Una dichiarazione d’amore negli accordi distorti di una canzone heavy metal.
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«Par San Marco, par ła Serenissima» cantano in lingua veneta i belgradesi Rain Delay, giovane band acclamata dalla critica di settore come una delle migliori del panorama serbo.
Una presenza fissa nelle playlist delle radio locali, qualche apparizione alla tv di stato, e un piccolo esercito di fan disseminato tra i mille paesini dei Balcani («non c’è villaggio della Serbia dove non abbiamo suonato»).
Su di loro è stato anche girato un documentario, attualmente in circolazione nei festival studenteschi della capitale.
Il titolo sintetizza gli otto anni di vita della band in due semplici parole: “San Marco”.
E uno dei pezzi più intensi di “Slumber Recon”, ultima fatica dei Rain Delay, si chiama proprio “Par ti, San Marco”: un inno a Venezia e alla sua storia millenaria.
Mentre il precario presente della città fa da sfondo al brano che ha suggerito il titolo dell’album, “Veneto Slumber Recon”.
Canzoni nate sorseggiando bicchieri di Cabernet rigorosamente veneto, in una sala prove sulla cui parete troneggia il gonfalone col Leone Alato.
«Quella bandiera mi rappresenta» dichiara orgoglioso Dušan Pešić, cantante e chitarrista del gruppo.
27 anni, studente in legge, una cintura rossa di karate e una potenziale carriera di pallamanista «interrotta dall’aggressione NATO del 1999», Dušan ha vissuto tutta la vita a Belgrado, città che non ha intenzione di abbandonare.
Ma a chi gli chiede quale sia la sua patria risponde senz’ombra di esitazione: «Io sono un veneziano.»
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Essere veneziani non è mai stata una questione di sangue.
Chiunque, da qualsiasi paese del mondo, può diventare veneziano se abbraccia un certo tipo di sguardo, un particolare stile di vita.
Quali sono le ragioni per cui ti definisci veneziano?
«Semplicemente, dalla prima volta che ho messo piede a Venezia nel 2002, mi sono sentito a casa.
Ho sentito di trovarmi in un posto dove sarei stato al sicuro da qualunque cosa.
I veneziani secondo la tradizione sono protettori degli artisti e dell’arte stessa, quindi forse il motivo è questo.
Non trovo le parole per spiegare il sentimento che provo quando vedo la bandiera veneta, o quando ascolto l’inno “Na bandiera, na łengoa, na storia”. Ad ogni modo, mi sento bene.
Mettiamola così: anagraficamente, per nascita, sono serbo; culturalmente, per scelta, sono veneziano.»
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“Par ti, San Marco” è cantata in un veneto perfetto.
Come hai imparato così bene questa lingua?
«Due talenti che possiedo sono un discreto orecchio, senza il quale non potrei fare il cantante, e una buona comprensione di quasi tutte le lingue straniere.
In più, ho avuto un grosso aiuto dalla mia cara amica Claudia Schiavon.
Lei è la cantante di una grande band metal veneta, gli An Ocean Between Us, e mi ha aiutato a tradurre il testo.
Da solo non credo davvero che ce l’avrei fatta.
Ho fatto di tutto per entrare in sintonia col suono della vostra lingua: sono andato alla ricerca di madrelingua veneti in Serbia e perfino in Istria, ho guardato video su YouTube, e finalmente sono riuscito, con molta a fatica, a preparare una prima versione della canzone.
L’ho cantata a Claudia durante la mia ultima visita in Veneto, in un incantevole campiello nel sestiere di Dorsoduro, e lei ne è stata assolutamente soddisfatta.
Credo che i serbi (diversamente da italiani, spagnoli, francesi, russi o americani) non abbiano un accento così forte quando parlano una lingua straniera.
La cosa più difficile è stata impadronirmi di quella strana “r” morbida tipica della laguna, che nel mio caso suonava più come la “r” inglese.
Ho trovato che come la pronunciavo io non suonasse affatto bene, così ho deciso di usare piuttosto la “r” rotante.
In combinazione con la “l” morbida (ł), credo di essermi avvicinato alla pronuncia del veneto centrale parlato a Padova.
Ho imparato queste cose dall’introduzione al “Dizionario Veneto-Inglese” di Lodovico Pizzati, che ho ricevuto in regalo dalla mia ragazza.»
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Cantare in veneto per un madrelingua serbo non dev’essere una cosa semplice.
Se ci hai speso tanta fatica immagino tu abbia pensato che fosse importante.
Perché la lingua ha così tanto peso nel vostro omaggio al popolo veneto?
«È sempre meglio rivolgersi alle persone nella loro lingua madre, e nonostante il mio messaggio in “Par ti, San Marco” possa apparire a molti oscuro e complicato, volevo che il tributo a San Marco e alla Serenissima fosse completo nel ritornello.
Ci sono poi tre ulteriori motivi che mi hanno spinto a utilizzare il veneto.
Il primo è che nessun’altra band metal del mondo l’aveva mai fatto (almeno credo, ma potrei sbagliarmi); il secondo che milioni di persone in Serbia e nel resto del pianeta non sanno nulla di questa lingua, e contribuire alla sua diffusione è per me un dovere e un onore; il terzo, e più importante, è che mi è venuto naturale, perché semplicemente amo cantare in veneto.
Ha un suono melodioso e incantevole.
Non vedo l’ora di tornare a cantare in “łengoa Veneta” per il prossimo album dei Rain Delay.»
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In “Par Ti, San Marco” si parla anche di maschere veneziane. Cosa ti ha affascinato di questo tema?
Innanzitutto questa canzone è dedicata alla Repubblica di Venezia, alla sua gente (passata, presente e futura) e al suo patrono San Marco, perché mi ha ispirato come artista, perché ha resistito al tempo e alla storia, perché il suo popolo è meraviglioso, ha saputo creare e conservare un’arte immensa e farsi portatore di una bellezza straordinaria.
L’ispirazione per il pezzo mi venne due anni fa, quando il mondo era dominato dalla psicosi creata da quella grottesca menzogna chiamata “influenza suina”.
A Belgrado molte persone si misero a indossare maschere per protezione.
La mia ragazza (presente nel disco con lo pseudonimo di “Selena Shiseido”) era così spaventata dalla situazione da domandarsi se non dovesse portare anche lei una maschera di quel tipo.
Viveva in preda al terrore: un terrore basato sulle bugie.
Io volevo solo scappare con lei nell’unico posto al mondo dove la gente indossa maschere “par divertirse, e mai par via de la paura”, come dico nella canzone.
Il verso in inglese “niente mi trattiene dal chiudere il libro e impugnare la spada” è invece un riferimento al cambio di bandiere quando la Serenissima passava dal tempo di pace al tempo di guerra.
Mentre il verso successivo “niente… eppure tutto” spiega che se dovessi andare a combattere un’altra guerra, e perciò abbandonare gli studi, perderei molte cose che non potrei mai riavere indietro.
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La prima strofa, in veneto, non parla però né di Venezia né di maschere, ma apre uno scorcio su una scena di vita familiare: un padre che riposa e una madre persa nei suoi pensieri.
Cos’ha a che vedere questo con la Serenissima?
«Come dicevo, è complicato.
In quei versi introduttivi descrivo l’atmosfera di casa mia, in un momento in cui sto affrontando alcune decisioni difficili a livello personale, per esempio riguardo al fatto di abbandonare gli studi, una cosa a cui pensavo molto al tempo in cui scrissi questo testo.
È una scena che a casa mia si ripete spesso: mio padre che schiaccia un pisolino dopo una mattinata di duro lavoro; mia madre, un po’ preoccupata, che fa i mestieri domestici; e io che esco per andare al mio allenamento di jiu-jitsu, con la testa piena di pensieri.
Per qualche misterioso motivo, la mia più grande fonte di ispirazione in momenti simili è il Leone Alato.
Questa rappresentazione biblica di San Marco con le ali d’angelo mi dà forza e mi illumina in tutte le mie “battaglie”, che si tratti di jiu-jitsu, di una rissa da strada in cui vengo coinvolto mio malgrado (A Belgrado ci sono alcuni quartieri violenti), o di qualsiasi altra sfida che la vita mi metta davanti.
Molti altri aspetti di questa canzone sono spiegati nel documentario sui Rain Delay, intitolato “San Marco”.
Questo film, diretto da Filip Cerović, è stato presentato a Belgrado all’inizio di giugno.
Speriamo di poterlo distribuire presto in qualche festival veneziano, o magari in una delle vostre televisioni locali.
Credo che per il pubblico veneto sarebbe piuttosto interessante.»
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“Veneto Slumber Recon” si apre con un’immagine molto poetica: un disperato grido d’allarme lanciato attraverso l’etere da un balcone illuminato dalla luna.
Il messaggio dice: “la città sta affondando.”
Cosa significa?
«Spiegare questo brano è probabilmente una delle domande più difficili che abbia mai ricevuto da un giornalista, come ho già avuto modo di dire in una recente intervista fattami da Claudio Hutte per la web tv VeNETvision.
La Venezia di oggi è la scena principale della canzone, il posto dove si svolge l’azione.
Fino al momento in cui una voce mi scuote, facendomi capire che forse, mentre io credo di stare dormendo (per strada, in Fondamenta della Salute) in una città che affonda, di fatto sto solo sognando di essere lì, mentre nella vita reale c’è un’occasione che a sua volta sta “affondando” proprio in quel momento.
Mi chiama per svegliarmi prima che sia troppo tardi.
Ma il destino è stato gentile con me, non permettendo che io mi svegliassi, perché credo che il proseguire di quel sonno abbia avuto una ragione.
In ogni caso, per i veneziani vale esattamente l’opposto.
Loro sono proprio quelli che devono svegliarsi prima che sia troppo tardi.»
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In questo pezzo sia la musica che le parole esprimono un forte sentimento di nostalgia.
È qualcosa di legato soltanto alla tua esperienza personale, o anche al rimpianto per la Venezia del passato?
«Al tempo in cui ho scritto questa canzone, provavo nostalgia per la mia passata relazione con una persona, la stessa con la quale ebbi l’”occasione” di cui parlavo nella risposta precedente.
La seconda parte del brano, in lingua serba, descrive i miei rapporti con questa persona, ma allo stesso tempo spiega come il destino avesse altri piani per me.
Sinceramente non conosco “la Venezia del passato”, né sono sicuro di aver capito a quale “passato” tu ti riferisca.
Naturalmente la situazione della città era molto migliore prima che la laguna fosse devastata dall’inquinamento e dallo sfruttamento ambientale, ma queste sono cose di cui chiunque può rendersi conto.
Ad ogni modo sarei più propenso ad affrontare il futuro, e lasciare il passato alle poesie e ai libri di storia.»
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Un famoso giornalista italiano, Indro Montanelli, una volta scrisse: “salvare Venezia è già difficile, farlo con i veneziani contro è impossibile.”
Cosa ti senti di dire, dall’altra sponda dell’Adriatico, per convincere i veneziani a prendersi cura della loro città e della loro cultura?
«Molti veneziani oggi non si rendono conto di quello che hanno e di quello che sono.
Due miei amici, uno di Mestre e l’altro degli Alberoni, parlano in continuazione delle cose che non vanno a Venezia: l’invasione dei turisti, i problemi del trasporto pubblico …
Sinceramente non so cosa pensare di questioni come il Mose o roba del genere.
Funzionerà?
Mi auguro di sì.
Nonostante sia piuttosto informato su questi temi, non vorrei addentrarmi nelle faccende politiche della vostra regione.
Su un altro versante, i Rain Delay possono fare la loro parte per preservare la cultura veneziana cantando la gloria della città, suonando e diffondendo “Par ti, San Marco” come una sorta di inno alternativo del popolo veneto (potrebbe diventare una canzone patriottica per il pubblico metal del Veneto).
Ma soprattutto, vogliamo ricordare a queste persone l’esistenza della loro lingua e della loro cultura.
Questo è il mio desiderio più profondo.»
Tommaso Stoppa