«La catastrofe del Polesine dovrebbe rappresentare un campanello d’allarme…
invece la minaccia delle acque diventerà sempre più preoccupante».
Nel novembre 1951 il Po ruppe gli argini allagando oltre centomila ettari di terreno.
Molte furono le vittime, mentre i danni vennero valutati intorno a ventisette miliardi, che per quel tempo era una cifra da capogiro.
Pio XII volle che la Chiesa si applicasse in ogni modo per aiutare le persone che erano rimaste senza casa, senza mezzi.
E soprattutto per la ricostruzione.
In quelle giornate di dolore, Pio XII invitò più volte a pregare, «… affinchè il flagello delle acque non ritorni a minacciare l’uomo».
Sempre in quel periodo, Pio XII dichiarò che: «La catastrofe del Polesine dovrebbe essere un insegnamento… dovrebbe rappresentare un campanello d’allarme… invece la minaccia delle acque diventerà sempre più preoccupante».
Sono parole dal contenuto profetico, che vennero ricordate dodici anni dopo, quando nel 1963, si registrò la tragedia del Vajont.
Un paese intero – Longarone – venne cancellato dalle acque.
Duemilacinquecento furono i morti.
E anche questa volta la Chiesa si mise al servizio delle persone maggiormente colpite dalla tragedia.
La minaccia delle acque, in seguito anche all’irresponsabile abbandono delle campagne e al disboscamento, continuò negli anni futuri. Alcuni ecologisti sostengono, a questo proposito, che il vero «flagello delle acque» deve ancora venire.
E, forse, si tratta di quel «flagello» per il quale Pio XII aveva invitato a pregare già nel 1951.