ATTUALITA

ELEZIONI REGIONALI 2015 – L’INGANNO VENETISTA

A PROPOSITO DELLE PROSSIME ELEZIONI STRANIERE ITALIANE … QUESTE ELEZIONI SONO ILLEGALI PERCHE’ IMPOSTE DALLO STATO STRANIERO ITALIANO SUI TERRITORI DELLA NOSTRA PATRIA. NON CEDETE ALL'INGANNO, NON CREDETE AI PARTITI POLITICI, NEPPURE A QUELLI CHE SI PROFESSANO INDIPENDENTISTI, CHIUNQUE SI CANDIDA A ELEZIONI STRANIERE ITALIANE E' UN TRADITORE DELLA PATRIA CHE E' E RIMANE SOLO LA SERENISSIMA REPUBBLICA VENETA E NON LA REGIONE VENETO ITALIANA.SERGIO BORTOTTO PRESIDENTE DEL MLNV E DEL GOVERNO VENETO PROVVISORIO.
Riceviamo e pubblichiamo.
di Giuliuana Merotto
Siamo prossimi alle elezioni italiane per il rinnovo del Consiglio Regionale Veneto.
Da molti tabelloni ai margini delle nostre strade e nei punti strategici delle nostre città venete sorride speranzoso il Governatore uscente, impegnato per tornare dov’era, con faccia di bronzo e vergognosa dovizia di mezzi – dati i tempi grami.
Alle spalle, un annus horribilis in cui sono emerse le peggiori verità su personaggi del governo italico indegni e corrotti, mentre imposte e balzelli a carico dei poveri cristi sono aumentati in un “crescendo rossiniano”, fino a far fare a più di qualcuno la fine della rana bollita.
In un’Italia in disgregazione, sempre più povera e indebitata, è forte la pressione dei veneti animati da buone intenzioni e preoccupati per il futuro dei loro figli e nipoti.
Gruppi, movimenti, partiti e partitini di ispirazione venetista nascono come i funghi, procedendo in ordine sparso.
Molti coltivano la speranza in un possibile cambiamento che porti la nostra Regione
all’indipendenza, o a una maggiore autonomia (del federalismo nessuno parla più).
Tra un sondaggio e un referendum, la confusione sulla strada da prendere regna sovrana, e diventa terreno di coltura per i furbi, che dalla confusione sono sempre pronti a trarre vantaggio.
Chi ha cinquant’anni ricorda l’esordio della “Liga Veneta”, e l’entusiasmo con cui è stato accolto il neonato partito, che prometteva ai Veneti la riconquista della sovranità sul loro territorio, e la presa di coscienza della propria Storia, identità e cultura.
Col tempo, l’Idea iniziale naufragò nella Lega Nord, che finì con la marmellata fino ai gomiti, e attualmente mendica voti perfino nell’Italia insulare.
Tornando ai Partiti Venetisti italiani, occorre spendere due parole per fare chiarezza: nessuno che ami il Veneto si illuda che tali Partiti, nati in obbedienza alle leggi dello Stato occupante italiano, saranno diversi dalla “Liga” degli anni Ottanta.
Come gli altri partiti italiani, i Partiti Venetisti hanno come obiettivo la conquista della carica e dei relativi privilegi, nonostante le buone intenzioni – di cui, com’è noto, è lastricata la strada che porta all’inferno.
Come gli altri, i candidati dei Partiti Venetisti coagulano le proprie ambizioni nel loro Logo, dov’è in primo piano la parola VENETO, dimenticando che definire VENETO i territori della ex SERENISSIMA REPUBBLICA DI VENEZIA è riduttivo e sbagliato.
A scuola si sono ben guardati dall’insegnarci la nostra Storia: vi abbiamo incontrato le antiche civiltà, dall’Antico Egitto all’antica Grecia, all’antica Roma, ma quasi nulla che ci riguardi: VENEZIA, Città che qualunque abitante del Pianeta sogna di poter visitare prima di morire, è stata relegata tra le repubbliche marinare!!!
Questa, tuttavia, non è una valida ragione per continuare a ignorare che TUTTO il territorio illegalmente occupato dall’Italia nel 1866 deve TORNARE al LEGITTIMO PROPRIETARIO.
Chi è sensibile al tema – e un Veneto non può essere insensibile – si informi, e prenda nota dell’estensione territoriale della Serenissima Repubblica di Venezia, durata 1500 anni, che ha fatto scuola al Mondo per saggezza e civiltà.
Tornando a noi, per riavere la Sovranità sul nostro Territorio non servono i Partiti Venetisti, che nascono in obbedienza alle leggi italiane e hanno gli stessi scopi di tutti gli altri partiti italiani.
Anche a voler credere nella buonafede dei loro leader, essi distolgono i Veneti dall’obiettivo primario, il ritorno allo status quo antea, cioè la restituzione del maltolto da parte dell’Italia.
È questo l’Obiettivo del Movimento di Liberazione Nazionale del Popolo Veneto, che ha imboccato la strada della Diplomazia per ottenere l’auspicato riconoscimento di sovranità nazionale da parte dell’ONU e di altri Paesi esteri.
Se è vero che repetita juvant, è bene ricordare che – per quanto ci riguarda – il MLNV è l’unico istituto dotato di personalità giuridica ad avere titolo per dialogare con l’ONU e con le altre Istituzioni di diritto internazionale. Investito di tale responsabilità, il MLNV è impegnato a far leva sul diritto all’autodeterminazione dei popoli, sancito dal diritto internazionale e recepito con apposita legge da tutti i Paesi del mondo, Italia compresa.
Un diritto che rafforza la nostra rivendicazione di proprietà e sovranità sul nostro territorio, occupato con la forza e con l’inganno nel 1866.
È su questo fronte che dobbiamo combattere insieme, senza cedere al canto delle Sirene.
 

E LA REPUBLICCA DI ABKHAZIA A MILANO FA PAURA ALLA GEORGIA

Siamo felici per la Repubblica di Abkazia ma devo in parte dissentire circa le rassicuranti parole del Suo rappresentante ufficiale in italia dr. Mauro Murgia, e cioè: "… a Parte il fatto che in Italia si e' liberi di manifestare ed esprimere solidarietà ai popoli ingiustamente sottoposti a restrizioni e al mancato riconoscimento…".
L'italia non è affatto quel paese libero e democratico che si vuol far credere, basti vedere i ripetuti attacchi commessi illegalmente contro i Movimenti di Liberazione Nazionale Veneto, Sardo e Siciliano.
Siamo solidali con il Popolo della Repubblica di Abkhazia ma non possiamo sostenere in alcun modo la falsa retorica italiana, quella tipica di uno stato occupante mafioso e colonizzatore e responsabile di una politica istituzionale razzista e del colonialismo culturale che esercita contro i Popoli e le Nazioni che ancora oggi sottomette.
WSM
Venetia 16 marzo 2015
10750468_10200225926168875_1998520905416843087_oSergio Bortotto, Presidente del MLNV e del Governo Veneto Provvisorio

DICHIARAZIONE DEL RAPPRESENTANTE UFFICIALE DELLA REPUBBLICA DELLA ABKHAZIA IN ITALIA DR. MAURO MURGIA, IN MERITO ALLE PROTESTE GEORGIANE PER LE INIZIATIVE ABKHAZE A MILANO.
La Notizia che il Ministro degli esteri della Georgia, ha incaricato l'Ambasciatore georgiano in Italia,di manifestare al Ministero esteri italiano,la rabbia georgiana, perche' il nostro Paese ha permesso lo svolgimento di una manifestazione della Repubblica della Abkhazia, a Milano,il 6 gennaio,giorno della Epifania,in piazza Duomo,con la presenza di decine di migliaia di cittadini,si commenta da se e dimostra la miseria culturale e l'arroganza che caratterizza il modo di agire dei governanti georgiani.
A Parte il fatto che in Italia si e' liberi di manifestare ed esprimere solidarieta ai popoli ingiustamente sottoposti a restrizioni e al mancato riconoscimento,ancora una volta si tratta di una inaccettabile e vergognosa intromissione negli affari interni di un Paese., i Georgiani a parole si dichiarano per il confronto,per la correttezza ecc,anzi,con una faccia di bronzo,vanno anche a Parigi per la manifestazione a favore della liberta' di espressione,contro tutte le censure e poi,quando gli abkhazi si presentano e spiegano le proprie ragioni,rinnegano quanto affermato. 
Hanno avuto paura di uno stand in piazza Duomo,perche' c'era la bandiera abkhaza e una scritta "Repubblica della Abkhazia". 
Hanno avuto paura di una scritta e dei color di una bandiera. 
Subito,come tutte le altre volte, a piangere presso la nostra Farnesina, perche' gli abkhazi hanno amici in Italia. 
Devono capire, che gli amici italiani della Abkhazia non sono i potenti di turno,i politici che non vedono la realta',quelli legati mani e piedi agli usa e ai paesi europei russofobi,antidemocratici,filo nazi-ucraini. 
No, gli amici italiani sono tanti e non hanno nessun rapporto con gli sponsor georgiani. 
Sono amici che, con il proprio impegno giornaliero e disinteressato,si battono perche' l'Abkhazia abbia il giusto riconoscimento internazionale affinche' ,il popolo abkhazo non venga mortificato nei propri diritti. 
Il Ministro georgiano,l'ambasciatore ed altri ,possono protestare,fare note ed altro ma,ormai devono aver compreso che indietro non si torna. 
L'Italia e' amica della Abkhazia.
Il Popolo italiano,nei settori popolari e democratici si schiera con l'Abkhazia,contro la protervia arrogante georgiana. 
Decine di citta' hanno firmato protocolli di amicizia,altre stanno per farlo e non basteranno le note al ministero esteri italiano. 
Possiamo prendere,oggi,un impegno: l'Abkhazia sara' presente all'expo 2015 a Milano.

Se ci avessero detto, 4 anni fa,che il 6 gennaio 2015,giorno dell'Epifania,in piazza del Duomo a Milano,l'Abkhazia sarebbe stata presente con un suo stand,con la sua grande bandiera,e sotto uno striscione " La Repubblica della Abkhazia", visto da oltre 1.000.000 di persone,e visitato per chiedere,domandare da decine di migliaia di persone che avrebbero fatto esaurire in poco tempo tutto il materiale preparato,si sarebbe potuto pensare ad un sogno. 
Oggi,6 gennaio 2015,Epifania,in occasione della straordinaria festa dello sport in piazza Duomo,il sogno si e' realizzato. 
L'Abkhazia, magica, lontana, sconosciuta si è materializzata nella piazza più bella ed importante d'Italia, con una attenzione incredibile e con il suo rappresentante ufficiale che ha parlato sul palco, mentre centinaia di migliaia di persone, in tutta la piazza ascoltavano il racconto della sua bellezza .
Grazie ai milanesi, grazie agli organizzatori, grazie alla Abkhazia.
Enrico Deliperi

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ISLANDA RITIRA LA SUA CANDIDATURA ALL’UE

"Prendiamo nota della lettera del governo dell'Islanda che abbiamo ricevuto e, come già detto più volte in passato, è una prerogativa del governo islandese prendere decisioni libere e sovrane su come proseguire le sue relazioni con l'Ue". 
Così la portavoce del servizio diplomatico Ue Maja Kocijancic, sottolineando che per ora Reykjavik "non ha formalmente ritirato la richiesta" di adesione all'Ue ma "sospeso il negoziato per due anni". 
"Se decidono formalmente di ritirare la domanda devono farlo al Consiglio dell'Ue che dovrà prendere le decisioni necessarie", ha precisato la portavoce, ricordando che Bruxelles "rispetta pienamente la decisione" dell'Islanda ma che "la porta resta sempre aperta" mentre questa "resta un partner importante attraverso la partecipazione all'Area economica europea, Schengen e la cooperazione sulle questioni legate all'Artico". 
​Allo stesso tempo la politica di allargamento dell'Ue, nonostante il passo indietro di Reykjavik, resta "una di quelle di maggior successo" e il "potere di attrazione dell'Ue" e dei suoi diritti e valori, ha aggiunto il portavoce della Commissione Margaritis Schinas, continua "sia in Europa che nel mondo".
 

ALPINI ITALIANI – ECCO ANCHE COSA SONO.

Gli alpini sono stati fondati nel 1872 come truppe di montagna per la difesa dei confini alpini dell’Italia. La-civilisation-italienne
La creazione di queste truppe alpine era già espressione del nazionalismo italiano, nato nel XIX secolo, che poneva un’attenzione sempre maggiore sul presunto confine naturale del paese lungo l’arco alpino. 
Già nel 1888 gli alpini, nati per difendere il confine alpino, furono invece inviati in Africa per conquistare delle colonie per l’Italia. 
Alla guerra contro la Turchia 1911/12, iniziata dall’Italia per annettersi le province turche della Tripolitania e della Cirenaica (Libia) nonché del Dodecaneso, parteciparono dieci battaglioni di Alpini. 
Reparti di Alpini erano anche coinvolti nella dura repressione del movimento per la liberazione della Libia, durata fino al 1933. 
La popolazione libica fu decimata nei campi di concentramento, con marce di morte nel deserto e con le armi chimiche usate anche contro i civili. 
Questa guerra crudele viene ricordata dal monumento all’Alpino di Merano e, al cimitero di Bressanone, dalla scritta sotto il busto del brissinese Heinrich Sader, morto in circostanze misteriose in Libia. 

Esecuzione-italiana„Caduto in terra d’Africa per la più grande Italia“, cioè per le mire espansionistiche italiane, recita questa scritta. Secondo la propaganda, ripetuta ancora oggi, l’Italia avrebbe portato cultura e civiltà, in realtà ha portato solo morte e distruzione. 
„I veri barbari siamo noi“, scrisse a suo tempo il giornale socialista „Avanti“.
Nella guerra d’aggressione contro l’Austria a partire dal 1915 gli Alpini sostennero gran parte dei combattimenti soprattutto sul fronte col nostro Tirolo. 
Dopo la guerra la propaganda fascista creò il mito dell’Alpino come soldato montanaro che avrebbe conquistato per l’Italia quella parte delle Alpi che sarebbe stata destinata all’Italia dalla natura o addirittura da Dio. 
Fino ad oggi quasi tutti i media italiani si attengono strettamente alla retorica fascista secondo la quale l’Alpino sarebbe un montanaro semplice, tenace, buono, coraggioso e patriottico. 
Italiani-in-AlbaniaIn questo spirito nazionalistico fu fondata nel 1919 l’Associazione Nazionale Alpini (ANA), associazione subito allineata al regime fascista dal quale non si è mai distanziata in modo inequivocabile.
Un ruolo molto importante gli Alpini hanno svolto nella guerra d’annientamento contro l’impero etiopico (1935-1936). 
Proprio per questa guerra fu costituita il 31 dicembre del 1935 la divisione alpina „Pusteria“, che infanga ancora oggi il buon nome della valle. 
In questa guerra l’Italia fece uso delle armi chimiche in quantità mai viste anche contro i civili. 
Le truppe italiane non fecero quasi mai prigionieri. 
Anche gli Alpini parteciparono alle uccisioni di massa della nobiltà etiope e dei religiosi cristiani. 
Soltanto nella città sacra di Debre Libanos furono uccisi circa 2000 tra preti e monaci. 
La Divisione Pusteria partecipò alle battaglie cruente di Tigrai, Amba Aradan, Amba Alagi e Tembien ed ai massacri di Mai Ceu e al lago Ashangi. 
I massacri continuarono anche dopo la fine ufficiale della guerra. 
Nell’aprile del 1937 la Divisione Pusteria ritornò in Italia e sfilò per le vie di Roma. 
Nel 1938 Mussolini ordinò di persona la costruzione di un monumento a Brunico per glorificare le „gesta eroiche“ della Divisione Pusteria. 
Davanti a questo monumento degli orrori gli Alpini depongono ancora oggi delle corone.
La Divisione Pusteria intervenne anche quando l’Italia il 10 giugno del 1940 dichiarò guerra alla Francia. Successivamente partecipò all’aggressione contro la Grecia, aggiungendosi alla „Julia“ presente in questa campagna sin dall’inizio. 
L’occupazione italiana della Grecia costò la vita a circa 100.000 Greci. 
La Divisione Pusteria fu trasferita nell’estate del 1941 in Montenegro ed in Croazia per la lotta contro i partigiani. 
Il comportamento degli Alpini in questi paesei balcanici non era meno crudele che in Etiopia. 
Interi paesi furono bruciati, persone sospette torturate ed uccise.
Un capitolo a parte merita la partecipazione degli Alpini alla guerra contro l’Unione Sovietica. 
L’Italia dichiarò la guerra all’Unione Sovietica il 23 giugno del 1941, un giorno dopo che la Germania nazista aveva attaccato questo paese. 
Mussolini inviò tre divisioni di fanteria, il cosiddetto Corpo di spedizione italiana in Russia (CSIR) al fronte orientale. 
Nel 1942 il numero delle divisioni aumentò a dieci, che formarono la nuova VIII Armata oppure „Armata italiana in Russia (ARMIR). 
Di queste dieci divisioni tre erano divisioni alpine, e cioè Cuneense, Julia e Tridentina. 
I comportamenti dei soldati italiani nei confronti della popolazione dei territori occupati non si differenziarono da quelli dei soldati nazisti. 
Secondo le direttive degli alti comandi ogni resistenza attiva o passiva della popolazione civile era da reprimere con metodi durissimi. 
Le cosiddette spie erano da giustiziare sul posto. 
Il generale Gabriele Nasci, comandante del corpo alpino, aveva dato l’ordine di rispondere con „rappresaglie di severità esemplare“ ad ogni atto ostile. 
Le truppe dovevano prendere ostaggi ed ucciderli nel caso fosse necessario. 
Diversi documenti provano come questo sia veramente successo. 
I commissari politici delle forze armate sovietiche, i „ribelli“ e gli „elementi indesiderati“ come ebrei e nomadi venivano consegnati il più presto possibile ai tedeschi, conoscendo ed approvando quello che era loro destinato. 
Ampiamente documentata è la completa distruzione dei paesi di Snamenka e di Gorjanowski nell’ Ucraina nonché l’uccisione di tutta la popolazione di questi paesi da parte delle truppe italiane. 
L’Unione Sovietica ha condannato per crimini di guerra diversi ufficiali italiani, caduti in prigionia, ed ha chiesto l’estradizione di diversi altri criminali di guerra all’Italia, estradizione negata dall’Italia. 
Perfino comandi militari tedeschi criticavano a volte il comportamento troppo crudele degli italiani, mentre il comandante dell’ARMIR, generale Giovanni Messe, scrisse subito dopo la guerra che il corpo di spedizione italiano si sarebbe distinto da tutti gli altri eserciti „per la sua cultura superiore, il suo senso di giustizia e la sua comprensione umana“. 
Nelle lettere dei soldati italiani, raccolte nel centro di censura a Mantova, si legge invece di soprusi e di uccisioni di civili. 
Dopo la guerra è uscita in Italia una ricca letteratura giustificativa che ha creato il nuovo mito dell’Alpino come vittima e non come colpevole in questa campagna di Russia. 
In realtà gli alpini erano vittime di un governo irresponsabile. 
Dei 57.000 Alpini che parteciparono all’aggressione contro l’Unione Sovietica, soltanto 11.000 ritornarono. Erano però non solo vittime, ma anche colpevoli . 
Il loro sacrificio è stato strumentalizzato dal fascismo, e questo viene fatto ancora oggi, per giustificare comportamenti non giustificabili e creare nuovi miti.
Uno di questi nuovi miti è quello di Nikolajewka. 
Secondo questa leggenda la Divisione Tridentina avrebbe sfondato il 26 gennaio 1943, dopo aspri ed eroici combattimenti, l’accerchiamento sovietico, aprendo la strada verso ovest a tanti soldati sia italiani che tedeschi. 
In realtà l’accerchiamento è stato rotto dal 24° corpo corrazzato tedesco. 
Più di questo falso storico-militare preoccupa però il fatto che gli alpini ricordano ancora oggi una presunta vittoria in una guerra criminale, identificandosi in questo modo ancora oggi con questa guerra.
Dopo la guerra il governo Degasperi, dopo l’amnistia decretata dal ministro alla giustizia Togliatti, ha fatto di tutto per impedire procedimenti contro militari italiani per crimini commessi in Libia, Etiopia, nei paesi balcanici o nella Unione Sovietica. 
Si cercava di creare l’impressione che le forze armate italiane, pur essendo stata l’Italia alleata della Germania nazista, si sarebbero sempre comportate in modo impeccabile. 
Nella logica della guerra fredda Gran Bretagna, Francia e Stati Uniti, per tenere l’Italia nel blocco occidentale, non avevano alcun interesse di perseguire crimini di guerra italiani commessi nei paesi comunisti. 
Questo perdono generale per i crimini del regime fascista è stato fondamentale per la memoria collettiva europea.
Dopo la guerra gli Alpini hanno sempre dato grande importanza alla continuità della loro tradizione e non hanno mai preso le distanze dal loro passato. 
La deposizione di fiori e corone ai monumenti di Merano e Brunico dimostra che gli Alpini non si vergognano per niente dei crimini commessi in Libia ed in Etiopia.
In Sudtirolo gli Alpini si comportarono sempre da forze occupatrici. 
A Bressanone riuscirono nel 1958 a far sospendere il sindaco Valerius Dejaco per sei mesi, perché si era rifiutato di partecipare il 4 novembre alla festa degli Alpini per la „vittoria“ contro la popolazione che il sindaco stesso rappresentava. 
Oggi tutto questo non si vuole ricordare. 
Si cerca invece di costruire nuove leggende come quella che il greto del Talvera a Bolzano sarebbe stato sistemato dagli Alpini, leggenda sfatata ampiamente dall’ex-direttore dei bacini montani.

Tratto da (CLICCA QUI)
Letteratura (piccola scelta):

A riguardo dei crimini di guerra italiani in Libia ed Etiopia:
  • Angelo Del Boca, Gli italiani in Libia, 2 volumi, Roma, Bari, 1986-88
  • Nicola Labanca (ed.), Un nodo. Immagini e documenti sulla repressione coloniale in Libia. Bari 2002
  • Asfa Wossen Asserate, Aram Mattioli (Hg.), Der erste faschistische Vernichtungskrieg. Die italienische Aggression gegen Äthiopien 1935-1941. Köln 2006
  • Aram Mattioli, Experimentierfeld der Gewalt. Der Abessinienkrieg und seine internationale Bedeutung. Zürich 2005
  • Gerald Steinacher (Hg.), Zwischen Duce und Negus. Südtirol und der Abessinienkrieg 1935-41. Bozen 2006
A riguardo dei crimini di guerra italiani nell’Unione Sovietica:
  • Thomas Schlemmer (Hg.), Die Italiener an der Ostfront 1942/43. Dokumente zu Mussolinis Krieg gegen die Sowjetunion, München 2005.
A riguardo della cultura della memoria italiana:
  • David Bidussa, Il mito del bravo italiano, Milano 1994

 

LA GRECIA CHIEDE ALLA GERMANIA IL RISARCIMENTO PER I CRIMINI COMMESSI DAI NAZISTI

BANDIERA GRECASono iniziati a Bruxelles i colloqui tecnici fra la Grecia e i creditori internazionali sulle riforme proposte dal governo Tsipras nell'ambito della revisione del programma europeo di sostegno finanziario ad Atene. 
E dalla troika si passa al formato del 'Brussels Group', il nuovo nome del gruppo formato dal governo greco e dalle tre istituzioni dell'ex troika, Commissione europea, Bce e Fmi, a cui si è aggiunto anche il fondo salva-Stati Esm, lo European Stability Mechanism. 
E domani, secondo quanto si apprende da fonti europee, incontri tecnici si terranno anche ad Atene.
Intanto il ministro della Giustizia greco si è detto pronto a firmare una sentenza della Corte Suprema che consentirà al governo di sequestrare beni tedeschi come parziale risarcimento per i crimini commessi nel paese dai nazisti. 
Riferendosi a una decisione pronunciata nel 2000 dalla massima istanza giuridica del paese, Nikos Paraskevopoulos ha ricordato che il provvedimento sosteneva il diritto dei sopravvissuti della città di Distomo – dove nel 1944 le forze naziste uccisero oltre 218 persone – a chiedere un risarcimento.

"La legge – ha ricordato il responsabile della Giustizia – stabilisce che per attuare il provvedimento è necessario un ordine del ministro. 
Ritengo che tale permesso debba essere dato e sono pronto a farlo", ha aggiunto, nel corso di un'intervista all'emittente Ant1. 
Ieri il Parlamento ellenico aveva deciso di creare una commissione incaricata di chiedere il pagamento dei danni di guerra alla Germania.

Nazisti-Grecia-1024x647-1426086311La replica di Berlino non si è fatta attendere: la questione delle riparazioni di guerra è già stata legalmente e politicamente risolta. 
"Dovremmo concentraci sulle questioni attuali e su ciò che speriamo sia un buon futuro per i nostri due paesi", ha dichiarato il portavoce del governo tedesco, Steffen Seibert.
Tratto da (CLICCA QUI)

WIKIPEDIA ITALIA – IGNORANZA O MALAFEDE SUI MOVIMENTI DI LIBERAZIONE NAZIONALE ?

asino ignoranteSiamo forse di fronte all’ennesima manovra di manipolazione e di condizionamento dell’informazione da parte del regime d’occupazione italiano?
L’enciclopedia “libera” Wikipedia-italia asserisce che i Movimenti di Liberazione Nazionale sono soggetti di diritto internazionale se esercitano di fatto il controllo su di un territorio e una popolazione, in luogo dello stato che ha la sovranità formale.
Ecco la citazione (che trovate a questo indirizzo http://it.wikipedia.org/wiki/Soggetto_di_diritto):
“…Sono soggetti del diritto internazionale: … i Movimenti di liberazione nazionale che esercitano di fatto il controllo su di un territorio e una popolazione, in luogo dello stato che ha la sovranità formale.
Precisiamo:
In realtà, a differenza dei movimenti insurrezionali, per il riconoscimento di status internazionale ai movimenti di liberazione nazionale non c'è bisogno del controllo effettivo sul territorio.
In molti casi, infatti, capita che questi vengano ospitati dagli Stati limitrofi e da qui conducano le loro battaglie.
Ovviamente l'obiettivo finale dei movimenti è l'acquisizione dell'autorità sul territorio, quindi l'elemento territoriale acquista importanza, ma in prospettiva.
Per acquisire lo status internazionale, comunque, i movimenti hanno bisogno di un apparato organizzativo in grado di gestire le relazioni internazionali.
L’articolo 96.3 del Primo Protocollo di Ginevra del 1977 dispone infatti che i popoli, come tutti i soggetti di diritto internazionale (ivi compreso il Movimento di Liberazione Nazionale), devono disporre di un apparato istituzionale che possa gestire le loro relazioni internazionali.
Tra le norme consuetudinarie applicabili ai movimenti di liberazione nazionale vi sono, oltre al diritto all'autodeterminazione dei popoli, anche quello di stipulare trattati internazionali e sono destinatari delle norme sulla protezione e immunità degli individui che agiscono per conto loro.
WSM
Venetia, 12 marzo 2015
Sergio Bortotto, Presidente del MLNV e del Governo Veneto Provvisorio.
 
wikipediola

LA NUOVA BANDIERA DELLA KABYLIE

L’opération lancée par le MAK il y a deux ans a enthousiasmé l’opinion kabyle militante. 
En tout, 99 exemplaires de drapeaux ont été proposés au vote. 
Les élections ont eu lieux en Kabylie et dans de nombreuses villes d’Europe et d’Amérique du Nord.
Si la majorité écrasante des partisans d’une Kabylie libre ont salué chaleureusement le nouveau drapeau, les Kabyles et les Algériens hostiles au MAK et à l’idée d’un État kabyle se sont déchaînés après l’annonce. 
La proclamation officielle du drapeau kabyle aura lieu en Kabylie dont le lieu n’a pas encore été choisi et à Paris, place de la République annonce le GPK.
Le drapeau de la Kabylie est le 5e drapeau berbère qui vient rejoindre le drapeau amazigh, celui de l’Azawad, du Rif, des îles Canaries et des Chaoui.

Tratto da (CLICCA QUI)

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2015.03.08 – GIORNATA INTERNAZIONALE DELLA DONNA … AUGURI!

SI FESTEGGIANO LE RICORRENZE MA SI REPRIMONO I DIRITTI 2

 

 

 

 

E FINSERO FELICI E CONTENTI.
L'italia dimostra come sempre una grande ipocrisia nel celebrare le feste e le ricorrenze anche per il riconoscimento di diritti fondamentali, come quelli rivendicati dalle donne.
Nel frattempo, come per le donne di allora, oggi l'italia con ripugnante ipocrisia ignora il diritto di autodeterminazione del Popolo Veneto.
Per tali ragioni anche in questa occasione vogliamo festeggiare le donne ricordando il coraggio e la determinazione di alcune donne venete … le “done de Besica e Loria” durante l’insorgenza contro le autorità d’occupazione napoleoniche di allora … la combattitività delle "loriate" e delle "bessegate" da un appunto sul diario di Pietro Basso, "sartor" di Asolo che l'8 luglio 1809 scrive "Le done de Loria, accordate con quele de Besega, le a desfà la municipalità" …“correva l' 8 luglio di 205 anni fa quando le donne di Loria e Bessica hanno scritto un capitolo dell'insorgenza veneta contro il regime napoleonico.”
Auguri a tutte le Donne.
WSM
Venetia 8 marzo 2015
Sergio Bortotto, Presidente del MLNV e del Governo Veneto Provvisorio.

Come ogni anno anche nel 2015, l’8 marzo si celebra la Giornata Internazionale della Donna, che in Italia molti conoscono come la Festa della donna.
In molti credono che questa ricorrenza nasca in memoria di alcune operaie morte nel rogo del 1908 della Cotton, una fabbrica di New York. Non è vero.
La Giornata Internazionale della Donna è infatti nata un anno più tardi, nel 1909 (sempre negli Usa), per merito del Partito Socialista americano che, il 28 febbraio, diede vita a una manifestazione per il diritto di voto delle donne.
Successivamente, tra il novembre 1908 e il febbraio 1909, migliaia di operaie di New York scioperarono per settimane: chiedevano un aumento del salario e un miglioramento delle condizioni di lavoro.
E così, nel 1910 l’VIII Congresso dell’Internazionale socialista, decise di istituire una giornata dedicata alle donne.
Ma la data che cambiò il corso di questa storia fu il  25 marzo del 1911 quando nella fabbrica Triangle di New York si sviluppò un incendio e 146 lavoratori (soprattutto donne) morirono.
La data dell’8 marzo entrò per la prima volta nella storia della Festa della Donna qualche anno più tardi, nel 1917: un gruppo di donne di San Pietroburgo scesero in piazza per chiedere la fine della guerra; le delegate della Seconda conferenza internazionale delle donne comuniste a Mosca scelsero l’8 marzo come data in cui istituire la Giornata Internazionale dell’Operaia.
Il simbolo, come noto, è la mimosa.
Perché?
Semplice: è uno dei pochi fiori che fiorisce a marzo.
La Giornata internazionale della donna (comunemente definita Festa della donna) ricorre l'8 marzo di ogni anno per ricordare sia le conquiste sociali, politiche ed economiche delle donne, sia le discriminazioni e le violenze cui sono ancora oggetto in molte parti del mondo.
Questa celebrazione si è tenuta per la prima volta negli Stati Uniti nel 1909, in alcuni paesi europei nel 1911 e in Italia nel 1922, dove si svolge ancora oggi.

Clara_zetkinIl «Woman's Day» negli Stati Uniti (1908-1909)
Nel VII Congresso della II Internazionale socialista, tenuto a Stoccarda dal 18 al 24 agosto 1907, nel quale erano presenti 884 delegati di 25 nazioni – tra i quali i maggiori dirigenti marxisti del tempo, come i tedeschi Rosa Luxemburg, Clara Zetkin, August Bebel, i russi Lenin e Martov, il francese Jean Jaurès – vennero discusse tesi sull'atteggiamento da tenere in caso di una guerra europea, sul colonialismo, sulla questione femminile e sulla rivendicazione del voto alle donne.
Su quest'ultimo argomento il Congresso votò una risoluzione nella quale si impegnavano i partiti socialisti a «lottare energicamente per l'introduzione del suffragio universale delle donne», senza «allearsi con le femministe borghesi che reclamavano il diritto di suffragio, ma con i partiti socialisti che lottano per il suffragio delle donne».
Due giorni dopo, dal 26 al 27 agosto, fu tenuta una Conferenza internazionale delle donne socialiste, alla presenza di 58 delegate di 13 paesi, nella quale si decise la creazione di un Ufficio di informazione delle donne socialiste: Clara Zetkin fu eletta segretaria e la rivista da lei redatta, Die Gleichheit (L'uguaglianza), divenne l'organo dell'Internazionale delle donne socialiste.
Non tutti condivisero la decisione di escludere ogni alleanza con le «femministe borghesi»: negli Stati Uniti, la socialista Corinne Brown scrisse, nel febbraio del 1908 sulla rivista The Socialist Woman, che il Congresso non avrebbe avuto «alcun diritto di dettare alle donne socialiste come e con chi lavorare per la propria liberazione».
Fu la stessa Corinne Brown a presiedere, il 3 maggio 1908, causa l'assenza dell'oratore ufficiale designato, la conferenza tenuta ogni domenica dal Partito socialista di Chicago nel Garrick Theater: quella conferenza, a cui tutte le donne erano invitate, fu chiamata «Woman’s Day», il giorno della donna.
Si discusse infatti dello sfruttamento operato dai datori di lavoro ai danni delle operaie in termini di basso salario e di orario di lavoro, delle discriminazioni sessuali e del diritto di voto alle donne.
Quell'iniziativa non ebbe un seguito immediato, ma alla fine dell'anno il Partito socialista americano raccomandò a tutte le sezioni locali «di riservare l'ultima domenica di febbraio 1909 all'organizzazione di una manifestazione in favore del diritto di voto femminile».

Fu così che negli Stati Uniti la prima e ufficiale giornata della donna fu celebrata il 23 febbraio 1909.
Verso la fine dell'anno, il 22 novembre, si vide a New York iniziare un grande sciopero di ventimila camiciaie, che durò fino al 15 febbraio 1910.
Il successivo 27 febbraio, domenica, alla Carnegie Hall, tremila donne celebrarono ancora il Woman's Day.Ladies_tailors_strikers
La Conferenza di Copenaghen (1910)
Il Woman's Day tenuto a New York il successivo 28 febbraio venne impostato come manifestazione che unisse le rivendicazioni sindacali a quelle politiche relative al riconoscimento del diritto di voto femminile. Le delegate socialiste americane, forti dell'ormai consolidata manifestazione della giornata della donna, proposero alla seconda Conferenza internazionale delle donne socialiste, tenutasi nella Folkets Hus (Casa del popolo) di Copenaghen dal 26 al 27 agosto 1910 – due giorni prima dell'apertura dell'VIII Congresso dell'Internazionale socialista – di istituire una comune giornata dedicata alla rivendicazione dei diritti delle donne.
Negli ordini del giorno dei lavori e nelle risoluzioni approvate in quella Conferenza non risulta che le 100 donne presenti in rappresentanza di 17 paesi abbiano istituito una giornata dedicata ai diritti delle donne: risulta però nel Die Gleichheit, redatto da Clara Zetkin, che una mozione per l'istituzione della Giornata internazionale della donna fosse «stata assunta come risoluzione».
Mentre negli Stati Uniti continuò a tenersi l'ultima domenica di febbraio, in alcuni paesi europei – Germania, Austria, Svizzera e Danimarca – la giornata della donna si tenne per la prima volta il 19 marzo 1911 su scelta del Segretariato internazionale delle donne socialiste.
Secondo la testimonianza di Aleksandra Kollontaj, quella data fu scelta perché, in Germania, «il 19 marzo 1848, durante la rivoluzione, il re di Prussia dovette per la prima volta riconoscere la potenza di un popolo armato e cedere davanti alla minaccia di una rivolta proletaria.
Tra le molte promesse che fece allora e che in seguito dimenticò, figurava il riconoscimento del diritto di voto alle donne».
In Francia la manifestazione si tenne il 18 marzo 1911, data in cui cadeva il quarantennale della Comune di Parigi, così come a Vienna, dove alcune manifestanti portarono con sé delle bandiere rosse (simbolo della Comune) per commemorare i caduti di quell'insurrezione.
In Svezia si svolse il 1º maggio 1911, in concomitanza con le manifestazioni per la Giornata del lavoro.
La manifestazione non fu ripetuta tutti gli anni, né celebrata in tutti i paesi: in Russia si tenne per la prima volta a San Pietroburgo solo nel 1913, il 3 marzo, su iniziativa del Partito bolscevico, con una manifestazione nella Borsa Kalašaikovskij, e fu interrotta dalla polizia zarista che operò numerosi arresti; l'anno seguente gli organizzatori vennero arrestati, impedendo di fatto l'organizzazione dell'evento.
In Germania, dopo la celebrazione del 1911, fu ripetuta per la prima volta l'8 marzo 1914, giorno d'inizio di una «settimana rossa» di agitazioni proclamata dai socialisti tedeschi, mentre in Francia si tenne con una manifestazione organizzata dal Partito socialista a Parigi il 9 marzo 1914.

L'8 marzo 1917
Le celebrazioni furono interrotte dalla prima guerra mondiale in tutti i paesi belligeranti, finché a San Pietroburgo, l'8 marzo 1917 (il 23 febbraio secondo il calendario giuliano allora in vigore in Russia) le donne della capitale guidarono una grande manifestazione che rivendicava la fine della guerra: la fiacca reazione dei cosacchi inviati a reprimere la protesta incoraggiò successive manifestazioni che portarono al crollo dello zarismo ormai completamente screditato e privo anche dell'appoggio delle forze armate, così che l'8 marzo 1917 è rimasto nella storia a indicare l'inizio della Rivoluzione russa di febbraio.
Per questo motivo, e in modo da fissare un giorno comune a tutti i Paesi, il 14 giugno 1921 la Seconda conferenza internazionale delle donne comuniste, tenuta a Mosca una settimana prima dell'apertura del III congresso dell’Internazionale comunista, fissò all'8 marzo la «Giornata internazionale dell'operaia».
In quei giorni fu fondato il periodico quindicinale Compagna, che il 1º marzo 1925 riportò un articolo di Lenin, scomparso l'anno precedente, che ricordava l'otto marzo come Giornata internazionale della donna, la quale aveva avuto una parte attiva nelle lotte sociali e nel rovesciamento dello zarismo.

La confusione sulle origini della ricorrenza e l'ufficializzazione dell'ONU.
La connotazione fortemente politica della Giornata della donna, l'isolamento politico della Russia e del movimento comunista e, infine, le vicende della seconda guerra mondiale, contribuirono alla perdita della memoria storica delle reali origini della manifestazione.
Così, nel secondo dopoguerra, cominciarono a circolare fantasiose versioni, secondo le quali l'8 marzo avrebbe ricordato la morte di centinaia di operaie nel rogo di una inesistente fabbrica di camicie Cotton o Cottons avvenuto nel 1908 a New York, facendo probabilmente confusione con una tragedia realmente verificatasi in quella città il 25 marzo 1911, l'incendio della fabbrica Triangle, nella quale morirono 146 lavoratori (123 donne e 23 uomini, in gran parte giovani immigrate di origine italiana ed ebraica).
Altre versioni citavano la violenta repressione poliziesca di una presunta manifestazione sindacale di operaie tessili tenutasi a New York nel 1857, mentre altre ancora riferivano di scioperi o incidenti avvenuti a Chicago, a Boston o a New York.
Nonostante le ricerche effettuate da diverse femministe tra la fine degli anni settanta e gli ottanta abbiano dimostrato l'erroneità di queste ricostruzioni, le stesse sono ancora diffuse sia tra i mass media che nella propaganda delle organizzazioni sindacali.
Con la risoluzione 3010 (XXVII) del 18 dicembre 1972[17], ricordando i 25 anni trascorsi dalla prima sessione della Commissione sulla condizione delle Donne (svolta a Lake Success, nella Contea di Nassau, tra il 10 ed il 24 febbraio 1947), l'ONU proclamò il 1975 "Anno Internazionale delle Donne".
Questo venne seguito, il 15 dicembre 1975, dalla proclamazione del "Decennio delle Nazioni Unite per le donne: equità, sviluppo e pace" ("United Nations Decade for Women: Equality, Development and Peace", 1976-1985), tramite la risoluzione 3520 (XXX)[18].
Il 16 dicembre 1977, con la risoluzione 32/142 l'Assemblea generale delle Nazioni Unite propose ad ogni paese, nel rispetto delle tradizioni storiche e dei costumi locali, di dichiarare un giorno all'anno "Giornata delle Nazioni Unite per i diritti delle Donne e per la pace internazionale" ("United Nations Day for Women's Rights and International Peace") e di comunicare la decisione presa al Segretario generale.
Adottando questa risoluzione, l'Assemblea riconobbe il ruolo della donna negli sforzi di pace e riconobbe l'urgenza di porre fine a ogni discriminazione e di aumentare gli appoggi a una piena e paritaria partecipazione delle donne alla vita civile e sociale del loro paese.
L'8 marzo, che già veniva festeggiato in diversi paesi, divenne la data ufficiale di molte nazioni.
 

SOLIDARIETA’ AL POPOLO VENETO DA PARTE DEL POPOLO DELLA KABYLIE

Riceviamo e pubblichiamo:
À info@mlnv.org Aujourd’hui à 9h56 AM
La solidarité au peuple Venitien.
Le devoir de solidarité nous interpelle à soutenir les causes justes,comme celles des peuples autochtones en voie de disparition programée par les régimes fachistes coloniaux.
IDLE NO MORE KABYLIE. tient à etre au coté du peuple Vénitien. pour son combat noble qui est sa souverainté sa dignité sa libérté.
Le peuple Venitien doit s'unir en un seul homme faire face au génocide culturel ,linguiste du pouvoir colonial de Rome.
Comme la fermeture du site du MLNV. IDLE NO MORE KABYLIE. lance un appel à unité d 'action mondiale pour l 'autodétermination des peuples autochtones.
L'urgence l 'exige.soyons solidaires.
Pour une amitié des peuples Kabyle,Vénitien.
Taddukli ad yawin talwit.
AT mislayen. 07-03-2015.
IDLE NO MORE KABYLIE.

Lamara Agawa
Mairead Tagg
Roger Nymo

Solidarietà al Popolo Veneto. 
Il dovere di solidarietà ci chiama a sostenere le giuste cause, come quelle dei popoli autoctoni in via di estinzione programmata dai regimi fascisti coloniali. 
IDLE NO MORE KABYLIE ci tiene ad essere a fianco del Popolo Veneto per la sua nobile battaglia che è il ripristino di sovranità, la propria dignità e la libertà. 
Il Popolo Veneto deve unirsi in un unico soggetto e far fronte al genocidio culturale e linguistico e al potere coloniale di Roma come dimostra la chiusura del sito del MLNV. 
IDLE NO MORE KABYLIE lancia un appello per una unità d'azione mondiale per l'autodeterminazione dei popoli.
L'urgenza lo esige.
Siamo solidali. 
Per un'amicizia dei Popoli Kabyle e Veneto. 
Taddukli ad yawin talwit. 
AT mislayen. 07-03-2015.
IDLE NO MORE KABYLIE.
Lamara Agawa
Mairead Tagg
Roger Nymo

DONBASS – “ABBIAMO COSTRUITO UNO STATO INDIPENDENTE”.

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Intervista al Vicepremier della Repubblica Popolare di Donetsk, Mikhail Mnukhin
Global Research, 7 marzo 2015

Abbiamo l’onore di intervistare il Primo Viceministro degli Esteri della Repubblica Popolare di Donetsk Mikhail Mnukhin, che ci parla della crisi nella RPD, della storia del Donbas e del suo rapporto con l’Ucraina, e delle iniziative per porre fine al conflitto. Per ulteriori corrispondenze è possibile visitare il sito ufficiale del MdE della DPR.

 
Haneul: Un anno dopo il colpo di Stato di Euromajdan sostenuto dagli Stati Uniti, l’Ucraina è ancora impegnata in una guerra civile lunga e sanguinosa. Quali progressi avete fatto nella lotta contro i militari ucraini e i fascisti di Svoboda e Settore destro?
Mikhail: Primo e più importante, abbiamo costruito uno Stato indipendente. Anche se alcune parti del nostro territorio sono ancora controllate dalle forze armate ucraine, il sistema statale della RPD è completamente operativo e controlla tutte le operazioni vitali. Possiamo pagare stipendi e spese sociali, formare bilanci statali e organizzare il commercio estero. Il leader della Repubblica, (il Primo ministro) Aleksandr Zakharchenko, e il supremo organo legislativo, il Consiglio del Popolo, oggi nella RPD sono autorità elette legittimamente. Le elezioni dei consigli locali avranno luogo presto. Va sottolineato che abbiamo raggiunto tutti questi obiettivi durante l’incessante ostilità e blocco delle autorità ucraine, oltre alla critica situazione umanitaria nella regione. A nostro avviso, tutti questi problemi sono i principali argomenti nella lotta contro il nostro nemico. Siamo riusciti non solo a sopravvivere, ma anche a sviluppare un vero e proprio Stato. Militarmente, l’esercito della RPD ha dimostrato al mondo intero la sua efficienza e le numerose magnifiche vittorie sulle truppe ucraine l’attesta. Si noti che il numero di soldati ucraini supera i nostri, così come nell’equipaggiamento militare. Tuttavia, insisteremo sempre e continueremo a desiderare una soluzione pacifica del conflitto. Non abbiamo mai cercato di annientare l’Ucraina e gli ucraini. Tuttavia, il nostro problema fondamentale è dare sicurezza al popolo e creare le condizioni per una vita normale e pacifica. Siamo sempre pronti al dialogo, anche con Kiev.
Haneul: Dopo il referendum dell’11 maggio, la RPD si è dichiarata indipendente dall’Ucraina, ma la comunità internazionale ha denunciato il diritto a farlo. Mi può dire cosa ciò significa per la costruzione della democrazia?
Mikhail: La questione del riconoscimento della RPS resta urgente, anzi è la priorità principale del lavoro dei nostri ministri oggi, e progrediamo gradualmente in questa direzione. La Repubblica dell’Ossezia del Sud ha ufficialmente riconosciuto la RPD stabilendo contatti diplomatici. La Repubblica di Abkhazia ha anche annunciato disponibilità a riconoscere la RPD. Inoltre lavoriamo in altri settori della cooperazione e con Paesi di ogni continente. Alcuni ci hanno ufficialmente riconosciuti altri no. Inoltre, promuoviamo attivamente la cooperazione con altri movimenti sociali e politici per sostenere l’autodeterminazione dei loro territori. Questo processo è piuttosto lungo e complesso. Sulla posizione di un certo numero di Paesi occidentali verso di noi ne comprendiamo molto bene le ragioni. Dovrebbero decidere se riconoscere o no la nostra Repubblica, non dipende da noi. Da parte nostra possiamo garantire questo processo dimostrando la nostra coerenza di membri a pieno titolo della comunità internazionale. E’ paradossale che, anche se i cittadini del nostro Stato sono simili a quelli di Stati Uniti, Gran Bretagna o Giappone, dobbiamo ancora dimostrare il nostro diritto ad esistere. A questo proposito, abbiamo grandi aspettative dall’opinione pubblica, in particolare nei Paesi occidentali, che inizia a cambiare. Persone da tutto il mondo conoscono sempre più la verità su di noi, e ci auguriamo che le autorità abbiano un atteggiamento obiettivo verso la RPD.
Haneul: Può parlarci della storia dell’Oblast di Donetsk e della relazione con la Russia? Perché la RPD ha deciso di rimanere autonoma invece d’integrarsi nella Federazione Russa come la Crimea?
Mikhail: Il Donbas è sempre stato un luogo di enorme risorse umane, il luogo dove persone di tutte le nazionalità si univano per lavorare insieme, utilizzando il russo come lingua comune. Il risultato è la piattaforma politica unica sorta nel Donbas, le cui conseguenze si possono osservare oggi. Tutto ciò spiega perché il Donbas ha sempre cercato autonomia e indipendenza. La Crimea ha compiuto il suo lungo viaggio infine ritornando alla Russia. Tuttavia, siamo due regioni distinte e abbiamo una storia diversa. Non abbiamo l’obiettivo di unirci alla Russia quale priorità ora, ma seguiamo il nostro percorso nel creare uno Stato indipendente. Abbiamo risolto i problemi sociali ed economici apportati dall’aggressione militare dell’Ucraina e dal suo totale blocco economico e nei trasporti alla nostra terra.
Haneul: Storicamente, gli ucraini subirono nel 1941 il pogrom di Leopoli, quando l’esercito insurrezionale ucraino collaborava con i nazisti uccidendo migliaia di cittadini polacchi e ucraini. Credete che si stia rivivendo tale incubo? Chi dovrebbe esserne ritenuto responsabile?
Mikhail: Sottolineiamo che l’Esercito insurrezionale ucraino (UPA) non agì da solo durante la seconda guerra mondiale. Con il sostegno di Stati esteri, l’UPA esisteva in alcune regioni nel 1946-48 quale strumento locale della guerra fredda. Tuttavia, l’ideologia nazionalista ucraina non sé cambiata, solo i suoi padroni. La ripetizione è una caratteristica peculiare della storia. La tragedia ad Odessa, la repressione dei dissidenti e i molteplici crimini di guerra lo dimostrano. Organizzazioni e persone di cui sopra seguono purtroppo gli esempi dei loro capi storici e idoli. Tuttavia dovrebbero ricordare il destino dell’UPA e dei suoi capi, che in parte anticipa il loro. Potete vedere nel corso della storia le azioni dell’UPA e di altri gruppi nazionalisti, rivolte non solo contro i polacchi, ma anche contro russi, ebrei e altre etnie. Coloro che sostengono il neonazismo in Ucraina dovrebbero pensare contro chi i nazisti punteranno le loro armi domani.
Haneul: Quali organizzazioni internazionali collaborano con il governo fornendo aiuti umanitari ai vostri cittadini, e per quanto tempo pensate tale crisi durerà? Come possono le persone nel mondo segnalare, assistere o finanziare la vostra causa?
Mikhail: Siamo aperti al dialogo, sempre pronti ad accettare l’aiuto di tutte le organizzazioni e dei privati. C’è una serie di organizzazioni che opera nella RPD come Croce Rossa Internazionale, Medici senza Frontiere e decine di altri enti di beneficenza. Le nostre esperienze hanno dimostrato che non siamo soli, che molte persone di numerosi Paesi sono pronte ad aiutarci sinceramente e liberamente. Ad esempio, abbiamo ricevuto un paio di camion con medicinali dalla Germania, raccolti con l’aiuto di alcuni parlamentari del Bundestag. Ricordate che il Donetsk attualmente subisce un blocco economico completo. L’invio diretto di risorse finanziarie, prodotti alimentari e altro alla RPD è impossibile ora, ma cerchiamo di risolvere sempre tale problema. Siamo molto soddisfatti e apprezziamo il desiderio della gente nel mondo di aiutarci.
Haneul: Credi che il Premier Aleksandr Zakharchenko avrebbe dovuto prendere parte al secondo accordo di Minsk in Bielorussia? Perché i Quattro di Normandia (Russia, Ucraina, Germania e Francia) non includono ai colloqui di pace Donetsk, Lugansk e Crimea? I colloqui di pace hanno contribuito ad alleviare le tensioni nel Donbas, o credete che ci debbano essere colloqui distinti tra RPD e altri gruppi?
Mikhail: Le situazioni di RPD, RPL e Crimea non possono combinarsi nei negoziati, la Crimea è già parte della Russia. La Repubblica Popolare di Donetsk è una delle parti in conflitto, quindi senza la partecipazione di Aleksandr Zakharchenko, una risoluzione negoziata è impossibile. Tuttavia, possiamo spiegare la dura presa di posizione di Kiev che tenta d’ignorare RPD e RPL nei negoziati. L’Ucraina considera la tregua come periodo per accumulare forze militari e prepararsi ad ulteriori ostilità, Kiev non ha mai mostrato piena disponibilità a una pace duratura. Il vero conflitto è fra il governo ucraino e il popolo del sud-est, che dovrebbero negoziare. A parte questo, l’ingresso della RPD nei negoziati significherebbe raggiungere un nuovo status, cosa che l’Ucraina cerca d’impedire. Inoltre, l’Ucraina tenta d’ampliare il numero dei partecipanti al conflitto, come Germania e Francia, per averne le armi. Speriamo che non accada. Siamo soddisfatti del punto di vista di Germania e Francia; hanno iniziato a cambiare posizione sul Donbas. Ci aspettiamo che, invece di altre sanzioni, avviino missioni umanitarie per fermare la catastrofe, e non peggiorarla. Siamo sicuri che ci sarà la pace alla fine, ma non possiamo raggiungerla con continue concessioni da un lato e continue violazioni dall’altro. La pace è sempre un compromesso e siamo pronti a questo, ma solo dopo che garantiremo la sicurezza dei nostri cittadini.
Haneul: Gli Emirati Arabi Uniti hanno già promesso armi ai militari ucraini, e gli Stati Uniti pensano di armare direttamente la junta. In questo caso, quali saranno le conseguenze per la situazione attuale? Sarà l’escalation a un grande conflitto tra superpotenze?
Mikhail: Secondo le attuali informazioni, i contratti sulle armi stipulati tra Ucraina ed Emirati Arabi Uniti non sono un problema significativo, e crediamo personalmente siano solo pubblicità. Dubitiamo che Kiev sia riuscita a convincere i partner a fornirle armi a credito, non ha abbastanza soldi per comprarle. Un altro problema sono le armi dagli Stati Uniti. Secondo informazioni confermate, non hanno mai smesso di rifornire l’Ucraina. Lungo il fronte, dopo il ritiro di ogni forza ucraina, si trovano facilmente armi fabbricate negli USA, anche artiglieria pesante. Inoltre, la grande quantità di personale statunitense che addestra soldati ucraini suscita grave preoccupazione. In che modo dobbiamo stimarne il risultato? Denunciare la partecipazione di Washington nel conflitto nel Donbas è difficile, ma interventi diretti avvengono e crescono ogni mese, quindi è molto difficile prevederne le conseguenze.

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Per ulteriori informazioni, si prega di visitare The Last Defense o seguire su Twitter @thelastdefense
Copyright © 2015 Global Research
Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora

2015.02.02 – IL NORDEST … NON E’ IL NOSTRO PRESIDENTE

Viaggio tra gli imprenditori del Veneto mentre a Roma si votava il capo di Stato.
Si parte da Padova, dove incontro in un bar un gruppo di imprenditori e lavoratori autonomi.
Ci spostiamo da Luigi Castellani: anche lui imprenditore in crisi ma determinato a restare in Italia a combattere il sistema.
Chi delocalizza invece è Francesco Biasion della Bifrangi, che ha già aperto un nuovo stabilimento in Carinzia.
Andiamo oltre confine per capire come effettivamente si lavora e si vive nella regione più meridionale dell’Austria.
Lì incontriamo Carmine, chef che ha aperto da due anni il suo Ristornate a Villach. e anche Elisa, pronta a delocalizzare per dare ai suoi figli un futuro migliore.
(Francesca Carrarini)

 

RISCHIO DEL RIGASSIFICATORE DI ZAULE PER IL GOLFO E IL PORTO DI TRIESTE

GRAVISSIMO PER IL PORTO !!!!
LA SERRACCHIANI CONFERMA CHE PERMANE IL RISCHIO DEL RIGASSIFICATORE DI ZAULE PER IL NOSTRO GOLFO E IL NOSTRO PORTO –
IL COMITATO PER LA SALVAGUARDIA DEL GOLFO DI TRIESTE HA EMESSO IL COMUNICATO CHE RIPORTIAMO SOTTO –
INVITIAMO ALLA VIGILANZA IN VISTA DI UNA MOBILITAZIONE CITTADINA PER IL "PORTO FRANCO INTERNAZIONALE DI TRIESTE" CHE RISCHIA IL DECLASSAMENTO SIA PER L' UNIFICAZIONE DELLE AUTORITA' PORTUALI CHE PER IL RIGASSIFICATORE –
 
Comunicato
In un recente incontro informale per la ferriera, a cui siamo stati invitati, la presidente Serracchiani ci ha informati che sul rigassificatore di Gas Natural a Zaule, la partita è ancora aperta e che sarà necessario riprendere la mobilitazione.
Questa è una affermazione gravissima che ci fa presumere che, come da sempre sospettato, il governo voglia imporci il rigassificatore ad ogni costo, senza tener in alcuna considerazione le controindicazioni, scrupolosamente documentate, evidenziate da tutti gli studiosi, scienziati e tecnici (quelli non ammanigliati) interpellati, e la contrarietà di Comune, Provincia, Regione e cittadini. Senza entrare nei particolari vogliamo solo ricordare che dappertutto gli impianti di questotipo vengono costruiti mettendo al primo posto la protezione delle persone e dell’ambiente nonché la salvaguardia delle altre attività marittime e portuali. Solo per Trieste si vogliono ignorare queste prescrizioni.
A quale scopo? E’ inutile continuare a mettere la testa sotto la sabbia: l'Italia vuole imporci questo impianto per distruggere definitivamente Trieste e il suo polmone, che è il Porto.
Non solo, vogliono trasformare questa località nella pattumiera d’Italia concentrandovi tutte le attività più pericolose e inquinanti che altri non vogliono. A tal proposito, in una conferenza organizzata pochi mesi fa all'Excelsior ed alla quale era presente il nostro sindaco, personalità autorevoli dissero che il porto di Trieste è stato boicottato fin dal 1954 e che attualmente il piano regolatore portuale era bloccato a causa del rigassificatore. A conferma di questa strategia deleteria per la nostra città, possiamo aggiungere altri fatti preoccupanti: All’Autorità Portuale D'Agostino è stato nominato commissario per sei mesi (dicono con pieni poteri. Ma in sei mesi cosa potrà fare?);
Il governo, così si è letto, ha chiesto contributi a Bruxelles per l'off-schore di Venezia, ma niente per il nostro porto.
Esiste una proposta di accorpare (sottomettere e declassare) il porto di Trieste a quello di Venezia (con il chiaro intento di bloccare definitivamente il nostro porto con il rigassificatore?).
Purtroppo le affermazioni di coloro che da anni vanno dicendo che l'Italia ha l'unico scopo di far morire Trieste, trovano conferma giorno dopo giorno. Trieste è l'unica città che ha perso un terzo dei suoi abitanti negli ultimi quattro decenni (oltre a tutte le attività industriali, commerciali, marittime più importanti).
Non sappiamo fino a che punto i nostri Amministratori e parlamentari siano a conoscenza della situazione, ma se, come dice la presidente Serracchiani, dobbiamo nuovamente mobilitarci, la mobilitazione deve vedere in testa il nostro sindaco e i nostri parlamentari, sempre che per essi sia prioritario il futuro della città e non il profitto di pochi.
Comitato per la salvaguardia del Golfo di Trieste
Mail : amici.golfo.ts@gmail.com
Sito : http://sites.google.com/site/amicigolfots/
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UNPO – “TRA LE MACINE” – MINORANZE IRACHENE DOPO LA CADUTA DI MOSUL

 
INVITO
Vi invitiamo a partecipare al lancio di

"Tra le Macine: minoranze irachene dopo la caduta di Mosul"
Un rapporto di un consorzio di ONG

Data: Venerdì 27 febbraio 2015, 10:00-12:00 (GMT + 1)
Luogo: Passage camera, International Press Center – Residence Palace
155 Rue de la Loi – Blok C, B-1040 Bruxelles
Caffè e rinfreschi saranno serviti
 —
Le comunità delle minoranze in Iraq sono stati presi di mira da parte dello Stato Islamico d'Iraq e al-Sham (ISIS) in una strategia sistematica per rimuovere in modo permanente dalle grandi zone dell'Iraq, avverte un gruppo di organizzazioni per i diritti umani nella loro nuova relazione.
"Tra le Macine: Minoranze dell'Iraq dopo la caduta di Mosul" fornisce informazioni critiche sulla base giuridica per crimini di guerra procedimenti.
La relazione è una pubblicazione congiunta dell'Istituto di diritto internazionale ei diritti umani (IILHR), Minority Rights Group International (MRG), Non c'è Pace Senza Giustizia (NPSG) e le Nazioni e dei popoli non rappresentati Organization (UNPO)
Intervengono:
  • Mays Al-Juboori, MRG
  • Green Johanna, UNPO
  • Alison Smith, NPSG
  • William Spencer, IILHR
INVITATION: REPORT LAUNCH           Brussels, 27 November 2015, 10:00-12:00

 

 

 

 

INVITATION
 You are kindly invited to attend the launch of
“Between the Millstones:  Iraq’s Minorities Since the Fall of Mosul”
A report of a consortium of NGOs

 
Date: Friday 27 February 2015, 10:00 – 12:00 (GMT+1)
Venue: Room Passage, International Press Center – Residence Palace
155 Rue de la Loi – Blok C, B-1040 Brussels
Coffee and refreshments will be served

Minority communities in Iraq have been targeted by the Islamic State of Iraq and al-Sham (ISIS) in a systematic strategy to remove them permanently from large areas of Iraq, warns a group of human rights organizations in their new report.
“Between the Millstones:  Iraq’s Minorities Since the Fall of Mosul” provides critical information on the legal basis for war crimes prosecutions.
The report is a joint publication of the Institute for International Law and Human Rights (IILHR), Minority Rights Group International (MRG), No Peace Without Justice (NPWJ) and the Unrepresented Nations and Peoples Organization (UNPO)
Speakers:

  • Mays Al-Juboori, MRG
  • Johanna Green, UNPO
  • Alison Smith, NPWJ
  • William Spencer, IILHR
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AGGRESSIONI A SFONDO RAZZIALE IN UCRAINA

Pubblicato il 28 dic 2014
Nella nuova Ucraina si moltiplicano gli episodi di violenza nei confronto di persone che sono, anche solo, sospettate di essere russe o di lavorare con o per i russi.
Squadracce di giovani nazionalisti ucraini ,dopo aver assaggiato il sangue di persone innocenti il 2 maggio ad Odessa e dopo aver visto che le autorità di Kiev non solo non li fermano ma fanno di tutto per promuovere queste aggressioni, adesso si sentono i padroni del paese e mantengono il potere attraverso la paura che incutono nella popolazione locale, anche se si tratta dei loro stessi concittadini ucraini.
Questo è solo uno degli ormai molti casi simili…

 

UCRAINA – L’APPELLO DELLA RAGAZZA CHE NON VUOLE LA GUERRA

Fonte del video
Una giovane ragazza sfoga tutta la sua rabbia e la sua delusione nei confronti di una guerra ingiusta.
Una guerra che non vogliono i giovani e nemmeno gli anziani.
La ragazza parla chiaro a proposito del conflitto nel Donbass e lancia un personale attacco a Porosenko.
Regione #Zaporojskaya, provincia #Kamensko#Dneprovskaya, villaggio #Dneprovka.
Fonte
In Ucraina la gente comincia a protestare contro la politica della giunta golpista di #Kiev che costringe gli uomini ad andare in guerra ed ammazzare i propri fratelli per il solo scopo di riempire le tasche degli oligarchi che hanno preso il potere.
Tratto da (CLICCA QUI)

IL POPOLO UCRAINO NON VUOLE LA GUERRA CONTRO I RUSSI

CENSURATO IN TV – Gli ucraini non vogliono la guerra contro i russi

11 febbraio 2015
In Ucraina si combatte una guerra che il popolo non vuole.
Ieri vi abbiamo mostrato il video shock della giovane ragazza che attacca i media, strumenti di divulgazione bugiardi.

Nella notte si è compiuta una strage di civili alla vigilia del vertice tra i leader a Minsk.
I ribelli filorussi hanno lanciato razzi su una zona residenziale di Kramatorsk, nell’est dell’Ucraina: almeno 15 i morti e 25 i feriti.
Vladimir Putin avverte Obama: ci sarà un’escalation se gli Usa forniranno armi a Kiev.
E mentre oggi in Bielorussia siederanno al tavolo delle trattative Germania, Francia, Russia e Ucraina per tentare una soluzione diplomatica del conflitto, il presidente Usa ha chiamato Putin per chiedergli di trattare.

Contrario all’opzione militare Paolo Gentiloni: intervistato da La Stampa, il ministro degli Esteri ritiene che la fornitura di armi all’Ucraina alla fine favorirebbe Putin e che sarebbe molto più efficace un programma di sanzioni alla Russia.
In questo video invece la popolazione ucraina si ribella contro la guerra della giunta di Kiev.


(Fonte video)
“Città di Velikaya, regione di Zaporozhie.
In seguito alla quarta ondata di mobilitazione imposta dal governo della giunta di Kiev, un militare ucraino, che in base al suo accento riteniamo essere dell’ovest del Paese, prova ad arringare la folla facendo propaganda per il governo, nel tentativo di convincere la popolazione di quanto sia giusta la guerra contro il Donbass.
La folla in piazza non sembra però essere particolarmente concorde con le menzogne urlate dal militare.
Una donna inferocita gli strappa il microfono dalle mani e ricorda quanto siano deplorevoli le azioni portate avanti dall’attuale Presidente e dal governo golpista.

Gli ricorda che la Crimea è sempre stata Russa e che a Donetsk e Lugansk non si sono voluti piegare agli usurpatori golpisti di Kiev.
Dalla folla c’è una ovazione per la coraggiosa signora e tanti insulti verso Poroshenko ed il governo criminale di Kiev”.

Tratto da (CLICCA QUI)

I MEGA FINANZIAMENTI AMERICANI ED EUROPEI PER L’UCRAINA MA IN CAMBIO VOGLIONO …

Poroshenko ottiene dal FMI un mega finanziamento per l’Ucraina a condizione di consegnare terre, risorse ed appalti dei servizi pubblici alle grandi corporations USA
Ucraina

di Luciano Lago

Se sei un “pupazzo” dell’Impero USA e consegni la sovranità del tuo paese ai potenti di Washington, ti arriveranno in abbondanza soldi, finanziamenti, armi e multinazionali in cerca di business e pronte a sfruttare le risorse del tuo paese.
Se ti metti invece in urto con questi poteri (come nel caso della Grecia), si chiudono i rubinetti finanziari e rischi il default.
Questa la lezione che si trae da due vicende parallele: quella dell’Ucraina da un lato, dove si è insediato (mediante un golpe) un governo “fantoccio” degli USA e quella della Grecia dove, grazie a libere elezioni, si è insediato un governo popolare ostile alle grandi banche ed ai diktat dalla UE.
Nel primo caso, grazie anche alla nomina di ministri con passaporto USA nel governo (vedi: L’Ucraina vara un governo con ministri stranieri) ed alla totale subordinazione di questo Stato alle direttive di Washington in funzione anti russa, tutto viene concesso, per salvare il paese dallo sfacelo economico dove lo ha trascinato la politica avventurista di una cricca di oligarchi filo americani.
Per l’Ucraina, oltre agli ingenti prestiti messi a disposizione dal FMI, ci saranno altri finanziamenti “multilaterali e bilaterali” per il paese entrato nell’orbita degli USA e della UE, la cui economia potrà nel complesso godere di un sostegno pari a 40 miliardi di dollari in quattro anni.
Lo ha annunciato con orgoglio l’amministratore delegato del Fmi, Christine Lagarde, comunicando i termini dell’ intesa di massima con Kiev per un pacchetto da 17,5 mld di dollari dal Fondo , senza garanzie ma impegnando il governo di Kiev in riforme economiche “ambiziose”.
(Le riforme “ambiziose” già attuate altrove: tagli alla sanità, licenziamenti, tagli alle pensioni, alla scuola, distruzione del welfare eccc.., in pratica il modello Grecia).
Al FMI si affiancheranno altri organismi finanziari quali la Banca per la Ricostruzione e lo Sviluppo, oltre alla stessa BCE (quella che ha negato i finanziamenti alla Grecia), ha riferito la La Garde.
In totale si tratta di “un pacchetto di finanziamenti” in quattro anni per 40 miliardi di dollari, ha precisato.
Discorso totalmente diverso per la Grecia che, nelle sue richieste per dilazione dei debiti e rinegoziazione delle condizioni di appartenenza alla UE, si è vista opporre un netto rifiuto sia dalla BCE che dall’Eurogruppo presso cui si stava conducendo il negoziato.
Obama Biden e figlioIl governo ucraino condurrà il negoziato con i vari finanziatori mettendo sul tavolo tutte quelle che sono le potenziali risorse del paese: miniere, vasti terreni agricoli, zone di prospezione petrolifera da dare in concessione alle multinazionali americane, servizi pubblici da dare in appalto, sanità pubblica ed ospedali da privatizzare, riforme del lavoro (tipo Jobs Act) per omologare il paese, ecc..
In conformità a questo piano, Hunter Biden, il figlio più giovane di Joe Biden, vicepresidente degli Stati Uniti d’America, è entrato nel Consiglio di amministrazione della più importante compagnia di gas dell’Ucraina, la Burisma Holdings.
Questo il prezzo ottenuto dal paese per essersi consegnato “spontaneamente” alla tutela degli USA sottraendosi ai precedenti accordi che intercorrevano con la Russia e gli altri paesi euroasiatici.
Questa vicenda può facilmente indicare quanto siano intimamente connesse le vicende politiche con le leve finanziarie di cui dispongono i poteri dominanti che dettano le regole a livello mondiale.
Se qualcuno ancora ingenuamente riteneva che finanza e scelte di politica internazionale fossero due settori separati, oggi si deve totalmente ricredere.
Nella foto in alto: il presidente ucraiuno poroshenko con Christine La Garde (FMI)
Tratto da (CLICCA QUI)

2015.02.09 – IL VENETO STA CON IL BENZINAIO CHE SPARA

Ecco un altro esempio di cosìè l’italia qui da noi.
Basta Italia, viva la Serenissima Repubblica.
Venethia is not italy.

Graziano Stacchio ha scelto di difendere la commessa di una gioielleria che si trovava in balia di cinque rapinatori.
Ha impugnato il suo fucile e ha fatto fuoco: un proiettile si rivelerà mortale per Albano Cassol, zingaro italiano residente a Treviso.
(Francesca Carrarini e Antonio Palmieri)