ATTUALITA

2011.06.17 – LEGGETE QUESTA VERGOGNA CHE E’ UNA VERGOGNA PER TUTTI COLORO CHE CREDONO IN LORO…

pubblicata da Emanuela Micky Toffali il giorno venerdì 17 giugno 2011 alle ore 8.33
Facciamo circolare.
Si sta promuovendo un referendum per l' abolizione dei privilegi di tutti i parlamentari
Sull'Espresso di qualche settimana fa c'era un articoletto che… spiega che recentemente il Parlamento ha votato all'UNANIMITA' e senza astenuti un aumento di stipendio per i parlamentari pari a circa € 1.135,00 al mese.
Inoltre la mozione è stata camUffata in modo tale da non risultare nei verbali ufficiali.
STIPENDIO Euro = 19.150,00 AL MESE
STIPENDIO BASE= circa Euro 9.980,00 al mese =circa Euro 4.030,00 al mese (generalmente parente o familiare)
RIMBORSO SPESE AFFITTO= circa Euro 2.900,00 al mese
INDENNITA' DI CARICA= (da Euro 335,00 circa a Euro 6.455,00)
TELEFONO CELLULARE = gratis
TESSERA AUTOBUS – METROPOLITANA = gratis
VIAGGI AEREO NAZIONALI=gratis
CIRCOLAZIONE AUTOSTRADE=gratis
PISCINE E PALESTRE =gratis
AEREO DI STATO =gratis
CLINICHE=gratis
ASSICURAZIONE INFORTUNI=gratis
ASSICURAZIONE MORTE= gratis
AUTO BLU CON AUTISTA= gratis
TESSERA DEL CINEMA = gratis
TESSERA TEATRO= gratis
FRANCOBOLLI = gratis
RISTORANTE= gratis (nel 1999 hanno mangiato e bevuto gratis per Euro 1.472.000,00).
Intascano uno stipendio e hanno diritto alla pensione dopo 35 mesi in parlamento mentre obbligano i cittadini a 35 anni di contributi ( 41 anni per il pubblico impiego !!!) Circa Euro 103.000,00 li incassano con il rimborso spese elettorali (in violazione alla legge sul finanziamento ai partiti), più i privilegi per quelli che sono stati Presidenti della Repubblica, del Senato o della Camera.
(Es: la sig.ra Pivetti ha a disposizione e gratis un ufficio, una segretaria, l'auto blu ed una scorta sempre al suo servizio)
La classe politica ha causato al paese un danno di 1 MILIARDO e 255 MILIONI di EURO.
La sola camera dei deputati costa al cittadino Euro 2.215,00 al MINUTO !!
Far circolare.
Si sta promuovendo un referendum per l' abolizione dei privilegi di tutti i parlamentari…………. queste informazioni possono essere lette solo attraverso Internet in quanto quasi tutti i massmedia rifiutano di portarle a conoscenza degli italiani……
PER FAVORE continuate la catena FATE GIRARE

2011.06.21 – PRATOBELLO, ORGOSOLO. GIUGNO 1969… LA RIVOLTA POPOLARE

Gigi Selis

Oggi 14 luglio 2011 riceviamo via Facebbok e pubblichiamo:

Ciao Movimento Liberazione Nazionale Veneto:
nel 1969, 3500 abitanti,donne,bambini,giovani e anziani,si sono rivoltati contro le decisioni del Governo Italiano di allora e hanno vinto!Perche',noi, non possiamo?
Ascolta e vedi bene questo filmato.

 

 
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In merito avevamo gia pubblicato anche un articolo di Mario Flore, vedi qui sotto:
 
 
tratto da: clicca qui Mario FloreMario Flore
Ciao a tutti io sono Mario se volete leggere altri artcoli non mi viene più concesso di pubblicare nel sito – Vai giù cerca LINKS e Clicca col Maus ZAM BLOG (CENSURA)
 
 
 
Pratobello, Orgosolo.
Giugno 1969.
 
 
la rivolta popolare degli orgolesi contro l'occupazione militare di 13 mila ettari di pascoli.
È la storia di un mese frenetico e senza sonno, di una lotta senza partito che avrà la meglio sulle migliaia di soldati e sulle decisioni prese a Roma.
Tutto ha inizio il 27 maggio 1969 quando sui muri ancora spogli di Orgosolo compaiono dei manifesti intestati alla Brigata Trieste.
Il testo impone ai pastori e ai braccianti agricoli che lavorano in territorio di Pratobello di abbandonare la zona e trasferire il bestiame altrove.Perché per due mesi il terreno da pascolo sarà un poligono di tiro.
A questa notizia se ne aggiunge un'altra, non ufficiale, che circola in paese: quello che il Governo italiano chiama "poligono temporaneo" mira in realtà a diventare un campo di addestramento e tiro permanente.
Il Circolo giovanile di Orgosolo con i propri volantini ciclostilati avvisa la popolazione e organizza la prima assemblea.
Si decide di portare avanti una lotta alla luce del sole, senza incontri segreti o
riunioni a numero chiuso.
Mentre i sindacati e i partiti si scontrano con il Circolo e cercano invano di mantenere le redini del gioco.
Il 9 giugno, 3500 orgolesi iniziano l'occupazione dei campi.
Donne, uomini e bambini, affrontano i militari faccia a faccia.
Non si verifica nessun episodio di violenza ma qualcosa di molto più forte.
Le donne raggiungono i soldati, li guardano negli occhi, iniziano a parlare.
Spiegano loro cosa hanno in testa.
«I militari – spiega Nanni Moro del Circolo – iniziano vedere con gli occhi della popolazione».
Gli effettivi dell'esercito avrebbero in ogni modo cercato di evitare questo pericoloso rapporto col 'nemico'.
Ma alcuni militari affrontano il rischio di comunicare per lettera con la popolazione. Così i soldati imparano a diffidare degli ufficiali che avevano descritto gli
abitanti del paese come banditi.
Gli abitanti corrono sotto il sole giorno dopo giorno per tenere occupato l'esercito e impedire le esercitazioni.
È una rivolta senza sangue.
Dai manifesti che chiedono concime, non proiettili nasceranno i primimurales.
Ma i giornali in quei giorni dicono le bugie.
Una grossa manifestazione pacifica aggiunge Moro veniva resa ai lettori come la scalcagnata parata di quattro gatti maoisti.
I giornali fanno il gioco del Governo perché nessuno deve sapere che la gente può dire no alle servitù militari.
Il 26 giugno la vittoria arriva ma i partiti e i sindacati fanno fare uno scivolone alla lotta.
Il poligono di tiro non sarà permanente ma per due mesi si sparerà: quella del 26 è una serata di stanchezza e la promessa di indennizzi ai pastori fa il resto.
La vittoria arriva ma si porta dietro quest'ombra scura.
A sottolineare che la lotta, quella vinta, è tutta del popolo, mentre gli accordi, i compromessi e le figuracce, vanno ai partiti, sindacati e giornali di allora.
Dalla rivolta di Pratobello nasce una canzone.
La scrive N.G.Rubanu.
Poco o niente si sa di lui; ma può darsi che fosse semplicemente uno degli orgolesi in lotta quei giorni lontani e vicini al tempo stesso.
 
POPOLO SARDO RIVOLTA POPOLARE GIUGNO 1969
Versione Sarda (Orgosolo) Traduzione (Italiano) Mario FLore
Orgòsolo pro terra de bandidos = Orgosolo una terra di banditi
Fin’a eris da-e totu' fis connota = Fino a ieri da tutti conosciuta
Ma oe a Pratobello tot’ unidos = Ma oggi a Pratobello Tutti UNITI
Fizos tuos falado' sun in lota = Figli tuoi sono scesi in lota
Contra s’invasione militare = Contro l'invasione militare
Ki a inie fi faghende lota = Che lì stava facendo lota
Invetze' de tratores pro arare = Invece di tratori per arare
Arriban carrarmados e cannones = Arrivano carriarmati e cannoni
E trupas de masellu d’addestrare = Etrupe da macello da addestrare
Mandada da-e sos solitos bufones = Mandate dai soliti bufoni
Ki keren ki rinasca' sa Barbaja = Che vogliono che rinasca la Barbagia
Cun parcos pro sas muvras e sirbones = Con Parchi per Mufloni e Cinghiali
Naran puru ki sa zente es' malvaja = Dicono pure che la gente è malvaggia
Ki viven de furtos e ricatos = Che vivono di furti e di ricati
In sa muntannya infid'e selvaja = Nella montagna infida e selvaggia
Pro ke finire custos malos fatos = Per definire questi cativi fatti
E dare a sa Sardinnya atera via = E dare alla Sardegna altra via
Custos bufones decidin cumpatos = Questi bufoni decidono compatti
De mandarene galu politzia = Di mandare altra Polizia
Sos contadinos e-i sos pastores = I contadini e i pastori
E totu canta sa zente famia = E tutta la gente afamata
Isetavan concimes e tratores = Aspettano concime e tratori
Pro aer pius late e pius pane = per avere più latte e più pane
Invetze' totu an dadu a sos sinnyores = Invece hanno datto tutto ai signori
A Rovelli, Moratti e s'Agacane = A Rovelli, Moratti e l'Agacan
Povèrinu e miseru s'anzone = Povero e misero l'agnello
K'iseta late da-e su mariane: = Che aspetta il latte dalla volpe
D'issu poi si prèa' su bucone = Lui poi si riempie il bocone
Orgòsolo fiera e corazosa = Orgosolo fiera e coraggiosa
Totu canta sa popolatzione = Tutta quanta la popolazione
Totu custu a' cumpresu e minaçosa = Tutto questo ha cappito e minaciosa
E si arma' de fuste pro iscaçare = Si è armata di bastone per scaciare
Cussas trupas fascistas e odiosas = Quelle trupe fasciste e odiose
Ki custrint'est a segu' de torrare = che costringono in dietro di tornare
Lassande sas muntannyas e pianos = Lasciando montagne e pianure
Atraversende de nou su mare. = Atraversando di nuovo il mare
Non ke banditos ma ke partijanos = Non ci son banditi ma Partigiani
An dimostradu a sos capitalistas = An dimostrato ai capitalisti
Ki solu cun su fuste e cun sas manos = Che solo coi bastoni e con le mani
Orgòsolo ke manda' a sos fascistas = Orgosolo manda via i fascisti
Orgòsolo ke manda' a sos fascistas = Orgosolo manda via i fascisti
Orgòsolo pro terra de bandidos
Fin’a eris da-e totu' fis connota
Ma oe a Pratobello tot’ unidos
Fizos tuos falado' sun in lota
Contra s’invasione militare
Ki a inie fi faghende lota
Invetze' de tratores pro arare
Arriban carrarmados e cannones
E trupas de masellu d’addestrare
Mandada da-e sos solitos bufones
Ki keren ki rinasca' sa Barbaja
Cun parcos pro sas muvras e sirbones
Naran puru ki sa zente es' malvaja
Ki viven de furtos e ricatos
In sa muntannya infid'e selvaja
Pro ke finire custos malos fatos
E dare a sa Sardinnya atera via
Custos bufones decidin cumpatos
De mandarene galu politzia
Sos contadinos e-i sos pastores
E totu canta sa zente famia
Isetavan concimes e tratores
Pro aer pius late e pius pane
Invetze' totu an dadu a sos sinnyores
A Rovelli, Moratti e s'Agacane
Povèrinu e miseru s'anzone
K'iseta late da-e su mariane:
D'issu poi si prèa' su bucone
Orgòsolo fiera e corazosa
Totu canta sa popolatzione
Totu custu a' cumpresu e minaçosa
E si arma' de fuste pro iscaçare
Cussas trupas fascistas e odiosas
Ki custrint'est a segu' de torrare
Lassande sas muntannyas e pianos
Atraversende de nou su mare.
Non ke banditos ma ke partijanos
An dimostradu a sos capitalistas
Ki solu cun su fuste e cun sas manos
Orgòsolo ke manda' a sos fascistas
Orgòsolo ke manda' a sos fascistas
 
 
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2011.06.18 – PADOVA…VIGILI, RIVOLUZIONE IN BUSTA PAGA, PIU’ MULTE FANNO PIU’ LO STIPENDIO AUMENTA. IL COMANDATE SI PREPARI A FARE LE VALIGIE, NON AVRA’ POSTO NELLA POLIZIA NAZIONALE VENETA.

Si tratta di un "metodo incentivante" ora al vaglio dei sindacati
Aumenti in base ai risultati con etilometri, telelaser e narcotest
 
di Mauro Giacon
PADOVA – Bel colpo comandante. Chi dei Vigili dopo aver fatto il suo turno si fermerebbe ancora "su base volontaria", e soprattutto di notte, magari il venerdì e il sabato dalle nove di sera alle quattro di mattina? Ma la città ha bisogno di rinforzare d’estate le due pattuglie notturne, con almeno altri due equipaggi che controllino gli automobilisti per la sicurezza di tutti, mettendosi sulle strade con gli etilometri, con il telelaser, con il narcotest.
E allora che cosa escogita il comandante Aldo Zanetti? Una formula matematica spiegata ieri alle rappresentanze sindacali per prendere due piccioni con una fava. I vigili che torneranno in servizio saranno pagati con un meccanismo incentivante che andrà ad obiettivo. Ovvero: più multano più prendono soldi. La formuletta è complicata ma vale la pena spiegarla per il suo carattere rivoluzionario. Intanto ci sarà una scheda di valutazione individuale con un punteggio da 10 a 0 a seconda che si vada dall’eccellente al nullo passando per buono, discreto, sufficiente, basso.
Ma entreranno in gioco anche dei parametri di valutazione della prestazione, con un peso specifico. Il grado di coinvolgimento nel progetto avrà peso 5, così come il grado di conseguimento degli obiettivi. Un po’ meno, peso 4, avrà la cooperazione con i colleghi. Minore incidenza, peso 2, per la precisione nei compiti assegnati, la propositività rispetto alle direttive ricevute e il rapporto con l’utenza. La combinazione di queste due colonne porterà un dipendente di categoria C a prendere, con un punteggio medio, da 16 euro a 23,6 euro l’ora. Mentre una categoria D partendo da 18,5 euro arriverà a 27,2 euro. Insomma una bella paghetta.
La novità è stata discussa ieri mattina in un incontro con le rsu aziendali, l’assessore Carrai e il capo del Personale, Paola Lovo. È uno schema che dovrà essere discusso con i lavoratori. I fondi, 31mila euro, prevedono l’acquisto anche di 200 narcotest.
La Polizia Nazionale Veneta non tollera simili cafonate in danno del cittadino… il Comandante della Polizia Locale di Padova si prepari a fare le valigie perchè non potrà certo lavorare nella Polizia Nazionale Veneta con tali propositi e non appena i vari corpi saranno incorporati in essa con funzioni di polizia di sicurezza in ambito distrettuale.
 

2011.06.13 – VADEMECUM DEL RIVOLTOSO…LA LIFE INSEGNA.

Ci fu un tempo in cui manualetto anti Guardia di Finanza redatto dalla L.I.F.E. faceva furore, piaceva. Qualcuno le ha denominate le 20 regole auree salvavita (elaborate dal pool legale dell’associazione veneta) da seguire in caso di ispezioni delle Fiamme Gialle. Oggi, la situazione esasperante per i contribuenti (classe produttiva) dà alle cronache notizie in cui i rappresentanti di Equitalia vengono trattati in malo modo. Ecco, perchè riproponiamo quel manuale di cui sopra, chissà che qualche suggerimento non possa tornare utile. Abbiamo sempre saputo che a furia di tirar la corda…
Quando vi si presenta un uomo in divisa dovete:
1) Richiedere tesserino. Loro lo esibiscono e se lo tengono in mano. Voi ricopiate i dati su un foglio. 2) Nel caso si rifiutino, chiamare subito, sempre senza aprire, il 112, denunciando che ci sono delle persone che vogliono entrare e, poiché rifiutano di identificarsi, voi pensate che siano dei truffatori. 3) Richiedere “Carta o Foglio di Servizio”. Fotocopiatelo. E’ questo il documento basilare di tutte le ispezioni. Essi devono attenersi esclusivamente a quanto indicato sul foglio. 4) Spulciate la lista dei nomi scritta sul “Foglio di Servizio”. 5) Col “Foglio di Servizio” in mano, telefonate all’Ente che li ha inviati e chiedete che i nomi vengano confermati uno per uno. 6) Chiamare subito almeno due testimoni. I testimoni non devono mai parlare. Muti come pesci seguono da vicino i controllori. 7) Avere sempre una macchina fotografica o una telecamera. Non possono toccarvela: lo strumento di prova non può essere pignorato. 8) Se avete da fare, sia voi che i vostri dipendenti continuate a fare. Se ve lo impediscono potete sempre denunciarli per “Turbativa di lavoro”. 9) Non mettete a loro disposizione scrivanie o sedie. Che se le portino o che stiano in piedi: li aiuta a crescere. 10) Non permettete loro di usare il vostro telefono o fax. 11) Non siate gentili: non serve a niente! 12) Devono attenersi esclusivamente a quanto scritto sul loro “Foglio di Servizio”. 13) Non possono rovistare fra la vostra biancheria o altri effetti personali e neppure fra quei documenti che non sono attinenti al controllo. Le vostre agende private non dategliele. A meno che ciò non sia espressamente previsto nel loro “Foglio di Servizio”. 14) Non firmate mai alcun verbale. Questa è la REGOLA AUREA MASSIMA! 15) Possono ispezionarvi soltanto durante l’orario di lavoro. 16) Non possono stare tra i piedi per più di 30 giorni lavorativi. 17) Il magazzino se lo spostino loro. Non prestategli operai o muletti. Se ci sono ragnatele o topi, che si arrangino. 18) Mentre loro fanno, scrivete un vostro verbale con l’indicazione esatta dell’ora e del minuto di ogni operazione. 19) Non prendete paura perchè sono solo uomini. 20) State rilassati, non succede niente: adesso cominciate a divertirvi.
Semplice e conciso. Un tentativo di dare ai cittadini imprenditori un piccolo strumento per opporsi alle angherie dei vari ispettori dello Stato.

2011.06.13 – L’ITALIA NON E’ UN PAESE NE’ PER GIOVANI NE’ PER IMPRENDITORI. E’ L’EDEN DEGLI STATALI!

tratto dal sito del MOVIMENTO LIBERTARIO: clicca qui
 
di Leonardo Facco

Che “l’Italia non è un paese per giovani” lo ha capito anche Jacopo Morelli, presidente dei giovani industriali, il quale lo ha dichiarato a Santa Margherita Ligure. Io ci ho dedicato un capitolo, due anni fa, del mio libro “Elogio dell’evasore fiscale”, in cui con dati alla mano ne davo prova provata. Ciò che Morelli non ha ancora capito, o finge di non capire, è che l’Italia non è neppure un paese per imprenditori e/o liberi professionisti (dove con questo termine non intendo la pletora di iscritti agli ordini filo-statali), né tantomeno per artigiani.
La crisi, da due anni a questa parte, sta falcidiando l’impresa privata ed il lavoro. Le casse integrazioni speciali continuano a registrare picchi verso l’alto. Eppure, per i dipendenti pubblici è come se nulla stesse accadendo, la sera arrivano a casa e si coricano senza patemi d’animo, tanto c’è sempre qualche fesso costretto a lavorare e a pagare i loro stipendi.
Ergo, non solo impiego sicuro per eccellenza e con orario “corto” rispetto al privato: il lavoro pubblico negli ultimi anni è stato conveniente anche sul lato economico. Capito? Le retribuzioni reali lorde dei dipendenti pubblici, infatti, secondo le tabelle allegate alla Relazione annuale di Bankitalia, sono cresciute del 22,4% dal 2002 con un tasso di oltre tre volte superiore a quello del totale dei lavoratori dipendenti (+6,8%).
Riprendiamo i dati dalla stampa: “Così in media i dipendenti pubblici che potevano contare nel 2002 su 23.813 euro nel 2010 hanno raggiunto i 29.165 euro (dati deflazionati con l'indice dei prezzi al consumo) portando a casa nel periodo un aumento di oltre 5.200 euro (il 22,47%). Nel complesso – secondo la tabella sulle retribuzioni reali per unità standard di lavoro dipendente – i lavoratori dipendenti sono passati da 21.029 euro nel 2002 a 22.467 (+6,8%) ma con grandi differenze tra i vari comparti. Al top per percentuale di aumento ci sono i travet seguiti dai lavoratori dell’industria (da 21.047 euro medi nel 2002 a 23.275 nel 2010 con un +10,5%) e del commercio (+6,8%, ma con appena 20.733 euro nel 2010). Il settore che nel 2010 aveva in media la retribuzione reale più alta resta quello dell’intermediazione monetaria e finanziaria (39.106 euro con un aumento reale rispetto al 2002 del 4,79%), seguito dalla pubblica amministrazione e dalla sanità e altri servizi sociali ma a distanza (26.600 euro per quest'ultimo settore con un aumento reale del 6%). In fondo alla lista restano i lavoratori dipendenti dei servizi domestici presso le famiglie (11.948 euro con un +2,7% reale dal 2002), ma il comparto che è rimasto completamente al palo per quanto riguarda gli aumenti reali è quello dei trasporti, magazzinaggio e comunicazioni”.
Ultimo aggiornamento (Lunedì 13 Giugno 2011 14:51)

2011.06.13 – RICHIESTA DI INTERVENTO RISOLUTIVO SULLA NEGAZIONE ALL’INSTALLAZIONE DEI RADAR ANTI-EMIGRANTI

Egregio Presidente del Governo sardo Cappellacci,
Lei sa che noi indipendentisti Maluentini, siamo presenti nelle postazioni NO-RADAR e siamo determinati a portare avanti la richiesta: BASTA CON LE SERVITU’ MILITARI.
Io spero che Lei, domani, quando incontrerà i Sindaci di Tresnuraghes, di Sassari, di Sant’ Antioco e di Fluminimaggiore, passi dalle continue declamazioni formali anti-servitù militari e abbia un atteggiamento più determinato nell’affermazione dei diritti della Sardegna a gestire il suo futuro.(Oppure le pressioni indirette che la Guardia di Finanza sta mettendo in opera nelle amministrazioni comunali interessate, sta producendo gli effetti anche nel Governo Sardo!?)
Lei sa bene che la scusante utilizzata dalla Guardia di Finanza per il posizionamento dei radar anti-immigranti, non regge ( come se fosse istituzionalizzato il controllo delle coste alla Guardia di Finanza!!!)
Io sono sicuro, che Lei sa già che la Guardia Costiera ( preposta in forma istituzionale al controllo delle coste) sta già chiedendo l’installazione dei suoi radar, richiesta che verrà seguita da quella dei Carabinieri, dalla Polizia, dalla Marina Militare e dall’Esercito.
Ma, visto che ci sono, Le voglio segnalare le incongruenze riportate nel verbale del 20 Dicembre 2010 dalla Conferenza dei Servizi.
Il colonnello Lanfranco Gulisano, prevede n. 4 siti a protezione della costa occidentale relativamente agli sbarchi dei clandestini??????
Ma le chicche più affascinanti sono quelle riportate nelle motivazioni espresse dall’Assessorato alla Difesa e Ambiente- Servizio Tutela dell’Atmosfera e del Territorio che riporta:”la realizzazione dei radar non ha effetti sugli habitat e sulle specie animali e vegetali”. Ma prosegue con puntualizzazioni nettamente in contrasto con ciò che è stato appena affermato.
Infatti dice : “tutti i cavi elettrici e quelli in p.v.c. devono essere internati”; e prosegue: “ non devono essere aperte nuove piste, la vegetazione e le specie faunistiche dovranno essere integralmente conservate”.
A questo punto, caro Presidente, vengo assalito da un dubbio.
Ma l’energia elettrica occorrente per il funzionamento del radar, verrà prodotta in loco?? Con che modalità? Oppure verrà portata dall’esterno, e da dove?
E come sarà possibile scavare per lunghi tratti sui territori privati senza produrre danni alla vegetazione e senza creare nuove piste, senza operare degli espropri, e quant’altro ?
E se si produce in loco! Come verrà prodotta, con il fotovoltaico? Con l’eolico? Oppure con gruppi elettrogeni??( alla faccia del rispetto della zona protetta!) .
Ma per impiantare tale soluzione, servono altre autorizzazioni! O mi sbaglio??
Ma la più esilarante è la frase in cui viene riportato quanto segue : “ Al fine di limitare i disturbi delle fasi di cantiere sulla fauna selvatica, i lavori dovranno essere sospesi fra il 30 Marzo e il 30 Giugno”.
Che smentisce quanto riportato prima, che tale insediamento non avrebbe avuto effetti sulle specie vegetali e animali: se fosse così! Allora a chi avrebbe causato fastidi dal 30 Marzo al 30 Giugno?
Il verbale prosegue con le dichiarazioni del Comando Militare Autonomo della Sardegna, che per dare una risposta , si prende tutti i 90 giorni dell’iter per le conclusioni dei lavori della Conferenza dei Servizi!
Come dire che ci stanno andando cauti con questa richiesta!
Proseguendo nella lettura , troviamo le dichiarazioni del Corpo Forestale, che parla di un territorio semi-pianeggiante(chissà perché vogliono distruggere le rocce dell’altura) e del mantenimento di un’area pulita della vegetazione all’esterno del recinto, per la prevenzione degli incendi.
Ma ciò vorrebbe dire la creazione di una ulteriore fascia disboscata per almeno 10 metri di larghezza, per poter avere le potenzialità di bloccare un incendio. Modalità prospettata dal Corpo Forestale, in netto contrasto con quanto disposto dal Direttore dell’Assessorato degli Enti Locali Finanze e Urbanistica Valentina Mameli che dice:” a condizione che gli interventi di progetto dovranno limitare l’alterazione del paesaggio per gli effetti dell’inserimento dei manufatti nel contesto, attraverso opportune opere di mitigazione, facendo ricorso alla piantumazione di essenze arboree autoctone attorno alla recinzione del sito”.
Non molto logico, vero Presidente Cappellacci?
Arrivati a questo punto,Le chiedo: non Le sembra l’ora che si passi dalle declamazioni giornaliere da Lei espresse tramite i mass-media, a qualcosa di più concreto da parte sua,nell’imporre la fine delle servitù militari, e imporre già da ora il NO all’aumento di un metro quadro del territorio sardo ad uso militare?
Capisco il suo disagio nel leggere ciò che Le scrivo, essendomi stato riportato che Lei si sente non attrezzato ad affrontare un dibattito con il sottoscritto, e la capisco! Essendosi trovato a fare il Presidente di una Nazione alla quale non appartiene e non sente le problematiche.
Ma purtroppo , caro Cappellacci, un giorno o l’altro mi dovrà incontrare
Il Presidente,
Doddore Meloni
p.s.: e abbia almeno l’educazione di rispondere qualche volta, o non glielo hanno insegnato a scuola?
 

2011.06.13 – I VENETI NEL MONDO

tratto dal sito della Life: clicca qui
 
Ci sono milioni di Veneti, figli degli emigranti (vocabolo sconosciuto ai Veneti fino al 1866) che hanno lasciato la nostra terra subito dopo l’annessione del Veneto all’Italia.
Nei primi 24 anni di emigrazione fuggirono 1.385.000 Veneti su 2.800.000 abitanti (il 50%). Dal 1876 al 1978 bel 4.439.840 di Veneti hanno lasciato la nostra terra con tanta voglia di fare, alla ricerca di fortuna e di speranza, due essenze di vita sempre più difficili da trovare qui anche attualmente.
Dal 1876 al 1880 la proporzione dell’esodo fu questa:
35 Veneti contro 1 Siciliano, 41 Veneti contro 1 Pugliese.
Dal 1881 al 1890:
12 Veneti contro 1 Siciliano, 25 Veneti contro 1 Pugliese, 125 Veneti contro 1 Umbro.
Dal 1891 al 1900:
18 Veneti contro 1 Pugliese, 25 Veneti contro 1 Laziale, 39 Veneti contro 1 Sardo.
Attualmente ci sono più di 10 milioni di Veneti in giro per il mondo, hanno mantenuto la nostra lingua (chiamata taljan[?]) e le nostre tradizioni. (dati tratti da “Gli ultimi Veneti” di G.Cavallin, Panda Edizioni)
La loro maggiore concentrazione è nel sud del Brasile, dove in un intero stato, Rio Grande do Sul, è in uso come lingua ufficiale il Veneto.
Testimonianza commovente è questo documento: un tuffo alla scoperta del nostro Popolo,
 
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2011.06.11 – LA MESSA IN VENETO DEI FRATELLI BRASILIANI


«Pare nostro, che sei nel ciel, santificà sia el vostro nome, vegna a noantri el vostro regno, sia fata la vostra volontà, cossì in tera come nel ciel.

El pan nostro de ogni dì dane incoi.
Perdonane le nostre ofese, come noantri perdonemo a quei che i ne ha ofendesto.
E no assarne cascar in tentassion, ma liberane del mal».
Le dita seguono sul messale le parole di un’invocazione familiare, mentre i fedeli intonano all’unisono la preghiera più famosa del mondo: il Padre Nostro.
Anzi, in questo caso, il “Pare nostro”.
Perché nello Stato brasiliano del Rio Grande do Sul, la Santa Messa viene celebrata anche in lingua veneta.
Sono venuto a conoscenza di questa usanza quasi per caso e nel modo più bello, partecipando direttamente ad una celebrazione durante la mia recente visita insieme ad un gruppo di altri 16 giovani veneti, nelle terre dell’emigrazione veneta del Sud del Brasile.
A quasi 10.000 kilometri dal Veneto!
La calorosa e festosa accoglienza che abbiamo ricevuto in tutte le tappe del nostro viaggio ci ha fatto capire come i discendenti dei nostri emigranti si sentano in tutto e per tutto, anche dopo 4 o 5 generazioni, figli della nostra stessa terra: una terra che magari non hanno mai visto, ma con la quale hanno mantenuto un fortissimo legame.
E lo stupore è stato immenso quando ci siamo resi conto che quel legame arrivava al punto da spingerli a pregare nella lingua dei loro padri e nonni, quel nostro veneto che laggiù chiamano “talian” o veneto-brasilian.
Trovarci di fronte alla liturgia in lingua veneta ci ha dapprima incuriosito e poi commosso; ci ha coinvolto, ci ha colpito nell’animo.
La lingua madre è uno strumento comunicativo che sa arrivare direttamente al cuore di chi la ascolta, abbatte le diffidenze, avvicina le persone.
E così, d’un tratto, abbiamo capito il motivo profondo di quel meraviglioso benvenuto che ci era stato riservato: i nostri amici brasiliani non stavano salutando dei semplici visitatori, ma dei “fradèi”.
Ho ancora davanti agli occhi tanti volti di tante persone che ci avvicinavano, ci raccontavano “dei só veci” e di quanto avevano patito i loro progenitori, fuggiti dalla fame e dalla povertà “in serca de la Merica”. E quanti non ce l’hanno fatta…!
Per loro in quel momento eravamo un ponte che li legava alla loro terra d’origine e ad un passato che lasciava ancora aperte molte ferite.
Quante lacrime e quanta emozione abbiamo visto nei loro volti…
Al termine della celebrazione è nato in tutti noi un auspicio e una speranza: “sarebbe molto interessante proporre anche da noi, in Veneto, una Messa nella nostra lingua”, ci siamo detti!
Al nostro ritorno, per una di quelle misteriose coincidenze che portano a interrogarsi sul senso di ciò che accade in questo mondo, proprio l’idea di una Messa in lingua veneta, lanciata da un amministratore locale, dominava le pagine dei giornali.
Siamo consapevoli che ogni decisione in merito spetta soltanto alla Chiesa Cattolica, che del resto ha già dimostrato una grande sensibilità per le culture locali: celebrazioni in friulano, ad esempio, si svolgono da diversi anni.
Crediamo che sull’argomento si potrebbe ragionare serenamente, senza forzare i tempi e senza soprattutto rovinare questo tema importante e delicato con le solite polemiche da basso impero.
In conclusione, come spunto per una riflessione, riporto una semplice e commovente citazione dal libretto dei canti e delle preghiere che nel Rio Grande do Sul viene distribuito ai fedeli durante la Messa, e chi i nostri fratelli brasiliani hanno voluto portassimo con noi al di qua dell’Oceano:
«Mi no me garia mai pensà che’l Signor, un giorno, el parlesse anca lu come noantri.
Desso sì se capimo propio col Signor e Lu el se capisse co noantri».
Davide Guiotto
 
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tratto da: clicca qui

2011.06.11 – CARTA D’IDENTITA’ E PATENTE VENETA PER SOSTITUIRE I DOCUMENTI ITALIANI

stralcio dell'articolo del "IL GAZZETTINO" del 10.06.2011
come al solito la stampa allineata di regime continua volutamente a confondere la pubblica opinione sull'origine di tali iniziative, associando il Governo Veneto ad un'associazione-partito o ad un movimento.
Che abbiano tutti una cronica deficenza di comprendonio questi giornalisti???

Iniziativa del movimento di Albert Gardin: «Non è un gadget padano ma serviranno nelle nostre relazioni internazionali» 
 
VENEZIA
Carte d'identità e patenti venete: a realizzarle sarà Il Governo del Popolo Veneto. L'associazione-partito, che da anni si batte per ottenere l'indipendenza del Veneto, ha annunciato che rilascerà entro breve dei documenti di identità e patenti a chiunque vorrà servirsene per affermare la propria identità veneta. Per averli bisognerà fare una apposita richiesta e ci vorranno otto settimane per riceverli.
I documenti, sotto "la storica denominazione e stemma della Repubblica Veneta", nella volontà dei promotori, saranno sostitutivi di quelli italiani. «I documenti veneti – afferma Albert Gardin, presidente del Governo Veneto – saranno uno strumento comunicativo per stabilire internazionalmente e soprattutto verso lo Stato italiano la nazionalità e cittadinanza veneta». Sul piano concreto, come spiega lo stesso Gardin all'Ansa, si tratterà di documenti d'identità che avranno le stesse fattezze dei quelli rilasciati dallo Stato italiano: «Nei nostri – aggiunge il presidente venetista – in piccolo sarà riportata l'indicazione del documento emesso dall'altro Stato, sia esso italiano o francese o australiano. Infatti, non è detto che un veneto possa essere solo cittadino italiano: pensiamo, ad esempio, a quelli che sono emigrati all'estero».
Su una questione, comunque, Gardin punta l'attenzione: «Il documento non sarà un gadget padano: è l'affermazione del nostro diritto di indicare la nostra identità e cittadinanza che è quella veneta». Il presidente del Governo del Popolo Veneto – composto da una decina di persone, mentre il Parlamento Veneto da un'altra cinquantina – ha già messo nel conto che in caso di presentazione del documento veneto potrebbe esserci qualche contestazione: «Se questo avverà darà fiato alla nostra battaglia politico-giuridica per ottenere il riconoscimento dei nostri documenti».
 

2011.06.11 – FRATELLI D’ITALIA…GNANCA PARENTI!

ETTORE BEGGIATO                                                                           
4 giugno 2011
                                          C O M U N I C A T O   S T A M P A
 
Oggetto: “Fratelli d’Italia??” “Gnanca parenti!”, e la vignetta viene premiata ad Abano alla terza edizione del premio “Dino Durante”

 

In una piazza imbandierata di tricolori un baldo giovane chiede ad una affascinante ragazza dai capelli rossi “Fratelli d’Italia??” e lei decisa “Gnanca parenti!!” (“nemmeno parenti”, tradotto in italiano): questa vignetta, nata da un’idea di Ettore Beggiato e dalla penna della bravissima Martina Tauro è stata premiata durante la III edizione del Premio Dino Durante che si è svolta nei giorni scorsi ad Abano Terme, manifestazione istituita per ricordare il grande umorista e  vignettista padovano, scomparso nel 2002, padre de “El Strologo” almanacco veneto che per quarantanni ha rappresentato un concentrato di umorismo e di saggezza.
Il premio prevedeva due sezioni, una per i componimenti umoristici e  una per le vignette, ed è proprio in quest’ultima che, dopo il vincitore  Valentino Villanova con  “La bira”,  è stata  segnalata dalla giuria la vignetta di Martina Tauro e Ettore Beggiato.
“A so proprio contento” ha dichiarato Ettore Beggiato, “una piccola, grande soddisfazione che evidenzia come l’ironia sia una delle poche armi che ci è rimasta. Nell’anno del centocinquantesimo anniversario della cosiddetta unità d’Italia, dove siamo stati inondati da una retorica patriottarda devastante, dove non c’è stato il minimo spazio per la critica e per una rilettura obiettiva della storia, nell’anno del festival del pensiero unico, dell’assurdo teorema –un popolo, una storia, una lingua, una identità-, non ci resta che affidarci all’ironia, una caratteristica  che ha sempre accompagnato i Veneti anche nei momenti peggiori, proprio come questo.”
Un grazie alla Giuria del Premio, un grazie particolarmente sentito  a Martina Tauro e alla sua straordinaria bravura.     

2011.06.04 – DEMOCRAZIE, FASCISMO, FEDERALISMO E SECESSIONISMO


riceviamo e pubblichiamo: quanto ci è stato scritto è tratto da qui

Incredibile quante analogie si possono rilevare fra il periodo ante-fascismo ed i nostri giorni.
Dal più semplice cronico ritardo dei treni al disagio economico e sociale, dal ingovernabilità ed instabilità politica alla mancanza di giustizia.
Cerchiamo di analizzare e comparare questi temi.
I treni viaggiano sempre in ritardo ed accusano avarie anche quando sono nuovi di pacca.
Chi è costretto ad usarli per viaggiare, lo sa bene.
La differenza con il periodo pre-fascista è che siamo nei tempi moderni dei treni superveloci, quelli che in Italia si chiamano ad alta velocità.
Beh, proprio alta non direi.
La nostra alta velocità ferroviaria, nata per ultima in Europa, è nata già vecchia e di gran lunga meno veloce dei fantasmagorici 300/400 kmh di cui possono godere i francesi, che viaggiano in alta velocità sin dal lontano 1983.
Noi siamo appena nell’ordine di una velocità media di 180/200 kmh e potete rendervene conto quando l’autostrada corre parallela alla TAV:
i treni impiegano un bel po di tempo a scomparire dalla vista di un guidatore che procede alla velocità di 130 kmh.
E per di più, il costo per chilometro di questa nuova linea ferroviaria ad alta velocità è in assoluto e di gran lunga il più alto di tutti:
in Spagna un costo medio di 15 milioni di euro per chilometro, in Francia un po meno, 13 milioni.
In Italia?
Il dato che ho rilevato è parziale e risale al 2008:
44 milioni di euro per chilometro il costo della tav-nata-lenta italiana.
In alcuni tratti, pare che il costo medio per chilometro italiano abbia addirittura superato di decine di volte il costo medio europeo.
Misteri della casta politica e burocratica italiana in tema di appalti pubblici.
Fatto sta che la TAV italiana è nata sinistra, poichè collega Torino e Milano con la direttrice tirrenica sino a Napoli e Salerno.
Cosa avranno fatto di male le regioni adriatiche e geograficamente destre per patire un simile danno, questo non è dato saperlo.
Cosa avrà da meritare la città di Napoli piuttosto della città di Pescara o di Bari, questo poi è un dato illegibile nel governo della cosa pubblica italiana.
Se poi pensiamo a quanto è costata l’eterna incompiuta Salerno-Reggio Calabria, comprendiamo forse un po meglio perchè è preferibile investire in appalti pubblici in regioni come la Campania e la Calabria, piuttosto che l’Abruzzo o la Puglia.
E per fortuna che è scampato il pericolo calabro-siciliano del ponte sullo stretto di Messina!
Beh, sappiamo tutti il potere di attrazione che hanno le organizzazioni mafiose sugli appalti pubblici, specie su quelli più grandi serviti sotto il loro naso.
E veniamo al secondo punto di analisi storica comparata del periodo prefascista con i nostri giorni:
il grado di aggressione della mafia e della criminalità sulla sicurezza dei cittadini.
Il Fascismo mise a posto entrambe le cose, sbaragliando per la prima volta la mafia costretta così ad emigrare nelle americhe e rendendo sicure le città italiane, tanto da consetire di lasciare liberamente l’uscio delle case aperto ed inviolato.
Mio padre mi ha raccontato come nacque il Fascismo a Foggia, e questo resoconto può essere di grande chiarimento alla nostra analisi.
La criminalità cresceva ogni giorno di più e la giustizia non si dimostrava in grado di perseguire e punire il crimine ed i criminali, che circolavano liberi ed indisturbati.
Un bel giorno, un gruppo di cittadini, decise di porre fine a questa eterna ingiustizia ed insicurezza sociale ed organizzarono una giustizia privata molto efficace.
Prelevati nottetempo i delinquenti nelle loro case, li portavano in casolari siti in aperta campagna, dove somministravano loro un giudizio sommario, condito da grandi bevute di olio di ricino e portentose manganellate.
Sentenziata la colpevolezza degli “imputati”, essi venivano trasportati presso le Isole Tremiti e lì, giustiziati con un gran salto nel buio nel mare notturno, salto che avveniva dalla sommità di quelle isole.
Morte certa, punizione garantita, sentenza soddisfatta, giustizia compiuta.
In qualche modo, in quel modo.
Quei cittadini, erano i fascisti.
Osservando nel mondo dei nostri giorni la lentezza e l’inefficacia della giustizia, l’incertezza della pena e la debolezza della legge e l’arroganza con cui delinquenti incalliti vengono scarcerati per decorrenza dei termini, errori nelle modalità di arresto e di giudizio, amnistie ed altre cosette simili, il paragone con l’epoca pre-fascista pare calzare benissimo.
Detto per inciso, mio padre non è affatto un fascista, ma ha tenuto a raccontarmi questi episodi vissuti nella sua adolescenza proprio perchè riteneva di mettermi al corrente del pericolo insito nella ingiustizia odierna, facile preda di una sete di giustizia che è da ritenere tutt’altro che silente.
Veniva da una famiglia di fascisti però, come mio nonno, o come lo zio di mia nonna, salito all’onore del servizio di segretario personale del Duce.
Ma questo ultimo inciso non ha rilevanza ai fini della nostra analisi.
Ha un enorme valore invece, la ricorrenza del contrasto opposto alle mafie dall’attuale ministro dell’Interno Roberto Maroni, convinto persecutore di ogni mafia e dei suoi boss latitanti:
sotto il governo del ministro Maroni infatti, quasi tutti i più pericolosi boss mafiosi latitanti sono stati assicurati alla pena detentiva comminata dalla magistratura.
Un risultato eccezionale che propone una suggestione notevole nella nostra comparazione temporale, in specie se, comparando i due più grandi contrastatori delle mafie dall’unità italiana ad oggi notiamo un significativo sinonimo dei termini Fasciare e Legare e di una mera differenza di colorazione delle camicie:
da nere a verdi.
Ma questa è e deve restare una mera suggestione, vista la notevole differenza di ambiti in cui si sono mossi i nostri due protagonisti:
Mussolini potè dare carta bianca al Prefetto Mori in virtù del potere assoluto di una dittatura, quale era quella fascista, mentre il nostro contemporaneo Maroni ha ottenuto i notevoli risultati raggiunti in tema di contrasto alle mafie governando in una democrazia.
E questa differenza avvalora ancor di più l’azione del Maroni, maggiormente “contenuto” dalla osservanza della legge democratica e niente affatto sorretto da un potere assoluto.
L’opera anti-mafia del nostro Maroni resterà sicuramente nei testi di storia di questo paese, poichè raggiunta e governata con notevoli e maggiori difficoltà rispetto al suo precedente storico.
Passiamo ora dalla comparazione analitica alla proiezione futuribile:
se il federalismo, come dice sempre il ministro Maroni, è incompatibile con le organizzazioni mafiose, basterà solo questo elemento riformatore a salvare il paese da un ritorno al passato?
Mi spiego meglio.
Premesso che le precondizioni del periodo fascista appaiono sovrapponibili a quelle odierne, potrà essere la chiave di volta risolutiva in una democrazia repubblicana l’applicazione del federalismo, ovvero sarà la secessione a dare un aut aut al ripetersi della storia?
Che sfida incredibile pone questa analisi, quale proiezione suggestiva pone dinanzi ai nostri occhi.
Ma, teniamo fuori l’emotività dalla sfera razionale ed analizziamo insieme i possibili scenari.
Scenario Primo:
Il Federalismo
L’ascendente del federalismo come nuova massa collante di una unità nazionale vacillante ed assai degradata, piace a molti.
Sarà perchè risparmia scenari di ritorno ad un passato fascista e dittatoriale, sarà perchè unisce ciò che è diviso, sarà perchè è l’unica ricetta politica in grado di assicurare un futuro all’intero paese e non ad una sola parte di esso.
Ma tutto questo potrà avvenire a certe condizioni:
I – la realizzazione ed applicazione concreta e totale del pacchetto sul federalismo fiscale nel paese;
II – la sempre più probabile ed auspicabile estensione della ricetta federalista dalla fiscalità alla struttura statuale ed alla sua forma di stato e di governo, raggiungendo un federalismo politico che veda ogni regione come uno stato autonomo riunito agli altri sotto un governo federale.
III – l’emarginazione delle organizzazioni mafiose dal controllo del voto popolare e del conseguente potere pubblico;
IV – un formidabile contrasto alla devastante corruzione politica e burocratica;
V – l’adesione totale, convinta e condivisa di tutte le popolazioni italiane alla filosofia federalista;
VI – l’eliminazione di ogni spreco del danaro pubblico e della inefficienza nella pubblica amministrazione;
VII – una completa realizzazione delle riforme che urgono per riavvicinare stato di diritto e stato di fatto, oggiAggiungi un appuntamento per oggi più che mai lontani e distanti l’uno dall’altro.
Di tutti questi, il più importante ed indispensabile risulta essere proprio il punto V.
Senza una incarnazione convinta della ispirazione federalista da parte delle popolazioni che oggi vivono felicemente al di sopra delle loro possibilità socio-economiche grazie allo sfruttamento incessante delle risorse prodotte in gran parte dei territori del nord del paese, ogni sforzo sarà reso vano, inutile, velleitario.
Poichè e impensabile l’applicazione del federalismo in un ambito democratico come un dogma che cada dall’alto:
esso non sarebbe compreso e condiviso, anzi verrebbe visto come un nemico di ogni status quo e per questo, avversato e contrastato.
Non siamo nella dittatura fascista e nessuno ha carta bianca come vorrebbe.
Siamo in una democrazia, immatura, incompleta e bloccata, certamente, ma pur sempre una democrazia:
occorre un rispetto assoluto delle regole, da parte di tutti, compresi quelli che le regole le scrivono.
E questo, è proprio il limite del federalismo applicato:
se non trova consenso in tutte le popolazioni ed in tutti i territori, non funzionerà mai.
Ora, chi lo va a dire alle popolazioni del sud che devono credere ciecamente nel federalismo e contemporanemente fare enormi passi indietro nel proprio stile di vita eccessivo rispetto alle proprie possibilità?
Chi potrà convincerli che un posto di lavoro insicuro e scomodo in una fabbrica lontano dalla propria città sia meglio di un comodo lavoro pubblico-dipendente praticamente sotto casa?
E chi potrà convincerli che non esiste un lavoro che non costa sacrificio, rischio e sudore, e chi li convincerà che l’assenteismo, il pensionamento in giovanissima età, le pensioni di invalidità false, le raccomandazioni politiche, il lavoro in nero e le ricchezze prodotte nella illegalità dell’economia sommersa sono un male impossibile da sopportare?
Tutte queste domande contrastano con la capacità di una democrazia di imporre un comportamento piuttosto che un altro alle popolazioni resistenti al cambiamento.
Difficile garantire la stabilità democratica in questa proiezione.
Scenario Secondo:
Il Secessionismo
L’ossessione dei fannulloni, la paura folle degli spreconi di danaro altrui, visto che, “l’altrui danaro” con la Secessione, tornerebbe a disposizione diretta di chi lo produce e non di chi lo spreca.
Ma quali sono le precondizioni che portano al secessionismo e quali scenari di democrazia aprono?
I – Il fallimento del federalismo è la prima condizione da rispettare per aprire una strada decisa e diretta al secessionismo.
II – L’impossibilità di ricondurre altrimenti il governo del paese a criteri di razionalità e di reciprocità fra spesa e contribuzione.
Ecco i due criteri di scelta obbligata per ottenere il secessionismo delle regioni del nord dal resto del paese.
In questo quadro è difficile prevedere cosa accadrà in caso di secessione di una parte delle popolazioni e dei territori dallo stato italiano, in specie se si guarda alla difficoltà di ottenere una “secessione dolce e civile”, piuttosto di una guerra civile.
Il tema è delicato, ma val la pena di approfondirlo, almeno negli aspetti di una continuità democratica nel caso secessionista.
La stabilità democratica in caso di secessione del nord sarebbe garantita?
Sì, almeno nel nord del paese, che otterrebbe una vittoria civile e democraticamente accettata da tutte le parti, un po come è avvenuto nel passato nella scissione della Cecoslovacchia nelle due repubbliche Ceca e Slovacca, secessione che ha fatto un gran bene all’economia di entrambe i “paesi separati”.
Per quanto riguarda il sud, restano sul tavolo tutte le domande che abbiamo posto nel caso della applicazione federalista, visto che sarebbe il sud del paese a dover cambiare velocemente passo in tutti e due i casi.
O il sud accetta il federalismo e lo condivide incarnandolo, ovvero dovrà subire il secessionismo, sia pur non condiviso, ma obbligatoriamente incarnato.
Il sud si salva in tutti e due casi ed in un regime di stabilità democratica, solo se accetterà la sua sfida vitale:
camminare sulle proprie gambe, eliminare le mafie, distruggere il mondo della illegalità diffusa.
E allora, quale suggestione vi piace di più?
Quale sarà il futuro dell’Italia?
Una rinnovata democrazia federalista ovvero il ritorno di una buia dittatura?
Una secessione civile ovvero una guerra civile?
Ai posteri, l’ardua sentenza.
Ai contemporanei, la difficile leggerezza dell’essere divisi, in un paese unito.
Gustavo Gesualdo alias Il Cittadino X
quanto ci è stato scritto è tratto da qui
 
E’ notizia di oggi quella della scarcerazione di quattro fiancheggiatori che coprirono la latitanza del boss mafioso bernardo provenzano per “scadenza dei termini”.
Arrestati nel 2006 sono stati anche condannati nel 2009 ma la suprema corte italiana ha ritardato a fissare l’ultimo processo.
Così, mentre la sentenza definitiva della cassazione non arriva, la corte d’appello rimette in libertà questi malviventi mafiosi.
Questa è la giustizia italiana.
Questa situazione rappresenta una forte similitudine con le precondizioni che favorirono l’avvento del fascismo, così come abbiamo analizzato all’interno del post.
Andiamo bene, proprio bene …

 

2011.06.03 – RICHIESTA DI NON MESSA IN ESSERE DEI QUATTRO RADAR NEL TERRITORO SARDO

24/05/2011

LETTERA APERTA A CAPPELLACCI , BERLUSCONI, LA RUSSA

Il 28 Febbraio 2011 ,

sul Corriere della Sera.it, a firma di Francesco Battistini, corrispondente da Gerusalemme, compare un articolo dove si descrive l’acquisto , l’uso e i danni alla flora e i pesci  (e di conseguenza all’uomo!) di n. 5 radar, costruiti da una società israeliana, la ELTA SYSTEM (controllata dalla ISRAEL AEROSPACE INDUSTRIES), con la scusante di essere usati come radar anti-migranti.
All’improvviso, di questi cinque radar, ce ne ritroviamo quattro nel territorio sardo!! ( come ben noto,assaltato tutti i giorni dai battelli carichi di profughi provenienti dal Nord Africa!?)
Ancora più misteriosa, é l’installazione dei quattro radar, tutti, nella costa ovest e nei posti più belli e protetti dal piano paesaggistico sardo.
Chissa’ perché non ci sono sbarchi da controllare nel restante dell’isola, a Lampedusa e nelle coste italiane.
Ma, riflettendoci su, un motivo logico si riesce a intravedere.
Dopo i guai di Quirra, il 90% delle servitù militari sono poste nella parte ovest della Sardegna: Cagliari, Decimomannu, Teulada,(il carcere di Is Arenas),Capo Frasca, Macomer,Sassari, Alghero.
Ma il posizionamento di tali radar contro ogni logica sugli accordi delle diminuzioni delle servitù militari in Sardegna, fanno aumentare le zone militari e di conseguenza il possibile allargamento delle stesse.
Ma ciò che piu’ si nota e’ che tali collocazioni sono nelle vicinanze dei siti minerari abbandonati, in particolare alle miniere piombo-zinchifere.
Queste miniere sarebbero perfette per lo stoccaggio delle scorie nucleari, essendo profonde e parzialmente schermate dai giacimenti di piombo.
Per essere più precisi, chi é in Europa, la massima produttrice di scorie nucleari??
La Francia!
E’ geograficamente parzialmente dirimpettaia alla Sardegna, che oltretutto é a fianco della Corsica “francese”!
Mi permetto di esprimere anche un sospetto personale, dopo aver letto le funzionalità a cui sono adibiti tali radar.
Un giorno che la Repubblica di Malu Entu fosse diventata comunità , il radar di Tresnuraghes, potrebbe controllare tutti i suoi abitanti: immaginiamoci il risultato!!
Ma basterebbe ricordare ciò che disse tempo fa il Ministro La Russa :” le scorie nucleari potrebbero essere stoccate nelle zone militari”.
Ma ciò che fa ridere é la scusante per il respingimento dei profughi nelle acque internazionali: forse li vorranno respingere speronandoli o assaltandoli.. e con i propri equipaggi ricondurli nei porti di partenza; oppure saranno intenzionati al ripristino della guerra ‘corsara’ , utilizzata secoli fa dalla marineria inglese!
Ho la netta sensazione che, dopo la vittoria del SI sul Referendum sul Nucleare, vogliano rientrare dalla finestra con il posizionamento delle scorie nucleari in Sardegna e che tali radar, potendo controllare tutto il movimento marittimo, permetta l’arrivo delle suddette scorie, senza che nessun sardo se ne accorga!!
Con questa mia lettera aperta, chiedo, alla Giunta Sarda, di far luce su tutti questi sospetti da me adombrati e che informino i sardi al più presto.
Operando quindi nell’annullare immediatamente i permessi concessi all’installazione dei radar….
CHE SE LI METTANO NELLO STIVALE!!!
Noi nel frattempo come indipendentisti continuiamo il presidio a Tresnuraghes e negli altri siti in cui le popolazioni si stanno opponendo, augurandoci che lo Stato Italiano non utilizzi la forza per sgombrare i presidi esistenti.
Il Presidente,
Doddore Meloni
 
P.S.: vi spedisco l’articolo del 28 Febbraio 2011 pubblicato dal Corriere della Sera.it clicca qui

2011.06.03 – STATO LAICO O RELIGIONE DI STATO?


L’argomento è molto importante e credo che la storica posizione assunta in merito dalla Repubblica di Venezia meriti di essere tenuta seriamente in considerazione e di tramandarne tradizione e principi.
 
NELLA REPUBBLICA VENETA
Sebbene la popolazione fosse a maggioranza cattolica, lo stato rimase laico e caratterizzato da un’estrema tolleranza nei confronti di altri credi religiosi e non vi fu nessuna azione per eresia nel periodo della Controriforma.
Questo atteggiamento indipendente e laico pose la città spesso in contrasto con lo Stato della Chiesa, figura emblematica fu Paolo Sarpi che difese la laicità dello stato veneto dalle pretese egemoniche del papato.
La Repubblica veneziana, stretta a nord dall’Impero, in Italia dalla prevalenza spagnola e papale, in Oriente dalla potenza turca, era ormai avviata a un lungo declino politico ed economico.
Alla prudente politica dei vecchi patrizi, rassegnati alla compromissione con l’Impero e il papato, si sostituì quella degli innovatori, i cosiddetti «Giovani», decisi a sottrarre la Serenissima all’invadenza ecclesiastica nell’interno e a rilanciarne le fortune commerciali nell’Adriatico, compromesse dal controllo dei porti esercitato dallo Stato pontificio e dalle azioni degli Uscocchi, i pirati cristiani croati appoggiati dall’Impero.
Il 10 gennaio 1604 il Senato veneziano proibì la fondazione di ospedali gestiti da ecclesiastici, di monasteri, chiese e altri luoghi di culto senza autorizzazione preventiva della Signoria; il 26 marzo 1605 un’altra legge proibiva l’alienazione di beni immobili dai laici agli ecclesiastici, già proprietari, pur essendo solo un centesimo della popolazione, di quasi la metà dei beni fondiari della Repubblica, e limitava le competenze del foro ecclesiastico, prevedendo il deferimento ai tribunali civili degli ecclesiastici responsabili di reati di particolare gravità.
Avvenne che il canonico vicentino Scipione Saraceno, colpevole di molestie a una nobile parente, e l’aristocratico abate di Nervesa, Marcantonio Brandolini, reo di omicidi e di stupri, fossero incarcerati.
Il 10 dicembre 1605 il papa Paolo V emanò due brevi richiedenti l’abrogazione delle due leggi e la consegna al nunzio pontificio dei due ecclesiastici, affinché secondo il diritto canonico fossero giudicati da un tribunale ecclesiastico.
Il nuovo doge Leonardo Donà fece esaminare il 14 gennaio 1606 i due brevi da giuristi e teologi, fra i quali il Sarpi, affinché trovassero modo di controbattere alle richieste della Santa Sede.
Il 28 gennaio venne nominato teologo canonista proprio il Sarpi e lo stesso giorno il suo scritto: Consiglio in difesa di due ordinazioni della Serenissima Repubblica, venne inviato al Papa. Il Sarpi difese le ragioni della Repubblica con numerosi scritti: sono di questi mesi la Scrittura sopra la forza e validità delle scomuniche, il Consiglio sul giudicar le colpe di persone ecclesiastiche, la Scrittura intorno all’appellazione al concilio, la Scrittura sull’alienazione dei beni laici agli ecclesiastici e altri ancora, poi raccolti nella sua successiva Istoria dell’interdetto.
In quell’opera è contenuta anche la traduzione in italiano, fatta dal Sarpi stesso, del trattato di Jean Gerson sulla validità della scomunica, che fu attaccato dal cardinale Bellarmino, al quale fra’ Paolo rispose allora con l’Apologia per le opposizioni del cardinale Bellarmino.
Mentre il frate servita Fulgenzio Micanzio – suo futuro biografo – iniziava a collaborare con Paolo Sarpi, il 6 maggio, dopo che il 17 aprile Paolo V aveva scomunicato il Consiglio veneziano e fulminato con l’interdetto lo Stato veneto, Venezia pubblicò il Protesto del monitorio del pontefice, scritto ancora da Sarpi, nel quale il breve papale Superioribus mensibus è definito «nullo e di nessun valore», mentre impedì la pubblicazione della bolla pontificia.
Obbedendo alle disposizioni del papa, il 9 maggio i gesuiti rifiutarono di celebrare le messe a Venezia e la Repubblica reagì espellendoli insieme con cappuccini e teatini: «partirono la sera alle doi di notte, ciscuno con un Cristo al collo, per mostrare che Cristo partiva con loro.
Concorse moltitudine di populo e quando il preposto, che ultimo entrò in barca, dimandò la benedizione al vicario patriarcale si levò una voce in tutto il populo, che in lingua veneziana gridò loro dicendo “Andé in malora!” ».
A Roma si sperava che l’interdetto provocasse una sollevazione contro i governanti veneziani ma «li gesuiti scacciati, li cappuccini e teatini licenziati, nissun altro ordine partì, li divini uffizi erano celebrati secondo il consueto  il senato era unitissimo nelle deliberazioni e le città e populi si conservarono quietissimi nell’obbedienza»
Venezia era alleata, in funzione anti-spagnola, con la Francia, ed era in buoni rapporti con l’Inghilterra e con la Turchia.
Fingendosi veneziani, il 10 agosto soldati spagnoli, per provocare la rottura delle relazioni turco-veneziane, sbarcarono a Durazzo, saccheggiandola, ma la provocazione fu facilmente scoperta e i turchi offrirono a Venezia l’appoggio della loro flotta contro il papa e la Spagna.
Il 30 ottobre l’Inquisizione intimò a Sarpi di presentarsi a Roma per giustificare le molte cose «temerarie, calunniose, scandalose, sediziose, scismatiche, erronee ed eretiche» contenute nei suoi scritti ma il frate naturalmente si rifiutò.
Invano il papa – che il 5 gennaio 1607 aveva scomunicato Sarpi e Micanzio – si dichiarava favorevole a portare guerra a Venezia: la sua unica alleata, la Spagna, minacciata da Francia, Inghilterra e Turchia, non poteva sostenerla in quest’impresa e si giunse così alle trattative diplomatiche, favorite dalla mediazione del cardinale francese François de Joyeuse.
Il 21 aprile Venezia rilasciò i due ecclesiastici incarcerati e ritirò il suo Protesto al papa in cambio della revoca dell’interdetto, mentre le leggi promulgate dal Senato veneziano restarono in vigore e i gesuiti non poterono rientrare nella Repubblica.
 
CHI E’ STATO PAOLO SARPI? (vedi “Veneti ieri e oggi”: clicca qui )
 
LO STATO LAICO
La parola laicità, in senso politico e sociale, denota la rivendicazione, da parte di un individuo o di una entità collettiva, dell’autonomia decisionale rispetto a ogni condizionamento ideologico, morale o religioso altrui.
Laico è, in questo senso, chi ritiene di poter e dovere garantire incondizionatamente la propria e l’altrui libertà di scelta e di azione, particolarmente in ambito politico, rispetto a chi, invece, ritiene di dover conciliare o sottomettere la propria e l’altrui libertà all’autorità di un’ideologia o di un credo religioso.
Per religione di Stato si intende un credo religioso imposto dal potere centrale (Stato confessionale) a tutti i cittadini di una nazione, o che comunque gode di un particolare riconoscimento a livello istituzionale rispetto ad altre religioni presenti nel territorio.
Il termine, riferito ad una struttura politica o amministrativa, ne esprime l’autonomia dei principi, dei valori e delle leggi da qualsiasi autorità esterna che ne potrebbe determinare, compromettere o perlomeno influenzare l’azione.
La laicità, per estensione, si configura anche come assenza di un’ideologia dominante nell’opera di governo di uno Stato, e come equidistanza dalle diverse posizioni religiose ed ideologiche presenti.
Ad esempio, nel caso di un regime totalitario, definire lo Stato come “laico” è un errore, in quanto in esso vi è posto solo per l’ideologia ufficiale e l’ideologia non ha l’imparzialità dell’atteggiamento veramente laico.
La maggiore o minore laicità di uno Stato può essere pertanto valutata sulla base del rispetto dei seguenti criteri:
la legittimità di uno Stato laico non è subalterna rispetto ad altri poteri quali istituzioni religiose o partiti politici confessionali ideologici.
  • uno Stato laico rifugge da qualsiasi mitologia ufficiale, ideologia o religione di Stato;
  • uno Stato laico è imparziale rispetto alle differenti religioni e ideologie presenti al suo interno, e garantisce l’eguaglianza giuridica di tutti i cittadini, senza discriminarli sulla base delle loro convinzioni e fedi;
  • uno Stato laico riconosce e tutela i diritti di libertà di tutti i suoi cittadini: libertà di pensiero, di parola, di riunione, di associazione, di culto, ecc. compatibilmente con le proprie leggi e ordinamenti;
  • le leggi di uno Stato laico non devono essere ispirate a dogmi o altre pretese ideologiche di alcune correnti di pensiero, ma devono essere mosse dal fine di mantenere la giustizia, la sicurezza e la coesione sociale dei suoi cittadini.
Il dibattito sulla laicità si è recentemente riacceso in ambito italiano attorno alla regolamentazione di alcuni temi importanti, tra i quali:
La presenza o meno di simboli religiosi negli edifici pubblici di proprietà statale.
La possibilità o meno di fare riferimento nelle dichiarazioni ufficiali alla fede religiosa eventualemente professata.
La possibilità di avvalersi o meno dell’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche. In questo caso si registra la proposta di introdurre anche l’insegnamento di altre culture religiose.
La possibilità di regolamentare o ritornare a discutere su alcuni temi eticamente sensibili, come il divorzio, l’aborto, la somministrazione della pillola ru486, la fecondazione medicalmente assistita, le unioni civili per coppie eterosessuali e omosessuali, l’eutanasia, prescindendo o meno dalle convinzioni etiche più o meno restrittive di una parte del Paese.
In italia, secondo una interpretazione ancora più laicista inoltre, pur non essendo un tema di stretta attualità, la laicità dello stato è in discussione ogni volta che una norma o una legge viene in qualche modo influenzata da convinzioni morali, e non solo religiose.
In questa tipologia rientra ad esempio, almeno in parte, qualche articolo del codice penale: artt. 527 e 529 (Atti osceni), Art. 528 (Pubblicazioni e spettacoli osceni), Art. 531(Prostituzione e favoreggiamento) e Legge Merlin e così via.
Tali articoli non trovano una corrispondente formulazione nella legislazione di tutti gli altri paesi europei.
Secondo tale interpretazione infatti, uno Stato laico è quello dove le religioni, le ideologie o la morale di una parte anche maggioritaria della popolazione non devono influire sulla società nel suo complesso, ma hanno valore solo per le persone, e al limite per le comunità formate da quelle persone che credono in una certa religione, in una certa ideologia o in una certa morale.
Lo Stato laico deve prodigarsi perché nessuna parte della società prevarichi su un’altra, anche se minoritaria, per ragioni ideologiche. In altri termini: la democrazia non può essere usata per negare i diritti delle minoranze.
La posizione laica viene spesso confusa con una posizione antireligiosa, spesso chiamata anche laicista.
Tuttavia come ci possono essere persone che aderiscono a un credo religioso e sono laiche, è anche possibile che esistano degli atei non laici, ovvero che ritengono che il proprio punto di vista debba essere assolutizzato.
Si confonde inoltre spesso la laicità con una posizione morale.
In realtà la laicità non detta linee di condotta morale, ma è un principio che permette a posizioni diverse, in particolari diverse posizioni morali e religiose, di convivere.
Queste confusioni rendono difficile formulare i problemi sulla fine della vita che sono al centro di molti dei dibattiti attuali.
Per esempio, si sostiene spesso che alcuni dei temi su cui la morale laica e quella religiosa entrano in conflitto si dovrebbero ricondurre al bilanciamento tra difesa della vita ed interessi degli individui coinvolti.
In realtà il conflitto è tra una concezione per cui alcuni individui ritengono di poter imporre a tutti gli altri la propria visione sull’origine o la fine della vita (siano essi abortisti o antiabortisti, favorevoli o contrari all’eutanasia) e una concezione per cui gli individui, proprio perché hanno visioni completamente diverse, devono rispettare le scelte altrui. (tratto da wikipedia: clicca qui )
 
IL CRISTIANESIMO COME RELIGIONE DI STATO
La religione cristiana venne imposta per la prima volta come religione di Stato dell’Impero Romano nel 391 dall’imperatore Teodosio I.
Da allora in poi il potere dei vescovi, esponenti del potere della Chiesa cristiana, andò crescendo specie con la Prammatica Sanzione di Giustiniano, tanto che per secoli numerosi episcopati mantennero un dominio temporale su più o meno territori: è il caso degli Arcivescovi di Salisburgo o di Trento, e soprattutto del Papa con lo Stato Pontificio.
La Pace di Augusta del 1555, e poi quella di Westfalia del 1648, stabilirono ufficialmente il principio della religione di Stato con la massima latina cuius regio eius religio.
Attualmente, il Cattolicesimo viene riconosciuto come religione di stato a Malta, nel Liechtenstein, nel Principato di Monaco, in Argentina e in altri paesi dell’America centrale e meridionale.
 
LA RELIGIONE DI STATO IN ITALIA
Il Cattolicesimo venne riconosciuto religione di Stato con l’articolo 1 dello Statuto albertino del 1848, dapprima in vigore nel solo Regno di Sardegna e poi esteso al nascente Regno d’Italia.
Dal 1948 la Costituzione Repubblicana garantisce, nell’articolo 3, l’uguaglianza degli individui a prescindere anche dalla religione, il che rappresenta l’abolizione de facto della religione di Stato in Italia, cui si giunse ufficialmente con la revisione dei Patti Lateranensi del 1984 (Protocollo addizionale, punto 1), e con la sentenza 203/1989 della Corte Costituzionale, che sancisce che la laicità è il principio supremo dello Stato abolendo così la religione di stato.
(tratto da wikipedia: clicca qui )

2011.06.03 – I REGIONALISMI SONO IN EUROPA UNA REALTA’: ECCO PERCHE’

di Andrea Carrubba
13 Maggio 2011 .
Il regionalismo è un fenomeno storico-culturale, oltre che politico. Si richiama a realtà culturali primarie quali l’etnia, il territorio, interpreta l’identità di una popolazione. Nel corso degli ultimi decenni del XX secolo, accanto al consolidamento del processo di integrazione europea, architettura istituzionale di molti Stati europei ha conosciuto profonde trasformazioni in direzione di un progressivo processo di devoluzione di poteri e risorse dal centro alla periferia. Tale fenomeno, denominato “neoregionalismo” è stato il frutto di altrettante devoluzioni, cioè di forme di trasferimento di poteri e di risorse dal centro alla periferia degli Stati, e ha interessato sia quegli Stati in cui le regioni hanno già le competenze autonomistiche sia gli Stati che sono ancora fortemente ancorati al modello unitario.
Molteplici e tra loro correlati sono i fattori esogeni ed endogeni che hanno creato le condizioni di affermazione del modello autonomistico. Tra i fattori esogeni possiamo segnalare quelli riguardanti i processi di globalizzazione e il consolidamento del processo di integrazione europea. Il primo, che costituisce il principale carattere distintivo della fase storica che stiamo vivendo, si manifesta anche con la omologazione delle diversità culturali, sociali, etniche, religiose. A tale fenomeno le comunità reagiscono cercando di preservare e mantenere intatte le proprie tradizioni, le proprie radici, le proprie identità.
Sorgono in molti Stati, soprattutto europei, movimenti che si oppongono a tale processo di omologazione e si richiamano ai valori del tradizionalismo e del localismo. Come conseguenza, si manifesta dal basso una tendenza al ridimensionamento del ruolo dello Stato unitario e a creare nel territorio nuovi modelli organizzativi della società. Il secondo, ovvero il processo di integrazione europea, ha comportato il coinvolgimento dei governi sub-statali, sempre più sollecitati dalla Unione europea (UE) ad intervenire nella realizzazione delle politiche e delle direttive comunitarie, che richiedono sempre di più il coinvolgimento dei livelli di governo sub-statali[1].
Il regionalismo dell’Europa contemporanea affonda le sue origini nei secoli passati, in qualche caso all’età medievale o agli inizi dell’età moderna. Per secoli i regionalismi, considerati fattori di divisione e pertanto pericolosi dalle autorità statuali, attraverso percorsi di repressione e violenza sono stati avversati a favore dell’idea di stato-nazione unitario. Rivendicazioni e lotte regionaliste sono sempre state presenti sulla scena europea e, accanto ai fattori culturali, il risveglio dei regionalismi nel secolo precedente, si è manifestato anche un altro dirompente fattore, quello economico. Negli anni settanta, la rivolta delle periferie emarginate, arretrate e sfruttate viene interpretata e vissuta secondo lo schema del “colonialismo interno” del centro capitalista; spesso l’irruzione sulla scena politica europea di alcuni vecchi movimenti indipendentisti viene accompagnata dalla violenza: gli ultimi attentati dei sudtirolesi contro lo Stato italiano e le prime rivendicazioni dei Baschi, dei Corsi, e in Irlanda. Si riferiscono a regionalismi dotati di robusta identità politico-ideologica.
In Spagna, la questione regionalista e separatista è esplosa con una intensità maggiore che in altri paesi, verosimilmente quale risposta alle repressioni del regime franchista di ogni forma di autonomia. Nel 1977, all’indomani della caduta del franchismo, inizia il rapido e radicale processo di democratizzazione della Spagna attraverso un processo di decentramento e di autonomia.
L’autonomismo in Catalogna non è un fatto di anni e neppure di decenni. Tra il 1898 e il 1917 fu particolarmente forte la Lliga Regionalista, un movimento, espressione della borghesia industriale, che intendeva valorizzare il dinamismo economico catalano e prendere le distanze dalla caotica situazione politica e amministrativa della Spagna. La difesa orgogliosa della propria identità culturale, il “catalanismo”, sorretta da un ceto imprenditoriale ricco, si manifestò con la nascita di un sentimento regionalista e di autodeterminazione, condiviso da tutto lo schieramento politico, da cattolici e laici. Nei primi decenni del XX secolo, la Lliga perse terreno e dopo la stagione di autonomia degli anni ’30 con il riconoscimento della nazionalità, il catalanismo conobbe il periodo della repressione da parte del regime franchista: venne abolita ogni traccia di autonomia politica e culturale, l’uso della lingua catalana fu proibito in pubblico. Negli anni ’50, l’opposizione al regime si espresse con manifestazioni pacifiste di massa. Si organizzarono diversi gruppi indipendentisti, più o meno moderati. Dopo il 1979, anno dello Statuto di autonomia, il Principat (così è chiamata la Catalogna) presentava un sistema istituzionale assolutamente completo, alternativo e integrativo a quello di Madrid. Il Parlamento ha votato nel 1998 la richiesta al diritto alla autodeterminazione, senza alcuna rivendicazione d’indipendenza. La sua comunità è quella che gode, fra le altre, di maggiore autonomia. L’ Estatut d’Autonomia (la Carta fondamentale della Generalitat) prevede infatti che la Generalitat cioè il Governo, si occupi, tra l’altro, di diritto civile, procedimenti giudiziali amministrativi, istruzione, cultura e ricerca scientifica, turismo, pesca, agricoltura, commercio e artigianato, sport, cinema e spettacoli. Ha anche una polizia di stato. Dal punto di vista linguistico, il catalano è la prima lingua ufficiale; la toponomastica è tutta catalana.
Dal punto di vista storico, nel quadro delle riforme istituzionali, anche la Spagna è una democrazia giovane, esito anch’essa della Costituzione del 1978 che prevede, al tempo stesso, la nascita delle Comunidades Autonomas, quale risultato del libero esercizio del "diritto all’autonomia” alle diverse “nazionalità” e Regioni” che integrano la Spagna (art. 2). In particolare, si tratta di: Catalogna, Galizia, Navarra, Paesi Baschi, Andalusia e Valencia. Vengono stabilite le regole per un processo volontario e graduale di decentramento, il modello volontaristico. Le istituzioni fondamentali e le competenze legislative delle Comunitates autonome sono definite nella Costituzione spagnola. La forma organizzativa è costituita dall’autonomia – garantita dalla Cost. e dagli Statuti ‑­ delle Comunità: esistono competenze esclusive dello Stato, competenze condivise e competenze esclusive delle Comunità. La comunità catalana indipendentista, anche la più accesa, ha sempre rifiutato ogni forma di violenza; al contrario, nei Paesi Baschi, l’autonomia è sinonimo di Eta, ovvero Euskadi Ta Askatasuna (Paese Basco e Libertà), nato da una scissione del Partito Nazionalista Basco, per contrastare la dittatura franchista e per riconquistare la indipendenza basca, e che negli ultimi 40 anni ha provocato la morte violenta di più di 800 persone.
Il Paese Basco, chiamato in lingua basca, Euskal Herria, “il popolo dalla lingua basca”, è costituito dalle comunità autonome dei Paesi Baschi e della Navarra in Spagna e parte del dipartimento dei Pirenei in Francia. Fa risalire l’origine del sentimento nazionalistico di appartenenza alla fine del sec. XIX nei nuclei industriali di Bilbao, con la nascita del PNV dei fratelli Arana, movimento cattolico e xenofobo, la cui ideologia era fondata sulla purezza della razza basca e la sua presunta superiorità etica-culturale sulle altre popolazioni spagnole, sull’integralismo antiliberale, in un momento cruciale in cui la società basca vedeva crollare dopo la terza carlista, i Fueros, ossia il corpus di diritto amministrativo, giuridico ed economico proprio dei baschi, concesso dai re di Castiglia. Il movimento nazionalistico fuerista si batté nell’ambito del carlismo e con l’influenza delle idee nazionaliste del Romanticismo europeo, per la riconquista del sistema dei Fueros e delle tradizionali autonomie territoriali contro la centralizzazione imposta da Madrid. Agli inizi del XX secolo, esso si diffuse nelle diverse classi sociali, incorporando la base contadina, che ne divenne la parte più fondamentalista. Durante la Seconda repubblica spagnola i baschi ottennero uno statuto di autonomia, con la creazione di un governo autonomo repubblicano che ebbe poca vita, fino alla disfatta di Santona contro le truppe di Franco. Il regime franchista accrebbe il sentimento nazionalista del popolo basco ma il movimento fu costretto presto alla clandestinità o all’esilio. Nel 1959, alcuni giovani nazionalisti fondarono il gruppo separatista del l’ETA ,che presto adottò una politica rivoluzionaria armata.
I primi membri provenivano, infatti, da una corrente di pensiero marxista o socialista, cosa assai strana per un movimento identitario, ma non bisogna dimenticare che per contrastare la dura repressione del regime era inevitabile il contatto con le frange più decisioniste dell’opposizione. Inoltre la società si era molto laicizzata, essendo la Chiesa cattolica in larga parte compromessa col regime franchista. Grazie anche all’appoggio di larghi strati della popolazione, l’ETA riuscì a resistere e a rispondere alle sanguinose retate e intimidazioni della polizia, dando inizio alla strategia degli attentati: in pieno centro di Madrid, eliminò nel ’73 Carrero-B successore del Caudillo, aprendo paradossalmente la strada alla democrazia in Spagna. Lo scontro col regime fu durissimo, ma assassini ed intimidazioni non frenano la lotta armata. La transizione post-franchista non fu meno dura della dittatura con l’azione di gruppi paramilitari (Gal) che causò decine di morti, protetti dal governo del PSOE, formati da militari spagnoli, in molti casi provocò pure la morte di vittime innocenti. Negli anni ’90 nasce l’ Herri Batasuna (Unità Popolare), una coalizione orizzontale che accoglie ideologi e militanti di partiti diversi: trotskisti, maoisti, sindacalisti, ambientalisti, indipendentisti che, nel 2002, venne giudicato fuori legge dalla Corte suprema spagnola, in quanto colluso con l’ETA. Ciò nonostante, con una legge ad hoc, il partito sopravvisse ancora, sembrerebbe come movimento di pensiero anticapitalista[2]. Con il ritorno della democrazia in Spagna nel ’78, i Paesi Baschi ottennero un’ampia autonomia, con un autogoverno basato sulle tradizioni delle Fueros e sullo statuto di Guernica del ’79. La comunità autonoma godeva di un regime di competenze speciali, proprie delle Comunidades Autonomas, e di competenze esclusive, quali una polizia propria e integrale, di mezzi di informazione, di un proprio regime fiscale e di una corte di giustizia. Fino al 2009 è stata governata dai nazionalisti cristiano-democratici del Partito Nazionalist Basco, in seguito sostituito dal Partito Socialista operaio spagnolo. In Francia il Dipartimento dei Pirenei Atlantici baschi non gode di autonomia.
La terza regione con autonomia speciale è la Galizia, nel nord-occidente della Spagna, con peculiarità e radici culturali proprie, che si sono mantenute nonostante lunghi periodi di arretratezza economica e separazione sociale. I gaglieghi si dichiarano di origine celtica, vi si parla il gaglieco, una lingua neo-latina, strettamente collegato al portoghese. Il mito della “nazione “celta" è coltivato con passione, con simboli, festival folkloristici, e celebrazioni annuali. Il movimento nazionalista si manifesta nel XIX secolo, chiuso nell’elite borghese e urbana, privo dell’asprezza politica e ideologica del nazionalismo della Catalogna e dei Paesi Baschi. Durante la Seconda Repubblica riesce ad ottenere uno statuto di autonomia. Durante il regime franchista, a differenza degli altri nazionalismi in terra spagnola, la repressione non è altrettanto dura. Dopo la morte di Franco, la Galizia nel ’75 conquistò l’autonomia regionale. Il più importante partito è il Bloque nacionalista gallego, collocato nella sinistra moderata, e divenuto negli ultimi anni la seconda o terza forza del parlamento regionale grazie alla intensa e dinamica politica di integrazione, una stabile leadership e diverse organizzazioni parallele, contribuendo al processo di democratizzazione e di crescita economica e culturale della regione[3]. Sono presenti anche gruppi dell’indipendentismo radicale, pronti ad entrare nella galassia dell’eversione spagnola. A differenza dell’ETA, la frangia secessionista galiziana è ritenuta poco incisiva alla causa, perché non può contare sul sostegno di una base sociale.
Per quel che riguarda le politiche comunitarie europee, durante la fase ascendente del processo decisionale, la partecipazione delle 17 Communidades Autonomas spagnole è doppiamente riconosciuta: da un lato, dalla Conferenza  per gli Affari comunitari e dall’altro, dalla presenza di rappresentanti delle Comunità a Bruxelles, oltre alla loro partecipazione al Comitato delle Regioni. Nel 1998 è stato raggiunto un accordo col governo centrale, secondo cui le Comunità sono rappresentate in seno alla delegazione spagnola presso il Consiglio dei Ministri, nel caso siano discussi temi di propria pertinenza. Durante la fase discendente, le Comunità applicano la legislazione vigente negli ambiti di competenza.
In Francia, negli anni sessanta il tormentato percorso di regionalizzazione inizia con la creazione degli Etablissements publics regionaux, proprio quando cominciavano a dare segni di risveglio i regionalismi più antichi, in Bretagna, in Corsica e Occitania. All’epoca della Rivoluzione francese, nasce la prima corrente nazionalistica bretone, che si esprime essenzialmente attraverso associazioni culturali, prontamente soffocata. Ma è solo dopo la prima guerra mondiale che il regionalismo viene riconosciuto apertamente con la nascita del Partito nazionale bretone, che rivendica l’autonomia politica e amministrativa, anch’esso represso. Dopo la seconda guerra mondiale, la creazione di movimenti autonomistici si segnala particolarmente per i diversi attentati compiuti. Nel ’65 la lingua bretone venne ammessa nelle classi superiori, e sorsero nuovi gruppi e centri culturali con motivazione ecologica propugnano il regionalismo e il federalismo.
Il movimento indipendentistico più irruente in Francia è stato sicuramente quello della Corsica, per la violenza degli attentati per lo più rivolta a banche, edifici pubblici, infrastrutture turistiche, edifici militari, e con altri simboli della sovranità francese. La Corsica è francese dal 1768, ma la sua peculiare identità, la lingua di ceppo italiano, la sua insularità hanno sempre ostacolato il processo di integrazione allo Stato francese. Il diritto all’autodeterminazione del popolo corso non ha mai cessato di esistere. La nascita politica del regionalismo risale alla fine del XX secolo e primi decenni del novecento, con la nascita di associazioni culturali e fondazioni di giornali in lingua corsa, e del Partitu corsu d’azzione, di chiare idee separatiste. Negli anni ’70 venne fondato il Fronte nazionale della Corsica (FLNC), organizzazione armata che iniziò ben presto la sua lotta indipendentista con una ondata di attacchi in tutta l’isola e tentativi di assassinio, proseguiti negli anni seguenti anche nella Francia continentale. Nel 1971, in cambio della cessazione delle violenze, alla Corsica venne concesso dall’ allora Primo Ministro Lionel Jospin uno statuto speciale, che prevedeva bonus fiscali e nuove concessioni nell’ambito del turismo, agricoltura, istruzione, urbanizzazione e ambiente[4]. Nel 2003, dopo altri trattative politiche andate a vuoto, furono introdotti il principio di sussidiarietà e la prospettiva di una autonomia finanziaria con la firma di una legge costituzionale, valida per tutte le regioni francesi, avviando così la “seconda tappa della regionalizzazione”.
In Italia, nel 1948 vennero istituite le cinque regioni a statuto speciale, il Trentino-Alto Adige, la Valle d’Aosta, il Friuli-Venezia–Giulia, la Sardegna e la Sicilia. Il regionalismo sudtirolese rappresenta il fenomeno autonomistico più compatto e interessante del panorama italiano. Terra di frontiera tra due grandi aree culturali situate a nord e a sud delle Alpi, il Trentino-Alto Adige ha saputo mantenere nei secoli un’unità culturale e di costume che ha consentito la concessione dell’autonomia regionale. A partire dal 1815, la Regione aveva costituito un unicum amministrativo-geografico con lo stato del Tirolo, chiamato Sudtirol, tornando a far parte dei domini austriaci. La spinta risorgimentale-irredentista che infuriava in tutta l’Europa dell’Ottocento, spinse gli irredentisti italiani a reclamare l’autonomia del territorio dal legame austriaco a favore di quelli italiani. Il governo austriaco, scosso da tensioni indipendentistiche su tutti i fronti, rispose con una politica di dura repressione, che portò all’uccisione dell’erede dell’Impero Francesco Ferdinando nel 1914. Nel 1918, dopo la Prima Guerra mondiale, la sconfitta dell’Austria causò l’annessione della Regione all’Italia, sancita con lo smembramento dell’antica contea tirolese e l’accorpamento oltre che del Trentino, anche delle popolazioni di lingua tedesca che abitavano le zone del Nord della provincia di Bolzano, attuata con una campagna di violenta repressione del regime fascista. Fra gli oppositori trentini e sudtirolesi, Alcide De Gasperi, con un discorso tenuto nel giugno del 1921, sostenne l’idea di un progetto autonomistico, sorretto da solide ragioni culturali e storiche, al fine di stemperare il conflitto di nazionalità. Il governo fascista intensificò, invece, la politica di assimilazione delle minoranze con l’italianizzazione forzata delle città di Bolzano e Merano. L’alternativa era il trasferimento dei residenti di etnia tedesca e ladina nei territori del Reich. Nel ’43, dopo l’armistizio dell’Italia con gli alleati, venne ristabilita l’integrità territoriale asburgico-tirolese. Nacque la Sudtiroler Volkpartei (SVP), il cui obiettivo politico era quello dell’autodeterminazione. L’autonomia del Trentino-Alto Adige trovò il suo fondamento nell’accordo firmato nel 1946 a Parigi dai Ministri degli Esteri di Italia e Austria, A. De Gasperi e K. Gruber. La Regione usciva allora da un lungo e tormentato periodo, anche di forme violente di lotta che continuarono fino agli anni sessanta, stimolata da sussulti secessionisti, nonostante la concessione dell’autonomia del 1947.
Il Governo italiano istituì una commissione di Studio per i problemi dell’Alto Adige e nel 1969 fu concordato il cosiddetto “Pacchetto di misure a favore delle popolazioni altoatesine”, approvato sia dalla SVP, dal Parlamento italiano e austriaco. Da qui nasce il Secondo Statuto del 1971, che assegna alle due province di Trento e Bolzano, numerose competenze di carattere legislativo e agevolazioni fiscali e creditizi. Fra le novità introdotte, vi è la tutela delle minoranze di lingua tedesca e ladina, il bilinguismo. Attualmente è in corso una fase di riflessione riguardante l’adeguamento della Regione mediante il distacco della provincia di Bolzano-Sud Tirolo da quella di Trento, e in futuro la riunificazione al Tirolo, con la creazione di un’ euroregione nel quadro di un regionalismo transfrontaliero. A questi fattori storico-culturali, propri del regionalismo, se ne aggiunse un altro, il fattore economico che divenne addirittura il detonatore della “rivolta della provincia”, per cui il regionalismo trovò linfa vitale nelle regioni emarginate, arretrate e sfruttate dal centro capitalista. Si parlò infatti di “colonialismo interno”, di “sviluppo diseguale”.
Negli anni successivi il regionalismo, pur restando il manifesto delle regioni più povere e periferiche nell’ ambito dell’ Ue, si sarebbe rilanciato vigorosamente anche e soprattutto nelle regioni centrali e sviluppate: basti ricordare i casi della Catalogna e della Lombardia, il tedesco Baden-Wurtemberg, la francese Rodano-Alpi (regioni tra le più ricche della Ue), accese sostenitrici del regionalismo e alleate nella Comunità dei Quattro Motori, ma assai restie alla politica di redistribuzione delle risorse economiche della Ue[5], le cui finalità sono espressamente orientate alla cooperazione tecnologica, allo sviluppo dei trasporti e delle telecomunicazioni e agli scambi nei settori della ricerca e della cultura.
Ricordiamo il caso della Scozia che, scoperto il petrolio del mare del Nord, rivendica più autonomia, o della Baviera che è diventata uno dei più ricchi Land della Germania o del Veneto, regione molto sviluppata, che rivendica un regionalismo estremista. Le competenze e i poteri del parlamento scozzese sono fissati dalla legge del 1977, successiva al referendum, entrata in vigore nel 1998, secondo la quale il parlamento, elegge un primo ministro e un governo, ma non è del tutto sovrano: pur riservandosi un’ampia autonomia nella gestione delle risorse finanziarie, l’economia resta di quasi esclusiva competenza di Londra. Il regionalismo/nazionalismo degli scozzesi, sostenuto finora da sentimenti d’identità, si nutre ora di ben altre aspirazioni: l’obiettivo principale è quello di controllare le proprie risorse[6].
In Germania, l’unico regionalismo è quello bavarese. La stratificazione della popolazione immigrata su tutto il territorio tedesco subito dopo la seconda guerra e la mobilità interna dovuta al mutato assetto economico hanno impedito che potesse formarsi fenomeni di revanchismo etnico-sociale. Inoltre, la Germania ha realizzato, con il suo assetto federale, la più completa regionalizzazione. Il federalismo tedesco non si fonda su basi etniche o geografiche o storico-culturali; esso è stato creato su basi prettamente politico- istituzionali. Gli attuali Lander sono sorti nel 1946 e agiscono insieme al Governo Federale attraverso il Bundersrat, seconda camera del Parlamento, composto dai loro rappresentanti. Il numero dei membri del B. dipende dalla dimensione demografica del Lander. Regione di subcultura cattolica, fin dal XIX sec. fu soprattutto la Baviera. In questa regione, i cattolici, per difendere la loro identità politica, rafforzata dai valori e dai riti della religione, costruirono le loro roccaforti territoriali. Anche sotto il regime nazista la Regione ha conservato la sua ampia autonomia, stipulando con la Santa sede nel 1924 un concordato. Tuttora il cattolicesimo costituisce uno dei tratti distintivi della sua identità.
Negli ultimi decenni, grazie anche alla notevole crescita economica, il suo ruolo politico sia in Patria che nel contesto europeo, si è rafforzato sensibilmente.Particolarmente interessante appare, inoltre, analizzare come il fenomeno autonomistico prende piede in Irlanda. Nel 1920 viene firmato il Trattato Anglo-Irlandese, con cui si stabilisce che ventisei delle trentadue Contee avrebbero costituito lo Stato libero dell’Irlanda, legato alla Corona con un giuramento di fedeltà, mentre le sei contee del nord dell’Ulster sono in attesa della volontà popolare, di decidere se aderire al nuovo stato. La decisione negativa della popolazione porta alla divisione dell’Irlanda. La minoranza cattolica, mal rappresentata, è in posizione di netta inferiorità rispetto ai protestanti. Ben presto si scatena la guerra civile che comportò la fuga di molti cattolici nel sud dell’isola. Allo scopo di frenare i disordini e i tumulti, nel 1922 viene promulgato il Civil Authority Act (Specials Powers), reiterato diverse volte e rimasto in vigore fino al 1974. Nel 1932 la regione viene dotata di un proprio Parlamento, lo Stormont, con il quale inizia una vera e propria campagna discriminatoria nei confronti dei cattolici,tesa a salvaguardare i privilegi della classe dirigente protestante, nell’indifferenza della Gran Bretagna. Negli anni sessanta si assiste anche nell’Irlanda del Nord, ad una rinascita dei valori morali e civili, che tocca soprattutto le giovani generazioni.
Nascono numerosi movimenti per i diritti civili, senza alcuna connotazione politica. Si moltiplicano le manifestazioni e le marce per la pace, durante le quali le due fazioni,cattolici e protestanti vengono violentemente a contatto. Allo scopo di intimidire gli attivisti, si costituiscono gruppi paramilitari protestanti, e in questo clima di guerriglia urbana e di inerzia delle istituzioni, ben presto prendono il sopravvento i militanti dell’IRA, in appoggio ai cattolici. Nel 1972 il governo di Londra invia l’esercito, con l’apparente compito di combattere l’IRA e portare l’ordine. Dopo l’uccisione di 13 civili da parte dei soldati inglesi, durante una manifestazione di pace (Bloody Sunday), nel 1972 il parlamento di Stormont viene sospeso. L’IRA moltiplica gli attentati che determina il progressivo distacco dei cattolici, stanchi dell’elevato numero di vittime anche tra i civili. Nel clima di tensione crescente, il Segretario di Stato per l’Irlanda del Nord propone un progetto di legge per la creazione per gli affari interni dell’Ulster. Nel 1985 il Sinn Fein, braccio politico dell’IRA, riconosce il Parlamento di Dublino, facendo il suo ingresso nelle istituzioni locali. Nel 1993, il processo di pace prosegue con la proclamazione del cessate il fuoco da parte dell’IRA e dei lealisti protestanti. Nel 1998, con la ratifica dell’accordo di pace, cessa la guerra civile, durata 30 anni e costata 3600 vittime. Il nuovo governo autonomo dell’Irlanda del nord, composto da cattolici e protestanti assume pieni poteri nel 1999. Dopo una breve sospensione del governo sotto le forti pressioni unionisti, esso ritorna a funzionare nel maggio 2000. I risultati delle elezioni 2007 conferiscono 36 seggi al DUP (protestanti unionisti) e 28 seggi al SNN FEIN 8cattolici nazionalisti), il primo ministro è un protestante, I. Paisley, il vice è un cattolico, Mc Guinnes. In seguito all’ultimatum di Londra, il primo ministro e il suo vice si sono riuniti al tavolo negoziale e hanno deciso di formare un governo di coalizione, attivo dal maggio 2007.
[1] STEFANO PIAZZA, Federalismo e regionalismo in Italia e in Europa: cenni di riflessione ricognitiva”, in Nuova rassegna on line di legislazione, dottrina, giurisprudenza, Noccioli Editore Firenze, Num. 14 del 16/07/2005 2005.
[2] GIOVANNI LAGONEGRO, “Storia politica di Euskadi Ta Askatasuna e dei Paesi Baschi”, Tranchida (in www.tranchida.it), Milano 2005.
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2011.06.01 – MISTERI DELLA POLITICA ITALIANA…MA ANDATE TUTTI A QUEL PAESE, FUORI DALLA NAZIONE VENETA!!!

LEGNATA A PDL E LEGA, MA IL GOVERNO NON CADRA'!
Martedì 31 Maggio 2011
di Leonardo Facco
Una legnata!
Anche dalle urne del ballottaggio, per il centrodestra, è arrivata una sonora legnata! Del resto, il risultato non poteva essere diverso.
La frottola dei candidati deboli non regge, la verità è che i cittadini hanno deciso di voltare le spalle a Silvio e Umberto per il semplice fatto che sono dei peracottari, dei piazzisti capaci solo di vendere fumo, tutt’al più dei barzellettieri un po’ puttanieri. Il presidente del Consiglio è uno che sta in politica solo per farsi gli interessi suoi e del suo gruppo industriale. Lo si sapeva anche 17 anni fa, quando decise di scendere in campo.
La cosiddetta “rivoluzione liberale” non solo non l’ha mai fatta, ma nemmeno mai ci ha provato: a quelli come lui non piace la libertà, preferiscono l’oligarchia. In quasi vent’anni di berlusconismo e celodurismo, tutto, ma proprio tutto (a parte i benefit della casta), è peggiorato (attenzione, non è che Prodi abbia fatto meglio, sia chiaro).
Qualsiasi dato micro e/o macro-economico vi dirà che l’Italia sta sprofondando, che è un paese senza futuro, che è il regno dei parassiti e dei mantenuti a spese dello Stato.
Berlusconi e Bossi hanno stuprato le idee migliori, dal liberalismo al federalismo, trasformandole in slogan roboanti e vuoti.
Hanno solo fatto terra bruciata intorno a sé. Se il PDL piange, il Carroccio non ride, dato che la stangata è ben peggiore, in termine di consensi a quella dei pidiellini.
Rispetto alle ultime regionali, 21% di voti in meno al primo turno, sconfitte pesanti come Novara, Gallarate, Oderzo.
A Milano, rispetto al 2010 la Lega dei Salvini è passata da 74.403 voti a 57.000, meno del 10%. Il cialtrone di Cassano Magnago, inoltre, è costretto ormai da un decennio a fare da stampella al tycoon di Arcore. Sul finire degli Anni Novanta, la Lega sprofondava nei debiti e nelle truffe e Berlusconi – come fa con tutti, basti pensare al caso dei “responsabili” – se l’è comprata.
Oggi, il Carroccio e lo spadone hanno la loro sede nazionale in via dell’anima, a Roma.
Se ne sono accorti anche dalle parti di “Libero”?
Ha scritto oggi Giuliano Zulin: “Stare con Berlusconi o mollarlo?
Come al solito toccherà a Bossi dettare la linea.
Ma sulla strada del rilancio ci sono parecchi ostacoli:
1) Umberto è amico di Silvio: il Cav gli ha abbonato una montagna di soldi di querele, gli ha ridato una speranza elettorale, non gli ha “preso” il partito quando è stato male…”.
Il termine preso, non è un caso, Zulin lo ha messo tra virgolette, dato che probabilmente anche lui sa che Berlusconi se lo è proprio pappato il senatur! Cadrà il governo ora?
No, non cadrà, perché Bossi non può farlo cadere!
Lo ha già annunciato a tutti i media peraltro! Carl William Brown diceva: “I giornali, grazie alla loro superficiale parvenza di diffusori di cultura e notizie, non fanno altro che divulgare le peggiori qualità dell'ignoranza umana”. In Italia è ancora peggio.
Un esempio? Due settimane fa, ho sbattuto in faccia a Giuseppe Cruciani e David Parenzo (rinomata coppia del cabaret radiofonico confindustriale) il documento che attesta che Silvio ha iniziato nel 2000 la sua OPA su Umberto.
Lo attesta un papello – su carta intestata di Forza Italia – scovato dall’amico Michele De Lucia (riportato nella foto sotto).
Eravamo a “Lombardia Channel” quando l’ho mostrato.
Che uso han fatto i prodi giornalai del documento?
Nessuno, non ne parlano, non lo sbattono mai in faccia ai loro ospiti de “la Zanzara”.
Fanno domande sul futuro rapporto fra Lega e Pdl come se niente fosse. Per il resto è censura, dalla D’Amico all’Annunziata di “Umberto Magno”, delle sue porcherie  e delle sue relazioni intime col cavaliere non bisogna parlare. Lo stesso Brown di cui sopra diceva anche: “Gli intellettuali, i politici o i giornalisti che dicono di lavorare per il bene comune, dovrebbero darne una prova concreta e suicidarsi”! Il suicidio politico di B&B (Berlusconi e Bossi o la Banda Bossotti) è probabilmente iniziato.
La menzogna sistematica comincia a non reggere più allo stato dei fatti, nemmeno quando a raccontarla in televisione ci vanno i “vice-sindaco” in pectore della Moratti, gli enfant-prodige del leccaculismo legaiolo. Una volta, in Lega c’erano i colonnelli, tronfi e boriosi, oggi solo qualche lanzichenecco in carriera costretto a rimbalzare da una tv all’altra. Tutto il resto è trota! I DUE MILIARDI CONCESSI NELL'ANNO 2000 DA FORZA ITALIA ALLA LEGA NORD.
 
 

2011.05.23 – LA LEGGE E’ UGULAE PER TUTTI… MA FAMMI IL PIACERE!

due casi emblematici, entrambi verificatisi a Napoli e nella stessa giornata, confermano quanto sia equa la giustizia in Italia.
Per tutti i capi di imputazione contestati ad Elio Letizia, il papà di Noemi, il gup Stefano Risolo ha stabilito di non doversi procedere in quanto dichiarati prescritti.
Si tratta di numerosi episodi di concussione (24 per la precisione) nei confronti di baristi e ristoratori ai quali, agli inizi degli anni Novanta, Elio Letizia – secondo l’accusa – «bussava» per chiedere mazzette.
A Salvatore Scognamiglio invece, reo di aver rubato per fame un pacco di wafer da 1,3 euro, sono stati inflitti tre anni di reclusione.
Era assistito da un avvocato d’ufficio e non si è avvalso di riti alternativi che avrebbero determinato una pena più lieve.

tratto da: clicca qui

ma in tutti i Tribunali non vi è scritto che…la legge è uguale per tutti?!?

Ma quando mai, per noi è bastato l’esempio del procuratore capo Antonio Fojadelli a Treviso, con l’inchiesta falsa e calunniosa sulla Polizia Nazionale Veneta che dimostra quanto il sistema mafioso da bugiardo possa anche essere ladro.   Con il ripristino della Repubblica Veneta spazzeremo via questo marciume, questo continuo abuso di uno dei servizi più sacri per la comunità.

2011.05.23 – DIPENDENTE EQUITALIA SEQUESTRATO…

Consegna una cartella esattoriale da 587mila euro per sforamento delle quote latte e si ritrova malmenato e ostaggio, per cinque ore, di un gruppo di allevatori inferociti.
È accaduto a Lonigo (Vicenza).
Soltanto un intervento dei carabinieri ha evitato conseguenze peggiori.
Il dipendente di Equitalia, la società pubblica (51% Agenzia delle Entrate e 49% Inps) incaricata della riscossione dei tributi, è stato affrontato da un vicino di casa dell'allevatore finito nel mirino del Fisco, che con una gomitata ha infranto il parabrezza della sua Alfa Romeo 147.
Intervenuti i carabinieri, l'allevatore destinatario della maxi-multa si è calmato solo quando dalla Equitalia di Vicenza gli è stato spedito un fax che attestava la titolarità del credito da riscuotere in capo alla Agea, l'agenzia statale per le erogazioni in agricoltura, e quindi l'impossibilità di Equitalia di sospendere il debito.
I militari hanno informato della vicenda la magistratura.
Il clima si surriscalda, quindi, sul fronte della riscossione.
Il sequestro a Vicenza è solo l'ultimo di una serie di episodi di violenza ai danni dei dipendenti delle società operanti per conto del Fisco.
Durante una recente manifestazione della Cgil sono state occupate le agenzie di Equitalia e c'è stato anche un "Equitalia Day" organizzato da Fli contro la macchina della riscossione.
Episodi sono stati segnalati anche in Sardegna ed altre regioni.
Una situazione che ha spinto oggi la stessa Equitalia e le sigle sindacali di categoria a intervenire con due comunicati nei quali si stigmatizza la violenza sui lavoratori.
 
trattato da: clicca qui

2011.05.23 – CASA PIGNORATA A MALATO PER 60 EURO, EQUITALIA NEI GUAI. VERGOGNAAAAA!!!

La società Equitalia a Genova è nei guai, dopo che il sindaco ha deciso di non concederle più il monopolio della riscossione dei tributi, in conseguenza di un fatto increscioso, avvenuto proprio nel capoluogo ligure. Il caso riguarda un signore, malato del Morbo di Alzheimer, il quale si è visto pignorare la casa, a causa di un mancato pagamento di una tassa di 60 euro. Fatto che ha dell’incredibile, non solo per le condizioni psico-fisiche del contribuente, ma anche per l’enorme sproporzione tra la cifra insignificante del debito fiscale e la smisurata conseguenza del pignoramento dell’immobile in cui il signore abita. Il caso ha suscitato l’indignazione dei genovesi tutti, e altri denunciano ora di avere subito lo stesso trattamento, a causa di cifre bassissime subendo, come quel signore di genova, il pignoramento della casa. Non solo: si indaga su una cordata di imprenditori, che pare abbia cercato di venire in possesso delle suddette abitazioni. In particolare, si sospetta un legame tra le decisioni di Equitalia di procedere ad esecuzione immobiliare per crediti bassissimi e l’esistenza della cordata, che sarebbe così in grado di acquistare immobili a basso prezzo. Di certo un abuso ai danni del contribuente, al di là delle sentenze civili, che avevano sul piano tecnico scagionato la società. tratto da questo sito, che consigliamo: clicca qui