Inchiesta sui tamponi rapidi in Veneto: nomi noti che sorprendetemente si opposero ma non furono ascoltati
Dopo ben due anni, torna alla ribalta la questione dei tamponi e della loro validità. I puristi della questione non hanno mai smesso di urlare la loro poca affidabilità, tuttavia ora é in corso una vera e propria indagine sui cosiddetti test “rapidi”, quei tamponi che entrarono prepotentemente in scena nel 2020 promettendo di avere diagnosi veloci e facilitare così il controllo dell’espansione del virus.
Una vicenda tutta veneta, o così almeno é stata all’inizio, anche se ha poi preso campo in tutta la penisola. Ben presto il tampone rapido é diventato uno degli strumenti più diffusi, addirittura ricorderete un prodotto da banco, da acquistare in quantità e tenere in casa, utilizzandolo in totale autonomia nella privacy delle proprie quattro mura domestiche.
A finire nel mirino degli inquirenti é Roberto Rigoli, primario di microbiologia dell’Ospedale di Treviso divenuto poi coordinatore di tutte le microbiologie del Veneto, su cui il PM Benedetto Roberti ha fatto piovere una serie consistente di accuse.
Il magistrato Roberti ha anche richiesto il rinvio a giudizio per Patrizia Simionato, sempre secondo le accuse mosse da Roberti, partner in crime del Rigoli, nonché ex Direttore Generale di Azienda Zero. I due incontreranno il giudice Maria Luisa Materia per l’udienza preliminare il prossimo 12 dicembre.
Non immaginereste mai chi avanzò all’epoca pesanti sospetti nei confronti della metodica condividendo i suoi dubbi con gli inquirenti: il ben noto alle cronache Andrea Crisanti nel 2020 aveva presentato un esposto non contro Rigoli, ma in generale contro i tamponi rapidi perché fornivano, secondo il gran numero di dati in suo possesso, risultati completamente sballati.
E vien da chiedersi, se i dati li aveva Crisanti, come poteva non averli il collega Rigoli? E se Rigoli li aveva perché non ha fermato l’acquisto per la regione veneto dei tamponi rapidi?
Quindi le opzioni sono due: o Rigoli non conosceva i dati, oppure se li conosceva avrebbe deliberatamente messo in commercio un prodotto che, pur approvato dall’OMS, sapeva essere fallace e propagatore di false diagnosi. Se gli inquirenti confermassero la seconda scelta, sarà quindi poi da accertare quale fosse il reale motivo che spinse Rigoli all’acquisto dei tamponi. Solo denaro?
Dell’esposto non si seppe nulla all’epoca, così come di Rigoli e dei tamponi rapidi. Ma a Zaia quello strumento piaceva, eccome se piaceva, ne fece un gran motivo di orgoglio, dichiarando che nessuno come il Veneto portava avanti così diligentemente il sistema di tracciamento tanto spinto dalle Istituzioni, dall’OMS e dal Ministro Speranza.
Luca Zaia infatti, presidente della regione Veneto, all’epoca in cui Rigoli raccontò dei prodigi dei tamponi rapidi, si mostrò alquanto favorevole al proprio utilizzo: veloci, pratici, adatti ad un momento di estremo caos.
Girano filmati del Presidente della regione Veneto che mostra in video quanto fosse facile e conveniente tamponarsi il naso con il prodotto Abbott.
Il problema era che, come ebbe a sottolineare più volte Crisanti:
“I test rapidi hanno un senso solo se eseguiti su pazienti sintomatici, altrimenti generano una quantità enorme di falsi negativi”.
E mentre lo stesso spingeva verso l’utilizzo dei tamponi molecolari che difendeva come gli unici dall’esito certo, così dall’altra, invece Rigoli, é bene ricordare la posizione di rilievo che copriva quale primario di microbiologia dell’ospedale di Treviso, fece una campagna incessante nei confronti dell’utilizzo massiccio dei test rapidi.
Dove nasce la questione dunque?
La questione nasce nel momento in cui la ditta cui Rigoli si appoggiò per l’acquisto dei tamponi rapidi dalla ABBOTT, la veneta Azienda Zero, fece un ordine ingente di tamponi rapidi, dichiarando prima di averne testato la validità e smentendo poi di aver mai pronunciato quelle parole. La prima tranche vedeva l’acquisto di circa 200.000 tamponi, tra l’altro effettuato senza alcun bando, per una cifra di circa 900.000Euro, mentre per la seconda tranche la quantità sarebbe stata aumentata a 280.000 tamponi fino a raggiungere un costo per le tasche dei contribuenti di oltre 1 milione e 200.000 Euro.
Secondo il PM entrambi, sia Rigoli che la Simionato, sarebbero stati consapevoli di aver messo in piedi un’operazione non pulitissima, e sono sempre gli stessi Inquirenti a ritenere che a dimostrazione della loro cattiva fede, avrebbero pensato ad organizzare un eventuale piano B.
Nel caso infatti fossero sorti problemi di non attendibilità dei risultati, i due avrebbero preventivamente concordato tra di loro, avrebbero fatto rivalsa sulla ditta produttrice, sulla Abbott, contestando il prodotto alla fonte e quindi scaricando sulla casa madre ogni personale responsabilità.
Aldilà del fatto che é pur vero che gli attenzionati non hanno partecipato ad alcun bando, e che avrebbero anche dichiarato il falso poiché secondo gli inquirenti non avrebbero mai provveduto a testare i prodotti, pur avendo inizialmente dichiarato di averlo fatto, la questione é che la loro difesa si basa su fatti difficili da contestare.
Almeno all’apparenza, intendiamoci.
Nel momento in cui Azienda Zero andava diffondendo l’uso massiccio del tampone rapido, la stessa OMS attraverso il Global Fund ne promuoveva l’utilizzo. Perché, potrebbe difendersi Rigoli, “avrei dovuto testare qualcosa che Istituzioni ben più grandi ed importanti di lui ne garantivano l’efficacia?”
Rigoli infatti afferma proprio questo “Perché mai avrei dovuto testare qualcosa che aveva già ottenuto l’approvazione?” e inoltre “Anche nel caso mi avessero chiesto di svolgere un’analisi di validità indipendente sui test rapidi, non avremmo mai avuto i tempi materiali perché eravamo nel bel mezzo di un’emergenza che ci imponeva tempistiche ristrette”.
Inoltre, i tamponi rapidi erano proprio supportati da Global Fund, il partner fondatore di ACT Accelerator, una piattaforma di collaborazione globale per accellerare lo sviluppo, la produzione e l’accesso equo a test, terapie e vaccini contro il covid19, come si legge sui siti istituzionali italiani.
Tuttavia basta fare una rapida e semplice ricerca per vedere che proprio Global Fund é sostenuta e finanziata sempre dai soliti, Bill & Melinda Gates, gli onnipresenti filantropi pandemici, che ormai sappiamo collegati a doppio filo a Davos, al WEF e a tutti i centri di potere mondiali, OMS e governi dei singoli stati compresi. Gli stessi che hanno spinto poi i volti noti delle celebrità a prestarsi come testimonial per la lotta alla pandemia.
Potranno poi il Rigoli e la Simionati, nel caso vadano a processo, difendersi davvero scaricando la colpa su enti terzi che garantivano per loro?
Perché, vedete, ultimamente persino lo scudo penale pensato per i medici vaccinatori é stato messo in dubbio da un punto di vista giurisprudenziale, almeno per coloro che, pur a conoscenza di effetti avversi e altro, hanno comunque iniettato la pozione.
Non é più tempo di dire “eseguivo gli ordini”. Dovrebbe essere ormai chiaro a tutti.
MARTINA GIUNTOLI
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