Chi erano queste genti misteriose che si stanziarono nell'attuale Veneto, creando una propria, autoctona "cultura Veneta", e diventando poi nel tempo uno dei più fedeli alleati di Roma?
La leggenda sull’origine dei Veneti è descritta nel primo paragrafo dell’opera dello storico romano Tito Livio "Ab urbe condita".
Si può immaginare, come Tito Livio essendo nato a Patavium (l’odierna Padova), quindi veneto, volesse idolatrare i discendenti della sua terra natia con una storia mitica della loro origine.
Il racconto narra che, dopo la distruzione della città di Troia, un gruppo di alleati dei troiani provenienti dall’Asia minore, assieme ad un manipolo di uomini (gli "Enetoi", un eroico popolo menzionato anche nell’"’Iliade") guidati dal principe Antenore, abbandonò le proprie terre alla ricerca di una nuova patria.
Queste genti erano i Veneti che, dopo aver navigato attraverso il Mar Adriatico, approdarono sulle terre del Veneto dove, una volta cacciati gli Euganei, si stanziarono definitivamente tra il tredicesimo e dodicesimo secolo avanti Cristo.
Anche altri storiografi classici danno il loro contributo riguardo alla nascita della stirpe dei Veneti.
Catone è d’accordo con la tesi di Livio, attesta che: I Veneti discendono dalla stirpe troiana.
Erodoto invece, nelle sue "Storie", cita i Veneti come discendenti degli Eneti, cioè come una tribù di provenienza illirica.
Gli Illiri erano un agglomerato di popolazioni indoeuropee stabilitesi nella zona costiera della penisola balcanica (ed anche nelle coste sud dell’attuale Puglia) che, secondo lo scrittore greco, si spinsero sempre più ad ovest dei Balcani, trovando nell’attuale Veneto un luogo ideale per stanziarsi.
Tacito poi, colloca le tribù dei "Venedi" nella parte meridionale dell’attuale Germania, ed anche Gaio Plinio Secondo ci mette del suo, citando una tribù scomparsa con nome assonante, che abitava una piccola porzione del Lazio.
C’è da dire che intorno all’anno mille avanti Cristo, sparse per l’Europa esistevano diverse popolazioni aventi lo stesso nome: i Veneti celti, o i Venedi slavi della Germania per esempio.
Si suppone perciò, che la parola "Veneti" abbia la radice di un termine di lingua indoeuropea:
"wen" il cui significato potrebbe tradursi grossomodo con la parola: "amico".
Altri studiosi non concordano per nulla con questa tesi, ribaltandola completamente: traducono la radice "wenet" in "conquistatori", aggiungendo ancor più dubbi sull’origine di questo popolo.
Possiamo ritenere come tesi più fondata sull’origine dei Veneti "nostrani", una migrazione avvenuta intorno al nono secolo avanti Cristo, alcune tribù provenienti dal Mar Baltico scese verso il sud dell’Europa per scambiare ambra con altre popolazioni.
Giunte, nella zona corrispondente circa al Veneto attuale, queste genti seminomadi, trovarono una terra fertile e ricca, e decisero di sistemarsi definitivamente.
Quando i primi gruppi di Veneti arrivarono in pianura Padana, questi non potevano credere di aver trovato un luogo ideale per stanziarsi definitivamente.
Il Veneto di allora era una terra circondata da maestosi boschi, attraversato da grandi corsi d’acqua e ricco di selvaggina e da un clima eccellente: insomma un vero paradiso che gli antichi Veneti non si fecero sfuggire.
I primi insediamenti si registrano nella zona occupata nord occidentale come piccoli villaggi ("teuta") di capanne le quali erano generalmente di forma quadrangolare, realizzate con una base in mattoni e muri di canne e argilla, il tetto era di paglia e il pavimento in terra battuta.
Con il passare del tempo iniziò una rapida attività di disboscamento che portò alla fondazione di nuovi villaggi sempre più popolosi, e principalmente questi furono: Este (luogo con la maggiore concentrazione di reperti), Padova, Altino, Mel (famosa la sua necropoli) e Adria solo per citarne alcuni.
Nel periodo più antico della storia della civiltà Venetica (fino al quinto secolo avanti Cristo), possiamo registrare un’intensa dinamicità a livello culturale, grazie a scambi con le genti di cultura Villanoviana, popolazioni greche e, in seguito, con gli Etruschi.
In questo periodo i Venetici riuscirono a creare una cultura autoctona, differente da ogni altra dell’Italia protostorica.
Le peculiarità della cultura venetica erano veramente molteplici.
In primis i Venetici erano grandi agricoltori: i prodotti della terra come i cereali e il lino erano coltivati in grande quantità grazie anche all’aratro, strumento che i Venetici conoscevano già dai tempi più antichi.
L’allevamento del bestiame era incentrato sui bovini e gli ovini che servivano prevalentemente per ricavarne latte e lana: la carne di questi animali era mangiata solo in specifiche cerimonie religiose.
I pregiati filati di lana erano famosi anche fuori dal loro confine ed erano richieste dalle genti di altre popolazioni.
I Venetici furono anche impareggiabili allevatori di cavalli. Per i Venetici il cavallo era un animale sacro che addirittura quando moriva, veniva sepolto accanto agli uomini. Un dono ambitissimo, che spesso era offerto ai sovrani di altri popoli amici. I destrieri Venetici erano ricercatissimi: i Romani li richiedevano espressamente per la loro cavalleria militare, i Greci li ricercavano per le gare equestri durante le Olimpiadi. Addirittura il tiranno Dionisio I da Siracusa non resisteva al fascino e alla superiorità degli stalloni Veneti e li importava per il suo allevamento personale.
Le piccole botteghe, spesso ricavate in zone adiacenti alla casa, servivano per far girare localmente l’economia, oltre ad una vera e propria esportazione dei loro prodotti migliori. Dalle popolazioni Germaniche, infatti, compravano lo stagno fondamentale per realizzare la materia prima per la loro più preziosa attività: la lavorazione del bronzo.
La straordinaria padronanza dell’arte del bronzo ne faceva maestri sopraffini in questo campo, eccellevano soprattutto nelle tecniche di lavorazione a fusione piena su "anima" e a "cera persa" con la quale forgiavano armi, oggetti di uso quotidiano e soprattutto le situle le preziose urne cinerarie dei Veneti.
L’arte delle situlae (dal latino situla cioè secchia), divenne una loro peculiarità, realizzavano queste urne in bronzo con la tecnica della lavorazione della lamina a sbalzo, erano riccamente decorate con scene di vita quotidiana come attività di commercio, da figure mitologiche e talvolta da veri atti di guerra.
Il miglior esempio di tale maestria l’abbiamo osservando la "Situla Benvenuti" un vero gioiello risalente al settimo secolo avanti Cristo, essa faceva parte del corredo funebre di una donna ed è stata ritrovata nella necropoli Benvenuti ad Este.
Divisa in tre fasce di raffigurazioni, la prima raffigura scene a carattere religioso, nella seconda si possono individuare figure mitologiche, mentre la terza, scene di vita quotidiana.
Le situle oltre ad essere dei veri e propri libri sugli usi e costumi dei Veneti, sono un vero e proprio spartiacque dell’arte, infatti, prima dei Veneti, sui vasi cinerari, furono impresse solamente figure geometriche, mentre con la cultura Venetica si passò all’uso di bassorilievi per raffigurare figure naturali e umane.
Sembra che il popolo dei Veneti si distinguesse per l’abbigliamento da tutti gli abitanti lungo i loro confini. Anche sotto quest’aspetto, un segno di distinzione culturale. Sia gli uomini sia le donne, indossavano una leggera tunica mentre solo per le donne era usanza mettere uno scialle che copriva i capelli. Le classi sociali più elevate portavano un mantello a tinte sgargianti, oltre ad un cappello e calzature dalle punte rialzate.
Numerosi gli accessori di ornamento del vestiario: spilloni, fibule, collane, braccialetti e orecchini, tutti oggetti realizzati anche con materiali nobili quali l’oro il corallo le perle, per non parlare della famosa ambra del baltico.
Tra le persone di rango superiore della società possiamo sicuramente includere i sacerdoti, ma in che cosa o in chi credevano gli antichi Venetici?
Sicuramente i Venetici praticavano il culto degli elementi naturali, uno di più famosi era quello dell'"acqua medicamentaria": sembra che il "divino" (attraverso una processione e a qualche offerta), potesse dare la guarigione a un malato grazie a tale acqua miracolosa.
Queste cerimonie si svolgevano in grandi spazi aperti come specifici boschi (ritenuti sacri) nei quali, in uno spiazzo privo di vegetazione, era eretta un’edicola di legno che prevedeva al suo interno, rappresentazioni delle divinità da invocare attraverso danze e processioni.
Figura fondamentale per la religione dei Veneti era la Dea Reitia, signora delle fiere, dei boschi e delle acque, oltre che Dea guaritrice.
Il santuario scoperto nei pressi di Este (Ateste) nel 1880, durante gli scavi per la costruzione di un canale con i suoi quasi ventimila reperti è il più importante del Veneto, anche se altri santuari della Dea furono trovati anche a Vicenza e Calalzo di Cadore. La Dea veniva rappresentata con tipici abiti Veneti e con mano una chiave che si credeva aprisse le porte dell'aldilà.
La Dea Reitia mantenne un ruolo molto importante nel culto dei Venetici anche in epoca romana, essa assunse caratteristiche tipiche proprie quali la protezione dalle malattie e portatrice di fecondità.
Altri importanti luoghi di culto erano le necropoli. La più famosa è senza dubbio quella rinvenuta quasi intatta a Mel (BL) tra il 1958 e il 1963. Risale a circa il quinto secolo avanti Cristo e comprende circa sessanta tombe formate da cassette e lastre di arenaria. Le ceneri dei defunti venivano riposte nelle ormai famose situle e per ogni sepoltura veniva creato un corredo tombale: durante gli scavi infatti, furono scoperti reperti come fibule e anelli. Il tutto poi, era collocato in cassette ricoperte da una o più lastre e da terra.
Durante la sepoltura si praticava il "banchetto funebre" che prevedeva offerte a base di cibo alle divinità, talvolta il sacerdote praticava anche sacrifici animali (pecore e più raramente bovini) con i quali si gozzovigliava in onore del trapassato.
I sacerdoti Venetici erano uomini di casta superiore, persone alle quali apparteneva la sacra arte della scrittura, privilegio appunto, di una ristretta élite.
Già, ma come scrivevano i pochi possessori di quest’arte, e soprattutto, in quale lingua comunicava il popolo dei Venetici?
L'alfabeto usato dagli antichi veneti era di derivazione etrusca, ed è stato introdotto verso il 500 avanti Cristo.
I maggiori esempi di scrittura Veneta si possono apprezzare nelle iscrizioni riportate su piccole lamine di bronzo e altri oggetti di uso quotidiano come coppe (sempre di bronzo) e manufatti di ceramica, oltre ad iscrizioni su steli di pietra (dette lapidee).
A tal proposito la più importante iscrizione lapidea giunta a noi è senza dubbio quella incisa sulla celebre Stele di Isola Vicentina oggi conservata presso il Museo Naturalistico Archeologico di Vicenza. La stele ha un'importanza fondamentale per gli archeologi: essa infatti, contiene un iscrizione in lingua venetica, nella quale compare la prima attestazione epigrafica del termine Venetkens ossia Veneto.
Ad Este poi, nel santuario della dea Reitia, sono stati fatti altri due ritrovamenti eccezionali, entrambi legati alla pratica della scrittura: gli "Stili scrittori" e le preziose "Lamine alfabetiche".
La lettura delle iscrizioni in Venetico doveva essere fatta da destra a sinistra e le parole non erano mai divise da spazi, in più l’alfabeto aveva una particolarità unica: la cosi detta "puntatura". Si procedeva a scrivere la parola, o la frase, mettendo un punto alle consonanti non seguite da vocali, e le vocali non precedute da consonanti.
La lingua parlata dai Venetici era chiamata "Venetica", e proveniva del ceppo indoeuropeo.
Essa rimase immutata fino al secondo secolo avanti Cristo, periodo nel quale il latino iniziava ad affiancarsi alla lingua autoctona Venetica.
È indicativo un fatto: anche dopo il completo assorbimento dei Venetici da parte di Roma, e quindi con il passaggio al latino come lingua "nazionale", i Veneti parlavano mantenendo caratteristiche proprie della lingua ormai "defunta".
Lo stesso Tito Livio (59 avanti Cristo – 17 dopo Cristo), che come già abbiamo avuto modo di dire era nato a Patavium (Padova), diventò uno dei più grandi storici romani, e nelle sue opere mantenne visibili le sue "radici Venete" conservando la "Patavinitas", cioè uno stile tipico Veneto nel modo di scrivere.