva: «i massacri degli ebrei hanno raggiunto proporzioni e forme esecrande e spaventose.
Incredibili eccidi sono operati ogni giorno; pare che per la metà di ottobre si vogliono vuotare interi ghetti di centinaia di migliaia di infelici languenti».
Il 3 ottobre 1942 l’ambasciatore polacco presso la Santa Sede riferì che in tutta la Polonia gli ebrei venivano deportati in campi di concentramento per poi essere uccisi; nel dicembre 1942 il ministro britannico presso la Santa Sede, Francis D’Arcy Osborne, ebbe un’udienza con Pio XII in cui consegnò al pontefice un rapporto redatto da inglesi, americani e sovietici sull’estrema povertà degli ebrei e sul loro sterminio sistematico; e così via.
Nonostante ciò non condannò mai né si impegnò mai pubblicamente per fermare le deportazioni degli ebrei nei campi di concentramento; tale critica è stata sostenuta in particolar modo dalle comunità ebraiche.
Secondo stime indipendenti, e documentate da numerose testimonianze, molti esponenti della Chiesa cattolica (sacerdoti, frati, suore, laici) si attivarono per contrastare il genocidio ebraico, affrontando notevoli rischi e spesso pagando anche con il sangue: una stima imprecisa valuta che circa seicentomila ebrei siano stati salvati dall'Olocausto, un numero superiore a quello ottenuto da tutte le altre organizzazioni umanitarie e chiese cristiane messe insieme; nonostante ciò, Pio XII non si espresse mai pubblicamente in proposito.
Si ricordi che i futuri papi Roncalli, Luciani e Wojtyła salvarono e nascosero ai tedeschi gruppi e famiglie ebree.
Il Papa stesso offrì rifugio a numerosi ebrei nei palazzi del Vaticano e nelle chiese romane.
La strategia del silenzio è stata variamente spiegata dagli studiosi, anche evidenziando l'inaspettato effetto negativo ottenuto dalla condanna, da parte dei vescovi locali, della persecuzione antiebraica in Olanda nel 1942 e dall'enciclica Mit brennender Sorge di Pio XI del 1937, che condannava il nazismo.
La scelta del silenzio venne peraltro seguita da Pio XII anche in relazione alle migliaia si sacerdoti e religiosi che vennero internati nei campi di concentramento.
Nel 1963, in seguito alla rappresentazione della pièce teatrale Il Vicario, è iniziata una polemica nei confronti di Pio XII, accusato di non essersi adeguatamente adoperato nella difesa degli ebrei durante la seconda guerra mondiale, fino al punto di essere definito "Il papa di Hitler".
Invece, lo studioso ebraico Pinchas Lapide ha ricordato delle stime per cui tra il 70 e il 90% dei 950 000 ebrei europei sopravvissuti all'olocausto lo devono ad iniziative cattoliche, incoraggiate e sostenute dallo stesso Pio XII.
Occorre poi considerare che, come documenta lo storico svizzero Jean-Claude Favez, la Croce Rossa Internazionale, attraverso suoi informatori, era ben cosciente, già nel 1942, di quanto avveniva nei campi di concentramento tedeschi e, nonostante ciò, decise di tacere temendo che una denuncia pubblica avrebbe scatenato ancora di più i nazisti.
La controversia sul ruolo di Pio XII durante le persecuzioni naziste nei confronti degli ebrei è, comunque, tuttora lungi dall'essere chiusa: lo Yad Vashem, il museo dell'Olocausto di Gerusalemme, ospita dal 2005 una fotografia di Pio XII, la cui didascalia in calce ne definisce «ambiguo» il comportamento di fronte allo sterminio degli ebrei.
A seguito di formale richiesta di modifica di tale didascalia, nel 2006 i responsabili del museo si mostrarono disposti a riesaminare la condotta di Pio XII a condizione che ai propri ricercatori venisse concesso di poter accedere agli archivi storici del Vaticano; tale permesso non fu mai accordato.
Più recentemente, il nunzio apostolico mons. Antonio Franco dapprima declinò, poi decise di accettare, l'invito a partecipare alla commemorazione della Shoah tenutasi al museo il 15 aprile 2007.
Nell'occasione il direttore del museo stesso, Avner Shalev, promise che avrebbe riconsiderato la maniera in cui Pio XII era descritto nella didascalia, l'effettiva riscrittura della didascalia è stata realizzata nel 2012.
Oggi i rapporti tra Israele e la figura storica di Pio XII si sono rasserenati, soprattutto dopo le recenti analisi storiche provenienti proprio da Israele: lo storico israeliano Gary Krupp afferma infatti che Pio XII, durante e dopo la seconda guerra mondiale, fece "tutto quello che era in suo potere per proteggere e difendere gli ebrei, spingendosi ad affermare che abbia salvato più ebrei di tutti i leader del mondo messi assieme.
E soprattutto, adoperandosi da una città in stato di assedio e non da una comoda poltrona a Londra o a Washington".
A conferma delle sue tesi Krupp ha raccolto circa 76000 pagine di materiali originali, oltre alle testimonianze oculari e ai contribuiti di studiosi internazionali di rilievo, che fanno cadere una ad una tutte le leggende nere sul conto di Pacelli.
Inoltre, sempre secondo Krupp, quando Pio XII non sottoscrisse la dichiarazione del 17 dicembre 1942 degli Alleati in cui si condannava il massacro degli ebrei "il papa operò in favore dei perseguitati".
Le tesi di Krupp trovano riscontro anche nel lavoro del ricercatore tedesco Micheal Hesemann, secondo cui Pio XII salvò la vita a più di 11.000 ebrei a Roma durante la Seconda guerra mondiale.
Lo testimonierebbero alcuni documenti ritrovati dal ricercatore tedesco negli archivi della chiesa di Santa Maria dell'Anima.
Anche il museo israeliano dell'Olocausto si è corretto dando spazio nella didascalia ai difensori di Pio XII aprendo di fatto ad una riabilitazione della figura del papa presso il popolo ebraico.
Pio XII e l'evoluzionismo
Pio XII, con l'enciclica Humani Generis, fu il primo papa ad ammettere ricerche sull'evoluzionismo applicato al corpo umano, invocando comunque prudenza nel trattare tale questione: « Per queste ragioni il Magistero della Chiesa non proibisce che in conformità dell'attuale stato delle scienze e della teologia, sia oggetto di ricerche e di discussioni, da parte dei competenti in tutti e due i campi, la dottrina dell'evoluzionismo, in quanto cioè essa fa ricerche sull'origine del corpo umano, che proverrebbe da materia organica preesistente (la fede cattolica ci obbliga a ritenere che le anime sono state create immediatamente sia Dio).
Però questo deve essere fatto in tale modo che le ragioni delle due opinioni, cioè di quella favorevole e di quella contraria all'evoluzionismo, siano ponderate e giudicate con la necessaria serietà, moderazione e misura e purché tutti siano pronti a sottostare al giudizio della Chiesa, alla quale Cristo ha affidato l'ufficio di interpretare autenticamente la Sacra Scrittura e di difendere i dogmi della fede. »