ATTUALITA

30.04.2011-NO ALLA CENSURA ANTIVENETA.

di seguito il comunicato del Governo in autodeterminazione del Popolo Veneto emesso a seguito del gravissimo episodio avvenuto presso il liceo Giuseppe Berto di Mogliano Veneto (Tv) – (Rep.Ven).
Si sappia che la Polizia Nazionale Veneta ha aperto anche in questo caso un fascicolo d’inchiesta per i dovuti accertamenti del caso e da trasmettere per l’ulteriore determinazione alla Magistratura Veneta.
 
il fatto: clicca qui
 
Oggi, 30 aprile 2011, ore12/13, iniziativa del Governo del Popolo Veneto contro le censure antivenete nelle scuole pubbliche.
Alleghiamo il documento fatto protocollare e distribuito a insegnanti e studenti.
Grandissimo consenso da parte degli studenti.

25 APRILE… FESTA DI SAN MARCO

  Per i Veneti il 25 aprile è ricorrenza assai più antica dell'attuale festa nazionale italiana.
Vi cade infatti il giorno del Santo Patrono Marco le cui reliquie, che si trovavano in terra islamica ad Alessandria d'Egitto, furono avventurosamente traslate a Venezia nell'anno 828 da due leggendari mercanti veneziani: Buono da Malamocco e Rustico da Torcello.
Si tramanda che per trafugare ai Musulmani il prezioso corpo (l'Islam riconosce e venera a sua volta Cristo e i Santi), i due astuti mercanti lo abbiano nascosto sotto una partita di carne di maiale, che passò senza ispezione la dogana a causa del noto disgusto per questa derrata imposto ai seguaci del Profeta.
Va ricordato che in quei tempi (e in parte ancor oggi) le reliquie erano un potente aggregatore sociale; inoltre attiravano pellegrini e contribuivano a innalzare il numero della popolazione nelle città, effetto molto importante per un urbanesimo agli albori che stentava ad affermarsi sulle popolazioni prevalentemente rurali.
Ogni reliquia era quindi bene accetta assieme a chi la recava e quella di San Marco lo fu particolarmente a Venezia, in quanto proprio quel Santo, mentre era in vita, avrebbe evangelizzato le genti venete divenendone Patrono ed emblema sotto forma di leone alato.
Alato, armato di spada e munito di un libro sul quale, in tempo di pace, si poteva leggere la frase Pax Tibi Marce Evangelista Meus (Pace a Te o Marco Mio Evangelista); un libro che veniva minacciosamente chiuso quando la spada, anziché cristianamente discriminare il bene dal male, si arrossava di sangue guerriero.
La commemorazione è oggi ridotta al solo 25 aprile, data della morte del Santo, ma ai tempi della Serenissima si festeggiava anche il 31 gennaio (dies translationis corporis) e il 25 giugno, giorno in cui nel 1094 dogante Vitale Falier avvenne il ritrovamento delle reliquie del Santo nella Basilica di S.Marco.
Alla celebrazione si associarono col tempo alcune leggende popolari.
Secondo una di queste, durante la fortissima mareggiata che, come narra Marin Sanudo, colpì Venezia nel febbraio del 1340, un barcaiolo riparatosi presso il ponte della Paglia fu invitato a riprendere il mare da un cavaliere.
Durante il tragitto verso la bocca di porto, il barcaiolo fece sosta a S.Giorgio Maggiore e poi a S.Nicolò del Lido.
Raggiunto il mare aperto, i demoni che spingevano l'acqua verso Venezia furono affrontati e battuti dai tre cavalieri, che altri non erano che i santi Marco, Giorgio e Nicolò.
Sconfitti i demoni, San Marco affidò al barcaiolo un anello, da consegnare all'allora doge Bartolomeo Gradenigo perchè fosse conservato nel Tesoro di San Marco.
Sebastiano Giorgi & Umberto Sartori
tratto da: clicca qui
 

Il 25 aprile l'Italia festeggia la liberazione dal nazifascismo, ma per Venezia e per i veneziani il 25 aprile è una tradizione ben più antica dell'attuale festa nazionale: è la festa di San Marco, santo patrono della città. 
Le reliquie di San Marco furono trafugate da Alessandria d'Egitto e trasportate a Venezia nel 828 da due leggendari mercanti veneziani: Rustico da Torcello e Buono da Malamocco.
Si racconta che per trafugare il corpo di San Marco i due mercanti lo abbiano nascosto sotto un carico di carne di maiale, che riuscì a passare senza ispezione la dogana a causa del ben noto disprezzo dei Musulmani per questo alimento.
La reliquia di San Marco fu accolta con grande gioia a Venezia, non solo per la sua funzione di attrarre pellegrini da tutta Europa a Venezia, ma anche perché la storia veneta racconta che proprio l'evangelista Marco, mentre era in vita, avrebbe evangelizzato le genti venete divenendone patrono.
San Marco divenne così il patrono e l'emblema della città assumendo le sembianze di un leone alato che brandisce una spada e stringe tra le zampe un libro sulle cui pagine aperte si legge: Pax Tibi Marce Evangelista Meus,  Pace a Te o Marco Mio Evangelista.
tratto da: clicca qui
 

 
wikipedia, l’enciclopedia libera… di disinformare!

La festa di San Marco è la festa patronale di Venezia che viene celebrata il 25 aprile, in memoria di San Marco Evangelista.
Durante il regno della Serenissima (quello dello Serenissima non è mai stato un regno ma una Repubblica), veniva organizzata una processione da piazza San Marco.
A tale manifestazione, partecipavano le autorità maggiormente influenti, sia civili che religiose, della Repubblica, (infatti qui poi si parla di Repubblica).
Erano dedicati a San Marco anche il 31 gennaio, ricordo della traslazione a Venezia delle reliquie, e il 25 giugno, data del rinvenimento, nel 1094, del luogo in cui esse erano state occultate.
 


 

25 APRILE… FESTA DEL BOCOLO

Il 25 Aprile a Venezia, Festa del Bocolo 
In occasione della festa del Patrono i Veneziani usano donare il bocolo (bocciolo di rosa) alla propria amata; sulle origini di questo dono conosciamo due ipotesi leggendarie.
Una riguarda la storia del contrastato amore tra la nobildonna Maria Partecipazio ed il trovatore Tancredi.
Nell'intento di superare gli ostacoli dati dalla diversità di classe sociale, Tancredi parte per la guerra cercando di ottenere una fama militare che lo renda degno di tanto altolocata sposa.
Purtroppo però, dopo essersi valorosamente distinto agli ordini di Carlo Magno nella guerra contro i Mori di Spagna, cade ferito a morte sopra un roseto che si tinge di rosso con il suo sangue.
Tancredi morente affida a Orlando il paladino un bocciolo di quel roseto perché lo consegni alla sua (di Tancredi, non di Orlando) amata.
Orlando fedele alla promessa giunge a Venezia il giorno prima di S.Marco e consegna alla nobildonna il bocciolo quale estremo messaggio d'amore del perito spasimante.
La mattina seguente Maria Partecipazio viene trovata morta con il bocciolo rosso posato sul cuore e da allora gli amanti veneziani usano quel fiore come emblematico pegno d'amore.
Secondo l'altra leggenda la tradizione del bocolo discende invece dal roseto che nasceva accanto la tomba dell'Evangelista.
Il roseto sarebbe stato donato a un marinaio della Giudecca di nome Basilio quale premio per la sua grande collaborazione nella trafugazione delle spoglie del Santo.
Piantato nel giardino della sua casa il roseto alla morte di Basilio divenne il confine della proprietà suddivisa tra i due figli. Avvenne in seguito una rottura dell'armonia tra i due rami della famiglia (fatto che sempre secondo le narrazioni fu causa anche di un omicidio), e la pianta smise di fiorire.
Un 25 aprile di molti anni dopo nacque amore a prima vista tra una fanciulla discendente da uno dei due rami e un giovane dell'altro ramo familiare.
I due giovani si innamorarono guardandosi attraverso il roseto che separava i due orti.
Il roseto accompagnò lo sbocciare dell'amore tra parti nemiche coprendosi di boccoli rossi, e il giovane cogliendone uno lo donò alla fanciulla.
In ricordo di questo amore a lieto fine, che avrebbe restituito la pace tra le due famiglie, i veneziani offrono ancor oggi il boccolo rosso alla propria amata.
Sebastiano Giorgi & Umberto Sartori
 
tratto da: clicca qui

2011.04.19 – E CUSI’, DIU CREO’ U POPULU CORSU

A Corsica lampata à i ghjacari

1  

In u so libru La France des minorités stampatu in 1965, scrivi Paul Sérant : "I Corsi sò forsa u solu populu contru à chinni i Francesi ani, à li volti, fattu accusi simuli à quiddi chè l'antisemiti facini contru à i ghjudei.
"Da 1769, semu tranchji, traditori, vigliacchi, dinunciatori, dilatori, sculturati, salvatichi, criminali, assassini, maffiosi, ecc. Tandu, tocca à lampacci à i ghjacari è facci spariscia. V'eccu ciò ch'eddu "pinsava" u culineddu Alexandre de Roux, "pacificatori" di u Niolu in 1774 : "Si spera ch'eddu ùn cumpiarà u mesi ch'e no ùn sbucchessimi à stirpà sana sana issa razza".
Sendu un fiascu, quand'eddu schiatta a Prima Verra Mundiali, ùn s'attempa.
U 5 d'aostu 1914, i quattru battagliona di u 173u Regimentu d'Infantaria sò imbarcati in Aiacciu pà Marseglia. U 20 d'aostu, l'omini sò ingaghjati in a Battaglia di Dieuze.
À causa finita, sò cinquanta milla corsi, i nosci ziteddi, chì andarani in i fussetta, sottu à u cumandu d'ufficiali incumpintenti quant'è inumani.
Ci sarà dodici milla morti.
Ci sarà diciottu milla ferti.
Ci sarà u dolu scundisatu di nettu di i mammi, di i babba, di i veduvi, di i figlioli, masci è femini.
Eccu u bilanciu di "l'arribuli maceddu", sicondu u brionu di A So Santità Benedettu XV.
Duranti l'anni è l'anni, in parechji di i nosci paesi, a prucissiò di u 15 d'aostu sarà chjamata a prucissiò di i veduvi.
I suldati corsi ùn tiniani parmissioni chè ogni sei mesa (inveci di trè o quattru mesa pà l'altri suldati).
Beddu prestu, ani purtatu l'attimpata ad un annu !
Sarà statu par via di a diffarenza di populu ?
Ani contu cosi tarribuli, a sera à a veghja, da ch'eddu ùn si vidissi i so lacrimi, quiddi anziani chì a s'erani francati da issu cunflittu atroci.
Ma a so boci snaturata palisava u so scummossu.
Com'eddu si mittia in capu à i Corsi i disfatti, i medichi militari ricusavani di curà quiddi chì faciani parti di u 173u.
Par via, i ferti, quand'eddi n'aviani a forza, si cacciavani l'insegni di u so Regimentu, da ùn essa ricunnisciuti.
Ùn a lighjareti quista in nissun libru di Storia. L'emu letta annantu à i labbra di quiddi chì l'ani vista. In un testu stampatu in u 2000 in Le Monde, scrivi Michel Rocard, anzianu Prima ministru : "Duranti a verra di u 14, s'hè mubilizatu in Corsica finu à i babba di sei ziteddi, ciò chì mai ùn s'hè avutu l'anima di fà in cuntinenti, () par via, in u 1919, ùn c'era quasgi più in Corsica omini abbastanza in gamba da ripiglià i travagli di a campagna.
" Hè un pezzu sanu di u populu corsu chì hè statu sacrificatu, "stirpatu". Veni à dì u populu di i campagni, a multitudina di l'ignuranti. I nutabili, i so figlioli, i "sgiò" ùn ani risicatu a so vita.
Teni troppu valori a so peddi pà mantena i privileghja. In seguita à issi numignuli valutici da u gustu francesu, ci chjucchemu avali quidda di razzisti. Cusì, in quant'à u pattu SNCM-STC signatu da pocu, u ministru Devedjian vitupareghja : "Si tratta d'un pattu etnicu scandalosu. U cuncetu ghjuridicu di Corsu ùn asisti in u drittu, pur chè à cascà dinò in a miccanica ghjuridica di a definizioni di u statu di ghjudeu sottu à l'accupazioni."
Ci mancava u sughjedda di a pessima infamia : razzisti.
Eccu fattu.
Da a Corsica, nisciun ghjudeiu ùn hè partitu pà i campi alimani.
Sappiati, o ministru Devedjian di poca durata, chè da i tempa landani, a Corsica hà saputu accoglia à tutti.
Ci vuleti fà spariscia ?
Rinsignetivi apressu à u sinistru Papon, ministru di u vosciu partitu, à l'ordini di Vichy com'è quiddu chì porsi criaturi pà i camari à gasu, prifetu di l'accidiu di Charonne, di a ciacciata di l'Algeriani in a corti di a prifittura di pulizza di Parighji, in u cori di u vosciu Statu culbertistu, rigalianu, quiddu di u Codici neru, di a rivucazioni di l'Edit de Nantes, di l'apartheid.
Parleti di Drittu ?
Ma a leghji ùn hè u Drittu.
A leghji dipendi da unu Statu.
Spiremu chè a leghji di Pétain ùn hè a stessa ch'è quidda di Chirac.
U Drittu apparteni ad a vulintà universali di l'umanità da i tempa landani.
A voscia leghji ùn hè capaci à cambialla.
Hè imprescrittibuli issu drittu.
Arimani quant'è oghji, com'è Maria Gentile sfidendu à u boia francesu, a Corsica, Nazioni senza Statu, hè un' Antigona di pettu à u Statu Creonu.

 

2011.04.19 – INNO NAZIONALE CORSO – NATIONAL ANTHEM OF CORSICA

inno nazionale della Corsica

 
Diu vi salvi Regina
Dio vi salvi Regina
(Que Dieu vous garde, Reine)
E Madre Universale
(Mère universelle)
Per cui favor si sale
(Par qui on s'élève)
Al Paradiso.
(Jusqu'au Paradis)
Voi siete gioia e riso
(Vous êtes la joie et le rire)
Di tutti i sconsolati,
(De tous les attristés)
Di tutti i tribolati,
(De tous les tourmentés)
Unica speme.
(L'unique espérance)
Voi dei nemici nostri
(Sur nos ennemis)
A noi date vittoria
(Donnez-nous la victoire)
E poi l'Eterna gloria
(Et puis l'Éternelle gloire)
In Paradiso
(Au paradis)

En 1729 une révolte éclate dans le Boziu contre l'oppression fiscale génoise et se répand dans le Nord de la Corse. Les "paesani" descendent des montagnes et mettent Bastìa à sac en janvier 1730.
Face à l'intransigeance de la république génoise cette révolte spontanée prend une tournure politique pour devenir une révolution. Les corses élisent deux chefs pour les guider : Ceccaldi et Giafferi. Gênes fait appel aux troupes étrangères pour anéantir l'insurrection.
Le 4 mars 1731 les théologiens corses se réunissent en Cunsulta et proclament la Corse libre de Gênes. Elle fait jurer les chefs corses sur un crucifix de ne jamais se rendre.
Le 4 javier 1732 l'armée mercenaire prussienne débarquée en Balagna est repoussée par les patriotes à Calenzana au cours de la bataille dite "Des abeilles".
Le 8 janvier 1735 la Corse proclame son indépendance et se place sous la protection de la Vierge Marie. Le Diu vi salvi Regina devient hymne national et le 8 décembre, jour de l'Immaculée Conception, fête nationale.
Le 15 avril 1736 sous l'impulsion du chancelier Sebastianu Costa, a la Cunsulta d'Alesgiani, les représentants de la nation corse élisent un roi, un baron allemand, Théodore de Neuhoff, il sera Théodore Ier.
Théodore installe sa capitale à Cervioni et fait battre monnaie, s'emploie à unir les chefs corses, abolit la peine de mort.
L'intervention des troupes françaises à la solde de Gênes met fin à ce royaume mais la lutte continue entre les corses et la république génoise, une lutte qui prend une dimension internationale, quand, commandés par Ghjuvan Petru Gaffori et soutenus par la marine anglaise, les corses s'emparent de Bastìa en 1745.
En 1751 G. P. Gaffori est élu Général de la Nation, il s'empare de la citadelle de Corti, mais le 2 octobre 1753, dans un guet-apens, il tombe sous les balles de tueurs à la solde de la république génoise.

INNO NAZIONALE DEL REGNO DELLE DUE SICILIE

Per tutti i Meridionali che non conoscono quello che fu il Grande Regno delle Due Sicilie.
Se ci si sente Meridionale non si può non conoscere quello che fu l'Inno Nazionale del Regno del SUD
 

 

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L'inno del Regno delle Due Sicilie, composto dal grande musicista tarantino Giovanni Paisiello.
 
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2011.03.31 – MINACCE DI MORTE AD UN CITTADINO SARDO

Quirra: Guai a te se parli
Muravera.
Un cacciatore minacciato da tre persone che si sono spacciate per militari dell’Aeronautica “italiana” (aggiungiamo noi).
Guai a te se parli ancora con i giornalisti.
ll suo torto è stato quello di accompagnare i giornalisti inviati da televisioni e giornali nella zona del poligono di Perdasdefogu e Quirra, indicare i missili abbandonati nei campi, segnalare le persone malate o i familiari dei pastori morti di leucemia.
Carmine Teodoro Porcu, cinquantenne cacciatore di Muravera, è stato minacciato e sequestrato da tre persone che si sono presentate nella sua abitazione in diverse occasioni.
Gli è stato anche legato un cappio al collo: quando, in preda al terrore, ha promesso che si sarebbe mai più occupato di aiutare il lavoro dei cronisti, è stato abbandonato con le gambe legate.
Sul fatto indaga la Procura di Lanusei.
Il pubblico ministero Domenico Fiordalisi ha aperto un fascicolo (per il momento contro ignoti) per minacce e sequestro di persona.
LE MINACCE
Il primo episodio il 18 marzo corso: una telefonata anonima è arrivata nel cuore della notte all’abitazione di Carmine Teodoro Porcu: «Siamo ufficiali dell’Aeronautica, fatti gli affari tuoi, guarda che quando si muovono le Grandi Torri devi avere paura».
Chiaro riferimento alle mostrine degli alti graduati dell’Aviazione.
Due giorni dopo, tre persone si sono presentate all’una e mezza di notte a casa del cacciatore di Muravera.
Esibendo tesserini dell’Aeronautica sicuramente contraffatti, avrebbero effettuato una sommaria ispezione della casa e reiterato le minacce, prima di allontanarsi.
IL SEQUESTRO
Il 25 marzo l’ultimo episodio, il più grave.
Carmine Teodoro Porcu sarebbe stato avvicinato nel centro di Muravera da una persona a bordo di una Fiat Punto.
«Sono un tuo amico, non mi riconosci? Ti devo parlare».
Il cacciatore è entrato nell’auto dell’“amico”, gli aveva appena detto di non riconoscerlo quando un’altra persona nascosta nei sedili posteriori della vettura lo ha immobilizzato e gli ha portato via le chiavi della sua auto.
Un terzo individuo è poi salito sulla Punto.
Prima un giro per il paese, poi l’arrivo nella casa del cacciatore.
Che è stato immobilizzato con un legaccio alle gambe.
Minacce?
Le solite.
«Non parlare più con i giornalisti, non occuparti del poligono o te la facciamo pagare».
Poi gli hanno legato un cappio al collo.
«Ti ammazziamo, tutti crederanno a un suicidio, non indagherà nessuno».
Quando il cacciatore ha espresso tutto il suo terrore, i tre misteriosi aggressori gli hanno tolto il cappio dal collo e sono andati via dalla casa, lasciandolo con i piedi legati.
Un fatto inquietante sul quale il procuratore di Lanusei indaga perché è ricollegato proprio all’inchiesta aperta sul poligono militare di Quirra. Le minacce dei tre personaggi (per adesso senza nome) avrebbero mirato a intimidire potenziali testimoni.
LE REAZIONI
Intanto pioggia di commenti sulla notizia della riesumazione delle salme di 18 pastori morti a Quirra di leucemia.
«La magistratura di Lanusei, essendo un’autorità indipendente, è in grado di accertare la verità sulle aree attorno al poligono di Quirra», ha dichiarato il senatore dell’IdV Federico Palomba, reiterando la richiesta di un’audizione del pm Fiordalisi alla Camera.
Soddisfazione anche da parte del segretario dell’Upc Antonio Satta, e di Francesco Palese del sito Vittimeuranio.com.
LA COMMISSIONE Oggi la commissione parlamentare d’inchiesta ascolterà i pacifisti, i sindaci della zona del Salto di Quirra e i veterinari delle Asl di Cagliari e Lanusei che hanno evidenziato l’alta incidenza dei tumori tra gli allevatori. (p.c.)
L’Unione Sarda Mercoledì 30 marzo 2011

2011.03.29 – IMMIGRAZIONE PILOTATA ???

 Giovedì sera.
Mentre ad Annozero Sandro Ruotolo raccoglie il malcontento dei lampedusani per la pessima gestione da parte del governo dell’arrivo di qualche migliaio di cittadini nordafricani, Angela Maraventano, senatrice della Lega Nord e vicesindaco di Lampedusa, interviene su Radio Padania per mettere in guardia dall’opera di “disinformazione” operata dalle “televisioni di sinistra”:
“Quelle che vengono sull’isola sono tutte televisioni di sinistra, come Annozero, i cui reporter lavorano 24 ore per andare a cercare con la candela 4 o 5 persone di sinistra da intervistare.
Non intervistano le nostre persone, non intervistano persone come me che dicono la verità.
E la verità è che coloro che si stanno ribellando non sono il popolo, ma solo un gruppetto di duecento persone di sinistra: il popolo di Lampedusa è a casa che aspetta le risposte del ministro Maroni”.
Ma non è tutto.
In virtù di evidenti indizi, Angela Maraventano e i due conduttori che la intervistano si dicono pure convinti che quella in atto sia una “immigrazione pilotata”, con dietro “una regia, un progetto di conquista e colonizzazione” appoggiato “anche dalle nostre parti, a livello europeo”: “La gente ha capito che c’è qualcosa che non va, ma le televisioni fanno vedere solo quel che vogliono perché sono gestite da persone che la pensano diversamente da noi”.
Gli evidenti indizi?
Tra gli immigrati sbarcati a Lampedusa “ci sono persone che sanno cosa significa il mondo, persone istruite, che hanno studiato.
Addirittura alcuni parlano italiano.
Questa è la cosa più preoccupante”.
Una minaccia davvero, per molti leghisti.
I quali vengono severamente ammoniti: “Dinanzi a situazioni difficili che hanno dietro progetti mondialisti, è dovere morale non abbandonare la Lega e il nostro ministro Maroni”.
 
ascoltate l’intervista di radio padania ad Angela Maraventano (Lega Nord): “Le proteste di Lampedusa non esistono, sono una invenzione della sinistra”

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2011.03.29 – USATI FONDI INPS PER COPRIRE SPESE CORRENTI

InFISCO, ITALIA su 27 marzo 2011 a 12:32
 
Il governo ha usato 15miliardi e 860 milioni delle liquidazioni accantonate all’Inps per le spese correnti. Denaro che – per la Corte dei conti – rappresenta una “tassazione indiretta” .
 
 
di Camillo Scoyni*
Si stanno mangiando le liquidazioni degli italiani. Il fondo di accantonamento Inps dei TFR (trattamento fine rapporto) dei lavoratori di aziende con più di 50 lavoratori, è stato svuotato di 15miliardi 860milioni di euro. Lo rileva la Corte dei Conti (Collegi riuniti della Sezione di Controllo gestione delle PA) che la giudica «un’operazione di natura espropriativa senza indennizzo o comunque di prelievo fiscale indiretto nei confronti di categorie interessate a versamenti finalizzati a scopi ben diversi dal sostegno alla finanza pubblica». …
Sono tra l’altro soldi che – al di là delle poco credibili rassicurazioni del governo – non potranno essere restituiti, visto che sono andati per le spese correnti, senza rispettare alcun vincolo di destinazione e non esiste nessun piano di rientro. Insomma i ministeri dell’Economia, degli Interni e del Lavoro si sono presi i soldi della riforma truffa avviata da Prodi-Visco e non li restituiranno.
L’altra coppia Tremonti-Berlusconi, ha semplicemente continuato l’andazzo. In questo modo mentre dicevano di non alzare le tasse, hanno praticamente tassato gli italiani di quasi 16 miliardi di euro, una manovra economica di media grandezza. E in dieci anni (fino al 2016) si arriverà ai 30 miliardi di “esproprio”.
La finanziaria 2006, infatti, cambiò la natura del TFR. Prima lo tenevano in cassa gli imprenditori (che lo usavano per l’innovazione e lo sviluppo) poi il famelico governo della sinistra escogitò questa trovata per finanziare l’Inps e non dover alzare l’età pensionabile. Così i soldi dei TFR – che fanno parte dlela retribuzione – finirono nelle arrossate casse dell’Istituto per la previdenza sociale. Incustoditi, al punto che il ministero dell’Economia ha deciso di prenderseli per le spese correnti e metterli a bilancio per abbassare il debito pubblico.
Il problema si verificherà tra qualche anno – avverte la Corte dei Conti – quando la massa dei lavoratori che hanno aderito (costretti) al nuovo regime del TFR chiederanno il denaro. Oggi il datore di lavoro a chi va in pensione danno la liquidazione, trattenendo il denaro dalle anticipazioni, più avanti dovranno anticiparlo per poi richiederlo all’Inps. Quando i richiedenti saranno più di quelli che lavorano si creerà il caos.
“Operando senza dati di riferimento probanti circa la popolazione interessata al prelievo, i versamenti e le prestazioni previdenziali in corso di maturazione – scrivono i magistrati contabili – , vi è il concreto rischio di far ricadere sulle future generazioni il possibile sbilanciamento economico del sistema, che non potrà essere colmato, se non attraverso l’inasprimento delle aliquote contributive o del prelievo fiscale”.
Insomma il “buco” si dovrà coprire con altre tasse. Il governo del centrodestra falsamente liberale non fa che rinviare il problema di chi pagherà il conto. E questo creerà problemi anche a chi ha destinato il proprio TFR alla previdenza integrativa. Infatti qualsiasi impegno in quel senso non basterebbe a coprire la voragine che si aprirà nei conti dell’Inps.
Inutili le rassicurazioni: il governo fa sapere che “il Fondo TFR sarebbe in equilibrio (anche nel medio e lungo periodo) ogni qualvolta la crescita annua del monte retributivo risulti superiore alla crescita delle prestazioni. Di conseguenza, non sarebbe necessaria alcuna forma di accantonamento per eventuali future esigenze connesse all’erogazione delle prestazioni medesime da parte del Fondo neppure in riferimento ad un orizzonte di medio e lungo periodo”. Parole fumose non sorrette da conteggi e proiezioni concrete.
Argomentazioni – scrivono i giudici della Corte dei Conti – che non possono essere condivise: “E’ di tutta evidenza che la scelta di coinvolgere, nel prelievo forzoso, le sole aziende aventi unità di personale superiori a 50 è finalizzata ad evidenziare risultati attivi di brevissimo periodo, non conformi alla consistenza economica del fenomeno”.
E’ evidente come – nel breve periodo – il saldo contabile risulti attivo, dal momento che ai 50 o più dipendenti delle aziende interessate alla contribuzione ne corrisponde una percentuale molto minore richiedente la prestazione. E, tuttavia, a maturare il diritto alla prestazione, sia pure scaglionato nei tempi futuri, saranno lavoratori dipendenti in numero maggiore rispetto a quelli azionanti il diritto alla liquidazione nei singoli esercizi di riferimento.
Per i magistrati contabili andrebbero presi a riferimento dati statistici estremamente semplificati e riguardanti fenomeni di dinamica lavorativa assai recenti ed intrinsecamente mutevoli; allo stato, dopo quattro anni dall’entrata in vigore di un siffatto sistema di prelievo, i dati (asseriti e non provati) sui quali si baserebbero le stime, continuano ad essere gli stessi dell’iniziale stima effettuata alla fine dell’esercizio 2006. Non risulta neppure disponibile la media dei dipendenti delle aziende superiori a 50, la quale è in grado di incidere in modo rilevante sulla Sezione centrale di controllo sulla gestione delle Amministrazioni dello Stato.
Nella buona sostanza, i dati forniti risultano assolutamente approssimativi, e anche se il governo avesse tutte le ragioni dalla sua parte “lo spostamento di ben 30 miliardi di euro dal settore privato alla finanza pubblica, non sarebbe affatto compatibile con i principi generali del nostro ordinamento. Infatti, oneri contributivi gravanti su lavoratori privati e sulle imprese sarebbero trasformati in prelievi fiscali di natura indiretta, se non addirittura spropriativa, irragionevolmente contrari all’equità, all’eguaglianza e al pari trattamento delle diverse categorie di operatori economici”. Insomma tutta questa storia si è trasformata in un esproprio per coprire il malgoverno.
P.S. Intanto, il debito pubblico continua a far segnare nuovi record!
 
 
da sito Movimentolibertario.it

articolo tratto da: clicca qui

2011.03. 25 – ELEZIONI 2011 PER IL NUOVO PARLAMENTO VENETO… MAH!

puoi scaricare il modulo elettorale in formato A/4:clicca qui

E' in corso dal 01.01.2011 al 25.04.2011 la campagna elettorale per la costituzione del primo Parlamento Veneto. La candidatura al Parlamento è libera e personale e costituisce autocertificazione di cittadinanza veneta. Per essere eletti è necessario e sufficiente il supporto delle firme di venti (20) cittadini veneti sul modulo che potete scaricare qui a lato e che il candidato parlamentare dovrà raccogliere liberamente nel proprio ambiente sociale.
Questo è il momento propizio ed opportuno per ripristinare la legalità: l‘ Indipendenza del Popolo Veneto, la Libertà del Popolo Veneto.
Via l‘italia dalla nostra terra!
W San Marco, e che ci aiuti!
Daniele Quaglia, Presidente della Assemblea (Parlamento del Popolo Veneto).
 
"…il richiamo storico è doveroso, dobbiamo ripartire da dove la nostra Patria è stata accidentalmente interrotta… nessuno di noi pensa di incarnare il "Serenissimo Principe" ma ci piace usare quella dizione per annunciare un evento politico di interesse generale, che riguarda tutti i Veneti, tutta la Società Veneta… è un modo esplicito e convinto di dare continuità alla nostra storia… un messaggio moderno con radici profonde…".
Albert Gardin, Presidente del Governo del Popolo Veneto
 

REGOLE ELETTORALI:
1) mettere il nome e i dati anagrafici del candidato in testa al modulo;
2) compilare le venti (20) caselle con i dati e la firma dei votanti negli appositi spazi
3) inviare il modulo elettorale completo all'indirizzo riportato alla fine dello stesso;
4) completato il modulo,inviarlo all'Ufficio Anagrafe Centrale del Popolo Veneto che, verificatene la regolarità, registrerà l'avvenuta elezione comunicandola all'eletto e alla Presidenza del Governo del Popolo Veneto;
5) la prima riunione del Parlamento Veneto avrà luogo a Venezia il 25 aprile 2011 (festa di San Marco).
Elezioni approvate con legge dell'Assemblea del Popolo Veneto.
I elettori sottoscritti autocertifica le so nazionalità/cittadinanza veneta e delega al Parlamento Veneto.
 

 
ATTENZIONE… spedire il modulo per la convalida entro il 25 aprile 2011 a:
Anagrafe del Popolo Veneto
via Pio X, 6 – 31027 Spresiano (Tv
)
 

puoi scaricare il modulo elettorale in formato A/4:clicca qui

2011.03.25-LA NOSTRA BANDIERA

Secondo la tradizione, fu l'Evangelista Marco ad iniziare la conversione al Cristianesimo delle città della X Regio Venetia et Histria nel primo secolo d.C., fondando quello che doveva divenire il Patriarcato di Aquileia.
Narra la leggenda che sulla via del ritorno da Aquileia, una violenta tempesta sospinse la sua nave nella Laguna Veneta, facendola incagliare sui lidi delle isole ancora disabitate di Rialto.
Scampato alla tempesta, l'evangelista scese a terra, si coricò presso la riva e si addormentò.
Gli apparve in sogno un angelo del Signore, che gli disse: "Pax Tibi, Marce, Evangelista Meus, hic requiescet corpus tuum …".
Questa profezia si ritenne avverata quando nell'828, Bon da Malamocco e Rustego da Torcello riuscirono a trafugare il corpo del Santo sepolto ad Alessandrio d'Egitto, ormai terra d'infedeli.
Ebbe così inizio un legame fortissimo fra i veneti e San Marco, ancora oggi estremamente sentito.
Non appena il corpo dell'Evangelista giunse a Venezia, San Marco fu adottato come protettore della Repubblica Veneta che stava iniziando a far valere la propria autonomia rispetto all'Impero Bizantino; non è un caso che il nuovo protettore vada a sostituire quel San Teodoro, greco, che sarebbe stato imposto da Narsete, generale bizantino.
San Marco divenne non solo protettore ma anche sovrano della città e dello stato: il doge derivava la sua autorità direttamente da san Marco, rendendo superflua qualunque investitura imperiale.
L'evangelista comincia a comparire sui vessilli veneti a partire dal XII secolo (la prima citazione è del 1177), inizialmente riportando l'immagine del santo e quindi, a partire dal '300, sostituendolo con il suo simbolo, il Leone alato.
Questi veniva riportato in varie fogge, col tempo si impose la positura araldica del leone passante per la bandiera, mentre sugli stemmi e i sigilli compariva normalmente in posizione di fronte e accovacciato, tradizionalmente detto "in mołeca", dal nome veneto del granchio nella fase in cui cambia il guscio.
Quanto ai colori, inizialmente sugli stendardi compariva il leone rosso in campo bianco, successivamnete si consolidò l'uso del leone d'oro in campo rosso (cremisi o rosso veneziano).
Per gli stemmi si utilizzava normalmente il campo d'azzurro.
Da notare che l'azzurro è da tempi antichissimi un colore associato ai veneti, tanto che in latino venetus era sinonimo di azzurro; azzurro era il colore delle fanterie venete.

2011.03.23 – SERGIO PES

Sono nato a Cagliari, la capitale dello Stato Sardo, il 02 ottobre 1959 in una famiglia molto unita ed ho avuto un’infanzia che oserei chiamare felice. Mi sono diplomato nel 1981 in un Istituto Tecnico Industriale dove ho ottenuto la specializzazione in Chimica Industriale. Successivamente mi sono iscritto all’università dove seguivo il corso di laurea in Scienze Biologiche ma la mia carriera universitaria non fu portata a compimento in quanto il lavoro e lo sport mi lasciavano ben poco tempo a disposizione da dedicare allo studio. Subito dopo aver conseguito il diploma, infatti, cominciai subito a lavorare presso un laboratorio di patologia clinica in qualità di Tecnico di Laboratorio di Analisi Cliniche. Successivamente feci anche l’Informatore Medico Scientifico e, per tanti anni, sia l’agente che il grossista di apparecchiature e materiali per uso scientifico. Nella mia vita ha avuto un ruolo molto importante e formativo anche lo sport agonistico, sia nella disciplina delle arti marziali ( judo e ju-jutsu ) che nel calcio; da ambedue ho avuto delle belle soddisfazioni. Adoro il mare, infatti mi ritengo un “animale marino” ed ho praticato, fin da bambino, tutti gli sport acquatici possibili, soprattutto il windsurf e la pesca subacquea. Fino dalla più tenera età mi sono sempre sentito “sardo”. Mai italiano, neppure per un attimo! Ho sempre rinnegato l’italia come patria e credo fermamente nella potenzialità della mia Terra. Purtroppo il colonialismo e la dittatura di uno stato che ha invaso e condizionato psicologicamente il mio Popolo ha portato la Sardegna, una terra carica di storia e di fierezza ad essere una regione depressa, ricca solo di povertà e con opportunità lavorative quasi inesistenti. Tutto questo è stato causato anche con la responsabilità dei politici sardi che, per avido opportunismo, non hanno lavorato per il bene della loro Patria ma solo per guadagnarsi un posto di lavoro ben remunerato, rinnegando la loro Terra, una poltrona nelle istituzioni straniere italiane. Considero l’italia uno stato occupante e straniero che sta distruggendo senza alcun diritto la mia Terra, imponendogli servitù militari nei quali centri si utilizzano sostanze radioattive che stanno creando gravi problemi di salute alla mia gente. Negli stessi vengono compiuti anche vari esperimenti scientifici tra i quali quelli ambientali che ne stanno sconvolgendo il clima provocando addirittura alluvioni e altri seri danni. Insomma è in atto un vero e proprio annientamento e genocidio del Popolo Sardo. Considero la costituzione italiana una carta che nega il diritto all’autodeterminazione della mia Patria Sarda, quindi una legge straniera impostaci senza alcuna legittimità giuridica e politica. La storie del popolo italiano non è la storia dei sardi, se non in misura marginale e incidentale. Non abbiamo niente a che fare con la lingua dato che in Sardegna l’italiano è arrivato come una lingua straniera solo nella seconda metà del Settecento e, come lingua comunemente impiegata, solo dagli anni Sessanta del Novecento. Non abbiamo niente a che fare col senso di appartenenza alla nazione italiana di stampo illuminista e romantico, dato che i sardi tra il Settecento e l’Ottocento furono impegnati nel tentativo di liberarsi dal giogo feudale e monarchico, prima con la Sarda Rivoluzione, poi con i tentativi repressi nel sangue dei patrioti repubblicani fino al 1812. Mentre in italia prendeva piede il Risorgimento, la Sardegna viveva un’epoca tra le più buie della sua storia. Dall’”Editto delle Chiudende” (1820) alla “Caccia Grossa” (spedizione militare contro il banditismo, 1899), trascorrono decenni di imposizioni dall’alto, di smantellamento del tessuto produttivo e culturale autoctono, di repressioni e rivolte, di scelte economiche di stampo coloniale. Nel 1861 la Sardegna non era certo più italiana di quanto lo fosse cento, duecento, trecento anni prima. Ancora per decenni dopo questa data un intenso lavoro intellettuale cercherà di giustificare la difficile integrazione dei Sardi nel contesto culturale nazionale italiano, ma senza mai spingersi a considerare i Sardi come italiani. Secondo me essere indipendentisti significa avere un progetto di “rottura” con quel legame che ci tiene soggiogati politicamente, culturalmente ed economicamente allo stato occupante avendo come primo scopo il raggiungimento della piena autodeterminazione. Vivo stabilmente in Veneto ormai da tredici anni e ho trovato un popolo in cui riscontro tante analogie con il mio. La stessa voglia di liberarsi dallo stato straniero occupante, la stessa voglia di libertà, la stessa stanchezza nel sentirsi sfruttati dal governo di Roma. Rivendica giustamente il diritto di essere padroni, in casa propria, del proprio destino. Tutto questo coincide perfettamente con il mio modo di pensare ed è in questo contesto che si realizza la mia militanza nel Movimento di Liberazione del Popolo Veneto. Combattere per gli ideali di questa Gente è, per me, come combattere per la mia Gente della quale non mi sono dimenticato, anzi questa lotta mi porta ad essere ancora più presente nella battaglia per l’indipendenza della Sardegna essendo ben cosciente che la liberazione dell’una significherà la liberazione dell’altra. Il mio impegno in questa dura battaglia lo sento, dentro di me, come un preciso dovere verso la giustizia e verso i nostri figli che hanno diritto di vivere una vita libera senza dover sottostare ad uno stato straniero corrotto, che non ci da la possibilità di emergere come la nostra storia ci impone. Uno stato italiota che, comunque, non è il mio Stato, non lo è mai stato e mai lo sarà !!! SERGIO PES