TIROLO
SEGNALETICA BILINGUE NEL SUD TIROLO … LE RAGIONI DEL SI
PER NON DIMENTICARE … MAI!
ECCO L’italia OCCUPANTE.
NON ESISTE UN ALTRO “TIROLO” A SUD DEL “SUDTIROLO”
Non sono sinonimi e la storia lo dimostra: le attuali province di Bolzano e Trento formano l'autentico Sudtirolo (Südtirol) o Tirolo Meridionale.
Storicamente, il termine "Welschtirol" non corrisponde solo al Tirolo italiano ma anche alle valli ladine perché, infatti, il termine "Welsch" (wälsch/walsch) identifica i parlanti di lingue romanze e, nel caso tirolese, non identifica soltanto i parlanti di italiano (e delle parlate trentine locali), ma anche i parlanti di ladino.
Il termine "Welschtirol" non venne mai utilizzato in quanto toponimo, perché è una definizione basata sulla lingua, ossia una classificazione linguistica.
Una domanda che mi faccio è: come mai non esiste un'unità sudtirolese all'interno delle strutture culturali che preservano l'identità del Tirolo tra il Passo del Brennero e Borghetto all'Adige?
SCHÜTZENKOMPANIE TRIENT “MAJOR GIUSEPPE DE BETTA”
Domenica 29 gennaio 2017 Trento, Sud Tirolo.
Il MLNV-GVP ha partecipato ad un incontro tenutosi presso la sede della SchutzenKompanie Trient "Major Giuseppe De Betta" alla quale va tutta la nostra gratitudine.
Ottima e splendida occasione per la quale va un sentito ringraziamento anche a Roberto per la possibilità della nostra partecipazione, ad Anna Maria, Fabio e Filippo … e naturalmente Rufus.
Ci siamo sentiti ospiti graditi, insomma dei vicini di casa con cui ci si può intendere molto bene.
Anche loro, come noi, hanno a cuore la loro Patria.
Anche loro come noi, hanno lo stesso problema …
Anche loro come noi, hanno la medesima soluzione:
JUNCKER ARRIVA A BOLZANO … E L’INNO ITALIANO VIENE MESSO A TACERE … FINALMENTE!
Juncker arriva a Bolzano. E l'inno italiano viene messo a tacere
Juncker in visita a Bolzano. Polemica per il tipico rituale in lingua tedesca. In piazza suonati l'inno europeo e quello tirolese
Sergio Rame – Mer, 23/11/2016 – 10:35
Jean-Claude Juncker arriva a Bolzano, in Italia, e l'Inno di Mameli viene messo a tacere.
È successo venerdì scorso quando, come racconta ItaliaOggi, il presidente della Commissione europea ha partecipato a un convegno sull'autonomia dell'Alto Adige su invito del presidente della Provincia autonoma, Arno Kompatscher. Un insulto all'Italia unita che ha ferito molti abitanti di Bolzano.
Ad accogliere Juncker davanti al palazzo della Provincia di Bolzano sono stati gli Schützen, i bersaglieri tirolesi che un tempo difendevano il territorio come milizia volontaria asburgica. Poi, come racconta Filippo Merli su ItaliaOggi, un ufficiale ha presentato la compagnia e ha fatto sparare alcuni colpi a salve con i tradizionali archibugi. Una sorta di omaggio all'euroburocrate di Bruxelles. Quindi, sono stati suonati l'inno europeo e quello tirolese, mentre l'inno di Mameli è stato messo a tacere. Il rituale si è concluso con un brindisi a base di grappa e una fetta di torta (con scritte solo in tedesco) per celebrare i settant'anni dell'accordo di Parigi che ha sancito l'autonomia del Trentino Alto Adige. "Il brindisi con la grappa in piazza col presidente della Commissione europea vanifica le campagne contro l'uso improprio dell'alcol degli ultimi anni – tuona il consigliere Alessandro Urzì, della lista Alto Adige nel cuore – torta monolingue per i 70 anni dello Statuto, lingua italiana dimenticata, fucili della Wehrmacht in mano agli Schützen invece del canto dell'inno d'Europa e alla gioia da parte di bambini bilingui".
"Perché la Provincia appalta a organizzazioni divisive le proprie iniziative istituzionali? Queste sono le cause del disagio degli italiani". Urzì ha voluto sapere da Kompatscher per quale motivo la Provincia di Bolzano abbia affidato la cerimonia di accoglienza agli Schützen e non si sia, al contrario, ritenuto di prevedere "una cornice forse più sobria, ma più inclusiva, nei riguardi di tutti i gruppi linguistici dell'Alto Adige". "È un equivoco – ha replicato Kompatscher . ad accogliere Juncker avrebbero dovuto esserci tutte le autorità che prendevano parte al convegno sui 70 anni dell'autonomia, ma uno spostamento dell'orario d'arrivo di Junker ci ha costretti a sdoppiare le cose. Siamo fieri del fatto di vivere in una regione multilingue e siamo altrettanto fieri della nostra convivenza pacifica e della varietà delle nostre tradizioni".
Tratto da (CLICCA QUI)
ALPINI ITALIANI – ECCO ANCHE COSA SONO.
La creazione di queste truppe alpine era già espressione del nazionalismo italiano, nato nel XIX secolo, che poneva un’attenzione sempre maggiore sul presunto confine naturale del paese lungo l’arco alpino.
Già nel 1888 gli alpini, nati per difendere il confine alpino, furono invece inviati in Africa per conquistare delle colonie per l’Italia.
Alla guerra contro la Turchia 1911/12, iniziata dall’Italia per annettersi le province turche della Tripolitania e della Cirenaica (Libia) nonché del Dodecaneso, parteciparono dieci battaglioni di Alpini.
Reparti di Alpini erano anche coinvolti nella dura repressione del movimento per la liberazione della Libia, durata fino al 1933.
La popolazione libica fu decimata nei campi di concentramento, con marce di morte nel deserto e con le armi chimiche usate anche contro i civili.
Questa guerra crudele viene ricordata dal monumento all’Alpino di Merano e, al cimitero di Bressanone, dalla scritta sotto il busto del brissinese Heinrich Sader, morto in circostanze misteriose in Libia.
„Caduto in terra d’Africa per la più grande Italia“, cioè per le mire espansionistiche italiane, recita questa scritta. Secondo la propaganda, ripetuta ancora oggi, l’Italia avrebbe portato cultura e civiltà, in realtà ha portato solo morte e distruzione.
„I veri barbari siamo noi“, scrisse a suo tempo il giornale socialista „Avanti“.
Nella guerra d’aggressione contro l’Austria a partire dal 1915 gli Alpini sostennero gran parte dei combattimenti soprattutto sul fronte col nostro Tirolo.
Dopo la guerra la propaganda fascista creò il mito dell’Alpino come soldato montanaro che avrebbe conquistato per l’Italia quella parte delle Alpi che sarebbe stata destinata all’Italia dalla natura o addirittura da Dio.
Fino ad oggi quasi tutti i media italiani si attengono strettamente alla retorica fascista secondo la quale l’Alpino sarebbe un montanaro semplice, tenace, buono, coraggioso e patriottico. In questo spirito nazionalistico fu fondata nel 1919 l’Associazione Nazionale Alpini (ANA), associazione subito allineata al regime fascista dal quale non si è mai distanziata in modo inequivocabile.
Un ruolo molto importante gli Alpini hanno svolto nella guerra d’annientamento contro l’impero etiopico (1935-1936).
Proprio per questa guerra fu costituita il 31 dicembre del 1935 la divisione alpina „Pusteria“, che infanga ancora oggi il buon nome della valle.
In questa guerra l’Italia fece uso delle armi chimiche in quantità mai viste anche contro i civili.
Le truppe italiane non fecero quasi mai prigionieri.
Anche gli Alpini parteciparono alle uccisioni di massa della nobiltà etiope e dei religiosi cristiani.
Soltanto nella città sacra di Debre Libanos furono uccisi circa 2000 tra preti e monaci.
La Divisione Pusteria partecipò alle battaglie cruente di Tigrai, Amba Aradan, Amba Alagi e Tembien ed ai massacri di Mai Ceu e al lago Ashangi.
I massacri continuarono anche dopo la fine ufficiale della guerra.
Nell’aprile del 1937 la Divisione Pusteria ritornò in Italia e sfilò per le vie di Roma.
Nel 1938 Mussolini ordinò di persona la costruzione di un monumento a Brunico per glorificare le „gesta eroiche“ della Divisione Pusteria.
Davanti a questo monumento degli orrori gli Alpini depongono ancora oggi delle corone.
La Divisione Pusteria intervenne anche quando l’Italia il 10 giugno del 1940 dichiarò guerra alla Francia. Successivamente partecipò all’aggressione contro la Grecia, aggiungendosi alla „Julia“ presente in questa campagna sin dall’inizio.
L’occupazione italiana della Grecia costò la vita a circa 100.000 Greci.
La Divisione Pusteria fu trasferita nell’estate del 1941 in Montenegro ed in Croazia per la lotta contro i partigiani.
Il comportamento degli Alpini in questi paesei balcanici non era meno crudele che in Etiopia.
Interi paesi furono bruciati, persone sospette torturate ed uccise.
Un capitolo a parte merita la partecipazione degli Alpini alla guerra contro l’Unione Sovietica.
L’Italia dichiarò la guerra all’Unione Sovietica il 23 giugno del 1941, un giorno dopo che la Germania nazista aveva attaccato questo paese.
Mussolini inviò tre divisioni di fanteria, il cosiddetto Corpo di spedizione italiana in Russia (CSIR) al fronte orientale.
Nel 1942 il numero delle divisioni aumentò a dieci, che formarono la nuova VIII Armata oppure „Armata italiana in Russia (ARMIR).
Di queste dieci divisioni tre erano divisioni alpine, e cioè Cuneense, Julia e Tridentina.
I comportamenti dei soldati italiani nei confronti della popolazione dei territori occupati non si differenziarono da quelli dei soldati nazisti.
Secondo le direttive degli alti comandi ogni resistenza attiva o passiva della popolazione civile era da reprimere con metodi durissimi.
Le cosiddette spie erano da giustiziare sul posto.
Il generale Gabriele Nasci, comandante del corpo alpino, aveva dato l’ordine di rispondere con „rappresaglie di severità esemplare“ ad ogni atto ostile.
Le truppe dovevano prendere ostaggi ed ucciderli nel caso fosse necessario.
Diversi documenti provano come questo sia veramente successo.
I commissari politici delle forze armate sovietiche, i „ribelli“ e gli „elementi indesiderati“ come ebrei e nomadi venivano consegnati il più presto possibile ai tedeschi, conoscendo ed approvando quello che era loro destinato.
Ampiamente documentata è la completa distruzione dei paesi di Snamenka e di Gorjanowski nell’ Ucraina nonché l’uccisione di tutta la popolazione di questi paesi da parte delle truppe italiane.
L’Unione Sovietica ha condannato per crimini di guerra diversi ufficiali italiani, caduti in prigionia, ed ha chiesto l’estradizione di diversi altri criminali di guerra all’Italia, estradizione negata dall’Italia.
Perfino comandi militari tedeschi criticavano a volte il comportamento troppo crudele degli italiani, mentre il comandante dell’ARMIR, generale Giovanni Messe, scrisse subito dopo la guerra che il corpo di spedizione italiano si sarebbe distinto da tutti gli altri eserciti „per la sua cultura superiore, il suo senso di giustizia e la sua comprensione umana“.
Nelle lettere dei soldati italiani, raccolte nel centro di censura a Mantova, si legge invece di soprusi e di uccisioni di civili.
Dopo la guerra è uscita in Italia una ricca letteratura giustificativa che ha creato il nuovo mito dell’Alpino come vittima e non come colpevole in questa campagna di Russia.
In realtà gli alpini erano vittime di un governo irresponsabile.
Dei 57.000 Alpini che parteciparono all’aggressione contro l’Unione Sovietica, soltanto 11.000 ritornarono. Erano però non solo vittime, ma anche colpevoli .
Il loro sacrificio è stato strumentalizzato dal fascismo, e questo viene fatto ancora oggi, per giustificare comportamenti non giustificabili e creare nuovi miti.
Uno di questi nuovi miti è quello di Nikolajewka.
Secondo questa leggenda la Divisione Tridentina avrebbe sfondato il 26 gennaio 1943, dopo aspri ed eroici combattimenti, l’accerchiamento sovietico, aprendo la strada verso ovest a tanti soldati sia italiani che tedeschi.
In realtà l’accerchiamento è stato rotto dal 24° corpo corrazzato tedesco.
Più di questo falso storico-militare preoccupa però il fatto che gli alpini ricordano ancora oggi una presunta vittoria in una guerra criminale, identificandosi in questo modo ancora oggi con questa guerra.
Dopo la guerra il governo Degasperi, dopo l’amnistia decretata dal ministro alla giustizia Togliatti, ha fatto di tutto per impedire procedimenti contro militari italiani per crimini commessi in Libia, Etiopia, nei paesi balcanici o nella Unione Sovietica.
Si cercava di creare l’impressione che le forze armate italiane, pur essendo stata l’Italia alleata della Germania nazista, si sarebbero sempre comportate in modo impeccabile.
Nella logica della guerra fredda Gran Bretagna, Francia e Stati Uniti, per tenere l’Italia nel blocco occidentale, non avevano alcun interesse di perseguire crimini di guerra italiani commessi nei paesi comunisti.
Questo perdono generale per i crimini del regime fascista è stato fondamentale per la memoria collettiva europea.
Dopo la guerra gli Alpini hanno sempre dato grande importanza alla continuità della loro tradizione e non hanno mai preso le distanze dal loro passato.
La deposizione di fiori e corone ai monumenti di Merano e Brunico dimostra che gli Alpini non si vergognano per niente dei crimini commessi in Libia ed in Etiopia.
In Sudtirolo gli Alpini si comportarono sempre da forze occupatrici.
A Bressanone riuscirono nel 1958 a far sospendere il sindaco Valerius Dejaco per sei mesi, perché si era rifiutato di partecipare il 4 novembre alla festa degli Alpini per la „vittoria“ contro la popolazione che il sindaco stesso rappresentava.
Oggi tutto questo non si vuole ricordare.
Si cerca invece di costruire nuove leggende come quella che il greto del Talvera a Bolzano sarebbe stato sistemato dagli Alpini, leggenda sfatata ampiamente dall’ex-direttore dei bacini montani.
Tratto da (CLICCA QUI)
Letteratura (piccola scelta):
-
Angelo Del Boca, Gli italiani in Libia, 2 volumi, Roma, Bari, 1986-88
-
Nicola Labanca (ed.), Un nodo. Immagini e documenti sulla repressione coloniale in Libia. Bari 2002
-
Asfa Wossen Asserate, Aram Mattioli (Hg.), Der erste faschistische Vernichtungskrieg. Die italienische Aggression gegen Äthiopien 1935-1941. Köln 2006
-
Aram Mattioli, Experimentierfeld der Gewalt. Der Abessinienkrieg und seine internationale Bedeutung. Zürich 2005
-
Gerald Steinacher (Hg.), Zwischen Duce und Negus. Südtirol und der Abessinienkrieg 1935-41. Bozen 2006
- Thomas Schlemmer (Hg.), Die Italiener an der Ostfront 1942/43. Dokumente zu Mussolinis Krieg gegen die Sowjetunion, München 2005.
- David Bidussa, Il mito del bravo italiano, Milano 1994
RICORDARE IL TIROLO E’ UN “NOSTRO” DIRITTO.
2013.05.25 – 24 MAGGIO 1915 LA TRAGEDIA DEL POPOLO TRENTINO
SUDTIROL, EVA KLOTZ TRIPLICA I SUOI ISCRITTI
1961-2011. RICORDARE PER NON DIMENTICARE ED EVA KLOTZ RISCHIA LA DENUNCIA PER VILIPENDIO
BRAUNSCHWEIG-TIROL NATIONAL ANTHEM
IL SUD TIROLO NON E' ITALIA
2011.03.02 – PASSIONE E VOGLIA DI VERITA’ STORICA
CHI NON RICONOSCE LA PROPRIA STORIA NON RICONOSCE I PROPRI GENITORI ! QUALE FUTURO SENZA UN PASSATO ?
http://www.schuetzentrient.it/
Anagrafe degli Schuetzen Trentini
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2011.03.02 -STORIA DEL TIROLO
così come ce la raccontano.
Furono i cacciatori del Mesolitico i primi uomini a lasciare delle tracce nella Valle dell'Adige, nel VI millennio a.C. seguiti nel IV, da popolazioni che praticavano allevamento e agricoltura.
Nel II secolo a.C. tutta l'area fu romanizzata. Nel 15 a.C., con la guerra retica, Claudio Druso conquistò l'Alto Adige, fondando Castrum Majense (Merano) e villaggi in altre parti dell'Alto Adige. Sotto Ottaviano Augusto queste zone presero il nome di X regio, di Noricum e di Raetia. L'evangelizzazione iniziò nel II secolo, ma si consolidò in modo significativo solamente dopo il V secolo. Con la caduta dell'Impero romano e le invasioni barbariche le città e le campagne subirono devastazioni e saccheggi.
Margherita Contessa del Tirolo
Con i Longobardi nel 569, il Trentino divenne un ducato, con i Franchi una marca, quindi nel 788, fu incorporato nel Sacro Romano Impero insieme all'Alto Adige. Nell'814 queste zone passarono sotto Lotario, uno dei successori di Carlo Magno. Ricominciarono le invasioni, fino a quando il Trentino-Alto Adige venne a costituire l'ultimo lembo meridionale dell'Impero. Nel 1027 l'Imperatore Corrado II decise di dare un nuovo ordinamento ai rapporti dei feudi imperiali e diede ai vescovi Uldarico di Trento e Albonio di Bressanone il titolo di principe, ovvero di vassallo-elettore diretto dell'imperatore con diritto di partecipazione alla Dieta imperiale. Il primo aveva giurisdizione su una parte dell'Alto Adige e il Trentino; il secondo sull'alto Isarco e la Pusteria. Nella seconda metà del XIII secolo la debolezza dei principi-vescovi di Trento e Bressanone, che detenevano leggitimamente il potere, indusse Alberto III del Tirolo a solidarizzare con i vicari imperiali per rivendicare il potere temporale dei vescovi locali (ma anche di Coira e Salisburgo), tanto che nel 1252 ottenne con la forza dal vescovo di Trento anche i feudi dell'estinta casa dei conti di Appiano (dopo aver ottenuto nel 1248 i feudi comitali di Bressanone). È nel corso del governo di Mainardo II, attorno al 1259, che risale l'appropriazione del titolo di 'conte' (che spettava di diritto ai vescovi di Trento e Bressanone in quanto principi diretti dell'Impero) da parte del consortile dei Tirolo, il quale cominciò a farsi chiamare non più "conti di Tirolo" bensì "conti del Tirolo". Attraverso la politica matrimoniale del tempo, la primitiva dinastia dei Conti di Tirolo venne sostituta, nel XIII secolo, da quella dei Tirolo-Gorizia, il cui esponente di maggior spicco fu Mainardo II, che ristrutturò la Zecca di Merano e diede nuovo impulso al commercio. Nel 1363 Margherita Maultasch, nipote di Mainardo II, rimasta vedova e senza eredi, cedette la corona a Rodolfo IV d'Asburgo. I nuovi dominatori cercarono di ripristinare i sistemi feudali e sembra che nel 1407, il duca Federico Tascavuota avesse favorito alcune rivolte. Anche a Trento vi fu una sollevazione e venne imprigionato il vescovo. Federico, pur favorendo l'indebolimento vescovile, decise di impedire le sommosse.
In seguito altre potenze entrarono in campo. Un conte del Tirolo, quel Massimiliano I d'Asburgo che diventò imperatore, si scontrò con la Repubblica di Venezia nel 1508 e riprese il controllo di Rovereto e dell'area circostante. Seguì un periodo nel quale imperversarono i processi per stregoneria, anche se Trento, grazie al vescovo Clesio, riuscì a trovare un po' di pace e dotarsi di un nuovo assetto urbano. Nel 1545-1563 Trento fu sede del celebre Concilio ecumenico. Dopo la Guerra dei Trent'anni, la città di Bolzano accrebbe la propria importanza di centro artistico-culturale. Dal 1665, l'Imperatore Leopoldo I iniziò a governare la regione da Vienna: venne nominato un governatore per il Tirolo, con sede a Innsbruck.
Nel XVIII secolo, sotto il governo di Maria Teresa d'Austria (1740-1770) e del figlio Giuseppe II (1780-90) il Tirolo visse un periodo di sviluppo economico e di radicali riforme nell'ambito dell'istruzione, della giustizia e del culto religioso.
Con l'avvento di Napoleone Bonaparte, i vescovi di Bressanone e Trento dovettero rinunciare al loro potere temporale, mentre iniziarono a circolare idee nazionaliste. Il territorio fu coinvolto nei conflitti e nel 1803 Napoleone decise di inserire l'area nel regno di Baviera.
Nel 1809 divampò una rivolta capeggiata da Andreas Hofer, con la collaborazione di padre Joachim Haspinger e dell'oste Peter Mayr, ma che fu presto soffocata. Nel 1810 il Trentino e l'Alto Adige (che assunse per la prima volta in questo periodo l'attuale denominazione italiana) passarono al Regno Italico, l'alta Pusteria a quello Illirico e il resto alla Baviera, per rimanervi sino al 1815, quando il Trentino, con la Restaurazione venne inglobato nella Contea del Tirolo, con Innsbruck capoluogo.
Nel 1866 Giuseppe Garibaldi durante la terza guerra di indipendenza italiana vinse la battaglia di Bezzecca e stava per aprirsi la strada verso Trento. Venne fermato solo da un ordine del re Vittorio Emanuele II, al quale rispose con il celebre "Obbedisco". Oggi si sa che la difficoltà di Garibaldi sono state decisive. I soldati tirolesi (trentini) hanno combattuto contro le truppe garibaldine e il Trentino restò così all'Austria.
Nel 1919 il Trattato di Saint Germain, in seguito alla sconfitta dell'Austria-Ungheria nella Prima guerra mondiale, determinò la separazione dal Tirolo meridionale, assegnato all'Italia dal Bundesland Tirolo, assegnato alla Repubblica Austro-Tedesca. Svariati furono i tentativi di costituire una regione autonoma o di annettere l'area all'Deutsches Reich. Negli anni venti per merito delle costruzione di infrastrutture (strade, linee ferroviarie, centrali elettriche) e del riavvio del turismo (costruzione di funivie) l'economia si stabilizzò per un breve periodo prima dei contraccolpi della crisi economica mondiale. Nel febbraio del 1934 vi furono alcuni scontri fra lo Schutzbund socialdemocratico e le forze governative.
Il 12 marzo 1938 la Wehrmacht tedesca invase l'Austria. Fu costituito il Gau Tirol-Vorarlberg e il Tirolo Orientale fu assegnato al Gau Carinzia. In seguito agli accordi fra Hitler e Mussolini immigrarono in Austria circa 70.000 persone provenienti dal Sudtirolo (gli Optanti): la metà di queste si insediarono in villaggi appositamente creati. Dopo la guerra circa un terzo degli immigranti tornò nei luoghi di origine. Nel 1943 intensi furono i bombardamenti alleati. Quando il 3 maggio 1945 le truppe americane entrarono a Innsbruck le organizzazioni della resistenza furono in grado di proporre un governo provvisorio. Nell'estate del 1945 il Tirolo faceva parte della zona di occupazione francese mentre il Tirolo dell'Est apparteneva a quella britannica. Nel 1947 il Tirolo orientale fu riunito con quello del Nord. Il 15 maggio 1955 le ultime truppe d'occupazione lasciarono il paese. In questo periodo vi fu una ripresa economica e l'area passò da un'economia prevalentemente agraria ad una basata sull'industria e sui servizi. Notevole fu anche l'espansione dell'industria turistica. Innsbruck fu per ben due volte sede dei Giochi olimpici invernali (1964 e 1976).
Alla fine degli anni cinquanta le reti stradali e autostradali vennero notevolmente espanse. A partire dagli anni ottanta le popolazioni locali hanno ripetutamente manifestato contro l'aumento esponenziale del traffico.
2011.02.18 – MOVIMENTO SUDTIROLEXE PA LA LIBARTA’
El Movimento Sudtirolexe pa la Libartà – Aleànsa Lìbara pa el Sud Tiròl "Libartà Sudtiroléxe la xé na aleànsa libaràl – patriòtega ca la dimànda el dirìto l'autodeterminasiòn pal Pòpolo Tiroléxe.
La nòstra Tèra, la xé sòto ocupasiòn dal 1918, ocupà da el stàto taliàn e nàltri a sevitémo conbàtar sta situasiòn d’einjustìsia. Na ròba fa 350 mila tirolìxi de lengoa màre jermànega li vìve in sto teritòrio ocupà da la itàlia e li sèvita lotàr pa mantignìr tradisiòn e costumànse.
Mantignìr coltùra e tradisiòn còntro on stàto stranièro a xé na gràn sfìda. La itàlia la xé deso rente el colàso econòmego e drìo ànca la nòstra tèra, ca la xè rìca, ma ca la sòfre sòto l'incapasità de el stàto taliàn. Segon el nostro sentìr, l'ònega salvèsa la xè la independensa de la nostra tèra da el stàto taliàn.
Inte el 1918, dòpo la 1° goera mondiàl, l'exèrsito taliàn el ga invadesto e ocupà la parte meridionàl de la rejòn Ostrìaca del Tiròl, contro el volèr del presidente Mericàn Woodrow Wilson, ca el gheva dichiarà inte i so coatòrdexe pònti, ca i confìni de la itàlia li gavarìa da èsar sta segnà dài confìni de Pòpoli definìi e ricognosòbili.
Ma el tratà secrèto de Lòndra, co che la itàlia la ga inganà i aleà, el garantìva el "confìne del Brènnero". Sto confìn el divide ncòra ancò el Tirol. El goerno taliàn fasìsta el ga dòpo fèsto patìr la deportasiòn e l'opresiòn al Pòpolo tirolexe. Hitler el gheva concordà co Musolìni l'exìlio dei Tirolìxi, e pa sta raxòn ògni propaganda in favòr del Pòpolo tirolexe la xèra sta proibìa in Jermània e Ostria. Fasìxmo e Nasionàlsolsialixmo li xè i bechìni de la nostra Nasiòn. A no toleremo pì gnisòn estremìxmo polìtego.
Pa consegoensa, i ga sarà le scòle todesche e i ga proibesto de rivèrxarle. I ga italianixà tùti i nòmi todèschi, fin le prìe dei simitèri, e ancò la toponomastega fasìsta la vien ncòra doparà. Ghe xè fìn ncòra i monumìnti fasìsti, mantignìsti co i nòstri schèi. I polìteghi taliani fa l'ex mininstro dèi èstari Gianfranco Fìni, presidente del partìto nèofasista (deso PDL) li mantièn serimònie soleni a la memòria dei soldà fasìsti sòto el "Monumento alla Vittoria" de Bolzàn, capitàl del Sud Tirol.
Sta xènte taliàna la festèja la vitòria contro el nòstro Pòpolo, na vitòria ca storegamente no la xé militàr, parchè fìn dela 1° goèra mondiàl gnànca on soldà taliàn el xèra intrà in Sud Tiròl. L'exèrsito taliàn el ga ocupà el nòstro teritòrio traverso la diplomasìa, traverso le buxìe e i tradimìnti e gnànca co na vitòria militàr fa a vorìa fàr crèdar el "Monumento alla Vittoria".
Ancò, inte el tènpo dei dirìti omàni e de le libartà, el nòstro Pòpolo no el ga gnancòra risevesto el dirìto de autodeterminasiòn. Volemo cusì on referendum a ndo a se dimande al Pòpolo sudtirolexe sa el vol restàr sòto dominasiòn taliàna o tornàr èsar indepandente. El stàto taliàn el ne ga mài parmetesto on refarendum. Libartà pa el Sud Tirol ca no el xé mai stà e mai el sarà itàlia.
Nàltri tolemo exènpio dai prinsìpi dei dirìti omàni. Le nòstre desixiòn le va drìo i prinsìpi del dirìto e de la justìsia.
I nostri obietìvi prìmi a li xé :
1. Autodeterminasiòn
El dirìto l'autodeterminasiòn dei Pòpoli el xè pàrte de l'artìgolo nòmaro on dèi pàti so i dirìti dei omàni e pa sta raxòn espresiòn de libartà ca ògni Pòpolo el pòl rivendegàr. La divixiòn del Tiròl e l'anesiòn del Sud Tirol a el stàto taliàn le xè de le violasiòn dela raxòn e dela legalità, e pi de tùto de la volontà de on Pòpolo. Dal momento de l'invaxiòn taliàna, el Sud Tirol el ga dovesto patìr l'estinsiòn e ancò no el ga gnancòra garansìe pa poder mantignìr la so coltùra e léngoa. El nòstro Pòpolo, el xè na minorànsa inte on stàto forèsto e l'autonomìa da ela sòla no la bàsta mìa pa salvàrlo da l'asimilasiòn e italianixasiòn forsà. Pa sta raxòn, l'ònego metodo ca el podarà risòlvar sta situasiòn, a xé on referendum ca el podarà parmetar de risolvar la chistiòn sudtiroléxe.
2. Nasiòn
Dirìto a la lengoa natìva (màrelengoa). La lengoa natìva el xé l'elemento de identità colturàl nòmaro òn, pa sta raxòn el xè on dirìto fondamentàl. Masa òlte, el stàto taliàn el fà mùro o no vol doparàr la lengoa Tiroléxe, ànca còntro le normatìve del statùto autònomo spesiàl. Pa sta raxòn, se ga da aplegar contròli sevèri so i concòrsi e asegnasiòn de laòri piòveghi e restrisiòn e sansiòn in càxo de violasiòn del dirìto a la màre lengoa. No se tràta de provocasiòn, ma de fàr rispatàr on dirìto. Isteso vàl pa el Pòpolo Ladìno.
3. Na Euròpa pluralistega
Ancò, l'Euròpa la xé ncòra na organixasiòn de stàti e no na comunità de Popoli e de rejòn. L'Europa no la pol restàr na uniòn de stàti fòrti e onifòrmi. La richésa e forsa de l'Europa la xè la pluralità de lengoe e de coltùre. Pòpoli e grùpi etneghi de dimensiòn picenéte li podarà sopravìvar sa a se sarà bòni ricognòsar el valòr de sta richèsa e ca la diversità no la xé na minàsa, ma on valòr.