
2013.09.24 – “SONO VENETO”, BORSOI RIFIUTA IL PROCESSO … E LA GIUSTIZIA ITALIANA NON SA CHE FARE E RINVIA IL PROCESSO DI BEN 8 MESI!

Oggetto: COMUNICATO
Il referendum per l'indipedenza è un'altra di queste menzogne.
Napoleone, amichevolmente conosciuto come "l'infame" dai Veneti, per i crimini di guerra perpetrati durante l'occupazione della nostra Patria, a quanto pare ha degli estimatori eccellenti: gli italiani.
Il suo odio verso Venezia è leggendario, e a quanto pare ha contagiato gli occupanti attuali, che stanno via via rispolverando tutte le nefandezze del piccolo generale francese.
Dopo la vergognosa "riorganizzazione" del museo Correr in chiave "infame", ecco torna in auge forse uno dei peggiori atti di terrorismo mai compiuti: la distruzione sistematica dei simboli popolari, del Simbolo per eccellenza dei Veneti e di Venezia, il Sacro Leone di San Marco.
È notizia di questi giorni, la rimozione di un mosaico raffigurante il Leone in moéca della metà del '900, sovrastante un esercizio commerciale delle Mercerie dell'Orologio, probabilmente per fare spazio ad un'inutile, quanto profana insegna luminosa; un vergognoso atto di puro spregio, di cui i responsabili dovranno sicuramente rispondere a tempo debito. I simboli del Popolo Veneto, tra cui spicca il Leone di San Marco, sono infatti patrimonio di tutti i cittadini, e la loro rimozione non è in alcun modo accettabile.
L'azione non è stata nemmeno mitigata dal tentativo di conservare l'opera spostandola, il mosaico infatti è stato vergognosamente rimosso con trapano e scalpello.
Ulteriori indagini per definire le responsabilità dell'atto sono in corso.
Tratto da (CLICCA QUI)
Viene segnalata la partecipazione del capo del governo straniero italiano ad un forum di dialogo e cooperazione fra l'italia, Croazia e Slovenia che oggi si svolgerà presso la Fondazione Cini nell'isola di San Giorgio in Venezia.
Nell'augurare pertanto il benvenuto e una piacevole permanenza alle massime autorità di Slovenia e Croazia, questo MLNV denuncia ancora una volta la sgradita, arrogante e inopportuna presenza di rappresentanze dello stato straniero occupante, colonialista e razzista italiano e in proposito si sollecita la presa in considerazione di quanto segue:
il Movimento di Liberazione Nazionale del Popolo Veneto (MLNV) è nato nel 2009 dall’iniziativa di un gruppo di patrioti desiderosi di veder la propria Nazione tornare libera e sovrana fra le Nazioni.
L’occupazione militare italiana, manipolata anche con un’ingannevole plebiscito nel 1866, ha colonizzato e seguita ancora oggi a dominare la Nazione Veneta con ostinato e arrogante predominio.
In centoquarantasette anni d’occupazione lo stato straniero occupante italiano non è riuscito a cancellare ed estinguere l’identità del Popolo Veneto, le sue origini, la storia millenaria, le tradizioni e la cultura che ben poco o nulla hanno in comune con l’italica rappresentazione odierna.
Ancora oggi l’impianto politico dello stato italiano è radicato in una casta partitocratica incapace di rinnovarsi e di decontaminarsi da una concezione mafiosa e clientelare che si regge con un opprimente centralismo di potere, con una burocrazia sempre più goffa, ritardi e inefficienza di molti servizi e l’iniquità di una tassazione che stride con sprechi e ostentati privilegi di casta politica e amministratori.
Tutto questo è avverso alla natura del Popolo Veneto.
L’aggravarsi poi della crisi economica ha appesantito in questi anni la sofferenza per una decadenza finanziaria che è endemica nella penisola e mortifica e limita lo spirito d’iniziativa, il lavoro e la capacità di fare impresa che ha sempre caratterizzato il Popolo Veneto.
Nonostante le rivendicazioni del MLNV siano sempre state contraddistinte da un radicato rispetto per la legalità, le autorità d’occupazione straniere italiane insistono ad ignorare il diritto di autodeterminazione del Popolo Veneto e che invece di favorirlo, così come previsto dalle norme del diritto internazionale insiste con l’abusare delle proprie funzioni e attacca i membri del MLNV con ogni futile pretesto e violando anche le sue stesse leggi; ancora oggi, rifiuta di restituire una notevole quantità di effetti personali, beni strumentali e di lavoro, illegalmente sottratti con la forza e allo scopo di ostacolare il lavoro del MLNV.
Da tempo incoraggia il proliferare di soggetti politici astutamente indipendentisti, di movimenti e sedicenti autogoverni e governi veneti; se siano occultamente rimunerati non è dato di sapere ma certamente sono sostenuti anche perché pur non trovando alcuna giustificazione giuridica, con immodesta e bizzarra auto-referenziazione godono di una regia ben articolata e supportata mediaticamente che allo scopo di ridicolizzare le aspirazioni indipendentiste svelano un’inesistente rivalità e frammentazione d’intenti e la sfacciata e costante criminalizzazione del MLNV.
Grave e impellente è il problema per i membri del MLNV che non possono, non devono e non vogliono dover dipendere dalle autorità d’occupazione straniere italiane per il rilascio o il rinnovo di documenti personali, di autorizzazioni e/o licenze, nonché l’incombere delle ritorsioni per l’illegale pretesa del pagamento d’imposte e tasse; tutto questo pregiudicherebbe il percorso di rivendicazione posto in essere fino ad oggi avvallando il ricatto dell’asservimento preteso dallo straniero italiano.
E COSì COME PREVISTO DALLE NORME E DALLA PRASSI DEL DIRITTO INTERNAZIONALE
Questo Movimento di Liberazione Nazionale del Popolo Veneto (MLNV) tramite il proprio Apparato Istituzionale Governo Veneto Provvisorio (GVP) istituito ai sensi e per gli effetti dell'art.96.3 del Primo Protocollo di Ginevra del 1977, considerato che i Popoli hanno un pieno diritto riconosciuto all'autodeterminazione nei confronti dello stato straniero occupante oppressore e che i Movimenti di Liberazione Nazionale, in questi casi, vantano diritti maggiori a livello internazionale rispetto agli stati oppressori.
che venga imposto allo stato straniero oppressore italiano il rispetto delle norme e delle prassi del Diritto Internazionale ed in particolare:
l'obbligo di riconoscere il diritto all'autodeterminazione del Popolo Veneto;
l'obbligo di consentire l'esercizio del diritto all'autodeterminazione del Popolo Veneto con il ripristino di sovranità della Repubblica Veneta in tutti i suoi territori ancora oggi occupati e depredati dallo stato italiano;
il divieto di continuare a far ricorso all'uso della forza per negare tale diritto all'autodeterminazione come fatto sinora con i suoi ripetuti illegali, illegittimi, persecutori e razzisti attacchi contro questo MLNV e i suoi militanti e loro famigliari;
che gli Stati terzi sostengano il Popolo Veneto e quindi questo MLNV nella sua lotta per l'autodeterminazione.
che gli Stati terzi si astengano dall'aiutare e sostenere in qualsiasi modo lo stato straniero occupante oppressore italiano e, per l'effetto, rinuncino o rivedano i propri rapporti politici, commerciali, economici, militari e diplomatici con lo stesso.
che gli Stati terzi aiutino, appoggino e sostengano anche logisticamente ed economicamente questo MLNV nel suo apparato istituzionale Governo Veneto Provvisorio e le sue necessarie, urgenti e indefettibili istituzioni, con l'avvio di formali rapporti diplomatici e se possibile attraverso l'assegnazione di una sede temporanea.
Concludendo si ribadisce che le precedenti ripetute denunce di occupazione, dominazione e colonizzazione della Nazione Veneta da parte dello stato straniero italiano, nonché le ripetute rivendicazioni del diritto di autodeterminazione per il completo ripristino di sovranità del Popolo Veneto su tutti i territori della Serenissima Veneta Repubblica a far data dalla prima occupazione napoleonica del 1797, depositate di persona presso le sedi delle Nazioni Unite di Ginevra (CH) e New York (USA), risultano ignorate e disattese nonostante i ripetuti attacchi delle autorità d'occupazione straniere italiane con blitz armati e violenti, e calunniosi procedimenti penali tuttora in corso, contro il MLNV e i suoi militanti.
Questo MLNV, che sin dalla sua costituzione ha tenuto una condotta non violenta e rispettosa delle norme e delle prassi del diritto internazionale, considerato il mancato riscontro da parte dell'Organizzazione delle Nazioni Unite e della comunità internazionale, viene da queste colpevolmente messo nelle condizioni di dover ricorrere all'uso della forza per difendersi e di concretizzare l'esercizio del diritto all'autodeterminazione del Popolo Veneto.
di Mario Corato
La storia produce un caso che andrebbe analizzato in tutte le sue conseguenze.
Si tratta della Pulzella d'Orléans, più comunemente conosciuta come Giovanna d'Arco.
Per essere preciso sulla figura di questa donna interrogo una fonte "neutrale" nella galassia internet: Wikipedia.
Giovanna d'Arco (in francese Jeanne d'Arc, in medio-francese Jehanne Darc; Domrémy, 6 gennaio 1412 – Rouen, 30 maggio 1431) è un'eroina nazionale francese, venerata come santa dalla Chiesa cattolica, oggi conosciuta anche come la Pulzella d'Orléans.
Riunì al proprio Paese parte del territorio caduto in mano inglese, contribuendo a risollevarne le sorti durante la guerra dei cent'anni, guidando vittoriosamente le armate francesi contro quelle inglesi.
Catturata dai Borgognoni davanti a Compiègne, Giovanna fu venduta agli inglesi che la sottoposero a un processo per eresia, al termine del quale, il 30 maggio 1431, fu condannata al rogo e arsa viva.
Nel 1456 papa Callisto III, al termine di una seconda inchiesta, dichiarò la nullità di tale processo.
Beatificata nel 1909 da Pio X e canonizzata nel 1920 da Benedetto XV, Giovanna fu proclamata patrona di Francia.
Chi volesse approfondire la figura di Giovanna non ha che da recarsi su Wikipedia per soddisfare ad ogni propria legittima curiosità.
Fra coloro che parlarono di Giovanna voglio affrontare quanto scrive il bardo d'Inghilterra W. Shakespeare nella prima tragedia dedicata a Enrico VI.
Giovanna appare in campo: Delfino, io sono per nascita la figlia di un pastore e la mia mente non è stata addestrata in arte alcuna.
Il cielo e Nostra Signora piena di grazia si sono compiaciuti di illuminare col loro splendore il mio umile stato: ed ecco, mentre badavo ai teneri agnellini ed esponevo le guance al calore cocente del sole, la Madre di Dio si è degnata di apparirmi e in una visione piena di maestà mi ha ordinato di lasciare la mia bassa occupazione e di liberare il paese dalla calamità.
Mi ha promesso aiuto e certo successo rivelandosi in tutta la sua gloria, e mentre prima ero nera e abbronzata, coi lucenti raggi che ha infuso in me mi ha donato la bellezza che ora vedete.
Chiedimi ciò che vuoi e ti risponderò senza prendere tempo: metti alla prova, se osi, il mio coraggio in combattimento, e vedrai se non sono superiore al mio sesso.
Deciditi: avrai fortuna se mi accoglierai come compagna d'armi (I atto scena II).
E' raccontata subito come incantatrice per attirare alla sua causa: Guarda il tuo paese, guarda la fertile Francia e vedrai le città e i borghi sfigurati dalla rovina devastatrice del crudele nemico.
Come la madre guarda il suo pargolo infermo quando la morte gli chiude i teneri occhi languenti, tu guarda, guarda il male che strugge la Francia, mira le ferite, le ferite snaturate che tu stesso le hai inflitte nel seno doloroso.
Oh, volgi altrove la spada affilata; colpisci coloro che feriscono e non ferire coloro che aiutano: una goccia di sangue tratta dal seno della patria dovrebbe addolorarti di più che torrenti di sangue straniero.
Ritorna e lava con un fiume di lacrime le turpi macchie del tuo paese.
(Atto III, Scena III).
Circondata e in procinto di essere catturata le viene messo in bocca un diabolico scongiuro: Aiutatemi voi, incantamenti e amuleti, e voi spiriti eletti che mi ammonite e mi date presagi del futuro, voi pronti soccorritori e vicari del monarca sovrano del settentrione, apparite, aiutatemi in questa impresa (entrano alcuni demoni).
Ora, miei genii, evocati dalle tremende regioni sotterranee, aiutatemi questa volta ancora, perché la Francia possa ottenere la vittoria…
Già usata a nutrirvi col mio sangue, mi reciderò qualche membro e ve lo darò come arra di maggior mercede, se accondiscendete ad aiutarmi ora…
Vi pagherò col mio corpo, se accogliete la mia supplica…
Prendetevi allora la mia anima; corpo, anima e tutto prima che l'Inghilterra infligga uno scacco alla Francia…
(Atto V, Scena III).
Prima di essere condotta al rogo, passando dalla ostentazione della sua verginità alla dichiarazione di aver avuto un amante, alla rivelazione di essere incinta; chiamata con l'ultima di ennesime offese similari “sgualdrina”, le ultime parole che le sono messe in bocca fanno: Allora conducetemi via di qua; e a voi lascio la mia maledizione.
Possa il sole glorioso non risplendere mai sul paese dove dimorate; ma le tenebre e la tetra ombra della morte vi circondino finché la colpa e la disperazione vi spingano a rompervi il collo e a impiccarvi da voi stessi
(Atto V, Scena IV).
Attorno a questo “caso” storico (raccontato da Shakespeare quale inserimento nella storia dei rapporti Inghilterra Francia di una strega) , si mossero sentimenti opposti o almeno contrastanti per la presenza di alcune variabili che il nostro tempo esclude razionalmente e recupera superstiziosamente: la presenza di angeli e demoni.
Gli avvenimenti che andremo a raccontare del MLNV non possono essere letti escludendo variabili similari.
C'è un ruffiano che si aggira in tutte le operazioni di questo nostro mondo.
Ti convince che la sua merce può soddisfare i tuoi istinti e poi si ritira nell'ombra e ti lascia cogliere le conseguenze del tuo sfogo.
Non è appariscente il ruffiano e lascia che lo si consideri un fenomeno pauroso da baraccone quando tormenta una bambina, la sfigura, la snatura per mettere brivido al plesso solare e alle terminazioni nervose degli occupanti la sala o il divano di casa.
Intanto agisce con tutte le sue forze là dove il potere muove le sue pedine o l'avere estende sulle economie i propri tentacoli.
Quando il risultato di questa sua azione stende sul campo centinaia di migliaia di cadaveri, oppure riduce all'elemosina chi viveva serenamente del frutto del proprio lavoro, si congeda il tutto con la parola congiuntura, perché il ruffiano non esiste, sta soltanto al gioco con la bambina del baraccone.
E tuttavia (e anche questo è emarginato) si muove contro il ruffiano un esercito di spiriti beati che potrebbero offrire pace a coloro che soffrono le corrosioni provocate dal primo, se fossero percepiti come collaboratori e interpellati.
Il Movimento di Liberazione Nazionale del Popolo Veneto (MLNV) ha sperimentato ed esperimenta quotidianamente la presenza di questa realtà invisibile.
E' letto a seconda degli interessi storici che si coltivano, come fu letta Giovanna.
E' troppo giovane per esigere revisioni dei processi della cronaca, pur ricco di una eredità millenaria.
Ogni aderente potrebbe raccontare una propria storia che gode la pulizia della pulzella e già racconta quanto è stata sputtanata e vessata.
Per questo il logo del MLNV riunisce in un unico stemma il leone di San Marco che racconta le ricchezze di un passato che vuole essere suggerimento al presente… e l'arcangelo san Michele, da sempre e per sempre difensore di coloro che sono certi che esiste una continua battaglia fra le variabili che i più, soprattutto i responsabili dell'ordine internazionale, escludono dai preventivi e dai consuntivi di ogni operazione.
Giovanna d'Arco, ridicolizzata da Voltaire, esaltata da Claudel, è oggi patrona della Francia e anche modello di vero patriottismo.
Inizieremo subito, dopo queste opportune premesse, a scendere nel vivo del racconto della nostra storia.
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Ancora una volta il Capo dello Stato Italiano, sia pure in veste privata, mette piede sul territorio della Nazione Veneta senza onorare i principi basilari della diplomazia internazionale che richiederebbero un contatto previo col il Governo provvisorio di questa Nazione.
di Mario Corato
se come disse Mc Luhan
il mondo è un villaggio globale
Si è creata una leggenda attorno a tentativi maldestri di far emergere la sofferenza veneta: dal blindato in piazza san Marco con relativa occupazione del campanile fino ad disperato che entra in banca e spara sul direttore dichiarando poi una farneticante appartenenza indipendentista.
I media fanno man bassa di questi episodi dai quali qualche giornalista sbava di procurarsi uno scoop.
Eppure l'etica professionale avverte il cronista, prima che lo storico, di affidarsi ai fatti e di registrarli quanto più possibile aderendo al vero.
Invece si fanno illazioni, si tracciano ragnatele e su di esse vi si appiccicano ragni, magari tarantole.
Se poi a far la verità entra un funzionario governativo e per di più incalzato da un mandato superiore che esige il mostro in prima pagina eccoti il medesimo trasformato in Lestrade a mettersi tra i piedi di Holmes fiero delle proprie deduzioni.
Così, ad esempio, un “Ocio!”, suggerito al presidente della repubblica italiana in visita nel Veneto, diventa una intimidazione contro la quale si reagisce cercando arsenali militari e attentati pianificati.
Non si discerne assolutamente che cosa significhi nel lessico veneto quel “ocio”.
E' la madre che lo dice alla figlia che si incammina lungo la statale: “Ocio a le machine!”;
è il padre che avverte il figlio che l'ha seguito nella racconta dei funghi: “Ocio a le vipare”;
è il compagno di lavoro che avverte l'a mico: “Ocio ca saldo!”.
“Ocio” è una espressione verbale il più delle volte positivamente attentiva nei riguardi di una persona che potrebbe subire dei danni.
Perché quell' “ocio” non avrebbe potuto significare: “Caro signor Napolitano, sta attento: c'è forse un forsennato che per avere visibilità potrebbe farti qualche brutto scherzo;
io soffro di questa situazione balorda che come le altre mette in cattiva luce la trasparenza del MLNV;
io percorro la mia strada alla luce del sole; ma tu non farti del male e non dare adito a reazioni che non portano a nulla!”.
No, su quel “ocio” sono stato sguinzagliati gli 007 a rompere le scatole agli innocenti, penetrando nel sacrario delle loro famiglie: solo per aver invitato alla prudenza.
Sì, quando la leggenda impera, ci si dimentica che esiste un potere sovranazionale, occulto, meglio ancora esiste il Ruffiano che, ben foraggiato in tutto, si aggira cercando il balordo.
Trapela solo adesso, dopo la celebrazione dei fasti delle primavere arabe, di fronte ai nefasti di un potere che vuole completare la mezzaluna portandola alla circonferenza completa… ci si accorge che il Ruffiano con i suoi satrapi ha creato “il caso”; “il caso” ha richiamato i “tutori della libertà”;
da buoni poliziotti dell'orbe hanno messo pedine nuove al posto delle vecchie; hanno detto “anche questo è a posto”.
A posto come?
E forse fino a quando l'industria bellica avrà nuovamente riempito i magazzini:
Parlerò del Ruffiano.
Intanto vorrei che fosse chiaro, nella leggenda venetista, che ogni persona, che ogni realtà che si mettono ad urlare per una libertà conculcata si tratta solo e sempre di una manifestazione di un corpo sociale dolente, sul quale si curvano in molti e con le intenzioni più diverse.
E sulla sofferenza c'è chi specula.
E lo speculatore è apparentato al Ruffiano.
E se non si specula ecco la necessità di risolvere il problema tutto in blocco cercando di prendere piccione, fava, colombara, tegume…: abbiamo individuato il mostro; ora cerchiamo le armi;
dove sono le bandiere?
E le divise?
Troviamo la banca dati!
Mandiamo avanti l'araldo della verità, “espresso”.
Trasformiamo i media locali in profeti di quanto dovrà fare il potere esecutivo e semmai di quello giudiziario.
Il MLNV nell'oggi sta scrivendo la Storia e non si ammanta di leggenda, ne' con le leggende ha qualcosa da spartire.
di Mario Corato
Antonio Albanese in “Tutto tutto niente niente” fa la caricatura del venetista farfuglione che addestra un’armata brancaleone di negri e nasconde blindati raffazzonati e adopera gli stessi “mercenari” al restauro del suo residence, occultando, di quello che credeva cadavere, il corpo di un infortunato stracomunitario in laguna.
Sberleffi di un arrivato, ignorante su un problema scottante, superficiale, calunnioso, inverecondo.
Il problema veneto e forse non solo veneto ha radici lontane.
Dino Coltro documentava la situazione veneta dopo l’Unità d’Italia.
Per pagare l’enorme debito contratto per le guerre risorgimentali nacque la famigerata tassa sul macinato che toccava tutti (anche coloro che non contarono nei plebisciti per approvare l’annessione), perché tutti passavano per il mulino.
La reazione ha dei paralleli con i suicidi della attuale congiuntura, con mugnai che si impiccarono e con reazioni di massa bloccate con l’esercito da Alfonso Lamarmora, l’eroe dei campi di Crimea, che osò far sparare sui dimostranti lasciando centinaia di morti vittime dell’attacco barbaro.
E la gente cominciò ad emigrare verso le americhe e chi restò dovette sfidare la pellagra, che decimò la popolazione per mancanza della vitamina pp che la continua polenta non poteva fornire.
E il farmacista di Piovene Rocchette nella sua “Politica dei villani” lasciava in bocca ai due protagonisti la mesta costatazione: “I preti xè preti, i siuri xè siuri e invesse noaltri, caro Bastiàn, sem mone pi grande del monte Suman!”.
Pittarini andrebbe letto e rappresentato anche ai nostri tempi.
Ma andiamo ad altro.
Nel 1978, quando la città di Vicenza venne tappezzata di scritte che sembravano fatte a pennarello, in un dialetto di chiara matrice trevigiana, volli analizzarne una da vicino.
Non si trattava di scritte a mano libera su una carta qualunque, erano perfettamente litografate da tipografie che lavoravano di fino.
E poi, una notte che rincasavo un po’ tardi, vidi scendere da auto di una certa cilindrata, targate TV dei signori ben vestiti che estraevano cartelloni che affiggevano ovunque come carbonari.
Intervenni sul Giornale di Vicenza sottolineando per punti il mio giudizio che confluiva ad una volontà di prendersi il potere in nome del rispetto di una sedicente cultura veneta.
E quell’anno nacque la Łiga Veneta, poi ingurgitata dalla Lega lombarda, ora imbastardita nei meandri di quel potere che si contestava, che poi prometteva, che quando fu proprio (il potere) rese il carbonaro lealista senza nulla smuovere dell’autentico problema della liberazione del Popolo Veneto.
E oggi (1 settembre 2013) leggo sul “Corriere del Veneto” quattro pagine interessanti circa un sondaggio a macchia di leopardo sulla volontà dei Veneti all'autonomia.
No: il topolino che ha sfidato l'Eliseo non si identifica con la lega, con i venetisti, con i serenissimi.
Tutti rispettabili, tutti motivati da ingiustizie subìte (al tempo dei manifesti simil pennarello c'era di che lagnarsi dato che il sindaco di Treviso era il presidente dell'UNCI e la distribuzione di risorse da Roma alle periferie avveniva in ordine alfabetico e Treviso non risultava di certo fra i primi).
Ma si tratta di un topolino o di un leone?
Ho di recente studiato un dvd registrato da un testo teatrale per la televisione.
Si tratta di FERDINANDO di Annibale Ruccello.
Il critico che lo presentava era meravigliato che un giovane sui trent'anni, purtroppo morto per incidente stradale sul filo della prima rappresentazione, negli anni '80 portasse in scena sentimenti di tale tonalità.
Racconta di una baronessa napoletana, schifata dell'avvento dei Savoia, che vive con una sua parente nobile di grado inferiore ed è frequentata dal parroco probabilmente stipendiato dalla baronia.
In casa arriva Ferdinando, un sedicente parente ed erede, una specie di ermafrodita che rivitalizza la baronessa, la domestica parente nobile di seconda categoria e il prete con le sue graziose prestazioni.
Quando nell'orgia delle gelosie si giunge ad avvelenare il prete e Ferdinando col ricatto si fa indicare il nascondiglio del tesoro custodito dalla baronessa, il giovane cambia identità: non è il parente, non è Ferdinando, è il figlio del notaio di famiglia, si chiama Filiberto.
Nella lingua di Napoli, curata come la veneta da Goldoni, Ruccello stigmatizza la rapina dei Savoia, la prostituzione ad essi del clero, la connivenza della burocrazia.
Ruccello non fa sconti alla nobiltà del Regno di Napoli, ma arriva al sarcasmo nei riguardi dell'operazione unità d'Italia operata dal Regno d'Italia.
Non possiamo chiedere all'autore, trentenne negli anni '80, perché l'opera FERDINANDO.
Possiamo però indicare che il topolino entra in risonanza con lo sfortunato geniale autore e con la sua metafora.
di Mario Corato
Si racconta che un giorno, in cui Napoleone Bonaparte era irritato perché non trovava la sua tabacchiera preziosa (forse fu in quel di Venezia) si fosse lasciato sfuggire una imprecazione nei riguardi degli italiani: – Italiani ladri! -.
Un tizio che lo udì pare rispondesse a tono:- Non tutti, bona-parte sì!-[1]
Viene opportuno l'aneddoto nei giorni in cui all'Eliseo serpeggia una febbricola che non fa star bene da quando vi giunse da parte di sedicente Movimento di Liberazione Nazionale del Popolo Veneto la richiesta di restituzione di 3000 miliardi di euro, quale calcolo al ribasso di quanto fu rubato alla Repubblica Veneta dai francesi al seguito dell'imperatore.
Si dice che ogni soldato dell'esercito imperiale teneva nello zaino il personale bastone di comando perché l'esuberanza del Capo poteva in giornata, sul campo, nominarlo maresciallo.
Sicuramente nello zaino di ogni militare c'era un bottino in beni facilmente monetizzabili una volta tornato in patria.
Il calcolo, al ribasso, fatto da un personaggio veneto vivente, degno di rispetto, affidabile per la puntigliosità della sua documentazione storica, ferma la cifra del maltolto, rivalutandola all'oggi, a 3000 miliardi di euro.
Il turbamento dell'Eliseo, giunto ai media veneti quali La Tribuna di Treviso o a TVA Vicenza si stempera in 3 miliardi di euro: non si sa se per dire a quei quattro gatti del MLNV:- Volete farvi una piattaforma di partenza?- o per addomesticare la storia con l'ironia sul presente.
Fatto è che qualche gallicano non ha preso sotto gamba la richiesta del MLNV, consapevole che la Storia restituisce anche i torti fatti nel passato.
Ricordo che accompagnando i miei familiari in visita al museo del Louvre, nella sala dedicata ai capolavori italiani del rinascimento, con voce stentorea mi impalcai a cicerone – la sala era zeppa di visitatori, per lo più assiepati attorno alla Gioconda, ricoperta di una cassaforte di plessiglas spessa dieci centimetri – Il tenore delle mie spiegazioni fu questo:- Questi ladri di francesi, dopo aver rubato i capolavori che ci circondano, conoscendo la esperti del mestiere che altri ladri potevano rubare, hanno messo in cassaforte l'unico dono di Leonardo da Vinci lasciato in eredità a Francesco I;-.
Mia madre mi supplicava perché tacessi o abbassassi la voce per non essere arrestato- Ed io serenamente le rispondevo che era risaputo che quel sacrario dell'arte ridondava di sottrazioni illecite per compensare le tante sale zeppe di tele del David, artista di regime il più delle volte glaciale come la dea ragione.
Perfino i quattro cavalli di San Marco erano giunti in Francia al galoppo dietro gli eserciti imperiali, abituati al furto da Pidna (Grecia) dove erano nati, sottratti da Mario per trasferirli a Roma, da Roma a Costantinopoli (portati si s da chi), da Costantinopoli a Venezia (frutto delle crociate della Serenissima) e poi in Francia e di nuovo a Venezia.
Il risultato delle galoppate dei nostri quattro fu la perdita della lamina d'oro che li ricopriva completamente e degli otto smeraldi che ne illuminavano gli occhi.
Napoleone passò e si sa come da Waterloo a sant'Elena.
Fece vibrare la Francia al passaggio della sua bara che esaltava l'univa parola NAPOLEON.
Fu tumulato e vigilato nel Pantheon agli Invalidi dove quella sola parola NAPOLEON metteva in fibrillazione le teste coronate…
Ma i fiumi di ricchezze inoltrate nel paese d'oltralpe furono bel filtrati prima che le loro acque lavassero Les Invalides.
Solo dalla Repubblica Veneta il calcolo, in difetto, ammonta a 3000 miliardi di euro e il topolino che si erge di fronte ai potenti invia formale richiesta di restituzione.
All'Eliseo qualcuno freme,
I media veneti si affidano al sarcasmo.
Ma si tratta dell'inanis mus di Ovidio, quell'insignificante topo che esce dal parto della montagna?
A presto.
[1]Quando, godendosi le terme di Aquisgrana, quarant'anni dopo la morte di Napoleone, Vittorio Emanuele II e Napoleone III patteggiarono una profonda miopia francese nei riguardi dello scorrazzamento armato dei savoia sulle terre dello stato pontificio trasmigrarono in Francia Nizza, Savoia (che sacrificio per i nuovi padroni d'Italia!) e la Corsica perché non poteva rimanere italiano il grande imperatore che vi aveva trovato i natali.
Il grandissimo dipinto di Veronese fu appeso dal 1563 al 1797 in un refettorio progettato da Palladio, presso il monastero benedettino di San Giorgio.
E' curioso.