Papa Paolo VI (in latino: Paulus PP. VI, nato Giovanni Battista Enrico Antonio Maria Montini; Concesio, 26 settembre 1897 – Castel Gandolfo, 6 agosto 1978) è stato il 262º vescovo di Roma e papa della Chiesa cattolica, Primate d'Italia e 4º sovrano dello Stato della Città del Vaticano a partire dal 21 giugno 1963 fino alla morte.
È venerabile dal 20 dicembre 2012, dopo che papa Benedetto XVI ne ha riconosciuto le virtù eroiche.
Giovanni Battista Montini nacque il 26 settembre 1897 a Concesio, un piccolo paese all'imbocco della Val Trompia, a nord di Brescia, dove la famiglia Montini, di estrazione borghese, aveva una casa per le ferie estive.
I genitori, l'avvocato Giorgio Montini e Giuditta Alghisi, si erano sposati nel 1895 ed ebbero tre figli: Lodovico, nato nel 1896, che divenne avvocato, deputato e senatore della Repubblica, morto nel 1990, Giovanni Battista e, nel 1900, Francesco, medico, morto improvvisamente nel 1971.
Il padre, al momento della nascita del futuro pontefice, dirigeva il quotidiano cattolico Il Cittadino di Brescia, e fu poi nominato deputato per tre legislature nel Partito Popolare Italiano di don Luigi Sturzo; Giorgio Montini e Giuditta Alghisi morirono entrambi nel 1943 a pochi mesi di distanza.
Formazione
Nel 1903 venne iscritto come studente esterno (a causa della cagionevole salute) nel collegio "Cesare Arici" di Brescia, retto dai padri Gesuiti.
In questa medesima scuola, frequentò fino al liceo classico, partecipando attivamente ai gruppi giovanili degli oratoriani di Santa Maria della Pace.
Nel 1907 compì il suo primo viaggio con la famiglia a Roma, in occasione di un'udienza privata di papa Pio X.
Nel giugno dello stesso anno gli vennero impartiti i sacramenti della prima comunione e della cresima.
Nel 1916 ottenne la licenza presso il liceo statale "Arnaldo da Brescia" e nell'ottobre dello stesso anno entrò, sempre come studente esterno, nel seminario della sua città.
Dal 1918 collaborò con il periodico studentesco La Fionda, pubblicando numerosi articoli di notevole spessore.
Scrisse, ad esempio, nei primi di novembre del 1918:
« Guai a chi abusa della vita. Quando la creatrice mano di Dio delineava in un ordine meraviglioso i confini della vita, poneva altresì custode di questi confini la morte, vindice di quanti li avrebbero varcati in cerca di vita più ampia, di felicità maggiore. »
Nel 1919 entrò nella Federazione Universitaria Cattolica Italiana (FUCI), che raccoglieva i gruppi studenteschi universitari cattolici.
Ordinazione sacerdotale
Il 29 maggio del 1920 ricevette l'ordinazione sacerdotale nella cattedrale di Brescia; il giorno successivo celebrò la sua prima Messa nel Santuario delle Grazie.
Nel novembre dello stesso anno si trasferì a Roma.
Si iscrisse ai corsi di Diritto civile e di Diritto canonico alla Pontificia Università Gregoriana ed a quelli di Lettere e filosofia all'Università statale.
Nel 1923 viene avviato agli studi diplomatici presso la Pontificia accademia ecclesiastica.
Iniziò così la sua collaborazione con la Segreteria di stato, per volere di papa Pio XI.
Fu inviato a Varsavia per cinque mesi (giugno-ottobre 1923) come addetto alla nunziatura apostolica.
Rientrato in Italia, nel 1924 conseguì tre lauree: in Filosofia, Diritto canonico e Diritto civile.
Incarico nella FUCI
Nell'ottobre 1925 fu nominato Assistente ecclesiastico nazionale della FUCI.
Collaborò a fianco del Presidente nazionale Igino Righetti, che era stato nominato nello stesso anno, e i due si trovarono ad agire in un'iniziale clima di diffidenza, rasserenatosi solo col tempo, tra studenti che vedevano con sospetto la nuova dirigenza imposta forzosamente dalle gerarchie.
Montini sperimentò ben presto le resistenze opposte da alcuni ambienti della chiesa (come i Gesuiti) che resero difficile il suo compito e lo portarono, nel giro di meno di otto anni, alle dimissioni.
Tali resistenze originavano da divisioni ecclesiastiche non solo sul comportamenti da tenere nei confronti del fascismo, ma anche sugli atteggiamenti culturali e le scelte educative.
Montini profuse un attivo impegno nella FUCI con un'azione di profonda riorganizzazione della Federazione.
Divenne così il bersaglio privilegiato delle accuse e denunce degli ambienti ecclesiastici ostili.
La situazione degenerò al punto tale da convincerlo, a malincuore, a rinunciare all'incarico.
Le dimissioni, presentate in febbraio, furono accettate e formalizzate il mese successivo.
Motivò la sua scelta con la difficoltà di conciliare quel ruolo con gli impegni, in effetti sempre crescenti, in Segreteria di stato.
Collaborazione con Pio XI e Pio XII
Nel 1931, durante il suo lavoro nella FUCI, Montini aveva avuto l'incarico di visitare celermente Germania e Svizzera, per organizzare la diffusione dell'enciclica Non abbiamo bisogno, nella quale Pio XI condannava lo scioglimento delle organizzazioni cattoliche da parte del regime fascista.
Nel 1933 ebbe termine il suo impegno di essere assistente ecclesiastico nazionale della FUCI.
Il 13 dicembre 1937 fu nominato sostituto della Segreteria di Stato; iniziò a lavorare strettamente al fianco del cardinale segretario di stato Eugenio Pacelli.
Il 10 febbraio 1939, per un improvviso attacco cardiaco, Pio XI morì.
Alle soglie della seconda guerra mondiale, Eugenio Pacelli venne eletto pontefice con il nome di Pio XII.
Poche settimane dopo, Montini (sempre con il ruolo di sostituto) collaborò alla stesura del radiomessaggio di papa Pacelli del 24 agosto per scongiurare lo scoppio della guerra, ormai imminente; sono sue le storiche parole:
« Nulla è perduto con la pace! Tutto può esserlo con la guerra »
Durante tutto il periodo bellico svolse un'intensa attività nell'Ufficio informazioni del Vaticano per ricercare notizie su soldati e civili.
In questo periodo fu l'interlocutore principale delle autonome iniziative intentate in tutta segretezza dalla principessa Maria José di Savoia, nuora del re Vittorio Emanuele III, per stringere contatti con gli Americani ai fini di una pace separata.
Tali iniziative, peraltro, non ebbero esito.
Il 19 luglio 1943 accompagna Pio XII nella visita al quartiere San Lorenzo colpito dai bombardamenti alleati.
Nel 1944, alla morte del cardinale Luigi Maglione, il futuro papa assunse la carica di pro-segretario di Stato; insieme a Domenico Tardini (futuro segretario di stato di Giovanni XXIII), Montini si trovò a lavorare ancora più a stretto contatto con Pio XII.
Va ricordato che la guerra fu occasione di violentissime polemiche relative al ruolo della Chiesa, e in particolare di Pio XII che fu accusato di aver mantenuto verso i tedeschi, cioè verso il Nazismo, un atteggiamento troppo distaccato, anzi sospetto di collaborazionismo.
Montini fu investito appieno dalla tempesta, stante la centralità della sua posizione e la sua strettissima vicinanza al Papa, e si trovò a dover difendere se stesso ed il Pontefice dalle accuse di filo-nazismo.
Il sospetto veniva poi accresciuto dagli esiti negativi delle iniziative di Maria José, il cui eventuale successo sarebbe stato contrario agli interessi di Berlino.
Per contro, va menzionato che Montini si occupò più volte e a vario titolo dell'assistenza che la Chiesa forniva ai rifugiati ed agli ebrei (ai quali distribuì ripetute provvidenze economiche a nome di Pio XII), oltre ai 4.000 ebrei romani che la Chiesa di nascosto riuscì a salvare dalle deportazioni, azione che, secondo alcuni studiosi, la Chiesa non avrebbe potuto compiere se si fosse schierata apertamente contro la potenza bellica tedesca.
Al termine della seconda guerra mondiale, Montini era in piena attività per salvaguardare il mondo cattolico nello scontro con la diffusione delle idee marxiste; ma in modo meno aggressivo rispetto a molti altri esponenti.
Nelle elezioni amministrative del 1952 non fece mancare il suo appoggio ad uno dei politici che stimava di più, Alcide De Gasperi.
Il 29 novembre fu nominato pro-segretario di Stato per gli Affari straordinari.
Arcivescovo di Milano
Il 1º novembre 1954, dopo la morte di Alfredo Ildefonso Schuster, Pio XII lo nominò arcivescovo di Milano.
A molti questo parve un allontanamento dalla Curia romana, perché improvvisamente egli venne estromesso dalla Segreteria di stato e assegnato all'arcidiocesi ambrosiana per precise disposizioni di papa Pacelli.
Tuttavia non esistono dati storicamente certi per interpretare questa decisione del Pontefice; ci fu chi parlò di “esilio” dalla Santa Sede, dando dunque una connotazione negativa alle disposizioni di papa Pacelli, però questa ipotesi non è l'unica né la più attendibile: il filosofo Jean Guitton ne parla in altri termini: la nuova missione che veniva affidata a Montini doveva essere una sorta di prova per verificare la sua forza e il suo carattere pastorale.
Montini fu consacrato vescovo il 12 dicembre in San Pietro dal cardinale Tisserant.
Come arcivescovo di Milano seppe risollevare le precarie sorti della Chiesa lombarda in un momento storico difficilissimo, in cui emergevano i problemi economici della ricostruzione, l'immigrazione dal sud, il diffondersi dell'ateismo e del marxismo all'interno del mondo del lavoro.
Se anche la grande Missione da lui proposta non ebbe il successo sperato, seppe coinvolgere anche le migliori forze economiche nel risollevamento della Chiesa; cercò il dialogo e la conciliazione con tutte le forze sociali e avviò una vera e propria cristianizzazione delle fasce lavoratrici, soprattutto attraverso le Associazioni cristiane dei lavoratori italiani (ACLI); e questo gli garantì notevoli simpatie.
La nomina a cardinale e l'elezione a Sommo Pontefice
Alla morte di Pio XII, il conclave elesse papa, il 28 ottobre 1958, l'anziano Patriarca di Venezia, Angelo Giuseppe Roncalli, il quale aveva grande stima di Montini, (fra i due vi era una consolidata amicizia fin dal 1925), tanto che lo inviò in molte parti del mondo a rappresentare il papa.
Montini fu il primo cardinale nella lista dei porporati creati da Giovanni XXIII nel Concistoro del 15 dicembre 1958.
Del resto avevano avuto stretti rapporti di collaborazione quando erano entrambi arcivescovi, come testimonia una lettera quasi profetica, inviata da Roncalli a Montini nel giorno della sua consacrazione episcopale:
« Compiremo insieme il sacramentum voluntatis Christi di san Paolo (Efesini 1,9-10). Esso impone l'adorazione della croce, ma ci riserba, accanto ad essa, una sorgente di ineffabili consolazioni anche per quaggiù, finché ci durerà la vita e il mandato pastorale. Cara e venerata Eccellenza, non so dire di più. Ma ciò che manca ad un più diffuso eloquio, Ella me lo legga nel cuore »
(Lettera di Roncalli a Montini, 12 dicembre 1954)
Il breve ma intenso pontificato di Giovanni XXIII vide Montini attivamente coinvolto, soprattutto nei lavori preparatori del Concilio Vaticano II, aperto con una solenne celebrazione l'11 ottobre 1962. Il concilio però si interruppe il 3 giugno 1963 per la morte di papa Roncalli, malato da qualche mese.
Il Conclave che seguì si concluse con l'elezione di Montini, che assunse il nome di Paolo VI, il 21 giugno 1963.
L'incoronazione si svolse in piazza San Pietro la sera di domenica 30 giugno 1963.
Pontificato
Davanti a una realtà sociale che tendeva sempre più a separarsi dalla spiritualità, che andava progressivamente secolarizzandosi, di fronte a un difficile rapporto chiesa-mondo, Paolo VI seppe sempre mostrare con coerenza quali sono le vie della fede e dell'umanità attraverso le quali è possibile avviare una solidale collaborazione verso il bene comune.
Non fu facile mantenere l'unità della Chiesa cattolica, mentre da una parte gli ultratradizionalisti lo attaccavano accusandolo di aperture eccessive, se non addirittura di modernismo, e dall'altra parte i settori ecclesiastici più vicini alle idee socialiste lo accusavano d'immobilismo.
Di grande rilievo fu la sua scelta di rinunciare, nel 1964, all'uso della tiara papale, mettendola in vendita per aiutare, con il ricavato, i più bisognosi.
Il cardinale Francis Joseph Spellman, arcivescovo di New York, la acquistò con una sottoscrizione che superò il milione di dollari, e da allora è conservata nella basilica dell'Immacolata Concezione di Washington.
Eletto con un concilio in corso da portare a compimento, e con la non lieve eredità d'innovazione comunicativa instaurata dal suo predecessore, Paolo VI vestì la tiara con onerose difficoltà e responsabilità iniziali.
Uomo mite e riservato, dotato di vasta erudizione e, allo stesso tempo, profondamente legato a un'intensa vita spirituale, seppe proseguire il percorso innovativo iniziato da Giovanni XXIII, consentendo una riuscita prosecuzione del Concilio Vaticano II.
Paolo VI al Concilio Vaticano II
Portò a compimento il Concilio Vaticano II, aperto dal suo predecessore, con grande capacità di mediazione, garantendo la solidità dottrinale cattolica in un periodo di rivolgimenti ideologici ed aprendo fortemente verso i temi del Terzo mondo e della pace.
Da una parte appoggiò l'"aggiornamento" e la modernizzazione della Chiesa, ma dall'altra, come tenne a sottolineare, il 29 giugno 1978, in un bilancio a pochi giorni della morte, la sua azione pontificale aveva tenuto quali punti fermi la "tutela della fede" e la "difesa della vita umana".
Particolarmente significativo fu il suo primo viaggio, in Terrasanta nel gennaio 1964.
Per la prima volta un pontefice viaggiava in aereo, e tornava nei luoghi della vita di Cristo.
Durante il viaggio indossò la Croce pettorale di San Gregorio Magno, conservata nel Duomo di Monza.
In occasione di questa visita abbracciò il patriarca ortodosso Atenagora I.
Il rapporto tra i due portò a un riavvicinamento tra le due chiese scismatiche, suggellato con la Dichiarazione comune cattolico-ortodossa del 1965.
Il 27 marzo 1965, Paolo VI in presenza di mons. Angelo Dell'Acqua, lesse il contenuto di una busta sigillata, che in seguito rinviò all'Archivio del Sant'Uffizio con la decisione di non pubblicare il contenuto. In questa lettera era scritto il Terzo segreto di Fatima.
Durante tutto il suo pontificato, la tensione tra il primato papale e la collegialità episcopale rimase fonte di dissenso.
Il 14 settembre 1965, anche per effetto dei risultati conciliari, Paolo VI annunciò la convocazione del Sinodo dei Vescovi, escludendo però dall'ambito di questo nuovo organismo la trattazione di quei problemi riservati al papa, dei quali apprestò una ridefinizione.
Concluso il Concilio l'8 dicembre 1965, si aprì però un periodo difficilissimo per la Chiesa cattolica, che si trovo' in un periodo storico e culturale di forte antagonismo tra i difensori di un cattolicesimo tradizionale che attaccavano gli innovatori accusandoli di diffusione di ideologie marxiste, laiciste e anticlericali.
La stessa società civile era attraversata da forti scontri e contrasti politici e sociali, che sfoceranno nel sessantotto in quasi tutto il mondo occidentale.
Celebre la sua frase: "Aspettavamo la primavera, ed è venuta la tempesta".
Nel 1966, Paolo VI abolì, dopo quattro secoli, e non senza contestazioni da parte dei porporati più conservatori, l'indice dei libri proibiti.
A Natale celebrò la Messa in una Firenze ferita dall'alluvione del 4 novembre, definendo il Crocifisso di Cimabue «la vittima più illustre».
Nel 1967 annunciò l'istituzione della Giornata mondiale della pace, che si celebrò la prima volta il 1º gennaio 1968.
Il tema del celibato sacerdotale, sottratto al dibattito della quarta sessione del concilio, divenne oggetto di una sua specifica enciclica, la Sacerdotalis Caelibatus del 24 giugno 1967, nella quale papa Montini riconfermò quanto decretato in merito dal Concilio di Trento.
Molto più complesse furono le questioni del controllo delle nascite e della contraccezione, trattate nella Humanae Vitae del 25 luglio 1968, la sua ultima enciclica.
Il dibattito lacerante che si innestò nella società civile su queste posizioni, in un'epoca in cui il cattolicesimo vedeva sorgere fra i fedeli dei distinguo di laicismo, ha appannato la sua autorevolezza nei rapporti con il mondo laico.
In tale frangente si guadagnò il nomignolo di Paolo Mesto.
Tuttavia Paolo VI non mancò di smentire quelle posizioni che volevano attribuire al suo operato un tono dubbioso, amletico o malinconico, asserendo che:
« è contrario al genio del cattolicesimo, al regno di Dio, indugiare nel dubbio e nell'incertezza circa la dottrina della fede »
La notte di Natale del 1968 Paolo VI si recò a Taranto e celebrò la messa di mezzanotte nelle acciaierie dell'Italsider: fu la prima volta che la messa di Natale venne celebrata in un impianto industriale (evento documentato dal breve filmato di Franco Morabito intitolato L'acciaio di Natale).
Con questo gesto il pontefice volle rilanciare l'amicizia tra Chiesa e mondo del lavoro in tempi difficili.
1968: l'enciclica Humanae Vitae
Una delle questioni più rilevanti, per la quale papa Montini stesso dichiarò di non aver mai sentito così pesanti gli oneri del suo alto ufficio, fu quella della contraccezione, con la quale si precludeva alla vita coniugale la finalità della procreazione.
Il Pontefice non poté mettere in disparte il problema, e per la sua gravità destinò al proprio personale giudizio, lo studio di tutte le implicazioni di tipo morale legate a tale argomento.
Per avere un quadro completo, decise di avvalersi dell'ausilio di una Commissione di studio, istituita in precedenza da papa Giovanni XXIII, che egli ampliò.
La decisione sul da farsi era molto onerosa, soprattutto perché alcuni misero in dubbio la competenza della Chiesa su temi non strettamente legati alla dottrina religiosa.
Tuttavia il Papa ribatté a queste critiche, che il Magistero ha facoltà d'intervento, oltre che sulla legge morale evangelica, anche su quella naturale: quindi la Chiesa doveva necessariamente prendere una posizione in merito.
Buona parte della Commissione di studio si mostrò a favore della "pillola cattolica" (come venne soprannominata), ma una parte di essa non condivise questa scelta, ritenendo che l'utilizzo degli anticoncezionali andasse a violare la legge morale, poiché, attraverso il loro impiego, la coppia scindeva la dimensione unitiva da quella procreativa.
Paolo VI appoggiò questa posizione e, riconfermando quanto aveva già dichiarato papa Pio XI nell'enciclica Casti Connubii, decretò illecito per gli sposi cattolici l'utilizzo degli anticoncezionali di natura chimica o artificiale: « Richiamando gli uomini all'osservanza delle norme della legge naturale, interpretata dalla sua costante dottrina, la Chiesa insegna che qualsiasi atto matrimoniale deve rimanere aperto alla trasmissione della vita. […] In conformità con questi principi fondamentali della visione umana e cristiana sul matrimonio, dobbiamo ancora una volta dichiarare che è assolutamente da escludere, come via lecita per la regolazione delle nascite, l'interruzione diretta del processo generativo già iniziato, e soprattutto l'aborto diretto, anche se procurato per ragioni terapeutiche.
È parimenti da condannare, come il magistero della Chiesa ha più volte dichiarato, la sterilizzazione diretta, sia perpetua che temporanea, tanto dell'uomo che della donna.
È altresì esclusa ogni azione che, o in previsione dell'atto coniugale, o nel suo compimento, o nello sviluppo delle sue conseguenze naturali, si proponga, come scopo o come mezzo, di impedire la procreazione. »
(Paolo VI, Humanae vitae)
Ma nella stessa, nel paragrafo Paternità responsabile, si dice:
« In rapporto alle condizioni fisiche, economiche, psicologiche e sociali, la paternità responsabile si esercita, sia con la deliberazione ponderata e generosa di far crescere una famiglia numerosa, sia con la decisione, presa per gravi motivi e nel rispetto della legge morale, di evitare temporaneamente od anche a tempo indeterminato, una nuova nascita.
Paternità responsabile comporta ancora e soprattutto un più profondo rapporto all'ordine morale chiamato oggettivo, stabilito da Dio e di cui la retta coscienza è vera interprete. »
Questa decisione di papa Montini ricevette molte critiche.
Tuttavia, Paolo VI non ritrattò mai il contenuto dell'enciclica, motivando in questi termini a Jean Guitton le proprie ragioni:
« Noi portiamo il peso dell'umanità presente e futura.
Bisogna pur comprendere che, se l'uomo accetta di dissociare nell'amore il piacere dalla procreazione (e certamente oggi lo si può dissociare facilmente), se dunque si può prendere a parte il piacere, come si prende una tazza di caffè, se la donna sistemando un apparecchio o prendendo "una medicina" diventa per l'uomo un oggetto, uno strumento, al di fuori della spontaneità, delle tenerezze e delle delicatezze dell'amore, allora non si comprende perché questo modo di procedere (consentito nel matrimonio) sia proibito fuori dal matrimonio.
La Chiesa di Cristo, che noi rappresentiamo su questa terra, se cessasse di subordinare il piacere all'amore e l'amore alla procreazione, favorirebbe una snaturazione erotica dell'umanità, che avrebbe per legge soltanto il piacere. »