2011.08.22 – THE ECONOMIST” DESCRIVE IL FALLIMENTO DELL’ITALIA UNITA

a Napoli prima grande monarchia e poi cricca politica
 
Angelo Forgione
 
L’importante testata londinese “The Economist” ha pubblicato recentemente, sia su carta che on-line, un reportage firmato da John Prideaux e titolato “Oh for a new Risorgimento”, sulla situazione politico-economica d’Italia, mettendo in evidenza molti problemi della società italiana nell’anno delle celebrazioni del 150° anniversario di unità e certificando dal punto di vista estero il fallimento della nostra Nazione.
Si analizza l’anomalia di un paese in cui il Primo Ministro governa in coalizione con i secessionisti della Lega Nord “che accusano Garibaldi di non aver unito l’Italia ma di aver diviso l’Africa”.
Anche la celebrazione a Sud può apparire desolante perchè – si legge – “nel 18° secolo Napoli era la terza città più importante in Europa dopo Londra e Parigi.
Prima di essere accorpata all’Italia unita, era la città Capitale di una grande monarchia (gli inglesi lo sanno meglio degli italiani, e del resto “The Economist” nasce nel 1843, in piena crescita delle Due Sicilie) mentre ora è governata da una cricca di politici inetti.
In questi giorni la città è famosa per i suoi cumuli maleodoranti di rifiuti non raccolti, come allora lo era per la baia e il vulcano che prima e dopo meravigliarono Goethe e i visitatori del grand-tour”.
Si fa poi riferimento al fenomeno editoriale italiano, il bestseller “Terroni” di Pino Aprile che fa luce sulle ombre delle truppe del nord che presumibilmente “liberarono dalla dittatura” il Sud nel 1860, dove per dittatura si intende la stessa monarchia definita “grande” in precedenza.
Il reportage sottolinea che, a differenza di altri paesi che rivedono la loro storia senza però mettere in discussione l’unità, in Italia è diverso e si avverte che le regioni che compongono il paese sono troppo diverse per essere fuse in una singola nazione e che, di conseguenza, l’Italia come Stato ha radici poco profonde.
Secondo questa linea di pensiero, la mancanza del consenso al progetto nazionale avrebbe portato alla debolezza delle istituzioni e del governo.
L’analisi del divario nord-sud sfocia nella constatazione che il meridione è di fatto la più grande e popolosa area sottosviluppata nella “euro-zone”.
Prideaux sottolinea che “il rapporto intende sostenere che le cause dell’attuale malessere dell’Italia e il divario nord-sud risalgono a un’epoca più recente e non a 150 anni fa”, così come del resto ampiamente evidenziato da recenti studi del CNR (Malanima e Daniele), della BANCA D’ITALIA (Fenoaltea e Ciccarelli), dallo SVIMEZ e dell’ISTAT, oltre che dal Financial Times ultimamente.
”Tra il 2000 e il 2010 la crescita media dell’Italia, misurata in Pil a prezzi costanti è stata pari ad appena lo 0,25% su base annua.
Di tutti i Paesi del mondo, solo Haiti e Zimbabwe hanno fatto peggio”.
La chiusura del dossier è una condanna: “L’Italia è diventata un luogo che è a disagio nel nuovo mondo, timoroso della globalizzazione e dell’immigrazione.
Ha adottato una serie di politiche che discriminano fortemente i giovani a favore degli anziani.
A tutto ciò si aggiunge un’avversione per la meritocrazia che ha finito col far emigrare un gran numero di giovani talenti italiani all’estero.
Inoltre, l’Italia non è riuscita a rinnovare le sue istituzioni ed è per questo che soffre di continui conflitti di interesse debilitanti nella magistratura, la politica, i media e business.
Questi sono problemi che riguardano la nazione nel suo complesso, non una provincia o l’altra.
A tutto ciò non ha giovato l’irrompere di Berlusconi al Governo.
È giunto il momento per l’Italia di smettere di incolpare i morti per le sue difficoltà, di svegliarsi e prendersi un sorso di quel delizioso caffè che sa fare”.
Insomma, anche per il “The Economist” l’Italia è da rifare… per un nuovo Risorgimento. Non c’è dubbio, e sicuramente non potrebbe essere peggiore di quello precedente che ad una grande monarchia del sud ha sostituito una cricca di politici inetti.
Di luci ormai l’Italia ne ha ben poche e c’è poco da salvare, peggio di così c’è solo da scavare il fondo.
E lo diciamo senza alcuna esterofilia, anche perchè proprio da Londra è partito tutto questo sfascio.
 
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