ATTUALITA

2011.08.22 – LEGA CONTESTATA, BOSSI “SCAPPA” NELLA NOTTE.

Dopo due giorni di insulti e proteste, il leader del Carroccio decide di lasciare il Cadore.
"Brutto, brutto, brutto: andiamo via", si sfoga con pochi intimi all'interno di un hotel Ferrovia blindato.
Il clima è talmente pesante che la cena per il 64esimo compleanno di Tremonti è spostato all'ultimo secondo nella baita a Lorenzago del ministro dell'Economia
“Brutto, brutto, brutto: andiamo via”.
 Umberto Bossi nella notte decide di lasciare l’hotel Ferrovia di Calalzo di Cadore per timore di altre proteste.
Ci sono voluti due giorni di contestazioni dell’ormai ex popolo leghista bellunese e decine di insulti dei passanti, per far comprendere al leader del Carroccio che la base ha superato il limite di sopportazione.
Tornare indietro ora è difficile.
Da contadino della politica quale è, Bossi ha compreso che non può più salvarsi dal Titanic: affonderà insieme a Silvio Berlusconi.
Mercoledì sera ha dovuto cancellare il comizio in piazza per timore delle proteste leghiste, capitanate dal presidente della Provincia di Belluno che si è presentato con la bandiera dell’ente listata a lutto.
Ieri ha ricevuto insulti dalle auto che passavano davanti all’albergo.
Si è nascosto per tutto il giorno all’interno insieme a Roberto Calderoli.
E i dieci minuti che è uscito per accogliere l’amico Giulio Tremonti, i tre sono stati costretti a farsi circondare da una decina di uomini della scorta.
Prigionieri a casa loro.
Tanto che ieri sera la tradizionale festa di compleanno del ministro dell’economia all’hotel Ferrovia è stata trasferita all’ultimo minuto (nella speranza di depistare proteste e giornalisti) nella baita di Tremonti a Lorenzago.
La stessa baita dove i quattro saggi del centrodestra stilarono il federalismo che fu poi bocciato dagli elettori con il referendum.
La baita è raggiungibile solo attraversando un cancello, ovviamente ieri notte sigillato e sotto stretta sorveglianza.
Nascosti nella loro terra, in fuga dagli ex elettori che per venti anni hanno regalato alla Lega la sensazione di potere e immortalità che adesso comincia a franare.
Alberto da Giussano non può fare nulla, l’inesistente Padania comincia a essere ridimensionata agli occhi di Bossi.
Le proteste fanno male.
Anche ieri per tutto il giorno è stato un continuo susseguirsi di manifestazioni e contestazioni davanti all’albergo.
Dal sindaco Pdl del Comune di Calalzo al presidente provinciale di Confcommercio, dagli ex leghisti e autonomisti, al Pd ai cittadini.
Qui era impensabile fino a pochi mesi fa che qualcuno potesse criticare il Capo.
All’hotel Ferrovia di Gino Mondin era un continuo pellegrinaggio di complimenti, mani da stringere, baci e foto ricordo tutti sorridenti col ministro leghista di turno.
Dalle macchine che passavano davanti all’albergo è sempre stato un “viva Bossi, viva la Lega”.
Da due giorni invece la strada è piena di contestatori e manifestanti.
E dalle auto il conducente più delicato gli ha gridato contro “cialtrone”.
Il livello di sopportazione è ampiamente superato, ma la realtà non ha ancora preso forma nella mente del Carroccio.
Il nervosismo è palpabile.
A un giornalista della Rai regionale che lo segue imperterrito persino all’inaugurazione di una piccolissima centrale elettrica, Bossi si mostra molto infastidito.
“Vaffanculo, siete anche qui”.
Così, dopo essersi nascosto per tre giorni, Bossi sceglie di scappare.
 Lo fa di notte.
Mentre cenava nella baita, poco dopo le una di questa mattina, i sei uomini della scorta del leader leghista hanno pagato il conto dell’albergo (che era prenotato per Bossi fino a venerdì),  fatto le valigie, caricato le macchine.
Poi sono andati a prelevare il Capo e lo hanno portato lontano dalle contestazioni.
 Presumibilmente a Gemonio, a casa sua.
Dove almeno una bandiera della Lega rimarrà alta: quella che ha nel suo giardino.
Calderoli è invece rimasto a dormire in albergo perché G., il figlio della compagna Gianna Gancia (presidente della Provincia di Cuneo) ha undici anni ed era stanco.
Partiranno all’alba, ha fatto sapere il ministro per la Semplificazione.
Quando i giornalisti presumibilmente dormiranno e, soprattutto, i contestatori non saranno tornati qui davanti.
A ripercorrere gli eventi di questi tre giorni appare evidente come la Lega deve fare i conti con una inaspettata realtà: non ha più il polso del territorio.
 La base è stanca, non ne può più di leggi ad personam, nuove tasse.
Da mesi gli elettori del Carroccio chiedono a Bossi di staccare la spina al governo e lasciare Berlusconi.
La base lo ha chiesto talmente ad alta voce attraverso i canali consueti, che il Carroccio invece di dialogare con i malpancisti, ha preferisco censurarli chiudendo persino gli interventi liberi a Radio Padania.
Ora è troppo tardi.
Berlusconi non si può più scaricare.
Ed è lo stesso Senatùr ad averlo compreso. “Silvio ha vinto grazie a noi e ora noi perdiamo grazie a lui”, si è confidato in uno sprazzo di spietata lucidità.
Il gioco è finito.
Le proteste fanno male.
 Meglio tornare a casa, durante la notte.
Al buio, di soppiatto, senza farsi vedere da nessuno.
 
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2011.08.22 – THE ECONOMIST” DESCRIVE IL FALLIMENTO DELL’ITALIA UNITA

a Napoli prima grande monarchia e poi cricca politica
 
Angelo Forgione
 
L’importante testata londinese “The Economist” ha pubblicato recentemente, sia su carta che on-line, un reportage firmato da John Prideaux e titolato “Oh for a new Risorgimento”, sulla situazione politico-economica d’Italia, mettendo in evidenza molti problemi della società italiana nell’anno delle celebrazioni del 150° anniversario di unità e certificando dal punto di vista estero il fallimento della nostra Nazione.
Si analizza l’anomalia di un paese in cui il Primo Ministro governa in coalizione con i secessionisti della Lega Nord “che accusano Garibaldi di non aver unito l’Italia ma di aver diviso l’Africa”.
Anche la celebrazione a Sud può apparire desolante perchè – si legge – “nel 18° secolo Napoli era la terza città più importante in Europa dopo Londra e Parigi.
Prima di essere accorpata all’Italia unita, era la città Capitale di una grande monarchia (gli inglesi lo sanno meglio degli italiani, e del resto “The Economist” nasce nel 1843, in piena crescita delle Due Sicilie) mentre ora è governata da una cricca di politici inetti.
In questi giorni la città è famosa per i suoi cumuli maleodoranti di rifiuti non raccolti, come allora lo era per la baia e il vulcano che prima e dopo meravigliarono Goethe e i visitatori del grand-tour”.
Si fa poi riferimento al fenomeno editoriale italiano, il bestseller “Terroni” di Pino Aprile che fa luce sulle ombre delle truppe del nord che presumibilmente “liberarono dalla dittatura” il Sud nel 1860, dove per dittatura si intende la stessa monarchia definita “grande” in precedenza.
Il reportage sottolinea che, a differenza di altri paesi che rivedono la loro storia senza però mettere in discussione l’unità, in Italia è diverso e si avverte che le regioni che compongono il paese sono troppo diverse per essere fuse in una singola nazione e che, di conseguenza, l’Italia come Stato ha radici poco profonde.
Secondo questa linea di pensiero, la mancanza del consenso al progetto nazionale avrebbe portato alla debolezza delle istituzioni e del governo.
L’analisi del divario nord-sud sfocia nella constatazione che il meridione è di fatto la più grande e popolosa area sottosviluppata nella “euro-zone”.
Prideaux sottolinea che “il rapporto intende sostenere che le cause dell’attuale malessere dell’Italia e il divario nord-sud risalgono a un’epoca più recente e non a 150 anni fa”, così come del resto ampiamente evidenziato da recenti studi del CNR (Malanima e Daniele), della BANCA D’ITALIA (Fenoaltea e Ciccarelli), dallo SVIMEZ e dell’ISTAT, oltre che dal Financial Times ultimamente.
”Tra il 2000 e il 2010 la crescita media dell’Italia, misurata in Pil a prezzi costanti è stata pari ad appena lo 0,25% su base annua.
Di tutti i Paesi del mondo, solo Haiti e Zimbabwe hanno fatto peggio”.
La chiusura del dossier è una condanna: “L’Italia è diventata un luogo che è a disagio nel nuovo mondo, timoroso della globalizzazione e dell’immigrazione.
Ha adottato una serie di politiche che discriminano fortemente i giovani a favore degli anziani.
A tutto ciò si aggiunge un’avversione per la meritocrazia che ha finito col far emigrare un gran numero di giovani talenti italiani all’estero.
Inoltre, l’Italia non è riuscita a rinnovare le sue istituzioni ed è per questo che soffre di continui conflitti di interesse debilitanti nella magistratura, la politica, i media e business.
Questi sono problemi che riguardano la nazione nel suo complesso, non una provincia o l’altra.
A tutto ciò non ha giovato l’irrompere di Berlusconi al Governo.
È giunto il momento per l’Italia di smettere di incolpare i morti per le sue difficoltà, di svegliarsi e prendersi un sorso di quel delizioso caffè che sa fare”.
Insomma, anche per il “The Economist” l’Italia è da rifare… per un nuovo Risorgimento. Non c’è dubbio, e sicuramente non potrebbe essere peggiore di quello precedente che ad una grande monarchia del sud ha sostituito una cricca di politici inetti.
Di luci ormai l’Italia ne ha ben poche e c’è poco da salvare, peggio di così c’è solo da scavare il fondo.
E lo diciamo senza alcuna esterofilia, anche perchè proprio da Londra è partito tutto questo sfascio.
 
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2011.08.15 – UN USCIERE SMASCHERA CENTO DIPENDENTI ASSENTEISTI: “MI DICEVANO DI NON LAVORARE”.

tratto da un articolo de il GAZZETTINO (segnalato da Nicola)
 
Dipendenti rientravano più tardi solo per strisciare il badge
L'ho fatto presente ai superiori ed è cominciato il mobbing
 
 
Il palazzo della Regione Veneto a Rovigo (Max Sandri)di Cristina Fortunati
 
 
ROVIGO
Ex militare dell'esercito, per sei anni in servizio a palazzo Ferro Fini a Venezia, quell'andazzo non riusciva a mandarlo giù. Era abituato al duro ritmo delle forze armate e agli orari impossibili delle commissioni e dell'aula, l'usciere part time della sede di Rovigo della Regione che, nel 2008, al colmo dell'indignazione, ha presentato l'esposto alla guardia di finanza da cui è partita l'indagine nei confronti di 101 dipendenti assenteisti (su 111) del grande palazzo di viale della Pace. E ci racconta com’è andata.
La sua decisione di rivolgersi alle fiamme gialle è stata certamente insolita. Come è maturata?
«Quando, all'inizio degli anni Duemila, sono entrato in servizio a Rovigo, dove avevo chiesto il trasferimento per avvicinarmi a casa, mi sono reso conto che in questi uffici si lavorava molto poco. Io stesso avevo compiti limitati. Sulle prime ero disorientato. Ero abituato a correre tutto il giorno, su e giù per i palazzi della Regione a Venezia. L'ho fatto presente ai miei superiori. Mi hanno guardato quasi con meraviglia. Siediti lì, fai quello che ti viene chiesto e non preoccuparti, mi hanno risposto. Così seduto in quel posto, nell'ingresso del palazzo, ho avuto modo di vedere da vicino l'abitudine a non registrare le uscite dei miei colleghi. Alcuni di loro stavano assenti, mentre risultavano in servizio, anche ore. Quando uscivo alle 17 strisciavo il badge. Altri lasciavano il lavoro insieme a me. Ma tornavano verso le 18.30 a passare il badge. Così figuravano di aver lavorato un'ora e mezza in più».
Prima di fare l'esposto aveva fatto presente ai suoi superiori quello che succedeva?
«Certamente, a quelli in servizio a Rovigo. Quando ho capito che quella delle assenze fatte passare per lavoro era una consuetudine ho segnalato la cosa. Perché vuoi sollevare un vespaio? mi hanno risposto. Mi hanno fatto presente che quella di Rovigo è una sede periferica di cui nessuno si cura. "Non sanno neanche che esistiamo" mi ha detto qualcuno. La parola d'ordine era, insomma, non attiriamo l'attenzione di Venezia su di noi. Continuiamo a stare tranquilli».
Ma lei "tranquillo" non riusciva proprio a starci.
«Era più forte di me. Quel trasferimento mi aveva avvicinato a casa ma aveva comportato una decurtazione dello stipendio. Tra una cosa e l'altra dai due milioni e 400mila lire che prendevo a Venezia, ero arrivato a un milione e 600mila. È stato così che ho cominciato a collaborare il sabato e la domenica con una ditta che organizza manifestazioni. Mi aiutava a sbarcare il lunario e mi tenevo occupato. A me lavorare dà soddisfazione».
Come hanno reagito nel posto di lavoro al suo inconsueto attivismo?
«Non bene. Ero una mosca bianca. Mi facevano contestazioni minuziose e immotivate. Rispondevo e non protocollavano le mie risposte. Nel 2004 ho chiesto il part time: volevo avere la possibilità di avviare un'attività in proprio. Nessuna risposta. Ho minacciato la denuncia per mobbing per ottenerlo. Ora lavoro in viale della Pace quattro mesi l'anno. Per il resto del tempo svolgo un'altra attività. Lavoro ogni minuto e pago le tasse su tutto quello che guadagno».
Alla fine però la Procura contesta anche a lei 17 muniti di una singola uscita non registrata…
«Non mi stupisce. È la conseguenza del sistema che vige nel palazzo. L'usciere esce a volte per andare in posta a ritirare la corrispondenza. La prima volta ho chiesto un ordine scritto per poter essere in regola. Sei matto? mi hanno detto. Obblighi l'impiegato a compilare una carta e bisogna trovare il dirigente per farla firmare. Stai tranquillo e non piantare grane».
 
Domenica 14 Agosto 2011 – 22:29    Ultimo aggiornamento: Lunedì 15 Agosto – 13:30

2011.07.27 – RESTITUIE ALI’ A TOMMASO.

A QUESTO RAGAZZO SICILIANO NON VEDENTE E' STATO RAPITO IL CANE IL 23/07 IN LOCALITA' MONTALLEGRO (AGRIGENTO) DA UN MALFATTORE, IL SUO FEDELE AMICO E GUIDA PER CIECHI ALI', UN PASTORE TEDESCO DI 9 ANNI…AIUTIAMOLO DIFFONDENDO L'APPELLO E LA FOTO, AFFINCHE' QUESTO CRIMINALE RESTITUISCA ALI' ALL'AFFETTO DEL SUO AMATO TOMMASO. questo è il numero del microcip di Alì 0977200001555424; Vi ricordo che Alì ha un taglio nell'orecchio sinistro ben visibile dovuto a un morso quando era piccolo, un marchio all'interno dell'orecchio e dato che è un cane guida è castrato.
Tratto dal profilo Facebook: clicca qui
 
 

2011.07.17 – UNA LETTERA DI PROTESTA DALLA GRECIA

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15 luglio 2011
Autore Carmen Gallus
Voci dall’estero riporta una lettera inviata ieri sera a David Malone da una delle persone che protestavano in Grecia, e pubblicata sul suo blog
 
13 luglio 2011
Ciao a tutti voi
Scrivo per INFORMARVI di ciò che sta accadendo da 48 giorni nel mio bel paese.
Siamo stati per le strade e le piazze in tutta la Grecia, PACIFICAMENTE dimostrando la nostra avversione per le azioni del governo, per la corruzione, per l’assenza di democrazia nel paese che le ha dato i natali …
 
Il governo e l’INTERO SISTEMA POLITICO del nostro paese da molti anni ha approfittato del popolo, della terra, della storia.
Si è giunti al punto che ci hanno minacciato di nuovo con i carri armati per le strade COME HANNO FATTO I DITTATORI QUASI 40 ANNI FA!
Essi governano con le BUGIE, diffondendo la PAURA e hanno tutti i media dalla loro parte.
Stiamo combattendo una lotta impari …
Il 28 e il 29 giugno gente da tutta la Grecia, di ogni età e ceto sociale, gente semplice che non era mai andata a un corteo o a una manifestazione, si è riunita pacificamente davanti al Parlamento per protestare contro le nuove misure, contro il nuovo prestito, contro un futuro senza speranza, senza sogni, senza via d’uscita…
SAPPIAMO CHE CI SONO ALTRE STRADE.
Lo sanno anche loro.
 
I NOSTRI POLITICI HANNO SCELTO DI METTERE GLI INTERESSI DEI BANCHIERI SOPRA GLI INTERESSI DEL POPOLO!
Hanno scelto non solo di ignorare la nostra voce, ma di cercare di reprimerla con una violenza senza precedenti e con bombe chimiche!
Giornalisti che sono stati nelle zone di guerra hanno TESTIMONIATO che questo era MOLTO PEGGIO!
Non vi annoierò con i dettagli. Se qualcuno vuole sapere di più contattatemi.
Questo non ci lascia altra scelta che rimanere sulle strade!
Stiamo combattendo per liberare il nostro paese dall’oppressione del nostro governo incostituzionale!
Per favore sosteneteci!
Passaparola!
FACCIAMO CHE TUTTO IL MONDO SAPPIA COSA STA SUCCEDENDO QUI !!!!!
LA GRECIA E’ SOLO L’INIZIO – QUESTA DEVASTAZIONE ARRIVERA’ ANCHE DA VOI … DOBBIAMO UNIRCI TUTTI INSIEME PER EVITARE CHE QUESTO SUCCEDA
VOGLIAMO UNA SOCIETA’ CHE SIA EQUA, DEMOCRATICA, ONESTA E RISPETTOSA DELLA VITA.
NOI SIAMO TANTI, LORO SONO POCHI.
SE CI UNIAMO POSSIAMO OTTENERE TUTTO

2011.07.16 – IL VENETO PUO’ ESSERE UNO STATO A SE’

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«Il Veneto può essere uno Stato a sè».
Il presidente della Provincia di Belluno, Bottacin: «Siamo in grado di mantenerci da soli»
lug 12th, 2011
A margine della presentazione del volume “Il lavoro e i suoi percorsi”, oggi a Villa Patt di Sedico, il presidente della Provincia di Belluno, Gianpaolo Bottacin, ha fatto il punto della situazione per quanto concerne la situazione economica del territorio: «Ogni anno regaliamo allo Stato decine di miliardi di euro in tasse.
Se ci tenessimo tutti i nostri soldi saremmo autosufficienti: il Veneto può essere uno Stato a sè».
«Una sentenza della Corte Europea aveva già dichiarato che per le realtà in grado di mantenersi da sé, potevano essere adottate fiscalità di vantaggio: è il caso della famosa sentenza delle Azzorre – ha spiegato Bottacin – .
Accadesse anche per la nostra terra, sarebbe l’occasione di uscire da un guado in cui è stata portata da decenni di politica che non ha saputo cogliere i segnali che arrivavano dalla popolazione».
«Tavoli strategici, incontri, proteste: tutto per ottenere prime pagine sui giornali, e poi?
Per anni ci si è guardati allo specchio senza ascoltare le realtà economiche che chiedevano una politica pragmatica, che indicasse le vie da seguire e le percorresse con decisione – ha continuato Bottacin – .
Così facendo le industrie hanno perso il passo nei mercati internazionali e sono state soppiantate dai concorrenti.
La crisi che stiamo attraversando, che molti non si sono accorti essere mondiale, ha accelerato la resa dei conti e l’Italia oggi è chiamata a pagare l’aver vissuto – per troppo tempo – al di sopra delle proprie possibilità».
«Non è facile ripartire, perché ci si deve confrontare con le realtà vicine, come il Trentino Alto Adige, che da sessanta anni gode di risorse economiche che ci vengono negate.
Questo ha fatto diventare quel che sono oggi quelle terre: terre a cui è stato concesso molto, tanto, troppo; terre dove facevano esplodere le montagne per costruire le piste da sci», ha detto ancora Bottacin.
«Le manovre correttive che dobbiamo mettere in atto devono correggere gli errori del passato, ma devono essere azioni decisive e coraggiose – ha concluso Bottacin – .
Non più “soluzioni a metà”, ma passi decisi per indicare la rotta, assumendosi responsabilità.
Basta navigare “a vista” e tirare a campare: il territorio, le sue aziende e l’intero tessuto sociale reclamano risposte vere e concrete».

2011.07.12 – DANIMARCA, BASTA SCHENGEN! GIA RIPRISTINATI I CONTROLLI DOGANALI!

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08/07/2011
 
La Danimarca non molla e contro il parere della Commissione (sovietica) europea ha ripristinato le dogane.
 
Il primo giorno delle frontiere ripristinate cuore dell'Europa di Schengen ha spinto frotte di giornalisti e cameramen sul Confine Tedesco-danese.
I doganieri danesi, alle prese con un lavoro abbandonato alcuni anni fa, ma svolto in maniera quanto mai meticolosa, sono stati fotografati (chissà cosa c’è di tanto strano da fotografare!) e gli automobilisti, fra i quali molti turisti, presi d’assalto dalle telecamere e dai microfoni come fossero delle star.
Controlli a campione, col preciso intento di proteggere il Paese dell’Unione scandinava dall’assalto della criminalità proveniente dall’Europa orientale e dal contrabbando di armi, droga e medicinali illegali.
Nel mirino non vi sono né turisti, né pendolari, ma i minibus provenienti da Romania, Bulgaria, Ucraina e dintorni, troppo spesso carichi di persone destinate al mercato nero fiorito negli ultimi anni nell’area del Baltico a causa della totale assenza di controlli fra gli stati dell'Unione europea.

Forza Danimarca!
Mai mulà, tegnì dür semper!
Qual è il prossimo paese comunitario che da un bel calcio nel sedere ai ladroni di Schegen?
Avanti un altro!
GP

 

2011.07.12 – IL PROCURATORE GENERALE DELLA CORTE DI APPELLO DI VENEZIA GIUSEPPE ROSIN: LA SENTENZA DI PRIMO GRADO A TREVISO “INQUIETANTE”…

GIOVANE MAROCCHINO CONDANNATO DAL TRIBUNALE DI TREVISO A 8 ANNI PER VIOLENZA SESSUALE, LA CORTE D'APPELLO LO SCAGIONA E I GIUDICI TREVIGIANI FINISCONO NEL MIRINO…
… E SE LO DICONO LORO!!!
 
Quello che oggi si legge sul Gazzettino di Treviso è davvero insolito… come una caduta degli dei dall'Olimpo.
Se penso all'inchiesta farsa sulla Polizia Nazionale Veneta e ai problemi che abbiamo ancor oggi col farci restituire gli effetti rubati dagli inquirenti italiani qui a Treviso, non c'è che dire… forse ogni tanto, anche fra loro si "mordono".
Non vogliamo neppure entrare nel merito della vicenda giudiziaria, di cui però ci piacerebbe sapere chi sono stati gli abili investigatori della polizia giudiziaria italiana, il pubblico ministero italiano e il giudice italiano che hanno condannato a 8 anni una persona per poi sentirsi affibiare dallo stesso procuratore generale presso la corte d'appello di Venezia i seguenti epiteti:
 
"…LA SENTENZA PRONUNCIATA DAL TRIBUNALE DI TREVISO ADDIRITTURA INQUIETANTE…"
 
"…MANCAVANO LE PROVE A CARICO DELL'IMPUTATO…"
 
"…LE PROVE PORTATE DALLA DIFESA NON ERANO STATE VALUTATE O PRESE NELLA GIUSTA CONSIDERAZIONE…"
 
"…LA DENUNCIA, OLTRE A FAR ACQUA DA TUTTE LE PARTI, RISULTAVA PRIVA DI FONDAMENTO E PALESEMENTE FALSA…"
 
Quante strane analogie con l'inchiesta sulla Polizia Nazionale Veneta contro questo MLNV.
E per fortuna che lo abbiamo scritto, ripetuto e sollecitato ancora in tempi non sospetti.
Mi sa proprio che toccherà alla Polizia Nazionale Veneta procedere all'arresto del procuratore Capo straniero italiano Antonio Fojadelli e del questore italiano Carmine Damiano, i due complici,che oltre ad essere bugiardi e ladri si sono macchiati dei numerosi reati che abbiamo più volte elencato.
Ma si sa, Maroni, ministro dell'interno italiano del partito italiano lega nord non ha neppure mai risposto alle interpellanze parlamentari dell'opposizione (Rubinato e Naccarato)… che pretendono la difesa di questi due emeriti delinquenti, chissà come mai???
Non c'è onore in ciò che hanno fatto e in ciò che si ostinano a fare… si sono delegittimati da soli.
Peccato che la stampa di regime dia spazio a queste verità solo se le dice un'altra procura italiana… strano dice le stesse cose che abbiamo detto noi e denunciato da tempo.
Vergognatevi, tutti quanti, servi e ipocriti… O.n.u. compreso, che ancora sta a guardare.
 
Sergio Bortotto, Presidente del MLNV
 
 

2011.07.12 – INGEGNO VENETO… RIFIUTI DI NAPOLI? UN “BEN DI DIO”.

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Carla Poli, del Centro Riciclo di Vedelago, coi rifiuti rifà tutto.
Seguendo il primo principio della Fisica: Nulla si crea e nulla si distrugge. Tutto si trasforma.
 
VEDELAGO
Miracolo?
No.
Riciclo.
In provincia di Treviso si trasformano le scoasse secche negli oggetti più disparati e utili.
Con un nastro trasportatore, un impianto che il mondo ci invidia.
E – ovvio – l’educazione.
«Sono stufa!
Non vado più ai convegni in Italia a spiegare come risolvere il problema dei rifiuti!
In giro non capiscono niente!».
Carla Poli, direttrice del Centro Riciclo di Vedelago, sbotta.
Quando le chiediamo perché avendo vicino a Treviso un gioiellino d’impianto di riciclo come il suo, ci sono ancora tante discariche e la città non ha ancora avviato la differenziata porta a porta, la Poli sbuffa… – Mi chiamano perfino i cinesi per capire come muoversi! – dice.
E’ arrabbiata e infastidita dai politici la tenace direttrice che ha trovato una soluzione per far ritornare a vivere i nostri rifiuti, dopo oltre 25 anni di ricerche, studi, investimenti.
Treviso come la gran parte dell’Italia non vuole capire e non vuole risparmiare, «manca soprattutto la volontà politica e l’informazione» – dice – «dall’estero mi cercano per capire e acquisire le nostre tecnologie, qui criticano e basta.
Treviso ha lo stesso problema di Napoli, anche se in forma diversa, non vedo collaborazione da parte del comune e dell’amministrazione, perché probabilmente non vuole risparmiare e far risparmiare i suoi cittadini».
Alla base ci deve essere una buona raccolta differenziata per poter ricavare la materia prima secondaria, viene chiamata così la materia prima da riciclo, «bisogna informare e insegnare a fare una raccolta corretta, io non tratto materiale raccolto alla rinfusa in sacchi neri, a monte deve esserci un’educazione ecologica, quella che spiego ai bambini quando vengono in visita qui».
E’ quello che ci ripete più volte Carla Poli, mentre spiega che il suo centro accoglie i rifiuti (non umidi) differenziati, di vari comuni del territorio e di grandi aziende private come Nestlè e Benetton, perché a loro conviene, risparmiano molto.
Qui, dove lavorano 68 dipendenti, l’indifferenziato o frazione secca, quello che solitamente non sappiamo classificare, è riciclabile: «abbiamo solo uno scarto del 5% rappresentato dai pannolini, ma stiamo cercando il modo di recuperare anche quello» – sottolinea – «il resto se ci guardiamo bene dentro, è fatto per lo più da imballaggi, plastiche e gomme (75%), come giocattoli rotti, attaccapanni, carta patinata».
A Vedelago arrivano ogni giorno 100 tonnellate di rifiuti, il 35% viene subito messo sul mercato e venduto ad altre aziende che lo riciclano, mentre il 65% passa al processo di trattamento.
La frazione residua secca viene messa su un nastro trasportatore, controllata e separata dagli elementi non compatibili come vetro, legno, oggetti tecnologici, scarti industriali.
Poi vengono selezionati i materiali che hanno valore di mercato, come il ferro e l'alluminio che vengono venduti ad aziende di tutta Europa che li riciclano.
Il resto finisce nell'impianto di trattamento che lavora gli scarti: il materiale che si forma dall’estrusione in cui le varie parti della frazione secca si amalgamano sfregandosi a 180 gradi senza combustione, è la materia prima secondaria, un composto che una volta raffreddato viene sminuzzato diventando un granulato, che rispetta tutte le normative dell’Unione europea.
Il granulato plastico viene usato nel settore edile per pavimentazioni, costruzioni e arredi urbani come giochi per bambini, tavoli e panchine più resistenti del legno, meno pesanti del cemento e più economici.
Si possono creare piste ciclabili e staccionate, «a Pescara abbiamo fatto una pista ciclabile di 12 chilometri», «un materiale che da performance superiori, non si usura come il legno, costa meno e si ricicla nuovamente», rimarca Poli.
Si pensi che il prodotto finito che solo quattro anni fa veniva venduto 25 euro a tonnellata ora ha un valore di circa 240 euro, la richiesta è esorbitante e in continua crescita: «Treviso non ha ancora capito che deve fare la raccolta porta a porta e portarmela qui, eliminando i cassonetti sulle strade, abbattendo i costi a medio lungo termine, riducendo fortemente la produzione di rifiuto non riciclabile», ripete questa ingegnosa donna, che ha proposto all’amministrazione di raccogliere i rifiuti differenziati delle scuole di Treviso a costo zero, ma l’amministrazione dopo due anni non ha ancora dato il via alla sperimentazione.
Da poco Carla Poli è stata in visita a Napoli definendo i loro rifiuti «un ben di dio!», ci spiega che a Napoli gli impianti privati per la raccolta differenziata ci sono, ma non sono mai stati attivati: «il popolo napoletano, non è stupido, ma i politici, le amministrazioni, non spingono per una raccolta differenziata, perché politicamente non paga».
La Campania è piena di rifiuti tossici che vengono dal nord «anche noi abbiamo le discariche abusive, le nascondiamo, ma ci sono anche nella Marca, non siamo migliori».
Oltre alla possibilità di diminuire il rifiuto portato in discarica dal 50% attuale al 5%, c’è da aggiungere che il Centro di Riciclo di Vedelago, mette in moto anche la macchina dell’economia, perché Carla Poli è prima di tutto un’imprenditrice, dando lavoro ad altre industrie che comprano la materia prima secondaria e costruiscono manufatti richiesti in tutto il mondo.
«Vado ai convegni nelle città, spiego, informo, e soprattutto dimostro che ci sono solo vantaggi.
Quando i politici sono informati e non si attivano con un progetto serio, non hanno più scusanti».
 
Autore: Isabella Loschi

2011.07.06 – LA RIVOLUZIONE ISLANDESE

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E' in corso da due anni una rivoluzione in Europa, ma nessuno ne parla: breve resoconto della rivolta anticrisi islandese.

Recentemente la rivolta in Tunisia si è conclusa con la fuga del tiranno Ben Alì, così democratico per l'occidente fino all'altroieri e alunno esemplare del Fondo monetario internazionale.
Tuttavia, un altra "rivoluzione" che ormai è in corso da due anni è stata completamente taciuta e nascosta dai media mainstream internazionali ed europei.
È accaduto nella stessa Europa, in un paese con la democrazia probabilmente più antica del mondo, le cui origini vanno indietro all'anno 930 e che ha occupato il primo posto nel rapporto del ONU sull'indice dello sviluppo umano di 2007/2008.
Indovinate di quale paese si tratta?
-.Sono sicuro che la maggioranza non ne ha idea.
Si tratta dell'Islanda, dove si è fatto dapprima dimettere il governo in carica al completo, poi si è passato alla nazionalizzazione delle principali banche, infine si è deciso di non pagare i debiti che queste avevano contratto con la Gran Bretagna e l'Olanda a causa della loro ignobile politica finanziaria; infine si è passati alla costituzione di un'assemblea popolare per riscrivere la propria costituzione.
Tutto questo avviene attraverso una vera e propria rivoluzione, seppur senza spargimenti di sangue ma semplicemente a colpi di casseruole, con le proteste e le urla in piazza e con lanci di uova, una rivoluzione contro il potere politico-finanziario neoliberista che aveva condotto il paese nella grave crisi finanziaria.
Non se ne è parlato dalle nostre parti, se non molto superficialmente, a differenza delle rivolte in altre latitudini discorsive (la Sicilia meridionale è più a sud di Tripoli, eppure la remota Islanda, più vicina al polo nord che all'Italia è percepita come parte della "Moderna" Europa).
Il motivo è semplicemente il terrore, per lor signori, democratici o conservatori che siano, della riproducibilità e l'estensione di quelle lotte.
Che cosa accadrebbe se il resto dei cittadini europei seguisse l'esempio islandese?
Brevemente, la storia dei fatti:
Alla fine di 2008, gli effetti della crisi nell'economia islandese sono devastanti.
A ottobre Landsbanki, la banca principale del paese, è nazionalizzata.
Il governo britannico congela tutti i beni della sua filiale IceSave, con 300.000 clienti britannici e 910 milione euro investiti dagli enti locali e dalle organizzazioni pubbliche del Regno Unito.
Alla Landsbanki seguiranno le altre due banche principali, la Kaupthing e il Glitnir.
 I loro clienti principali sono in quei paesi e in Olanda, clienti ai quali i loro rispettivi stati devono rimborsare i depositi bancari, all'incirca 3.700 milioni di euro di soldi pubblici.
L'insieme dei debiti per le attività bancarie dell'Islanda è equivalente a varie volte il suo PIL.
Da un lato, la valuta sprofonda ed il mercato azionario sospende la relativa attività dopo un crollo del 76%.
Il paese è alla bancarotta.
Il governo chiede ufficialmente aiuto al Fondo monetario internazionale che approva un prestito di 2.100 milioni dollari, accompagnato da altri 2.500 milioni da parte di alcuni paesi nordici.
Le proteste dei cittadini davanti al Parlamento a Reykjavik aumentano.
Il 23 gennaio 2009 si convocano le elezioni anticipate e tre giorni dopo, i cacerolad@s sono di nuovo in piazza in migliaia e impongono le dimissioni del primo ministro, il conservatore Haarden e di tutto il suo governo in blocco.
È il primo governo vittima della crisi finanziaria mondiale.
Il 25 aprile ci sono le elezioni generali vinte da una coalizione socialdemocratica e dal movimento della sinistra-verde guidate dalla nuova prima ministra Jóhanna Sigurðardóttir.
Nel 2009 la situazione economica resta devastata con il crollo del PIL del 7%..
Sulla base di una legge ampiamente discussa nel Parlamento, viene stabilito il pagamento dei debiti in Gran Bretagna e in Olanda attraverso 3.500 milioni di euro che tutte le famiglie islandesi avrebbero dovuto pagare attraverso una tassazione del 5,5% per i prossimi 15 anni.
Gli islandesi tornano a manifestare nelle strade per rivendicare un referendum popolare per la promulgazione della legge.
Nel gennaio 2010 il presidente, Ólafur Ragnar Grímsson, rifiuta di ratificare la legge e indice la consultazione popolare: in marzo il referendum con il 93% di NO al pagamento del debito.
La rivoluzione islandese vince.
Il fondo monetario internazionale congela l'aiuto economico all'Islanda nella speranza di imporre in questo modo il pagamento dei debiti.
A questo punto il governo apre un'inchiesta per individuare e perseguire penalmente i responsabili della crisi.
Arrivano i primi mandati di cattura e gli arresti per banchieri e top-manager.
L'Interpool spicca un ordine internazionale di arresto contro l'ex presidente della Kaupthing, Sigurdur Einarsson.
Nel pieno della crisi, a novembre, si elegge un'assemblea costituente per preparare una nuova costituzione che, sulla base della lezione della crisi, sostituisce quella in vigore.
Si decreta il potere popolare.
Vengono eletti 25 cittadini, senza alcun collegamento politico, tra le 522 candidature popolari, per le quali era necessario soltanto la maggiore età e il supporto sottoscritto di 30 cittadini.
L'assemblea costituzionale avvierà i suoi lavori nel febbraio del 2011 e presenterà a breve un progetto costituzionale sulla base delle raccomandazioni deliberate dalle diverse assemblee che si stanno svolgendo in tutto il paese.
Tale progetto costituzionale dovrà poi essere approvato dall'attuale parlamento e da quello che sarà eletto alle prossime elezioni legislative.
Inoltre, l'altro strumento "rivoluzionario" sul quale si sta lavorando è l' "Icelandic Modern Media Initiative", un progetto finalizzato alla costruzione di una cornice legale per la protezione della libertà di informazione e dell'espressione.
L'obiettivo è fare del paese un rifugio sicuro per il giornalismo investigativo e la libertà di informazione, un "paradiso legale" per le fonti, i giornalisti e gli internet provider che divulgano informazioni giornalistiche: Un inferno per gli Stati Uniti ed un paradiso per Wikileaks.
Questa in breve la storia della rivoluzione islandese: dimissioni in blocco del governo, nazionalizzazione delle banche, referendum e consultazione popolare, arresto e persecuzione dei responsabili della crisi, riscrittura della costituzione, esaltazione della libertà di informazione e di espressione.
Ne hanno parlato i mass media europei?
Ne hanno parlato i vari talk-show televisivi, i giornali di destra o di sinistra?
Nel nostro paese, come in tanti altri paesi occidentali, si cerca di superare la crisi attraverso un processo di socializzazione delle perdite con i tagli sociali e la precarizzazione dilagante.
Quando si inizia a parlare della rivolta islandese si tende a decostruire la potenza costituente della rivolta , minimizzando e relativizzando la sua portata, per il timore del contagio: e dunque l'Islanda è una piccola isola di soltanto 300.000 abitanti, con un complesso economico ed amministrativo molto meno complesso di quello dei grandi paesi europei, ragione per la quale è più facile da organizzare in se cambiamenti così radicali.
Insomma, in questo caso e da questa prospettiva è difficile impiantare l'ordine discorsivo "orientalistico" del sottosviluppo con il quale vengono liquidate le cosiddette "rivoluzioni modernizzatrici" del maghreb.
Parliamo comunque della "civile Europa".
La stessa "civile Europa" alla quale tentano di aggrapparsi i tecnocrati islandesi più realisti del re: la soluzione ai mali dell'Islanda, la crisi islandese, è a loro dire il prodotto dell'isolazionismo economico e da mesi continuano a parlare e accellerare sull'adesione all'Unione Europea come antidoto contro la devastazione neoliberista.
Confondono ancora una volta la cura con la malattia.
E quindi vogliono stringere su questo tema, così come allo stesso modo l'Europa vuole riprendere sotto le sue ali protettive la ribelle Islanda, per strangolarla dolcemente e senza traumi attraverso i suoi diktat, i suoi vincoli e i suoi patti di stabilità.
Ma il popolo islandese ha già dimostrato di non lasciarsi facilmente abbindolare.
 
 

2011.07.06 – LA FORZA DEI REFERENDUM…DIRITTI GAY NEL LIECHTENSTEIN RAFFORZATI DOPO REFERENDUM


segnalato da Enzo Trentin dell'Accademia degli Uniti
 
di Thomas Benedikter
 
Di regola gli argomenti e i risultati di votazioni referendarie in Svizzera e nel Liechtenstein in Italia vengono medialmente percepiti solo quando utilizzabili in chiave contraria alla democrazia diretta.
Uno „strabismo politico“ che condanna gli svizzeri quando, dopo un lungo dibattito pubblico e un complesso percorso procedurale, vietano la costruzione di nuovi minareti, ma fa passare in sordina tante iniziative popolari tese a rafforzare i diritti di minoranze e di stranieri.
Dei loro immediati vicini, il Liechtenstein, mini-stato pure dotato di un avanzato sistema di democrazia diretta, non si parla neanche.
Quindi va bene far uno strappo.
Il 19 giugno scorso, comunque, in un referendum confermativo (cioè ogni legge approvata dal Parlamento può essere sottoposta a votazione popolare se lo richiedono 1000 dei 36.000 cittadini) i cittadini del Liechtenstein con una maggioranza del 70% si sono espressi a favore del rafforzamento dei diritti delle coppie omosessuali.
A differenza dell’Italia a partire dal 1 settembre 2011 le coppie gay in questo stato – membro dell’ONU – potranno far registrare il loro stato civile che sarà parificato in termini fiscali, di diritto previdenziale e ereditario.
Un’iniziativa popolare di nome „Vox populi“ aveva impugnata la relativa legge, approvata nel marzo 2011, paventando il pericolo di un’erosione della famiglia tradizionale.
I Liechtensteinesi, società piuttosto conservatrice, non hanno prestato ascolto alla „Vox populi“ e nel referendum confermativo hanno confermato la legge voluta dal Parlamento di Vaduz.
In generale l’episodio ricorda che i diritti di partecipazione diretta non vanno misurati con il metro dei risultati che producono che sempre riflettono le posizioni diffusi in una società in un determinato storico.
Possono piacere o meno, ma non è certamente colpa dello specchio se riflette chi lo guarda.
Ci sarà sempre un’élite che giudica „il popolo“ troppo poco maturo per poter decidere direttamente dei problemi che riguardano tutti.
È importante invece concepire la democrazia diretta come una procedura necessaria per far partecipare i cittadini alle decisioni.
Riconoscendo a tutti la capacità di giudizio su questioni generali iniziative popolari e referendum confermativi dovrebbero entrare nel armamentario normale di ogni democrazia moderna.
 

2011.07.05 – LIGURIA: IL DIRITTO D’INDIPENDENZA MAI CANCELLATO

tratto da :clicca qui
Resta illegittimo l'atto con cui il Congresso di Vienna decise l'annessione della Repubblica Ligure al Regno di Sardegna
 
IL DIRITTO D'INDIPENDENZA MAI CANCELLATO
Il ciclone napoleonico travolse l’Europa e non risparmiò nemmeno la plurisecolare Repubblica di Genova. Dopo l’abdicazione di Napoleone, il 18 aprile 1814 il generale inglese Lord William Bentinck, entrò con le sue truppe in Genova e ben presto conobbe quale fosse la volontà dei Genovesi: ritornare al loro antico governo.
Per questo il 26 aprile 1814 emanò, avendone i poteri, il famoso Proclama che restituiva a Genova e alla Liguria lo status di stato sovrano.
 
MINISTRO – Robert S. Castlereagh
Contestualmente fu nominato il Governo provvisorio la cui presidenza venne assegnata al marchese Gerolamo Serra. Nello stesso giorno Lord Bentinck inviò il Proclama al Ministro degli esteri britannico, Lord Robert Stewart Castlereagh. Nella lettera di accompagnamento scrisse: Tutti i Genovesi richiedono la restaurazione della loro antica Repubblica, e non v’ha cosa che maggiormente li spaventi quanto l’idea di esser uniti al Piemonte, paese contro al quale, in ogni tempo, hanno provata una straordinaria avversione. Ma i destini della Liguria sarebbero stati decisi dal Congresso di Vienna. Il Congresso fu preceduto da trattative che si tennero a Parigi dove ai primi di maggio giunse il marchese Agostino Pareto per trattare con Lord Castlereagh.
L’argomento principale che Pareto adottò per difendere la plurisecolare indipendenza della Liguria fu quello economico: [La Liguria] posta in un territorio stretto e sterile, non ha che un solo mezzo d’esistenza, il commercio d’economia; e nella concorrenza dei porti vicini, il commercio non potrebbe aver luogo che secondo un sistema e regolamenti finanziarii, il meno onerosi possibili, tali quali esistevano altre volte. L’antico Governo Genovese era per sua natura, il più economo e il meno costoso di tutti i Governi d'Europa; l’imposta vi era leggerissima, i diritti sopra il commercio pressoché insignificanti.
MARCHESE – Agostino Pareto
Ma l’appuntamento cruciale era a Vienna, raggiunta ai primi di settembre dal ministro plenipotenziario e inviato straordinario di Genova, marchese Antonio Brignole Sale. La difesa fu strenua e accorata. Da Genova il Governo Provvisorio istruiva il Ministro a reclamare l’indipendenza e l’integrità del Genovesato e a stare bene attento che in nessun atto ufficiale potesse comparire una benché minima espressione di accettazione della perdita dell’indipendenza. Il Congresso di Vienna riconobbe i poteri del Brignole Sale. Gerolamo Serra se ne rallegrò e affermò che riconosciuto così in legal forma il Governo vostro committente, non si tratta più di ricusare di riconoscerlo, bisogna adesso distruggerlo.
Solo un illegittimo atto d’imperio avrebbe ora potuto sopprimere la ristabilita Repubblica genovese. Purtroppo, così fu. E la violenta annessione al Regno di Sardegna comportò anche l’annullamento di tutti gli ingenti debiti che le Grandi Potenze (cioè quelle che decisero l’annessione) avevano contratto col potente Banco di San Giorgio. Il Presidente Serra, giudicando inutile ogni osservazione e qualunque lamento, pubblicò, il 26 dicembre 1814, una protesta che così iniziava: Informati che il Congresso di Vienna ha disposto della nostra patria riunendola agli Stati di S. M. il Re di Sardegna, risoluti dall'una parte a non ledere i diritti imprescrittibili, dall'altra a non usar mezzi inutili e funesti, Noi deponiamo un'autorità che la confidenza della Nazione e l’acquiescenza delle principali potenze avevano comprovata.
In conclusione il legittimo Governo della Liguria, che partecipava sovrano al Congresso di Vienna, fu risolutamente contrario all’annessione che, proprio per questo motivo, avvenne manu militari. L’annessione fu quindi illegittima e mai venne legittimata da un plebiscito popolare, che non fu fatto votare perché il popolo ligure avrebbe certamente votato no.
Da questo gravissimo episodio storico (immaginarsi cosa succederebbe oggi per una decisione simile, nda) segue che l’annessione della Liguria al Regno Sardo prima e all’Italia poi è illegittima: ecco perché il popolo ligure conserva il diritto internazionale di ritornare indipendente, come lo fu per oltre sette secoli.
Franco Bampi
Docente dell'Università
di Genova

2011.07.04 – VAL DI SUSA, UN POPOLO CONTRO UNO STATO INVASORE

tratto da: profilo facebook di “ultimo cavaliere” clicca qui
Come nelle previsioni, stiamo assistendo su tutti i grandi media alla demonizzazione della lotta attuata dalla popolazione della Val di Susa contro il progetto TAV, utilizzando come giustificazione gli scontri avvenuti in quelle zone fra frange di manifestanti e forze dello Stato, senza analizzare mai a fondo le ragioni di chi si oppone in modo civile al mega-progetto ferroviario.
Da parte nostra, mentre esprimiamo la nostra totale vicinanza ai cittadini valsusini che cercano di difendere l’integrità della propria valle, desideriamo appuntare l’attenzione di chi legge sui due punti che riteniamo essenziali: la preservazione delle caratteristiche naturali dell’ambiente montano e la libertà per un Popolo di decidere sul proprio destino.
Sotto l’aspetto ambientale, è ormai assodato che l’opera in oggetto, di dubbia utilità vista la crisi economica globale e quindi la contrazione dei trasporti, causa un impatto notevole su una valle di carattere alpino che già ha visto, a causa di altre infrastrutture e dell’aumento di urbanizzazione, mettere in pericolo i delicati equilibri ecologici locali. E’ altrettanto noto come gli scavi necessari alla sua realizzazione vadano a toccare montagne ricche di amianto e anche di uranio, con future gravi ricadute sulla sicurezza e la salute della popolazione.
Ma il problema che più ci preme sottolineare è la mancanza di rispetto democratico nei confronti di un Popolo che vede nascere sul proprio territorio una infrastruttura senza che nessuno si permetta di chiederne l’autorizzazione. Vorremmo ricordare a questo governo, spesso autodefinitosi “federalista”, che la Val di Susa è dei suoi abitanti, che prima di qualsiasi importante modifica al territorio occorre ottenere almeno il consenso, tramite un referendum, dei cittadini e non cercare di imporre le decisioni prese a tavolino, non sappiamo ancora quale, calandole dall’alto.
In questo modo non si fa che provocare la giusta reazione di una comunità, nota per essersi opposta nei secoli ai tentativi di intromissione nelle propria Valle.
Ma purtroppo per i Valsusini, non dimentichiamo che un fil rouge collega i 150 anni dello Stato italiano: la violenza. La violenza che si abbattè sugli abitanti del Sud al momento dell’invasione delle loro terre, che proseguì con le cannonate sui milanesi ordinate da Bava Beccaris, che culminò con i due Conflitti Mondiali, drammatico tentativo di forgiare una nazione unita dallo spargimento del sangue.
Il FRONTE INDIPENDENTISTA LOMBARDIA e’ al vostro fianco, abitanti della Val di Susa e, come sempre, contro l’azione repressiva nei confronti di un Popolo da parte di questo Stato, del quale non riconosciamo la legittimità per motivi storici e identitari. Ci permettiamo un solo consiglio: non innalzate mai più quelle bandiere tricolori che, pur in modo sporadico, vengono mostrate nelle immagini diffuse dai media, sono quelle dei vostri e nostri oppressori.
VIA DALL’ITALIA
LOMBARDIA INDIPENDENTE

2011.07.02 – 6 LUGLIO 2011…MUORE IL WEB ITALIANO!

di Alessandro Longo
tratto da: clicca qui
Dalla settimana prossima l'Autorità delle comunicazioni avrà il diritto arbitrario di oscurare siti senza un processo. Una norma che non esiste in nessun Paese libero. Fortemente voluta da Berlusconi e da Mediaset
(27 giugno 2011)
Il 6 luglio arriverà una delibera Agcom, sulla tutela del copyright online, e sarà una forma di censura del web, in nome degli interessi di Mediaset e delle lobby dell'audiovisivo, con il beneplacito del centro destra. E' questo l'allarme lanciato da un gruppo di associazioni (Adiconsum, Agorà Digitale, Altroconsumo, Assonet-Confesercenti, Assoprovider-Confcommercio, Studio Legale Sarzana). Avevano già fatto una campagna contro i rischi di quella delibera, ma speravano ancora di cambiare le cose. Speranze fallite venerdì, dopo aver incontrato Corrado Calabrò, presidente Agcom (Autorità garante delle comunicazioni). «Abbiamo appreso che non c'è spazio per la mediazione e che Agcom intende approvare la delibera-censura in fretta e furia», dice Luca Nicotra, segretario di Agorà Digitale, associazione di area Radicale. Nel testo definitivo dovrebbe insomma restare il principio di fondo, già presente nell'attuale bozza della delibera: Agcom avrà il potere di oscurare siti web accusati di facilitare la pirateria. Senza passare da un regolare processo, ma solo a fronte di una segnalazione da parte dei detentori di copyright.
Ma perché gridare alla censura? Come motivate quest'allarme?
«La questione alla base è che il diritto d'autore sul web ha tantissimi ambiti ed è possibile che l'industria del copyright metta in piedi interi uffici dedicati a segnalare presunte violazioni all'Autorità, come avvenuto in altri Paesi. L'Autorità non avrà i mezzi per gestire le decine di migliaia di segnalazioni che arriveranno. Sarà il Far west, ci saranno decisioni sommarie, ai danni di siti anche innocenti. Siamo il primo Paese al mondo a dare ad Agcom questo potere. Calabrò stesso ci ha detto che sa di muoversi in un territorio di frontiera… Però ci si potrà difendere opponendosi all'oscuramento del sito. 
«Secondo la delibera, potrà farlo il gestore del sito web, ma non l'utente che carica il contenuto in questione. Sarà un salto nel buio. Il nostro colloquio con Calabrò ci ha confermato che l'Autorità non è preparata a questo».
Perché non lo è?
«Per esempio: abbiamo detto a Calabrò che i provider Internet avranno grosse spese per rimuovere i contenuti dal web e lui ci ha risposto che non lo sapeva, che non gliel'avevano detto. Non ci ha mai risposto con numeri e criteri oggettivi alle nostre critiche».
Ma la censura avrà anche un colore politico?
«Sì e questo rende la cosa ancora più grave. Siamo in un Paese in cui la denuncia per diffamazione è facile ed efficace, per mettere a tacere media. In un sistema politicizzato come il nostro, questo nuovo potere che Agcom potrebbe aggravare il fenomeno. Dalla denuncia per diffamazione all'oscuramento d'Autorità di un sito il passo è breve».
Perché vi è sembrato che Calabrò avesse molta fretta di completare la delibera?
«In precedenza Agcom ci aveva promesso, per tenerci buoni, tanti incontri di mediazione e che il testo definitivo non sarebbe stato subito esecutivo ma che sarebbe stato messo in consultazione. Adesso invece ha deciso che già prima dell'estate, probabilmente il 6 luglio, arriverà a una delibera fatta e compiuta».
Come ti spieghi questa fretta?
«Siamo in un contesto di grossa instabilità politica. In questo momento il clima è ancora favorevole agli interessi di Mediaset, ma Agcom teme che non sarà presto così e quindi vuole chiudere in fretta la vicenda. E' un altro effetto del conflitto di interesse del presidente del Consiglio».
L'interesse delle lobby del copyright è evidente. Ma di Mediaset? E' solo quello di tutelare il proprio diritto d'autore sul web (ha denunciato in passato Google per video su YouTube, del resto)?
«Non solo. Lo scopo è forgiare il web in modo simile al mercato che loro conoscono e depotenziandone la minaccia al loro business. Hanno fatto così anche con la delibera sulle web tv».
Che farete se la delibera passa così com'è?
«Faremo ricorso al Tar del Lazio. Se necessario a Bruxelles, ma crediamo che il Tar bloccherà la delibera, che secondo molti esperti è illegittima, poiché viola diritti fondamentali del cittadino. Ma visto che ci sono forti interessi del Presidente del Consiglio a far passare quelle norme, il governo potrebbe intervenire direttamente con un decreto, in caso di blocco al Tar».

2011.07.01 – LE CAREZZE DEL POTERE

 
 
“La differenza tra Democrazia e Dittatura è che in Democrazia prima si vota e poi si prendono ordini; in una Dittatura non c’è bisogno di sprecare il tempo andando a votare” Charles Bukowski, “Compagno di sbronze”.
 
 
Sembra una beffa del destino che il capo della polizia italiana si chiami Manganelli. Non sarà stato messo lì apposta? Nel nome una garanzia. C’è qualcosa di intrinsecamente osceno nelle manganellate delle forze dell’ordine distribuite ad inermi manifestanti, tanto è vero che i poliziotti inglesi – i Bobby – per lungo tempo furono sprovvisti di sfollagente. E lo sono ancora di più le manganellate date ai terremotati abruzzesi. Ma come? Nel 1976, dopo il terremoto del Friuli, ai miei conterranei furono elargiti aiuti economici, mentre a quelli abruzzesi manganellate. Cos’è cambiato, in Italia, in questi ultimi trentacinque anni?
Proviamo per un attimo, come esercizio psicologico, a sforzarci di vedere le cose, attraverso la visiera dell’elmetto, dal punto di vista del celerino. Noi rimaniamo singoli individui anche quando ci mescoliamo ad altre centinaia di manifestanti e ci stupiamo di tanta cattiveria nei nostri confronti, mentre un poliziotto addestrato a picchiare la gente ci vede come una massa indistinta. Non conosce i nostri nomi, non sa che lavoro facciamo (se ne facciamo uno), non sa che partito abbiamo votato alle ultime elezioni, se siamo donatori di sangue o se tifiamo per l’Inter, se abbiamo una madre anziana da accudire o se abbiamo figli da mandare all’università. Soprattutto non si rende conto che siamo dei borghesi come lui, a cui la scuola e l’intera società ha fatto il lavaggio del cervello, facendoci credere negli ideali della democrazia e nel rispetto delle istituzioni. La cosa è semmai ancora più paradossale: nonostante sia un servitore delle istituzioni, il poliziotto manganellatore non si rende conto che con ogni manganellata distribuita mina alle radici la fiducia della persona colpita in quella democrazia e quelle istituzioni che, manganellando, è chiamato a proteggere e tutelare. La fiducia è una cosa seria.
Ogni botta sulla testa o nei gomiti o sulle mani dei manifestanti è un colpo di piccone alla diga di credibilità dell’intero sistema basato sulla fiducia del cittadino votante, che delega i suoi rappresentanti alla gestione del bene comune, il bene della Polis.
Evidentemente, questo metodo funziona e gli psicologi della polizia sanno che si può strapazzare il cittadino quanto si vuole, ché tanto le masse digeriscono in fretta le offese e dimenticano, tornando a votare, quando chiamate, come un gregge di pecorelle al suono del flauto del Dio Pan. Sanno, gli psicopoliziotti, che si può mandare all’ospedale un gran numero d’individui, ché tanto la società continuerà ciecamente ad avere fiducia nelle istituzioni e a delegare burattini politici che si metteranno a saltellare in televisione con quei salti tipici delle marionette, a scatti, qualche volta sbraitando nei “talk show” all’uopo predisposti, qualche volta rilasciando pacate dichiarazioni nei salotti di Bruno Fazio o Fabio Vespa, ma sempre suonando l’arpa dell’ipnosi suadente e perbenista. Se si pensa che in passato c’è scappato il morto, più di una volta, e la gente continua a credere nella democrazia; se si pensa che decine di contadini e operai sono stati falciati dalle pallottole delle forze dell’ordine, e i campi hanno continuato a essere lavorati e le fabbriche hanno continuato a produrre, ci si deve arrendere all’evidenza: la violenza paga. E la violenza della polizia paga ancora di più.
I poliziotti sono pagati per picchiarci, per imporre la volontà dei padroni occulti del mondo, i veri dominatori che ci affumicano la vista con una schiera di superpagati saltimbanchi della politica. Ma i poliziotti sono anche pagati per correre dietro a ladri e assassini e dunque svolgono anche una funzione sociale. Ed è quella che ci viene rinfacciata ogni giorno attraverso i telegiornali. La caccia a mafiosi, criminali comuni e terroristi.
Ora, io mi chiedo: poiché è assodato che mafia e terrorismo sono spesso, se non quasi sempre, un’emanazione del sistema occulto di potere, non sarà che anche la criminalità abbia la stessa origine? Su mafia e terrorismo ho le idee abbastanza chiare. Troppi indizi mi fanno capire che lo Stato è la matrice dell’una e dell’altro, mentre sulla criminalità posso affermare che c’è una base fisiologica da parte dei banditi comuni, ma che forse i gangsters sono anch’essi funzionali al sistema, se non altro perché offrono un pretesto all’esistenza delle forze dell’ordine. Potrebbe darsi che le sperequazioni e le ingiustizie sociali, unitamente a certi contesti sociali disagiati e a una filosofia popolare diffusa secondo cui la felicità è possibile solo attraverso la ricchezza, portino un certo numero di persone a intraprendere la strada del crimine. Ma le forze dell’ordine ci sguazzano. Siccome il fenomeno della criminalità è autorigenerante, sarebbe saggio cercare le cause di tale genesi e neutralizzarle, ma i padroni del vapore, come li si chiamava un tempo, si guardano bene dal farlo, preferendo lasciare che la società vada in malora, che i cittadini soffrano e intervenire a posteriori, anziché preventivamente. Poi magari c’è sempre lo psicologo di turno che parla di prevenzione del crimine, ma sono discorsi che lasciano il tempo che trovano, dal momento che se si prevenisse veramente il crimine, migliaia di poliziotti dovrebbero essere licenziati.
Analogamente, se si curassero veramente le malattie, migliaia di dottori rimarrebbero disoccupati. Così, se Satana non esistesse, la Chiesa Cattolica e le sue figliastre protestanti dovrebbero chiudere Barabba e burattini. E addio introiti!
Come si dice a Roma? “Urbis et orbi, mandate tanti sordi!”. Noi gente per bene possiamo disquisire quanto si vuole sul piano metafisico, dicendo che senza il Male non sapremmo cos’è il Bene e senza il Diavolo non potremmo immaginare l’esistenza di Dio, ma questi qua ci campano!
La Chiesa è diventata la multinazionale più ricca del mondo, in assoluto, e hanno la faccia tosta di chiederci il cinque per mille! Lo Stato, con la Triade mafia, terrorismo e criminalità, si fa i suoi conticini, vede che gli conviene e per guadagnarsi lo stipendio mette in opera i piani degli Illuminati. I quali saranno anche pazzi fanatici, ma non sono mica scemi: hanno inventato il sistema delle tasse, oggi chiamate entrate, e per pagare i suoi scagnozzi usa i nostri soldi così che di noi, tapini, si può dire, alla meridionale: “Contenti e mazziati!”. Oppure, “Cornuti e mazziati!”, ché il senso è lo stesso.
Chi paga lo stipendio dei manganellatori della Val Susa? Noi, che veniamo predati del frutto del nostro lavoro, vilipesi e svuotati di dignità, dovendo subire decisioni calate dall’alto, da molto in alto. Chi paga le scie chimiche? Sempre noi, che veniamo trattati come scarafaggi da irrorare, con la differenza che le manganellate le sentiamo eccome, ma le nubi tossiche disperse nell’atmosfera non le percepiamo con altrettanta evidenza.
La conclusione logica di questo ragionamento, che vorrebbe essere una specie di legittima difesa o di rigurgito d’orgoglio, sarebbe che non si dovrebbero pagare le tasse, per togliere l’ossigeno che mantiene in piedi i manganellatori della Val Susa, unitamente ai piloti che rilasciano sostanze tossiche nell’aria. Forse anche le multinazionali, del farmaco, del cibo o degli altri bisogni indotti, avrebbero qualche conseguenza economica negativa dalla nostra ponderata astensione a finanziarle, ma a questo punto, posti di fronte alla gamma di opzioni a nostra disposizione, ci rendiamo conto che siamo belli e fregati. Se non paghiamo le tasse veniamo prima demonizzati e poi incarcerati e se boicottiamo cibi e farmaci veniamo prima ridicolizzati dalle altre pecorelle e poi….facciamo la fame. Dove ce lo procuriamo il cibo, noi cittadini ultradipendenti? Direttamente dal contadino? Perché, esistono ancora contadini, fuori dai libri di scuola delle elementari?
Siamo in un “cul de sac” e i margini di manovra paiono ristretti. Non ci resta che piangere, direbbero Benigni e Troisi, ma almeno facciamolo con dignità. E nel frattempo, piangendo, mettiamo in chiaro alcune cose. Se mafia e terrorismo sono emanazioni dello Stato, funzionali alla sua esistenza, non potrebbe darsi che anche istituzioni insospettabili abbiano parte in causa? Per esempio, assodato che ricchissime famiglie d’origine ebraica manovrano i fili dell’alta finanza, creano disoccupazione e crisi economiche, provocano colpi di stato e mettono i loro lacché nei posti di comando, a piacere, e siccome ad alti livelli gli estremi si toccano, facendo incontrare nascostamente quelli che sulla scena del Matrix-teatrino sono acerrimi nemici, non sarà che anche la Chiesa Cattolica, riconosciuta potenza mondiale senza territorio, faccia parte dell’élite mondialista che spinge nella direzione del nuovo ordine mondiale?
Mi pongo questa domanda perché a parole la Chiesa si oppone alla distruzione della vita e della natura, ma in pratica non fa nulla per fermare la devastazione di entrambe le cose. Riconoscerete l’albero dai suoi frutti e il frutto della Chiesa Cattolica è un non frutto. Cioè, in pratica, è come se non esistesse. Una mente fredda e razionale è obbligata a constatare che è la Chiesa stessa a rendere atei, perché se Dio esistesse veramente questo mondo non andrebbe a catafascio, ovvero non sarebbe lasciato campo libero a chi sta distruggendo la Val di Susa e tutto il restante pianeta.
Nel caso dell’alta velocità, il clero non ha neanche preso posizione a favore delle popolazioni locali. Non che io sappia. Forse l’avrà fatto qualche prete di campagna, che a sua volta, poverino, diventa funzionale al sistema. E’ come con i preti animalisti: diventano funzionali, lasciando credere che l’istituzione di cui fanno parte sia animata da buone intenzioni, mentre l’unica cosa coerente e sensata che potrebbero fare è di andarsene. Lasciate Babilonia la Grande, finché siete in tempo!
Il manganello è la forma gentile del potere. All’epoca di Bava Beccaris usavano direttamente le palle di moschetto e i morti non si contavano. A Genova, tutti noi abbiamo visto all’opera i manganellofori, portatori di manganello. Abbiamo visto il sangue scorrere, ma a quanto sembra, come società nel suo complesso, non ne abbiamo tratto grandi insegnamenti. E’ bastato che le sirene dei telegiornali e i giornalisti prezzolati spargessero le loro menzogne per tranquillizzare il popolo bue. Nessuno impara mai niente dalla violenza dello Stato, ma incamera il concetto che con le autorità non si può discutere. Messaggio forte e chiaro!
Un episodio di cui sono stato testimone risale al 2004. Ne parlo perché non è salito agli onori della cronaca, benché abbia portato all’ospedale numerosi manifestanti. Come animalisti siamo figli di un dio minore e anche quando le prendiamo dalla polizia non viene a saperlo nessuno. A San Polo d’Enza (RE) all’epoca esisteva il più grande allevamento italiano di animali per la vivisezione. Di manifestazioni pacifiche se n’erano tenute a bizzeffe. Gli organizzatori delle proteste erano giovani anarchici toscani e dico questo per inquadrare la situazione, permettendomi pure di evidenziare il dato di fatto che, quando ci sono di mezzo gli anarchici, va sempre a finirla male! Scartata l’ipotesi che gli anarchici siano masochisti a cui piace essere picchiati dalla polizia, se no non si sentono abbastanza anarchici, mi chiedo se per caso quel genere di ambiente iperpoliticizzato, che si richiama a stereotipi ottocenteschi, non sia facile preda di infiltrazioni da parte della polizia.
Ma diamo pure per scontato che si tratti di fossili politici sinceri, genuini e autentici, chiusi in un’isola felice come i dinosauri del mondo perduto di Conan Doyle, vorrei dire loro: le vie di mezzo non funzionano. A star seduti su due sedie ci si ritrova con il sedere per terra. Tu, anarcollerico, vuoi fare le cose per bene? Organizzati militarmente, altrimenti è solo tempo perso. Ragazzate.
Se tu, giovane anarchico vestito di nero, con il fazzoletto sulla faccia, vai a insultare i carabinieri – 10, 100, 1000 Nassirya – non puoi pretendere che non scatti una risposta uguale e contraria. E’ fisica, diamine! Sei sicuro che gli altri manifestanti, quelli che tu disprezzi chiamandoli piccoli borghesi e che non vengono alle tue riunioni, siano pronti per la guerriglia urbana? Ti senti autorizzato a coinvolgerli in un massacro di botte e fratture ossee? Non è che potresti, magari, se proprio ti prude di menar la mani, andare allo stadio o fare quei demenziali giochini di guerra con proiettili di vernice?
Perché è così che andò, il 20 novembre 2004, a San Polo d’Enza: gente inerme maciullata e inseguita fin nel pronto soccorso degli ospedali della zona. Poi, alla fine, dopo qualche anno, l’allevamento fu chiuso, ma in quell’occasione il Potere si mostrò senza maschera, con la smorfia beffarda del suo teschio ghignante, mentre normalmente, alla gente, si mostra con il soave sorriso di un Garattini, un Veronesi o una serafica Levi Montalcini.
Avevamo per caso bisogno di conferme circa la violenza delle forze dell’ordine? Non ci bastano tutti gli esempi che abbiamo raccolto fin qui? Una mole enorme!
Insomma, il gioco al massacro non mi piace, come concetto filosofico prima ancora che letterale e siccome noi siamo obiettivamente meglio dotati cerebralmente dei poliziotti, è nostro compito cercare la vittoria senza andare a farci ammazzare di botte. “Qui si parrà la tua nobilitate”, diceva Dante nel secondo canto dell’Inferno e un sistema per sconfiggere l’infernale Sistema in cui viviamo ci deve pur essere, da qualche parte.
Prima di arrivare alla guerra civile, dove gli ormoni e gli entusiasmi guerreschi dei ragazzi dei centri sociali verranno utili, è meglio scandagliare tutte le possibilità. Sì, lo so, i ragazzi – è fisiologico – hanno sempre fretta. Tutto e subito è il loro motto. Ma non siamo tutti ragazzi carichi di testosterone, per fortuna e, a un certo punto, con una leggera pacca sulla spalla, bisognerà anche dirvi: “Ragazzo spostati e lasciami lavorare!”.
Che poi, pensa, anche se ci organizzassimo militarmente, come avveniva settanta anni fa sulle montagne piemontesi, quante probabilità avremmo non dico di vincere, ma solo di sfangarla e di portare a casa la pellaccia? Davvero c’è qualcuno che pensa di poter combattere le forze di quest’ordine, che sono solo i prodromi edulcorati del prossimo governo mondiale? Ma li leggete i siti di controinformazione su internet? Avete idea delle armi che la polizia di tutto il mondo ha a disposizione? Una guerra civile offrirebbe il pretesto all’élite mondialista per ammazzare qualche milionata di civili, che è quello a cui aspirano. La riduzione della popolazione.
Dunque, cerchiamo di farci venire un’idea per ostacolare i piani dei padroni del mondo. Per ora i valsusini si stanno comportando bene. Danno un esempio a tutti e sono semplicemente da ammirare.  E’ in loro che, a distanza, anch’io ripongo la speranza di poter fermare la schiacciasassi da guerra dell’élite mondialista.

 

2011.06.30 – IL RISCHIO GUERRA CIVILE PUO’ ESSERE DIETRO L’ANGOLO

tratto da: clicca qui
 
 
 
di Canio Trione

 

 
Centocinquantanni  fa il Principe di Salina riferendosi ai cambiamenti connessi all’incipiente Unità d’Italia preconizzò chiarissimo: “ tutto questo non dovrebbe poter durare; però durerà, sempre; il sempre umano, beninteso, un secolo, due secoli…; e dopo sarà diverso ma peggiore. Noi  fummo i gattopardi, i leoni: quelli che ci sostituiranno saranno gli sciacalletti, le iene”. (il Gattopardo, Feltrinelli ‘94 p.168)
Questa frase -che è la vera sintesi e sostanza dell’opera e del pensiero di Tomasi di Lampedusa scritta nell’ormai lontano 1957- si rivela oggi a noi posteri, in tutta la sua terribile realtà e concretezza; in quella frase è materializzata una fase di un secolo e mezzo che ha premiato appunto le iene e gli sciacalli a spese dei lavoratori e dei meritevoli.
Oggi  nell’anniversario di quella Unità relativamente a quella profetica analisi sociale e politica dobbiamo dire che l’attuale situazione creata dal governo Berlusconi-Bossi- Scilipoti & C.  porta inevitabilmente alla fine sociale ed economica del Sud (e probabilmente anche del resto d’Italia); fine decretata da una macchina amministrativa e politica incapace di rispondere alle necessità.
Il nostro premier ha recentemente riaffermato la stabilità del governo dicendo: “a questa maggioranza non v’è alternativa”. Ed  è vero, sul piano parlamentare non esiste alternativa e non ve ne sarà.
Il livello comatoso in cui versa la classe politica non permette di ipotizzare una alternativa governativa da nessuna parte.
Però essere al governo per mancanza di alternative non è edificante e sarebbe meglio non dirlo neanche se fosse vero.
Se non si risolvono i problemi la gente cerca e trova le alternative a modo proprio.
Per  le strade di Napoli l’alternativa che si sta profilando e quella della morte per malattia. Quindi  la guerra civile è il male minore.
Anche  alla disoccupazione non v’è alternativa se non arrampicarsi sui tetti o assaltare qualche palazzo pubblico.  Cosa dire dei No Tav? e se il governo avesse insistito con il nucleare cosa si sarebbe prodotto?
Confondere la governabilità con la violenza -ancorchè di Stato- è un errore che porta dritto alla guerra civile. Ma a chi serve continuare ad affondare il Sud? Come non si riesce a vedere che un ulteriore imbarbarimento della situazione meridionale porta al collasso dell’intero sistema? A chi giova continuare a lasciare l’immondizia per strada, perseguitare i contribuenti, precarizzare ulteriormente i lavoratori, lasciare nel disservizio i cittadini, azzerare l’economia…?
 

 
 
  1.  Francesco Schiraldi scrive:

  1.  
    Cercare una logica nelle cose italiane è davvero arduo, sembra che gli italiani siano rimasti un popolo di individualisti che pur di difendere il proprio orticello prestano pochissima attenzione alla marea montante che rischia di travolgere tutto e tutti…in un sistema strutturato in consorterie che si sostengono una con l’altra è il bene comune che va in malora, si preferisce galleggiare politicamente perché incapaci di rinunciare ai propri assurdi privilegi, alle proprie rendite di posizione, alla cura unilaterale dei propri interessi qualsiasi essi siano. L’Europa ci biasima e condanna quotidianamente, ma soprattutto (cosa ancora più grave) chi regge le fila della finanza e dell’economia mondiale ci vede sempre più inaffidabili e arroccati attorno ai problemi e alla sopravvivenza di pochi potenti, preda dell’egoismo provincialotto e ridicolo di quattro esaltati presunti celtici, non più in grado di vedere oltre le nostre misere cosucce di Paese periferico…servirebbe uno tsunami ma non marino quanto piuttosto sociale e culturale per far sì che con una classe dirigente finalmente degna di una nazione europea il Sud sia il primo a beneficiarne, una volta salvato il Paese dalla compagine di affossatori verdi e di altri colori oscuri che lo mantengono sotto scacco ormai da troppo tempo
     

    •  Ladisa Michele scrive:
      RISPONDE CANIO TRIONE
      caro Francesco
      il fatto è che lo tsunami sociale e culturale sarà portato da questo scenario da guerra civile che si sta formando. non può non arrivare.
      anche le rendite e i privilegi stanno barcollando mettendo in forse le fondamenta del sistema (basti dire che si fa una manovra da 45 mld in un momento come questo! vuol dire che siamo al “si salvi chi può”).
      quindi questi due temi pur correttissimi e che condivido, sono stati (tra virgolette) superati dalla gravità delle emergenze; e queste emergenze non possono essere risolte con i vecchi sistemi ma servono i frutti e quindi i metodi della rivoluzione culturale che tu auspichi.
      la mia preoccupazione è che i periodi rivoluzionari portano all’ulteriore impoverimento dei deboli e al consolidamento dei potenti cioè ad una situazione di autoritarismo maggiore dell’attuale; specie quando non esistono ricette per rilanciare l’economia (quella libera). per dirla più esplicitamente e più sinteticamente l’attuale situazione negativa è l’inizio della fase negativa futura che lo sarà molto di più di oggi (sul piano occupazionale, su quello finanziario, sociale,..). e non basta togliere i privilegi per riavviare il circolo virtuoso fatto di fiducia e di progresso.
       

  2.  Francesco Schiraldi scrive:
    Auguriamoci che quella buona sorte che ci ha tenuto in piedi fino ad ora faccia un altro colpo di scena e ci consenta di tirar fuori a salvare il salvabile quella classe di cittadini di buon senso e di buone capacità finora tenuti in disparte dal peggio imperante…secondo quello che dici, Canio, sarebbe pure ora che accadesse…è il caso di dire “se non ora quando?”

2011.06.27-UNA VERGOGNA TUTTA ITALIANA.

Al Sig.Sindaco del Comune, 30013 Cavallino Treporti (Ve)

Al Sig.Presidente del Governo Veneto – sede

Al Sig.Presidente del Parlamento Veneto – sede

Egr. Sig.Sindaco.

Abbiamo appreso dalla Sig.ra TOSO Laura, cittadina del Popolo Veneto, della situazione in cui si trova suo malgrado ovvero quella di vedersi a breve costretta a dover provvedere all’assistenza della sorella invalida al 100%, sebbene priva delle capacità reddituali e/o economiche sufficienti e necessarie per farvi fronte.

Codesto Comune, infatti, ed è ciò che maggiormente sconcerta, tramite i servizi sociali, avrebbe fatto sapere alla Sig.ra TOSO Laura di non poter più corrispondere la retta per il mantenimento della sorella invalida presso un’apposita struttura riabilitativa (il Fate Bene Fratelli di Venezia) a far data dal prossimo 24 luglio 2011.

Personale dei servizi sociali di codesto Comune avrebbe inoltre invitato la Sig.ra TOSO Laura a provvedere da sé all’assistenza della sorella invalida sotto la minaccia, in difetto, di una denuncia all’autorità giudiziaria italiana per abbandono di persona incapace.

Ora, pur consapevoli dei vergognosi e inauditi tagli ai trasferimenti operati dallo stato straniero italiano nei confronti degli enti locali territoriali che si trovano sul Territorio della Repubblica Veneta e dei conseguenti problemi di bilancio dei Comuni, non possiamo accettare che cittadini del Popolo Veneto in così gravi ed evidenti difficoltà vengano invitati a provvedere da sé e addirittura minacciati di denunce, quando, anche per la stessa legge italiana, è lo stesso Ente che dovrebbe sopperire e venire incontro alle difficoltà dei cittadini.

E’ auspicabile pertanto che la situazione in cui versa la Sig.ra TOSO Laura e la di lei sorella invalida, possa essere rivista e risolta da parte di codesto Comune soluzione per la quale ci si aspetta un cortese sollecito riscontro.

Come da disposizioni e prassi, si informano le Autorità di Governo in indirizzo che la Polizia Nazionale Veneta ha iscritto a ruolo il caso per i dovuti accertamenti e l’eventuale deferimento dei responsabili al giudizio di una Corte di Giustizia del Popolo Veneto.

È da ribadire inoltre che non appena sarà ripristinata la Sovranità del Popolo Veneto sulla propria Nazione, i problemi di bilancio dei Comuni della Repubblica Veneta vedranno la parola fine.

Venetia, 27 giugno 2011

WSM

Il Presidente del MLNV Sergio Bortotto

1961-2011. RICORDARE PER NON DIMENTICARE ED EVA KLOTZ RISCHIA LA DENUNCIA PER VILIPENDIO

Lo stato straniero italiano non vuole che si ricordino i gravi episodi di aggressione e occupazione della "notte dei fuochi" perpetrati contro il Popolo Tirolese.
Oggi questo stato canaglia e aggressore minaccia ancora una volta gli aggrediti come se le sue responsabilità non esistessero.
All'epoca, fu fatto un processo con magistrati italiani giudicanti forze dell'ordine italiane per giudicare gli atti di aggressione contro il Popolo Tirolese… un processo che non poteva finire se non nel modo che è stato…nessun responsabile, nessuna condanna.
Fuori l'italia dalla Nazione Tirolese, W il Popolo Tirolese.
 
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