Arthur Stanley Jefferson, a tutti gli appassionati del mondo noto come Stan Laurel, “Stanlio”, nel nostro Paese, morì cinquant’anni fa.
Alle 13,45 del 23 febbraio 1965, ricorda Wikipedia, a 74 anni, nella sua suite, la 203, nell’Hotel Oceana a Santa Monica, dove viveva da alcuni anni.
Si era trasferito lì con la moglie, pochi mesi dopo la scomparsa, il 7 agosto del 1957 del suo amico e partner d’una vita di cinema e spettacolo, Oliver Hardy, “Ollio”, tanto per rimanere nelle traduzioni italiane.
“Stanlio e Ollio” sono parte della storia del cinema, anzi furono e rappresentarono un certo meraviglioso, sereno, sognante cinema d’altri tempi che, guarda caso, oggi riscopriamo con nostalgia, e non solo negli spezzoni “fiume” trasmessi nelle festività comandate.
Stan era nato a Ulverston, una città dell’Inghilterra settentrionale, in Cumbria, il 16 giugno del 1890 ed era stato, come noto, attore, comico ed anche regista, produttore cinematografico e sceneggiatore.
Una personalità creativa, eclettica che aveva l’arte nel suo stesso bagaglio genetico.
Il papà Arthur J. Jefferson era a sua volte artista e impresario, la madre, ricordano le note sulla sua vita, Madge Metcalfe, era a sua volta attrice drammatica.
La personalità del giovanissimo Stanley si fece notare subito.
Dopo una serie di esperienze in palcoscenico entrò nel 1909 nella compagnia di Fred Karno.
Lo scriviamo perché gli attori di Karno avevano come "capo" un certo Charlie Chaplin.
I due, Stan e Charlie, avevano un anno di differenza.
Insieme divisero oneri e onori di un paio di tournee teatrali nel 1910 e nel 1912 e pure le camere d’albergo.
Il successo arrivò, clamoroso, narrano le cronache, quando Chaplin non accettò un ruolo, quello principale di “Jimmy the fearless”.
Stan ebbe la parte e alcune serate trionfali.
Il resto della favola bella, amara e difficile, come la vita, di Stan è noto: conobbe una bella cantante australiana, Mae Dahlberg, e con lei elaborò una nuova versione artistica del suo cognome.
Non più Jefferson ma “alloro”, pare scelto a caso da un volume.
Appunto, in inglese “laurel”.
Stan “alloro” poco dopo, a Los Angeles, ebbe il suo primo film.
Era il 1917.
Nel corso degli anni girò diversi film (anche con Larry Semon, in Italia meglio noto come ‘Ridolini’) e, dicono i vari resoconti, risultò molto divertente.
Sono i tempi dei sodalizi vincenti, di “The lucky dog”, delle Stan Laurel Comedies, degli Hal Roach Studios.
Sono anni ruggenti.
Comicità e creatività, anche a livello di montaggio e creazione di gag, andavano di pari passo.
Le prime parti in coppia con Oliver Hardy arrivarono in quel periodo.
Il primo film girato insieme fu Duck Soup, nel 1927, ma ancora senza quei ruoli che avremmo conosciuto più avanti, per lo meno, non così definiti.
Aneddoto interessante, Stan non voleva fare coppia fissa, inizialmente, con Oliver: ormai preferiva dedicarsi al ruolo di regista.
Forse meditava anche di lasciare la recitazione.
Non andò del tutto così e, dal 1927 in avanti, quando i rispettivi ruoli divennero chiari, in scena, fu un vero e proprio trionfo.
Ricordi legati a un ritornello?
Come non ricordare il “cuckoo song”, la "loro" canzone che ne accompagnerà per sempre l’evocativa entrata in scena?
Grazie a Marvin Hatley le musiche ce li consegneranno per l’eternità e saranno all’infinito il ritmo evocativo della loro comicità.
Stanlio e Ollio attraversarono una intera epoca e dalle persone furono amati.
Eccoli nella Grande Depressione, durante la Seconda Guerra Mondiale, influenzeranno con il loro stile modi di dire e costumi, riti e gestualità.
Furono l’epoca, la loro, crearono i presupposti per la comicità di oggi, rimasero e rimarranno per sempre inimitabili.
Allora, prima di levarci a nostra volta la bombetta dal capo e rendere doveroso omaggio a Stan e, è ovvio, anche al romantico, dolcissimo Olly, “Babe” per gli amici, pensiamo giusto ad alcuni film fra gli innumerevoli che li videro protagonisti un tempo e oggi delle nostre favole belle.
Fra Diavolo, ad esempio, Il Compagno B, Avventura a Vallechiara, Gli allegri imbroglioni, I Diavoli Volanti, Noi siamo le colonne, I due legionari. Così, giusto per citare e ringraziare per averci rasserenato, fin da bambini, nei mille giorni della vita che appena scoprivamo.
Restiamo qui, come per ogni lieto fine che si rispetti, a guardare lontano, un po’ stupefatti e tristi, “gli asini che volano nel ciel”.
E forse, se ci sforziamo un poco, li vediamo davvero.
“…Sento che è guarito il cuor dall'estasi d'amor…”.
Grazie per tutta questa poesia e il sorriso pulito che ci avete regalato.