ATTUALITA

2011.06.04 – DEMOCRAZIE, FASCISMO, FEDERALISMO E SECESSIONISMO


riceviamo e pubblichiamo: quanto ci è stato scritto è tratto da qui

Incredibile quante analogie si possono rilevare fra il periodo ante-fascismo ed i nostri giorni.
Dal più semplice cronico ritardo dei treni al disagio economico e sociale, dal ingovernabilità ed instabilità politica alla mancanza di giustizia.
Cerchiamo di analizzare e comparare questi temi.
I treni viaggiano sempre in ritardo ed accusano avarie anche quando sono nuovi di pacca.
Chi è costretto ad usarli per viaggiare, lo sa bene.
La differenza con il periodo pre-fascista è che siamo nei tempi moderni dei treni superveloci, quelli che in Italia si chiamano ad alta velocità.
Beh, proprio alta non direi.
La nostra alta velocità ferroviaria, nata per ultima in Europa, è nata già vecchia e di gran lunga meno veloce dei fantasmagorici 300/400 kmh di cui possono godere i francesi, che viaggiano in alta velocità sin dal lontano 1983.
Noi siamo appena nell’ordine di una velocità media di 180/200 kmh e potete rendervene conto quando l’autostrada corre parallela alla TAV:
i treni impiegano un bel po di tempo a scomparire dalla vista di un guidatore che procede alla velocità di 130 kmh.
E per di più, il costo per chilometro di questa nuova linea ferroviaria ad alta velocità è in assoluto e di gran lunga il più alto di tutti:
in Spagna un costo medio di 15 milioni di euro per chilometro, in Francia un po meno, 13 milioni.
In Italia?
Il dato che ho rilevato è parziale e risale al 2008:
44 milioni di euro per chilometro il costo della tav-nata-lenta italiana.
In alcuni tratti, pare che il costo medio per chilometro italiano abbia addirittura superato di decine di volte il costo medio europeo.
Misteri della casta politica e burocratica italiana in tema di appalti pubblici.
Fatto sta che la TAV italiana è nata sinistra, poichè collega Torino e Milano con la direttrice tirrenica sino a Napoli e Salerno.
Cosa avranno fatto di male le regioni adriatiche e geograficamente destre per patire un simile danno, questo non è dato saperlo.
Cosa avrà da meritare la città di Napoli piuttosto della città di Pescara o di Bari, questo poi è un dato illegibile nel governo della cosa pubblica italiana.
Se poi pensiamo a quanto è costata l’eterna incompiuta Salerno-Reggio Calabria, comprendiamo forse un po meglio perchè è preferibile investire in appalti pubblici in regioni come la Campania e la Calabria, piuttosto che l’Abruzzo o la Puglia.
E per fortuna che è scampato il pericolo calabro-siciliano del ponte sullo stretto di Messina!
Beh, sappiamo tutti il potere di attrazione che hanno le organizzazioni mafiose sugli appalti pubblici, specie su quelli più grandi serviti sotto il loro naso.
E veniamo al secondo punto di analisi storica comparata del periodo prefascista con i nostri giorni:
il grado di aggressione della mafia e della criminalità sulla sicurezza dei cittadini.
Il Fascismo mise a posto entrambe le cose, sbaragliando per la prima volta la mafia costretta così ad emigrare nelle americhe e rendendo sicure le città italiane, tanto da consetire di lasciare liberamente l’uscio delle case aperto ed inviolato.
Mio padre mi ha raccontato come nacque il Fascismo a Foggia, e questo resoconto può essere di grande chiarimento alla nostra analisi.
La criminalità cresceva ogni giorno di più e la giustizia non si dimostrava in grado di perseguire e punire il crimine ed i criminali, che circolavano liberi ed indisturbati.
Un bel giorno, un gruppo di cittadini, decise di porre fine a questa eterna ingiustizia ed insicurezza sociale ed organizzarono una giustizia privata molto efficace.
Prelevati nottetempo i delinquenti nelle loro case, li portavano in casolari siti in aperta campagna, dove somministravano loro un giudizio sommario, condito da grandi bevute di olio di ricino e portentose manganellate.
Sentenziata la colpevolezza degli “imputati”, essi venivano trasportati presso le Isole Tremiti e lì, giustiziati con un gran salto nel buio nel mare notturno, salto che avveniva dalla sommità di quelle isole.
Morte certa, punizione garantita, sentenza soddisfatta, giustizia compiuta.
In qualche modo, in quel modo.
Quei cittadini, erano i fascisti.
Osservando nel mondo dei nostri giorni la lentezza e l’inefficacia della giustizia, l’incertezza della pena e la debolezza della legge e l’arroganza con cui delinquenti incalliti vengono scarcerati per decorrenza dei termini, errori nelle modalità di arresto e di giudizio, amnistie ed altre cosette simili, il paragone con l’epoca pre-fascista pare calzare benissimo.
Detto per inciso, mio padre non è affatto un fascista, ma ha tenuto a raccontarmi questi episodi vissuti nella sua adolescenza proprio perchè riteneva di mettermi al corrente del pericolo insito nella ingiustizia odierna, facile preda di una sete di giustizia che è da ritenere tutt’altro che silente.
Veniva da una famiglia di fascisti però, come mio nonno, o come lo zio di mia nonna, salito all’onore del servizio di segretario personale del Duce.
Ma questo ultimo inciso non ha rilevanza ai fini della nostra analisi.
Ha un enorme valore invece, la ricorrenza del contrasto opposto alle mafie dall’attuale ministro dell’Interno Roberto Maroni, convinto persecutore di ogni mafia e dei suoi boss latitanti:
sotto il governo del ministro Maroni infatti, quasi tutti i più pericolosi boss mafiosi latitanti sono stati assicurati alla pena detentiva comminata dalla magistratura.
Un risultato eccezionale che propone una suggestione notevole nella nostra comparazione temporale, in specie se, comparando i due più grandi contrastatori delle mafie dall’unità italiana ad oggi notiamo un significativo sinonimo dei termini Fasciare e Legare e di una mera differenza di colorazione delle camicie:
da nere a verdi.
Ma questa è e deve restare una mera suggestione, vista la notevole differenza di ambiti in cui si sono mossi i nostri due protagonisti:
Mussolini potè dare carta bianca al Prefetto Mori in virtù del potere assoluto di una dittatura, quale era quella fascista, mentre il nostro contemporaneo Maroni ha ottenuto i notevoli risultati raggiunti in tema di contrasto alle mafie governando in una democrazia.
E questa differenza avvalora ancor di più l’azione del Maroni, maggiormente “contenuto” dalla osservanza della legge democratica e niente affatto sorretto da un potere assoluto.
L’opera anti-mafia del nostro Maroni resterà sicuramente nei testi di storia di questo paese, poichè raggiunta e governata con notevoli e maggiori difficoltà rispetto al suo precedente storico.
Passiamo ora dalla comparazione analitica alla proiezione futuribile:
se il federalismo, come dice sempre il ministro Maroni, è incompatibile con le organizzazioni mafiose, basterà solo questo elemento riformatore a salvare il paese da un ritorno al passato?
Mi spiego meglio.
Premesso che le precondizioni del periodo fascista appaiono sovrapponibili a quelle odierne, potrà essere la chiave di volta risolutiva in una democrazia repubblicana l’applicazione del federalismo, ovvero sarà la secessione a dare un aut aut al ripetersi della storia?
Che sfida incredibile pone questa analisi, quale proiezione suggestiva pone dinanzi ai nostri occhi.
Ma, teniamo fuori l’emotività dalla sfera razionale ed analizziamo insieme i possibili scenari.
Scenario Primo:
Il Federalismo
L’ascendente del federalismo come nuova massa collante di una unità nazionale vacillante ed assai degradata, piace a molti.
Sarà perchè risparmia scenari di ritorno ad un passato fascista e dittatoriale, sarà perchè unisce ciò che è diviso, sarà perchè è l’unica ricetta politica in grado di assicurare un futuro all’intero paese e non ad una sola parte di esso.
Ma tutto questo potrà avvenire a certe condizioni:
I – la realizzazione ed applicazione concreta e totale del pacchetto sul federalismo fiscale nel paese;
II – la sempre più probabile ed auspicabile estensione della ricetta federalista dalla fiscalità alla struttura statuale ed alla sua forma di stato e di governo, raggiungendo un federalismo politico che veda ogni regione come uno stato autonomo riunito agli altri sotto un governo federale.
III – l’emarginazione delle organizzazioni mafiose dal controllo del voto popolare e del conseguente potere pubblico;
IV – un formidabile contrasto alla devastante corruzione politica e burocratica;
V – l’adesione totale, convinta e condivisa di tutte le popolazioni italiane alla filosofia federalista;
VI – l’eliminazione di ogni spreco del danaro pubblico e della inefficienza nella pubblica amministrazione;
VII – una completa realizzazione delle riforme che urgono per riavvicinare stato di diritto e stato di fatto, oggiAggiungi un appuntamento per oggi più che mai lontani e distanti l’uno dall’altro.
Di tutti questi, il più importante ed indispensabile risulta essere proprio il punto V.
Senza una incarnazione convinta della ispirazione federalista da parte delle popolazioni che oggi vivono felicemente al di sopra delle loro possibilità socio-economiche grazie allo sfruttamento incessante delle risorse prodotte in gran parte dei territori del nord del paese, ogni sforzo sarà reso vano, inutile, velleitario.
Poichè e impensabile l’applicazione del federalismo in un ambito democratico come un dogma che cada dall’alto:
esso non sarebbe compreso e condiviso, anzi verrebbe visto come un nemico di ogni status quo e per questo, avversato e contrastato.
Non siamo nella dittatura fascista e nessuno ha carta bianca come vorrebbe.
Siamo in una democrazia, immatura, incompleta e bloccata, certamente, ma pur sempre una democrazia:
occorre un rispetto assoluto delle regole, da parte di tutti, compresi quelli che le regole le scrivono.
E questo, è proprio il limite del federalismo applicato:
se non trova consenso in tutte le popolazioni ed in tutti i territori, non funzionerà mai.
Ora, chi lo va a dire alle popolazioni del sud che devono credere ciecamente nel federalismo e contemporanemente fare enormi passi indietro nel proprio stile di vita eccessivo rispetto alle proprie possibilità?
Chi potrà convincerli che un posto di lavoro insicuro e scomodo in una fabbrica lontano dalla propria città sia meglio di un comodo lavoro pubblico-dipendente praticamente sotto casa?
E chi potrà convincerli che non esiste un lavoro che non costa sacrificio, rischio e sudore, e chi li convincerà che l’assenteismo, il pensionamento in giovanissima età, le pensioni di invalidità false, le raccomandazioni politiche, il lavoro in nero e le ricchezze prodotte nella illegalità dell’economia sommersa sono un male impossibile da sopportare?
Tutte queste domande contrastano con la capacità di una democrazia di imporre un comportamento piuttosto che un altro alle popolazioni resistenti al cambiamento.
Difficile garantire la stabilità democratica in questa proiezione.
Scenario Secondo:
Il Secessionismo
L’ossessione dei fannulloni, la paura folle degli spreconi di danaro altrui, visto che, “l’altrui danaro” con la Secessione, tornerebbe a disposizione diretta di chi lo produce e non di chi lo spreca.
Ma quali sono le precondizioni che portano al secessionismo e quali scenari di democrazia aprono?
I – Il fallimento del federalismo è la prima condizione da rispettare per aprire una strada decisa e diretta al secessionismo.
II – L’impossibilità di ricondurre altrimenti il governo del paese a criteri di razionalità e di reciprocità fra spesa e contribuzione.
Ecco i due criteri di scelta obbligata per ottenere il secessionismo delle regioni del nord dal resto del paese.
In questo quadro è difficile prevedere cosa accadrà in caso di secessione di una parte delle popolazioni e dei territori dallo stato italiano, in specie se si guarda alla difficoltà di ottenere una “secessione dolce e civile”, piuttosto di una guerra civile.
Il tema è delicato, ma val la pena di approfondirlo, almeno negli aspetti di una continuità democratica nel caso secessionista.
La stabilità democratica in caso di secessione del nord sarebbe garantita?
Sì, almeno nel nord del paese, che otterrebbe una vittoria civile e democraticamente accettata da tutte le parti, un po come è avvenuto nel passato nella scissione della Cecoslovacchia nelle due repubbliche Ceca e Slovacca, secessione che ha fatto un gran bene all’economia di entrambe i “paesi separati”.
Per quanto riguarda il sud, restano sul tavolo tutte le domande che abbiamo posto nel caso della applicazione federalista, visto che sarebbe il sud del paese a dover cambiare velocemente passo in tutti e due i casi.
O il sud accetta il federalismo e lo condivide incarnandolo, ovvero dovrà subire il secessionismo, sia pur non condiviso, ma obbligatoriamente incarnato.
Il sud si salva in tutti e due casi ed in un regime di stabilità democratica, solo se accetterà la sua sfida vitale:
camminare sulle proprie gambe, eliminare le mafie, distruggere il mondo della illegalità diffusa.
E allora, quale suggestione vi piace di più?
Quale sarà il futuro dell’Italia?
Una rinnovata democrazia federalista ovvero il ritorno di una buia dittatura?
Una secessione civile ovvero una guerra civile?
Ai posteri, l’ardua sentenza.
Ai contemporanei, la difficile leggerezza dell’essere divisi, in un paese unito.
Gustavo Gesualdo alias Il Cittadino X
quanto ci è stato scritto è tratto da qui
 
E’ notizia di oggi quella della scarcerazione di quattro fiancheggiatori che coprirono la latitanza del boss mafioso bernardo provenzano per “scadenza dei termini”.
Arrestati nel 2006 sono stati anche condannati nel 2009 ma la suprema corte italiana ha ritardato a fissare l’ultimo processo.
Così, mentre la sentenza definitiva della cassazione non arriva, la corte d’appello rimette in libertà questi malviventi mafiosi.
Questa è la giustizia italiana.
Questa situazione rappresenta una forte similitudine con le precondizioni che favorirono l’avvento del fascismo, così come abbiamo analizzato all’interno del post.
Andiamo bene, proprio bene …

 

2011.06.03 – RICHIESTA DI NON MESSA IN ESSERE DEI QUATTRO RADAR NEL TERRITORO SARDO

24/05/2011

LETTERA APERTA A CAPPELLACCI , BERLUSCONI, LA RUSSA

Il 28 Febbraio 2011 ,

sul Corriere della Sera.it, a firma di Francesco Battistini, corrispondente da Gerusalemme, compare un articolo dove si descrive l’acquisto , l’uso e i danni alla flora e i pesci  (e di conseguenza all’uomo!) di n. 5 radar, costruiti da una società israeliana, la ELTA SYSTEM (controllata dalla ISRAEL AEROSPACE INDUSTRIES), con la scusante di essere usati come radar anti-migranti.
All’improvviso, di questi cinque radar, ce ne ritroviamo quattro nel territorio sardo!! ( come ben noto,assaltato tutti i giorni dai battelli carichi di profughi provenienti dal Nord Africa!?)
Ancora più misteriosa, é l’installazione dei quattro radar, tutti, nella costa ovest e nei posti più belli e protetti dal piano paesaggistico sardo.
Chissa’ perché non ci sono sbarchi da controllare nel restante dell’isola, a Lampedusa e nelle coste italiane.
Ma, riflettendoci su, un motivo logico si riesce a intravedere.
Dopo i guai di Quirra, il 90% delle servitù militari sono poste nella parte ovest della Sardegna: Cagliari, Decimomannu, Teulada,(il carcere di Is Arenas),Capo Frasca, Macomer,Sassari, Alghero.
Ma il posizionamento di tali radar contro ogni logica sugli accordi delle diminuzioni delle servitù militari in Sardegna, fanno aumentare le zone militari e di conseguenza il possibile allargamento delle stesse.
Ma ciò che piu’ si nota e’ che tali collocazioni sono nelle vicinanze dei siti minerari abbandonati, in particolare alle miniere piombo-zinchifere.
Queste miniere sarebbero perfette per lo stoccaggio delle scorie nucleari, essendo profonde e parzialmente schermate dai giacimenti di piombo.
Per essere più precisi, chi é in Europa, la massima produttrice di scorie nucleari??
La Francia!
E’ geograficamente parzialmente dirimpettaia alla Sardegna, che oltretutto é a fianco della Corsica “francese”!
Mi permetto di esprimere anche un sospetto personale, dopo aver letto le funzionalità a cui sono adibiti tali radar.
Un giorno che la Repubblica di Malu Entu fosse diventata comunità , il radar di Tresnuraghes, potrebbe controllare tutti i suoi abitanti: immaginiamoci il risultato!!
Ma basterebbe ricordare ciò che disse tempo fa il Ministro La Russa :” le scorie nucleari potrebbero essere stoccate nelle zone militari”.
Ma ciò che fa ridere é la scusante per il respingimento dei profughi nelle acque internazionali: forse li vorranno respingere speronandoli o assaltandoli.. e con i propri equipaggi ricondurli nei porti di partenza; oppure saranno intenzionati al ripristino della guerra ‘corsara’ , utilizzata secoli fa dalla marineria inglese!
Ho la netta sensazione che, dopo la vittoria del SI sul Referendum sul Nucleare, vogliano rientrare dalla finestra con il posizionamento delle scorie nucleari in Sardegna e che tali radar, potendo controllare tutto il movimento marittimo, permetta l’arrivo delle suddette scorie, senza che nessun sardo se ne accorga!!
Con questa mia lettera aperta, chiedo, alla Giunta Sarda, di far luce su tutti questi sospetti da me adombrati e che informino i sardi al più presto.
Operando quindi nell’annullare immediatamente i permessi concessi all’installazione dei radar….
CHE SE LI METTANO NELLO STIVALE!!!
Noi nel frattempo come indipendentisti continuiamo il presidio a Tresnuraghes e negli altri siti in cui le popolazioni si stanno opponendo, augurandoci che lo Stato Italiano non utilizzi la forza per sgombrare i presidi esistenti.
Il Presidente,
Doddore Meloni
 
P.S.: vi spedisco l’articolo del 28 Febbraio 2011 pubblicato dal Corriere della Sera.it clicca qui

2011.06.03 – STATO LAICO O RELIGIONE DI STATO?


L’argomento è molto importante e credo che la storica posizione assunta in merito dalla Repubblica di Venezia meriti di essere tenuta seriamente in considerazione e di tramandarne tradizione e principi.
 
NELLA REPUBBLICA VENETA
Sebbene la popolazione fosse a maggioranza cattolica, lo stato rimase laico e caratterizzato da un’estrema tolleranza nei confronti di altri credi religiosi e non vi fu nessuna azione per eresia nel periodo della Controriforma.
Questo atteggiamento indipendente e laico pose la città spesso in contrasto con lo Stato della Chiesa, figura emblematica fu Paolo Sarpi che difese la laicità dello stato veneto dalle pretese egemoniche del papato.
La Repubblica veneziana, stretta a nord dall’Impero, in Italia dalla prevalenza spagnola e papale, in Oriente dalla potenza turca, era ormai avviata a un lungo declino politico ed economico.
Alla prudente politica dei vecchi patrizi, rassegnati alla compromissione con l’Impero e il papato, si sostituì quella degli innovatori, i cosiddetti «Giovani», decisi a sottrarre la Serenissima all’invadenza ecclesiastica nell’interno e a rilanciarne le fortune commerciali nell’Adriatico, compromesse dal controllo dei porti esercitato dallo Stato pontificio e dalle azioni degli Uscocchi, i pirati cristiani croati appoggiati dall’Impero.
Il 10 gennaio 1604 il Senato veneziano proibì la fondazione di ospedali gestiti da ecclesiastici, di monasteri, chiese e altri luoghi di culto senza autorizzazione preventiva della Signoria; il 26 marzo 1605 un’altra legge proibiva l’alienazione di beni immobili dai laici agli ecclesiastici, già proprietari, pur essendo solo un centesimo della popolazione, di quasi la metà dei beni fondiari della Repubblica, e limitava le competenze del foro ecclesiastico, prevedendo il deferimento ai tribunali civili degli ecclesiastici responsabili di reati di particolare gravità.
Avvenne che il canonico vicentino Scipione Saraceno, colpevole di molestie a una nobile parente, e l’aristocratico abate di Nervesa, Marcantonio Brandolini, reo di omicidi e di stupri, fossero incarcerati.
Il 10 dicembre 1605 il papa Paolo V emanò due brevi richiedenti l’abrogazione delle due leggi e la consegna al nunzio pontificio dei due ecclesiastici, affinché secondo il diritto canonico fossero giudicati da un tribunale ecclesiastico.
Il nuovo doge Leonardo Donà fece esaminare il 14 gennaio 1606 i due brevi da giuristi e teologi, fra i quali il Sarpi, affinché trovassero modo di controbattere alle richieste della Santa Sede.
Il 28 gennaio venne nominato teologo canonista proprio il Sarpi e lo stesso giorno il suo scritto: Consiglio in difesa di due ordinazioni della Serenissima Repubblica, venne inviato al Papa. Il Sarpi difese le ragioni della Repubblica con numerosi scritti: sono di questi mesi la Scrittura sopra la forza e validità delle scomuniche, il Consiglio sul giudicar le colpe di persone ecclesiastiche, la Scrittura intorno all’appellazione al concilio, la Scrittura sull’alienazione dei beni laici agli ecclesiastici e altri ancora, poi raccolti nella sua successiva Istoria dell’interdetto.
In quell’opera è contenuta anche la traduzione in italiano, fatta dal Sarpi stesso, del trattato di Jean Gerson sulla validità della scomunica, che fu attaccato dal cardinale Bellarmino, al quale fra’ Paolo rispose allora con l’Apologia per le opposizioni del cardinale Bellarmino.
Mentre il frate servita Fulgenzio Micanzio – suo futuro biografo – iniziava a collaborare con Paolo Sarpi, il 6 maggio, dopo che il 17 aprile Paolo V aveva scomunicato il Consiglio veneziano e fulminato con l’interdetto lo Stato veneto, Venezia pubblicò il Protesto del monitorio del pontefice, scritto ancora da Sarpi, nel quale il breve papale Superioribus mensibus è definito «nullo e di nessun valore», mentre impedì la pubblicazione della bolla pontificia.
Obbedendo alle disposizioni del papa, il 9 maggio i gesuiti rifiutarono di celebrare le messe a Venezia e la Repubblica reagì espellendoli insieme con cappuccini e teatini: «partirono la sera alle doi di notte, ciscuno con un Cristo al collo, per mostrare che Cristo partiva con loro.
Concorse moltitudine di populo e quando il preposto, che ultimo entrò in barca, dimandò la benedizione al vicario patriarcale si levò una voce in tutto il populo, che in lingua veneziana gridò loro dicendo “Andé in malora!” ».
A Roma si sperava che l’interdetto provocasse una sollevazione contro i governanti veneziani ma «li gesuiti scacciati, li cappuccini e teatini licenziati, nissun altro ordine partì, li divini uffizi erano celebrati secondo il consueto  il senato era unitissimo nelle deliberazioni e le città e populi si conservarono quietissimi nell’obbedienza»
Venezia era alleata, in funzione anti-spagnola, con la Francia, ed era in buoni rapporti con l’Inghilterra e con la Turchia.
Fingendosi veneziani, il 10 agosto soldati spagnoli, per provocare la rottura delle relazioni turco-veneziane, sbarcarono a Durazzo, saccheggiandola, ma la provocazione fu facilmente scoperta e i turchi offrirono a Venezia l’appoggio della loro flotta contro il papa e la Spagna.
Il 30 ottobre l’Inquisizione intimò a Sarpi di presentarsi a Roma per giustificare le molte cose «temerarie, calunniose, scandalose, sediziose, scismatiche, erronee ed eretiche» contenute nei suoi scritti ma il frate naturalmente si rifiutò.
Invano il papa – che il 5 gennaio 1607 aveva scomunicato Sarpi e Micanzio – si dichiarava favorevole a portare guerra a Venezia: la sua unica alleata, la Spagna, minacciata da Francia, Inghilterra e Turchia, non poteva sostenerla in quest’impresa e si giunse così alle trattative diplomatiche, favorite dalla mediazione del cardinale francese François de Joyeuse.
Il 21 aprile Venezia rilasciò i due ecclesiastici incarcerati e ritirò il suo Protesto al papa in cambio della revoca dell’interdetto, mentre le leggi promulgate dal Senato veneziano restarono in vigore e i gesuiti non poterono rientrare nella Repubblica.
 
CHI E’ STATO PAOLO SARPI? (vedi “Veneti ieri e oggi”: clicca qui )
 
LO STATO LAICO
La parola laicità, in senso politico e sociale, denota la rivendicazione, da parte di un individuo o di una entità collettiva, dell’autonomia decisionale rispetto a ogni condizionamento ideologico, morale o religioso altrui.
Laico è, in questo senso, chi ritiene di poter e dovere garantire incondizionatamente la propria e l’altrui libertà di scelta e di azione, particolarmente in ambito politico, rispetto a chi, invece, ritiene di dover conciliare o sottomettere la propria e l’altrui libertà all’autorità di un’ideologia o di un credo religioso.
Per religione di Stato si intende un credo religioso imposto dal potere centrale (Stato confessionale) a tutti i cittadini di una nazione, o che comunque gode di un particolare riconoscimento a livello istituzionale rispetto ad altre religioni presenti nel territorio.
Il termine, riferito ad una struttura politica o amministrativa, ne esprime l’autonomia dei principi, dei valori e delle leggi da qualsiasi autorità esterna che ne potrebbe determinare, compromettere o perlomeno influenzare l’azione.
La laicità, per estensione, si configura anche come assenza di un’ideologia dominante nell’opera di governo di uno Stato, e come equidistanza dalle diverse posizioni religiose ed ideologiche presenti.
Ad esempio, nel caso di un regime totalitario, definire lo Stato come “laico” è un errore, in quanto in esso vi è posto solo per l’ideologia ufficiale e l’ideologia non ha l’imparzialità dell’atteggiamento veramente laico.
La maggiore o minore laicità di uno Stato può essere pertanto valutata sulla base del rispetto dei seguenti criteri:
la legittimità di uno Stato laico non è subalterna rispetto ad altri poteri quali istituzioni religiose o partiti politici confessionali ideologici.
  • uno Stato laico rifugge da qualsiasi mitologia ufficiale, ideologia o religione di Stato;
  • uno Stato laico è imparziale rispetto alle differenti religioni e ideologie presenti al suo interno, e garantisce l’eguaglianza giuridica di tutti i cittadini, senza discriminarli sulla base delle loro convinzioni e fedi;
  • uno Stato laico riconosce e tutela i diritti di libertà di tutti i suoi cittadini: libertà di pensiero, di parola, di riunione, di associazione, di culto, ecc. compatibilmente con le proprie leggi e ordinamenti;
  • le leggi di uno Stato laico non devono essere ispirate a dogmi o altre pretese ideologiche di alcune correnti di pensiero, ma devono essere mosse dal fine di mantenere la giustizia, la sicurezza e la coesione sociale dei suoi cittadini.
Il dibattito sulla laicità si è recentemente riacceso in ambito italiano attorno alla regolamentazione di alcuni temi importanti, tra i quali:
La presenza o meno di simboli religiosi negli edifici pubblici di proprietà statale.
La possibilità o meno di fare riferimento nelle dichiarazioni ufficiali alla fede religiosa eventualemente professata.
La possibilità di avvalersi o meno dell’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche. In questo caso si registra la proposta di introdurre anche l’insegnamento di altre culture religiose.
La possibilità di regolamentare o ritornare a discutere su alcuni temi eticamente sensibili, come il divorzio, l’aborto, la somministrazione della pillola ru486, la fecondazione medicalmente assistita, le unioni civili per coppie eterosessuali e omosessuali, l’eutanasia, prescindendo o meno dalle convinzioni etiche più o meno restrittive di una parte del Paese.
In italia, secondo una interpretazione ancora più laicista inoltre, pur non essendo un tema di stretta attualità, la laicità dello stato è in discussione ogni volta che una norma o una legge viene in qualche modo influenzata da convinzioni morali, e non solo religiose.
In questa tipologia rientra ad esempio, almeno in parte, qualche articolo del codice penale: artt. 527 e 529 (Atti osceni), Art. 528 (Pubblicazioni e spettacoli osceni), Art. 531(Prostituzione e favoreggiamento) e Legge Merlin e così via.
Tali articoli non trovano una corrispondente formulazione nella legislazione di tutti gli altri paesi europei.
Secondo tale interpretazione infatti, uno Stato laico è quello dove le religioni, le ideologie o la morale di una parte anche maggioritaria della popolazione non devono influire sulla società nel suo complesso, ma hanno valore solo per le persone, e al limite per le comunità formate da quelle persone che credono in una certa religione, in una certa ideologia o in una certa morale.
Lo Stato laico deve prodigarsi perché nessuna parte della società prevarichi su un’altra, anche se minoritaria, per ragioni ideologiche. In altri termini: la democrazia non può essere usata per negare i diritti delle minoranze.
La posizione laica viene spesso confusa con una posizione antireligiosa, spesso chiamata anche laicista.
Tuttavia come ci possono essere persone che aderiscono a un credo religioso e sono laiche, è anche possibile che esistano degli atei non laici, ovvero che ritengono che il proprio punto di vista debba essere assolutizzato.
Si confonde inoltre spesso la laicità con una posizione morale.
In realtà la laicità non detta linee di condotta morale, ma è un principio che permette a posizioni diverse, in particolari diverse posizioni morali e religiose, di convivere.
Queste confusioni rendono difficile formulare i problemi sulla fine della vita che sono al centro di molti dei dibattiti attuali.
Per esempio, si sostiene spesso che alcuni dei temi su cui la morale laica e quella religiosa entrano in conflitto si dovrebbero ricondurre al bilanciamento tra difesa della vita ed interessi degli individui coinvolti.
In realtà il conflitto è tra una concezione per cui alcuni individui ritengono di poter imporre a tutti gli altri la propria visione sull’origine o la fine della vita (siano essi abortisti o antiabortisti, favorevoli o contrari all’eutanasia) e una concezione per cui gli individui, proprio perché hanno visioni completamente diverse, devono rispettare le scelte altrui. (tratto da wikipedia: clicca qui )
 
IL CRISTIANESIMO COME RELIGIONE DI STATO
La religione cristiana venne imposta per la prima volta come religione di Stato dell’Impero Romano nel 391 dall’imperatore Teodosio I.
Da allora in poi il potere dei vescovi, esponenti del potere della Chiesa cristiana, andò crescendo specie con la Prammatica Sanzione di Giustiniano, tanto che per secoli numerosi episcopati mantennero un dominio temporale su più o meno territori: è il caso degli Arcivescovi di Salisburgo o di Trento, e soprattutto del Papa con lo Stato Pontificio.
La Pace di Augusta del 1555, e poi quella di Westfalia del 1648, stabilirono ufficialmente il principio della religione di Stato con la massima latina cuius regio eius religio.
Attualmente, il Cattolicesimo viene riconosciuto come religione di stato a Malta, nel Liechtenstein, nel Principato di Monaco, in Argentina e in altri paesi dell’America centrale e meridionale.
 
LA RELIGIONE DI STATO IN ITALIA
Il Cattolicesimo venne riconosciuto religione di Stato con l’articolo 1 dello Statuto albertino del 1848, dapprima in vigore nel solo Regno di Sardegna e poi esteso al nascente Regno d’Italia.
Dal 1948 la Costituzione Repubblicana garantisce, nell’articolo 3, l’uguaglianza degli individui a prescindere anche dalla religione, il che rappresenta l’abolizione de facto della religione di Stato in Italia, cui si giunse ufficialmente con la revisione dei Patti Lateranensi del 1984 (Protocollo addizionale, punto 1), e con la sentenza 203/1989 della Corte Costituzionale, che sancisce che la laicità è il principio supremo dello Stato abolendo così la religione di stato.
(tratto da wikipedia: clicca qui )

2011.06.03 – I REGIONALISMI SONO IN EUROPA UNA REALTA’: ECCO PERCHE’

di Andrea Carrubba
13 Maggio 2011 .
Il regionalismo è un fenomeno storico-culturale, oltre che politico. Si richiama a realtà culturali primarie quali l’etnia, il territorio, interpreta l’identità di una popolazione. Nel corso degli ultimi decenni del XX secolo, accanto al consolidamento del processo di integrazione europea, architettura istituzionale di molti Stati europei ha conosciuto profonde trasformazioni in direzione di un progressivo processo di devoluzione di poteri e risorse dal centro alla periferia. Tale fenomeno, denominato “neoregionalismo” è stato il frutto di altrettante devoluzioni, cioè di forme di trasferimento di poteri e di risorse dal centro alla periferia degli Stati, e ha interessato sia quegli Stati in cui le regioni hanno già le competenze autonomistiche sia gli Stati che sono ancora fortemente ancorati al modello unitario.
Molteplici e tra loro correlati sono i fattori esogeni ed endogeni che hanno creato le condizioni di affermazione del modello autonomistico. Tra i fattori esogeni possiamo segnalare quelli riguardanti i processi di globalizzazione e il consolidamento del processo di integrazione europea. Il primo, che costituisce il principale carattere distintivo della fase storica che stiamo vivendo, si manifesta anche con la omologazione delle diversità culturali, sociali, etniche, religiose. A tale fenomeno le comunità reagiscono cercando di preservare e mantenere intatte le proprie tradizioni, le proprie radici, le proprie identità.
Sorgono in molti Stati, soprattutto europei, movimenti che si oppongono a tale processo di omologazione e si richiamano ai valori del tradizionalismo e del localismo. Come conseguenza, si manifesta dal basso una tendenza al ridimensionamento del ruolo dello Stato unitario e a creare nel territorio nuovi modelli organizzativi della società. Il secondo, ovvero il processo di integrazione europea, ha comportato il coinvolgimento dei governi sub-statali, sempre più sollecitati dalla Unione europea (UE) ad intervenire nella realizzazione delle politiche e delle direttive comunitarie, che richiedono sempre di più il coinvolgimento dei livelli di governo sub-statali[1].
Il regionalismo dell’Europa contemporanea affonda le sue origini nei secoli passati, in qualche caso all’età medievale o agli inizi dell’età moderna. Per secoli i regionalismi, considerati fattori di divisione e pertanto pericolosi dalle autorità statuali, attraverso percorsi di repressione e violenza sono stati avversati a favore dell’idea di stato-nazione unitario. Rivendicazioni e lotte regionaliste sono sempre state presenti sulla scena europea e, accanto ai fattori culturali, il risveglio dei regionalismi nel secolo precedente, si è manifestato anche un altro dirompente fattore, quello economico. Negli anni settanta, la rivolta delle periferie emarginate, arretrate e sfruttate viene interpretata e vissuta secondo lo schema del “colonialismo interno” del centro capitalista; spesso l’irruzione sulla scena politica europea di alcuni vecchi movimenti indipendentisti viene accompagnata dalla violenza: gli ultimi attentati dei sudtirolesi contro lo Stato italiano e le prime rivendicazioni dei Baschi, dei Corsi, e in Irlanda. Si riferiscono a regionalismi dotati di robusta identità politico-ideologica.
In Spagna, la questione regionalista e separatista è esplosa con una intensità maggiore che in altri paesi, verosimilmente quale risposta alle repressioni del regime franchista di ogni forma di autonomia. Nel 1977, all’indomani della caduta del franchismo, inizia il rapido e radicale processo di democratizzazione della Spagna attraverso un processo di decentramento e di autonomia.
L’autonomismo in Catalogna non è un fatto di anni e neppure di decenni. Tra il 1898 e il 1917 fu particolarmente forte la Lliga Regionalista, un movimento, espressione della borghesia industriale, che intendeva valorizzare il dinamismo economico catalano e prendere le distanze dalla caotica situazione politica e amministrativa della Spagna. La difesa orgogliosa della propria identità culturale, il “catalanismo”, sorretta da un ceto imprenditoriale ricco, si manifestò con la nascita di un sentimento regionalista e di autodeterminazione, condiviso da tutto lo schieramento politico, da cattolici e laici. Nei primi decenni del XX secolo, la Lliga perse terreno e dopo la stagione di autonomia degli anni ’30 con il riconoscimento della nazionalità, il catalanismo conobbe il periodo della repressione da parte del regime franchista: venne abolita ogni traccia di autonomia politica e culturale, l’uso della lingua catalana fu proibito in pubblico. Negli anni ’50, l’opposizione al regime si espresse con manifestazioni pacifiste di massa. Si organizzarono diversi gruppi indipendentisti, più o meno moderati. Dopo il 1979, anno dello Statuto di autonomia, il Principat (così è chiamata la Catalogna) presentava un sistema istituzionale assolutamente completo, alternativo e integrativo a quello di Madrid. Il Parlamento ha votato nel 1998 la richiesta al diritto alla autodeterminazione, senza alcuna rivendicazione d’indipendenza. La sua comunità è quella che gode, fra le altre, di maggiore autonomia. L’ Estatut d’Autonomia (la Carta fondamentale della Generalitat) prevede infatti che la Generalitat cioè il Governo, si occupi, tra l’altro, di diritto civile, procedimenti giudiziali amministrativi, istruzione, cultura e ricerca scientifica, turismo, pesca, agricoltura, commercio e artigianato, sport, cinema e spettacoli. Ha anche una polizia di stato. Dal punto di vista linguistico, il catalano è la prima lingua ufficiale; la toponomastica è tutta catalana.
Dal punto di vista storico, nel quadro delle riforme istituzionali, anche la Spagna è una democrazia giovane, esito anch’essa della Costituzione del 1978 che prevede, al tempo stesso, la nascita delle Comunidades Autonomas, quale risultato del libero esercizio del "diritto all’autonomia” alle diverse “nazionalità” e Regioni” che integrano la Spagna (art. 2). In particolare, si tratta di: Catalogna, Galizia, Navarra, Paesi Baschi, Andalusia e Valencia. Vengono stabilite le regole per un processo volontario e graduale di decentramento, il modello volontaristico. Le istituzioni fondamentali e le competenze legislative delle Comunitates autonome sono definite nella Costituzione spagnola. La forma organizzativa è costituita dall’autonomia – garantita dalla Cost. e dagli Statuti ‑­ delle Comunità: esistono competenze esclusive dello Stato, competenze condivise e competenze esclusive delle Comunità. La comunità catalana indipendentista, anche la più accesa, ha sempre rifiutato ogni forma di violenza; al contrario, nei Paesi Baschi, l’autonomia è sinonimo di Eta, ovvero Euskadi Ta Askatasuna (Paese Basco e Libertà), nato da una scissione del Partito Nazionalista Basco, per contrastare la dittatura franchista e per riconquistare la indipendenza basca, e che negli ultimi 40 anni ha provocato la morte violenta di più di 800 persone.
Il Paese Basco, chiamato in lingua basca, Euskal Herria, “il popolo dalla lingua basca”, è costituito dalle comunità autonome dei Paesi Baschi e della Navarra in Spagna e parte del dipartimento dei Pirenei in Francia. Fa risalire l’origine del sentimento nazionalistico di appartenenza alla fine del sec. XIX nei nuclei industriali di Bilbao, con la nascita del PNV dei fratelli Arana, movimento cattolico e xenofobo, la cui ideologia era fondata sulla purezza della razza basca e la sua presunta superiorità etica-culturale sulle altre popolazioni spagnole, sull’integralismo antiliberale, in un momento cruciale in cui la società basca vedeva crollare dopo la terza carlista, i Fueros, ossia il corpus di diritto amministrativo, giuridico ed economico proprio dei baschi, concesso dai re di Castiglia. Il movimento nazionalistico fuerista si batté nell’ambito del carlismo e con l’influenza delle idee nazionaliste del Romanticismo europeo, per la riconquista del sistema dei Fueros e delle tradizionali autonomie territoriali contro la centralizzazione imposta da Madrid. Agli inizi del XX secolo, esso si diffuse nelle diverse classi sociali, incorporando la base contadina, che ne divenne la parte più fondamentalista. Durante la Seconda repubblica spagnola i baschi ottennero uno statuto di autonomia, con la creazione di un governo autonomo repubblicano che ebbe poca vita, fino alla disfatta di Santona contro le truppe di Franco. Il regime franchista accrebbe il sentimento nazionalista del popolo basco ma il movimento fu costretto presto alla clandestinità o all’esilio. Nel 1959, alcuni giovani nazionalisti fondarono il gruppo separatista del l’ETA ,che presto adottò una politica rivoluzionaria armata.
I primi membri provenivano, infatti, da una corrente di pensiero marxista o socialista, cosa assai strana per un movimento identitario, ma non bisogna dimenticare che per contrastare la dura repressione del regime era inevitabile il contatto con le frange più decisioniste dell’opposizione. Inoltre la società si era molto laicizzata, essendo la Chiesa cattolica in larga parte compromessa col regime franchista. Grazie anche all’appoggio di larghi strati della popolazione, l’ETA riuscì a resistere e a rispondere alle sanguinose retate e intimidazioni della polizia, dando inizio alla strategia degli attentati: in pieno centro di Madrid, eliminò nel ’73 Carrero-B successore del Caudillo, aprendo paradossalmente la strada alla democrazia in Spagna. Lo scontro col regime fu durissimo, ma assassini ed intimidazioni non frenano la lotta armata. La transizione post-franchista non fu meno dura della dittatura con l’azione di gruppi paramilitari (Gal) che causò decine di morti, protetti dal governo del PSOE, formati da militari spagnoli, in molti casi provocò pure la morte di vittime innocenti. Negli anni ’90 nasce l’ Herri Batasuna (Unità Popolare), una coalizione orizzontale che accoglie ideologi e militanti di partiti diversi: trotskisti, maoisti, sindacalisti, ambientalisti, indipendentisti che, nel 2002, venne giudicato fuori legge dalla Corte suprema spagnola, in quanto colluso con l’ETA. Ciò nonostante, con una legge ad hoc, il partito sopravvisse ancora, sembrerebbe come movimento di pensiero anticapitalista[2]. Con il ritorno della democrazia in Spagna nel ’78, i Paesi Baschi ottennero un’ampia autonomia, con un autogoverno basato sulle tradizioni delle Fueros e sullo statuto di Guernica del ’79. La comunità autonoma godeva di un regime di competenze speciali, proprie delle Comunidades Autonomas, e di competenze esclusive, quali una polizia propria e integrale, di mezzi di informazione, di un proprio regime fiscale e di una corte di giustizia. Fino al 2009 è stata governata dai nazionalisti cristiano-democratici del Partito Nazionalist Basco, in seguito sostituito dal Partito Socialista operaio spagnolo. In Francia il Dipartimento dei Pirenei Atlantici baschi non gode di autonomia.
La terza regione con autonomia speciale è la Galizia, nel nord-occidente della Spagna, con peculiarità e radici culturali proprie, che si sono mantenute nonostante lunghi periodi di arretratezza economica e separazione sociale. I gaglieghi si dichiarano di origine celtica, vi si parla il gaglieco, una lingua neo-latina, strettamente collegato al portoghese. Il mito della “nazione “celta" è coltivato con passione, con simboli, festival folkloristici, e celebrazioni annuali. Il movimento nazionalista si manifesta nel XIX secolo, chiuso nell’elite borghese e urbana, privo dell’asprezza politica e ideologica del nazionalismo della Catalogna e dei Paesi Baschi. Durante la Seconda Repubblica riesce ad ottenere uno statuto di autonomia. Durante il regime franchista, a differenza degli altri nazionalismi in terra spagnola, la repressione non è altrettanto dura. Dopo la morte di Franco, la Galizia nel ’75 conquistò l’autonomia regionale. Il più importante partito è il Bloque nacionalista gallego, collocato nella sinistra moderata, e divenuto negli ultimi anni la seconda o terza forza del parlamento regionale grazie alla intensa e dinamica politica di integrazione, una stabile leadership e diverse organizzazioni parallele, contribuendo al processo di democratizzazione e di crescita economica e culturale della regione[3]. Sono presenti anche gruppi dell’indipendentismo radicale, pronti ad entrare nella galassia dell’eversione spagnola. A differenza dell’ETA, la frangia secessionista galiziana è ritenuta poco incisiva alla causa, perché non può contare sul sostegno di una base sociale.
Per quel che riguarda le politiche comunitarie europee, durante la fase ascendente del processo decisionale, la partecipazione delle 17 Communidades Autonomas spagnole è doppiamente riconosciuta: da un lato, dalla Conferenza  per gli Affari comunitari e dall’altro, dalla presenza di rappresentanti delle Comunità a Bruxelles, oltre alla loro partecipazione al Comitato delle Regioni. Nel 1998 è stato raggiunto un accordo col governo centrale, secondo cui le Comunità sono rappresentate in seno alla delegazione spagnola presso il Consiglio dei Ministri, nel caso siano discussi temi di propria pertinenza. Durante la fase discendente, le Comunità applicano la legislazione vigente negli ambiti di competenza.
In Francia, negli anni sessanta il tormentato percorso di regionalizzazione inizia con la creazione degli Etablissements publics regionaux, proprio quando cominciavano a dare segni di risveglio i regionalismi più antichi, in Bretagna, in Corsica e Occitania. All’epoca della Rivoluzione francese, nasce la prima corrente nazionalistica bretone, che si esprime essenzialmente attraverso associazioni culturali, prontamente soffocata. Ma è solo dopo la prima guerra mondiale che il regionalismo viene riconosciuto apertamente con la nascita del Partito nazionale bretone, che rivendica l’autonomia politica e amministrativa, anch’esso represso. Dopo la seconda guerra mondiale, la creazione di movimenti autonomistici si segnala particolarmente per i diversi attentati compiuti. Nel ’65 la lingua bretone venne ammessa nelle classi superiori, e sorsero nuovi gruppi e centri culturali con motivazione ecologica propugnano il regionalismo e il federalismo.
Il movimento indipendentistico più irruente in Francia è stato sicuramente quello della Corsica, per la violenza degli attentati per lo più rivolta a banche, edifici pubblici, infrastrutture turistiche, edifici militari, e con altri simboli della sovranità francese. La Corsica è francese dal 1768, ma la sua peculiare identità, la lingua di ceppo italiano, la sua insularità hanno sempre ostacolato il processo di integrazione allo Stato francese. Il diritto all’autodeterminazione del popolo corso non ha mai cessato di esistere. La nascita politica del regionalismo risale alla fine del XX secolo e primi decenni del novecento, con la nascita di associazioni culturali e fondazioni di giornali in lingua corsa, e del Partitu corsu d’azzione, di chiare idee separatiste. Negli anni ’70 venne fondato il Fronte nazionale della Corsica (FLNC), organizzazione armata che iniziò ben presto la sua lotta indipendentista con una ondata di attacchi in tutta l’isola e tentativi di assassinio, proseguiti negli anni seguenti anche nella Francia continentale. Nel 1971, in cambio della cessazione delle violenze, alla Corsica venne concesso dall’ allora Primo Ministro Lionel Jospin uno statuto speciale, che prevedeva bonus fiscali e nuove concessioni nell’ambito del turismo, agricoltura, istruzione, urbanizzazione e ambiente[4]. Nel 2003, dopo altri trattative politiche andate a vuoto, furono introdotti il principio di sussidiarietà e la prospettiva di una autonomia finanziaria con la firma di una legge costituzionale, valida per tutte le regioni francesi, avviando così la “seconda tappa della regionalizzazione”.
In Italia, nel 1948 vennero istituite le cinque regioni a statuto speciale, il Trentino-Alto Adige, la Valle d’Aosta, il Friuli-Venezia–Giulia, la Sardegna e la Sicilia. Il regionalismo sudtirolese rappresenta il fenomeno autonomistico più compatto e interessante del panorama italiano. Terra di frontiera tra due grandi aree culturali situate a nord e a sud delle Alpi, il Trentino-Alto Adige ha saputo mantenere nei secoli un’unità culturale e di costume che ha consentito la concessione dell’autonomia regionale. A partire dal 1815, la Regione aveva costituito un unicum amministrativo-geografico con lo stato del Tirolo, chiamato Sudtirol, tornando a far parte dei domini austriaci. La spinta risorgimentale-irredentista che infuriava in tutta l’Europa dell’Ottocento, spinse gli irredentisti italiani a reclamare l’autonomia del territorio dal legame austriaco a favore di quelli italiani. Il governo austriaco, scosso da tensioni indipendentistiche su tutti i fronti, rispose con una politica di dura repressione, che portò all’uccisione dell’erede dell’Impero Francesco Ferdinando nel 1914. Nel 1918, dopo la Prima Guerra mondiale, la sconfitta dell’Austria causò l’annessione della Regione all’Italia, sancita con lo smembramento dell’antica contea tirolese e l’accorpamento oltre che del Trentino, anche delle popolazioni di lingua tedesca che abitavano le zone del Nord della provincia di Bolzano, attuata con una campagna di violenta repressione del regime fascista. Fra gli oppositori trentini e sudtirolesi, Alcide De Gasperi, con un discorso tenuto nel giugno del 1921, sostenne l’idea di un progetto autonomistico, sorretto da solide ragioni culturali e storiche, al fine di stemperare il conflitto di nazionalità. Il governo fascista intensificò, invece, la politica di assimilazione delle minoranze con l’italianizzazione forzata delle città di Bolzano e Merano. L’alternativa era il trasferimento dei residenti di etnia tedesca e ladina nei territori del Reich. Nel ’43, dopo l’armistizio dell’Italia con gli alleati, venne ristabilita l’integrità territoriale asburgico-tirolese. Nacque la Sudtiroler Volkpartei (SVP), il cui obiettivo politico era quello dell’autodeterminazione. L’autonomia del Trentino-Alto Adige trovò il suo fondamento nell’accordo firmato nel 1946 a Parigi dai Ministri degli Esteri di Italia e Austria, A. De Gasperi e K. Gruber. La Regione usciva allora da un lungo e tormentato periodo, anche di forme violente di lotta che continuarono fino agli anni sessanta, stimolata da sussulti secessionisti, nonostante la concessione dell’autonomia del 1947.
Il Governo italiano istituì una commissione di Studio per i problemi dell’Alto Adige e nel 1969 fu concordato il cosiddetto “Pacchetto di misure a favore delle popolazioni altoatesine”, approvato sia dalla SVP, dal Parlamento italiano e austriaco. Da qui nasce il Secondo Statuto del 1971, che assegna alle due province di Trento e Bolzano, numerose competenze di carattere legislativo e agevolazioni fiscali e creditizi. Fra le novità introdotte, vi è la tutela delle minoranze di lingua tedesca e ladina, il bilinguismo. Attualmente è in corso una fase di riflessione riguardante l’adeguamento della Regione mediante il distacco della provincia di Bolzano-Sud Tirolo da quella di Trento, e in futuro la riunificazione al Tirolo, con la creazione di un’ euroregione nel quadro di un regionalismo transfrontaliero. A questi fattori storico-culturali, propri del regionalismo, se ne aggiunse un altro, il fattore economico che divenne addirittura il detonatore della “rivolta della provincia”, per cui il regionalismo trovò linfa vitale nelle regioni emarginate, arretrate e sfruttate dal centro capitalista. Si parlò infatti di “colonialismo interno”, di “sviluppo diseguale”.
Negli anni successivi il regionalismo, pur restando il manifesto delle regioni più povere e periferiche nell’ ambito dell’ Ue, si sarebbe rilanciato vigorosamente anche e soprattutto nelle regioni centrali e sviluppate: basti ricordare i casi della Catalogna e della Lombardia, il tedesco Baden-Wurtemberg, la francese Rodano-Alpi (regioni tra le più ricche della Ue), accese sostenitrici del regionalismo e alleate nella Comunità dei Quattro Motori, ma assai restie alla politica di redistribuzione delle risorse economiche della Ue[5], le cui finalità sono espressamente orientate alla cooperazione tecnologica, allo sviluppo dei trasporti e delle telecomunicazioni e agli scambi nei settori della ricerca e della cultura.
Ricordiamo il caso della Scozia che, scoperto il petrolio del mare del Nord, rivendica più autonomia, o della Baviera che è diventata uno dei più ricchi Land della Germania o del Veneto, regione molto sviluppata, che rivendica un regionalismo estremista. Le competenze e i poteri del parlamento scozzese sono fissati dalla legge del 1977, successiva al referendum, entrata in vigore nel 1998, secondo la quale il parlamento, elegge un primo ministro e un governo, ma non è del tutto sovrano: pur riservandosi un’ampia autonomia nella gestione delle risorse finanziarie, l’economia resta di quasi esclusiva competenza di Londra. Il regionalismo/nazionalismo degli scozzesi, sostenuto finora da sentimenti d’identità, si nutre ora di ben altre aspirazioni: l’obiettivo principale è quello di controllare le proprie risorse[6].
In Germania, l’unico regionalismo è quello bavarese. La stratificazione della popolazione immigrata su tutto il territorio tedesco subito dopo la seconda guerra e la mobilità interna dovuta al mutato assetto economico hanno impedito che potesse formarsi fenomeni di revanchismo etnico-sociale. Inoltre, la Germania ha realizzato, con il suo assetto federale, la più completa regionalizzazione. Il federalismo tedesco non si fonda su basi etniche o geografiche o storico-culturali; esso è stato creato su basi prettamente politico- istituzionali. Gli attuali Lander sono sorti nel 1946 e agiscono insieme al Governo Federale attraverso il Bundersrat, seconda camera del Parlamento, composto dai loro rappresentanti. Il numero dei membri del B. dipende dalla dimensione demografica del Lander. Regione di subcultura cattolica, fin dal XIX sec. fu soprattutto la Baviera. In questa regione, i cattolici, per difendere la loro identità politica, rafforzata dai valori e dai riti della religione, costruirono le loro roccaforti territoriali. Anche sotto il regime nazista la Regione ha conservato la sua ampia autonomia, stipulando con la Santa sede nel 1924 un concordato. Tuttora il cattolicesimo costituisce uno dei tratti distintivi della sua identità.
Negli ultimi decenni, grazie anche alla notevole crescita economica, il suo ruolo politico sia in Patria che nel contesto europeo, si è rafforzato sensibilmente.Particolarmente interessante appare, inoltre, analizzare come il fenomeno autonomistico prende piede in Irlanda. Nel 1920 viene firmato il Trattato Anglo-Irlandese, con cui si stabilisce che ventisei delle trentadue Contee avrebbero costituito lo Stato libero dell’Irlanda, legato alla Corona con un giuramento di fedeltà, mentre le sei contee del nord dell’Ulster sono in attesa della volontà popolare, di decidere se aderire al nuovo stato. La decisione negativa della popolazione porta alla divisione dell’Irlanda. La minoranza cattolica, mal rappresentata, è in posizione di netta inferiorità rispetto ai protestanti. Ben presto si scatena la guerra civile che comportò la fuga di molti cattolici nel sud dell’isola. Allo scopo di frenare i disordini e i tumulti, nel 1922 viene promulgato il Civil Authority Act (Specials Powers), reiterato diverse volte e rimasto in vigore fino al 1974. Nel 1932 la regione viene dotata di un proprio Parlamento, lo Stormont, con il quale inizia una vera e propria campagna discriminatoria nei confronti dei cattolici,tesa a salvaguardare i privilegi della classe dirigente protestante, nell’indifferenza della Gran Bretagna. Negli anni sessanta si assiste anche nell’Irlanda del Nord, ad una rinascita dei valori morali e civili, che tocca soprattutto le giovani generazioni.
Nascono numerosi movimenti per i diritti civili, senza alcuna connotazione politica. Si moltiplicano le manifestazioni e le marce per la pace, durante le quali le due fazioni,cattolici e protestanti vengono violentemente a contatto. Allo scopo di intimidire gli attivisti, si costituiscono gruppi paramilitari protestanti, e in questo clima di guerriglia urbana e di inerzia delle istituzioni, ben presto prendono il sopravvento i militanti dell’IRA, in appoggio ai cattolici. Nel 1972 il governo di Londra invia l’esercito, con l’apparente compito di combattere l’IRA e portare l’ordine. Dopo l’uccisione di 13 civili da parte dei soldati inglesi, durante una manifestazione di pace (Bloody Sunday), nel 1972 il parlamento di Stormont viene sospeso. L’IRA moltiplica gli attentati che determina il progressivo distacco dei cattolici, stanchi dell’elevato numero di vittime anche tra i civili. Nel clima di tensione crescente, il Segretario di Stato per l’Irlanda del Nord propone un progetto di legge per la creazione per gli affari interni dell’Ulster. Nel 1985 il Sinn Fein, braccio politico dell’IRA, riconosce il Parlamento di Dublino, facendo il suo ingresso nelle istituzioni locali. Nel 1993, il processo di pace prosegue con la proclamazione del cessate il fuoco da parte dell’IRA e dei lealisti protestanti. Nel 1998, con la ratifica dell’accordo di pace, cessa la guerra civile, durata 30 anni e costata 3600 vittime. Il nuovo governo autonomo dell’Irlanda del nord, composto da cattolici e protestanti assume pieni poteri nel 1999. Dopo una breve sospensione del governo sotto le forti pressioni unionisti, esso ritorna a funzionare nel maggio 2000. I risultati delle elezioni 2007 conferiscono 36 seggi al DUP (protestanti unionisti) e 28 seggi al SNN FEIN 8cattolici nazionalisti), il primo ministro è un protestante, I. Paisley, il vice è un cattolico, Mc Guinnes. In seguito all’ultimatum di Londra, il primo ministro e il suo vice si sono riuniti al tavolo negoziale e hanno deciso di formare un governo di coalizione, attivo dal maggio 2007.
[1] STEFANO PIAZZA, Federalismo e regionalismo in Italia e in Europa: cenni di riflessione ricognitiva”, in Nuova rassegna on line di legislazione, dottrina, giurisprudenza, Noccioli Editore Firenze, Num. 14 del 16/07/2005 2005.
[2] GIOVANNI LAGONEGRO, “Storia politica di Euskadi Ta Askatasuna e dei Paesi Baschi”, Tranchida (in www.tranchida.it), Milano 2005.
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2011.06.01 – MISTERI DELLA POLITICA ITALIANA…MA ANDATE TUTTI A QUEL PAESE, FUORI DALLA NAZIONE VENETA!!!

LEGNATA A PDL E LEGA, MA IL GOVERNO NON CADRA'!
Martedì 31 Maggio 2011
di Leonardo Facco
Una legnata!
Anche dalle urne del ballottaggio, per il centrodestra, è arrivata una sonora legnata! Del resto, il risultato non poteva essere diverso.
La frottola dei candidati deboli non regge, la verità è che i cittadini hanno deciso di voltare le spalle a Silvio e Umberto per il semplice fatto che sono dei peracottari, dei piazzisti capaci solo di vendere fumo, tutt’al più dei barzellettieri un po’ puttanieri. Il presidente del Consiglio è uno che sta in politica solo per farsi gli interessi suoi e del suo gruppo industriale. Lo si sapeva anche 17 anni fa, quando decise di scendere in campo.
La cosiddetta “rivoluzione liberale” non solo non l’ha mai fatta, ma nemmeno mai ci ha provato: a quelli come lui non piace la libertà, preferiscono l’oligarchia. In quasi vent’anni di berlusconismo e celodurismo, tutto, ma proprio tutto (a parte i benefit della casta), è peggiorato (attenzione, non è che Prodi abbia fatto meglio, sia chiaro).
Qualsiasi dato micro e/o macro-economico vi dirà che l’Italia sta sprofondando, che è un paese senza futuro, che è il regno dei parassiti e dei mantenuti a spese dello Stato.
Berlusconi e Bossi hanno stuprato le idee migliori, dal liberalismo al federalismo, trasformandole in slogan roboanti e vuoti.
Hanno solo fatto terra bruciata intorno a sé. Se il PDL piange, il Carroccio non ride, dato che la stangata è ben peggiore, in termine di consensi a quella dei pidiellini.
Rispetto alle ultime regionali, 21% di voti in meno al primo turno, sconfitte pesanti come Novara, Gallarate, Oderzo.
A Milano, rispetto al 2010 la Lega dei Salvini è passata da 74.403 voti a 57.000, meno del 10%. Il cialtrone di Cassano Magnago, inoltre, è costretto ormai da un decennio a fare da stampella al tycoon di Arcore. Sul finire degli Anni Novanta, la Lega sprofondava nei debiti e nelle truffe e Berlusconi – come fa con tutti, basti pensare al caso dei “responsabili” – se l’è comprata.
Oggi, il Carroccio e lo spadone hanno la loro sede nazionale in via dell’anima, a Roma.
Se ne sono accorti anche dalle parti di “Libero”?
Ha scritto oggi Giuliano Zulin: “Stare con Berlusconi o mollarlo?
Come al solito toccherà a Bossi dettare la linea.
Ma sulla strada del rilancio ci sono parecchi ostacoli:
1) Umberto è amico di Silvio: il Cav gli ha abbonato una montagna di soldi di querele, gli ha ridato una speranza elettorale, non gli ha “preso” il partito quando è stato male…”.
Il termine preso, non è un caso, Zulin lo ha messo tra virgolette, dato che probabilmente anche lui sa che Berlusconi se lo è proprio pappato il senatur! Cadrà il governo ora?
No, non cadrà, perché Bossi non può farlo cadere!
Lo ha già annunciato a tutti i media peraltro! Carl William Brown diceva: “I giornali, grazie alla loro superficiale parvenza di diffusori di cultura e notizie, non fanno altro che divulgare le peggiori qualità dell'ignoranza umana”. In Italia è ancora peggio.
Un esempio? Due settimane fa, ho sbattuto in faccia a Giuseppe Cruciani e David Parenzo (rinomata coppia del cabaret radiofonico confindustriale) il documento che attesta che Silvio ha iniziato nel 2000 la sua OPA su Umberto.
Lo attesta un papello – su carta intestata di Forza Italia – scovato dall’amico Michele De Lucia (riportato nella foto sotto).
Eravamo a “Lombardia Channel” quando l’ho mostrato.
Che uso han fatto i prodi giornalai del documento?
Nessuno, non ne parlano, non lo sbattono mai in faccia ai loro ospiti de “la Zanzara”.
Fanno domande sul futuro rapporto fra Lega e Pdl come se niente fosse. Per il resto è censura, dalla D’Amico all’Annunziata di “Umberto Magno”, delle sue porcherie  e delle sue relazioni intime col cavaliere non bisogna parlare. Lo stesso Brown di cui sopra diceva anche: “Gli intellettuali, i politici o i giornalisti che dicono di lavorare per il bene comune, dovrebbero darne una prova concreta e suicidarsi”! Il suicidio politico di B&B (Berlusconi e Bossi o la Banda Bossotti) è probabilmente iniziato.
La menzogna sistematica comincia a non reggere più allo stato dei fatti, nemmeno quando a raccontarla in televisione ci vanno i “vice-sindaco” in pectore della Moratti, gli enfant-prodige del leccaculismo legaiolo. Una volta, in Lega c’erano i colonnelli, tronfi e boriosi, oggi solo qualche lanzichenecco in carriera costretto a rimbalzare da una tv all’altra. Tutto il resto è trota! I DUE MILIARDI CONCESSI NELL'ANNO 2000 DA FORZA ITALIA ALLA LEGA NORD.
 
 

2011.05.23 – LA LEGGE E’ UGULAE PER TUTTI… MA FAMMI IL PIACERE!

due casi emblematici, entrambi verificatisi a Napoli e nella stessa giornata, confermano quanto sia equa la giustizia in Italia.
Per tutti i capi di imputazione contestati ad Elio Letizia, il papà di Noemi, il gup Stefano Risolo ha stabilito di non doversi procedere in quanto dichiarati prescritti.
Si tratta di numerosi episodi di concussione (24 per la precisione) nei confronti di baristi e ristoratori ai quali, agli inizi degli anni Novanta, Elio Letizia – secondo l’accusa – «bussava» per chiedere mazzette.
A Salvatore Scognamiglio invece, reo di aver rubato per fame un pacco di wafer da 1,3 euro, sono stati inflitti tre anni di reclusione.
Era assistito da un avvocato d’ufficio e non si è avvalso di riti alternativi che avrebbero determinato una pena più lieve.

tratto da: clicca qui

ma in tutti i Tribunali non vi è scritto che…la legge è uguale per tutti?!?

Ma quando mai, per noi è bastato l’esempio del procuratore capo Antonio Fojadelli a Treviso, con l’inchiesta falsa e calunniosa sulla Polizia Nazionale Veneta che dimostra quanto il sistema mafioso da bugiardo possa anche essere ladro.   Con il ripristino della Repubblica Veneta spazzeremo via questo marciume, questo continuo abuso di uno dei servizi più sacri per la comunità.

2011.05.23 – DIPENDENTE EQUITALIA SEQUESTRATO…

Consegna una cartella esattoriale da 587mila euro per sforamento delle quote latte e si ritrova malmenato e ostaggio, per cinque ore, di un gruppo di allevatori inferociti.
È accaduto a Lonigo (Vicenza).
Soltanto un intervento dei carabinieri ha evitato conseguenze peggiori.
Il dipendente di Equitalia, la società pubblica (51% Agenzia delle Entrate e 49% Inps) incaricata della riscossione dei tributi, è stato affrontato da un vicino di casa dell'allevatore finito nel mirino del Fisco, che con una gomitata ha infranto il parabrezza della sua Alfa Romeo 147.
Intervenuti i carabinieri, l'allevatore destinatario della maxi-multa si è calmato solo quando dalla Equitalia di Vicenza gli è stato spedito un fax che attestava la titolarità del credito da riscuotere in capo alla Agea, l'agenzia statale per le erogazioni in agricoltura, e quindi l'impossibilità di Equitalia di sospendere il debito.
I militari hanno informato della vicenda la magistratura.
Il clima si surriscalda, quindi, sul fronte della riscossione.
Il sequestro a Vicenza è solo l'ultimo di una serie di episodi di violenza ai danni dei dipendenti delle società operanti per conto del Fisco.
Durante una recente manifestazione della Cgil sono state occupate le agenzie di Equitalia e c'è stato anche un "Equitalia Day" organizzato da Fli contro la macchina della riscossione.
Episodi sono stati segnalati anche in Sardegna ed altre regioni.
Una situazione che ha spinto oggi la stessa Equitalia e le sigle sindacali di categoria a intervenire con due comunicati nei quali si stigmatizza la violenza sui lavoratori.
 
trattato da: clicca qui

2011.05.23 – CASA PIGNORATA A MALATO PER 60 EURO, EQUITALIA NEI GUAI. VERGOGNAAAAA!!!

La società Equitalia a Genova è nei guai, dopo che il sindaco ha deciso di non concederle più il monopolio della riscossione dei tributi, in conseguenza di un fatto increscioso, avvenuto proprio nel capoluogo ligure. Il caso riguarda un signore, malato del Morbo di Alzheimer, il quale si è visto pignorare la casa, a causa di un mancato pagamento di una tassa di 60 euro. Fatto che ha dell’incredibile, non solo per le condizioni psico-fisiche del contribuente, ma anche per l’enorme sproporzione tra la cifra insignificante del debito fiscale e la smisurata conseguenza del pignoramento dell’immobile in cui il signore abita. Il caso ha suscitato l’indignazione dei genovesi tutti, e altri denunciano ora di avere subito lo stesso trattamento, a causa di cifre bassissime subendo, come quel signore di genova, il pignoramento della casa. Non solo: si indaga su una cordata di imprenditori, che pare abbia cercato di venire in possesso delle suddette abitazioni. In particolare, si sospetta un legame tra le decisioni di Equitalia di procedere ad esecuzione immobiliare per crediti bassissimi e l’esistenza della cordata, che sarebbe così in grado di acquistare immobili a basso prezzo. Di certo un abuso ai danni del contribuente, al di là delle sentenze civili, che avevano sul piano tecnico scagionato la società. tratto da questo sito, che consigliamo: clicca qui

2011.05.17 – L’ESPOSIZIONE DEL CROCEFISSO NELLE AULE SCOLASTICHE ITALIANE

L'obbligo di affiggere i crocifissi nelle scuole fu istituito con i Regi Decreti 965/1924 e 1297/1928, ai sensi dello Statuto albertino, in epoca fascista.
Il Consiglio di Stato si espresse a favore della presenza dei crocifissi nelle scuole nel 1988, nonostante il Cattolicesimo non fosse più religione di stato.
Ma nel 1997 la Corte Costituzionale dice l'esatto contrario, esprimendo parere contrario sulla presenza dei crocifissi nelle aule scolastiche, specie durante le votazioni.
Il 3 novembre 2009 la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo di Strasburgo ha stabilito che la presenza dei crocifissi nelle aule scolastiche costituisce "una violazione dei genitori ad educare i figli secondo le loro convinzioni" nonché una violazione alla "libertà di religione" degli alunni.
La direttiva è contenuta in una sentenza emessa su un ricorso presentato da una cittadina finlandese naturalizzata italiana.
Il 18 marzo 2011, la Grande Camera della Corte europea dei diritti dell'uomo con sentenza d'appello definitiva ha accolto il ricorso presentato dall'Italia, assolvendola dalla precedente accusa e stabilendo che la presenza dei crocefissi nelle aule scolastiche non costituisce una "violazione dei diritti umani".
Ciò premesso fa riflette che con tutti i veri problemi che ci sono sui diritti umani l'italia, che per prima calpesta il diritto all'utodeterminazione del Popolo Veneto e degli altri Popoli della penisola , ricorre alla Corte europea e questa in men che non si dica si pronuncia… che solerzia!
Esporre il crocifisso nelle aule scolastiche o in altri luoghi pubblici, dunque,  è un fattore strettamente religioso o che riguarda la nostra cultura e le nostre tradizioni popolari?
 
Il crocifisso nelle scuole italiane By Rai Vaticano | Aprile 9, 2011 – questo articolo e i commenti sono tratti da: clicca qui
 
A distanza di quasi un mese dalla sentenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo sulla esposizione obbligatoria del crocifisso nelle aule scolastiche, non si placano le polemiche sollevate dalle associazioni atee, particolarmente attive contro i simboli religiosi e nelle campagne contro Benedetto XVI, specie in occasione di un viaggio apostolico del Papa.
Avviene però che quanto più inveiscono contro di Lui, tanto più la gente è interessata ad ascoltarlo.
Come infatti notavano Gramsci e Lenin, “è un errore affermare esplicitamente posizioni atee nei Paesi di tradizione cristiana, perché si contribuisce a ravvivare le radici culturali e la fede in quei fedeli presso i quali si era assopita”.
Ricordiamo che con la sentenza del 18 marzo scorso sul caso Lautsi contro l’Italia, la Grande Camera della Corte Europea dei diritti dell’uomo ha rovesciato, con una maggioranza di 15 voti contro 2, il verdetto di prima istanza, che aveva ritenuto contraria all’articolo 2 del Protocollo 1 annesso alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo l’esposizione del Crocifisso nelle scuole pubbliche italiane.
L’articolo 2 del Protocollo tutela “il diritto dei genitori a che venga assicurato ai propri figli un insegnamento conforme alle loro convinzioni religiose e filosofiche”.
La sentenza di primo grado aveva suscitato aspre critiche negli ambienti cattolici non solo italiani, ma anche di altri paesi in cui la religione cattolica è preponderante.
Otto governi sono intervenuti a sostegno del ricorso presentato dal nostro esecutivo.
Anche un laico o un ateo può essere portato a considerare che la presenza del crocifisso nelle scuole italiane sia del tutto tollerabile.
Probabilmente nella odierna sentenza la Corte Europea si è rifatta alla decisione del 15 febbraio del 2001 sul caso Dahlab contro la Svizzera.
In questa vicenda la Corte aveva ritenuto che fosse legittima l’interdizione fatta ad una insegnante di indossare un foulard islamico in classe, interdizione motivata dalla necessità di preservare il sentimento religioso prevalente degli allievi.
Altro argomento trattato dalla Corte è che la presenza del Crocifisso non è associata in Italia ad un insegnamento obbligatorio, poiché nelle scuole italiane viene parallelamente offerto uno spazio ad altre religioni.
Nella stessa sentenza si rileva poi che i simboli religiosi nelle scuole pubbliche sono espressamente previsti in Italia, Austria e Polonia e sono tollerati in Grecia, Irlanda, Malta, San Marino e Romania.
L’eurodeputato Oreste Rossi, combattivo promotore del ricorso, ha espresso al nostro blog ”grande soddisfazione, perché è stato riaffermato l’obbligo di presenza del crocefisso.
Esso non può essere ritenuto indottrinamento da parte dello Stato, in quanto è un simbolo essenzialmente passivo, e la sua influenza sugli alunni non può essere paragonata all’attività didattica degli insegnanti”.
Anche padre Federico Lombardi è intervenuto sull’argomento, riconoscendo che “secondo il principio di sussidiarietà è doveroso garantire ad ogni Paese un margine di apprezzamento quanto al valore dei simboli religiosi nella propria storia culturale e identità nazionale e quanto al luogo della loro esposizione.
In caso contrario, in nome della libertà religiosa, si tenderebbe a limitare o persino a negare questa libertà.
Una gran parte degli europei sono convinti del ruolo determinante dei valori cristiani nella loro storia, ma anche nella costruzione unitaria europea e nella sua cultura di diritto e libertà”.
Giancarlo Cocco
 
Alcune considerazioni personali espresse on-line su questo articolo:
 
Non è il Crocifisso ad essere appeso alla pareti ma le pareti ad essere appesi al Crocifisso.
 
Se togli il Crocifisso crolla la società, la civiltà, l’uomo stesso….
 
Non riesco a capire il perchè di tante polemiche sul crocifisso…
 
Facciamo tante storie per vedere se è giusto lasciare esposto o no il crocifisso , quando ti volti da qualsiasi parte e quante cose vediamo che offendono o sono provocatorie??
Ricordiamo invece che il crocifisso è un “simbolo”!
E’ forse il simbolo di qualcosa offensiva per la dignità umana, la giustizia, la fraternità, l’Amore?
E’ un simbolo polisemico, come ha sostenuto la difesa dell’Italia davanti alla CEDU.
E perciò è normale che qualcuno vi possa vedere un’offesa per la dignità umana, la giustizia, la fraternità, l’amore.
Anche la falce e il martello è un simbolo in cui molti vedono libertà, giustizia, fraternità e amore.
Molti, ma non tutti.
Per cui è giusto che non sia esposto nelle aule scolastiche. 
Anche la Croce Rossa, per il rispetto di tutti, ha cambiato il simbolo.
 
Io ritengo che questa campagna denigratoria contro il CROCIFISSO (in maiuscolo perchè lo rispetto) sia pretestuosa, perchè probabilmente mossa da determinati gruppi che cercano, evidentemente, di assestare colpi decisivi a quanto di positivo e sacro resta di un genere umano ormai sempre più in declino.
Mi domando: Perchè nessuno contesta le scritte sui muri degli edifici, delle case, delle scuole, dei cimiteri, che inneggiano alla violenza, agli insulti, all’ odio e al diprezzo del prossimo?
Non turbano le coscienze?
 
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2011.05.16 – I DOCUMENTI TENUTI NASCOSTI DALLA CHIESA


Nel dicembre del 1945, a Nag Hammadi, nell'Alto Egitto, furono scoperti decine di manoscritti di sconvolgente importanza perché rivelarono un cristianesimo profondamente diverso da quello che conosciamo.
Oggi, a più di sessant'anni di distanza e dopo un lavoro di decifrazione e di studio durato decenni, è possibile avere un'idea più precisa di Gesù, che cosa ha detto veramente, chi erano gli apostoli, qual era il ruolo di Maria di Magdala.
Diversamente da quello che si crede la chiesa è un gruppo di uomini che portano avanti, quanto deciso nei secoli, le parole di uomini che intesero e diffusero il messaggio di Gesù in funzione dei loro fini.
Questo video introduce la scoperta di fondamentali rivelazioni di un cristianesimo primitivo, rimasto nascosto per duemila anni, dove la conoscenza di Sè, la Gnosi, è il tema centrale ed è la via che conduce all'unità.
Quella conoscenza che la chiesa ha definitivamente sepolto attraverso i due consigli ecumenici svolti nella città di Nicea dove definirono chi aveva ragione e chi era eretico all'interno della stessa chiesa.
Uomini che decisero chi fosse Gesù e quale messaggio avesse portato.
Uomini che decisero quali testi erano giusti e quali errati.
Anche i 4 vangeli canonici del nuovo testamento servono a questo.
Uomini che non sono Dio, sono uomini!
Come può, quel Dio che è libertà e che desidera che ogni uomo lo cerchi liberamente, affermare che lo si faccia attraverso chi si assume il diritto di insegnare quanto è stato definito da un gruppo di uomini?
Occorre riflettere, occorre assumersi la responsabilità verso ciò che si crede. Occorre sostituire il credere con in capire! L'amore è relazione e solo amando si è vivi.
Per te che mi stai ancora leggendo metto in relazione le parole seguenti: La religione è diventata superstizione ed idolatria, credenza, rituale!
La bellezza della verità e le sue sottigliezze non sono nella fede e nel dogma, non sono mai dove l'uomo le può trovare perché non esiste nessuna via che conduce a quella bellezza.
Non è un punto fisso o un porto di salvezza.
Ha la sua propria dolcezza e il cui amore è incommensurabile, non puoi trattenerlo o farne esperienza, non ha un valore di mercato da usare o mettere da parte.
C'è solo quando la mente ed il cuore sono vuoti, liberi da ogni pensiero.
Tutte le ricerche e le scoperte non hanno alcun significato a meno che la mente non sia libera dal suo condizionamento.
Quella liberà è il primo e ultimo gradino!
Non c'è alcuna via verso la verità sia essa storica o religiosa, non è da esperire o da trovare nella dialettica, ne da vedere in opinioni mutevoli e credenze.
Ti imbatti in essa quando la mente è libera da tutte le cose che ha messo insieme.
La mente deve essere libera da qualsiasi autorità.
Non devono esserci ne seguaci, ne discepoli, ne metodi.
Non appartenete a niente, non legatevi ad istituzioni e non siate discepoli di nessuno.
Dubitate di tutto quello che dicono i guru o i sacerdoti orientali ed occidentali che siano e a maggior ragione dubitate di quello che vi dice chi vi parla. J.K.
 
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2011.05.16 – DICHIARAZIONE DEI REDDITI DEL VATICANO… FACCIAMO DUE CONTI!


L'ammontare della cifra intascata dal Vaticano è di circa 9 miliardi di €uro (18.000 miliardi di vecchi lire), pari al 45% della manovra economica italiana per la finanziaria del 2006… senza la Chiesa Cattolica, o almeno senza i suoi privilegi economici, lo stato italiano potrebbe praticamente dimezzare le tasse a tutti i suoi cittadini.  
Tratto dal libro: " perchè non possiamo essere cristiani (e meno che mai cattolici) " di Piergiorgio Odifreddi.
 
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2011.05.15 – ZAIA: «LA PROTEZIONE CIVILE NON HA SOLDI, ASSICURATEVI CONTRO LE CALAMITA’ NATURALI»

L’invito del presidente della Regione: «Non sarà possibile intervenire per i danni causati dalle avversità atmosferiche»
VENEZIA
«Voglio dire a tutti i cittadini che nel fondo nazionale della Protezione Civile non ci sono più soldi e non sarà possibile intervenire a ristoro di danni che possono derivare da grandi avversità atmosferiche come trombe d’aria, grandinate e così via. Cerchiamo di correre ai ripari anche con prodotti assicurativi che, visti su larga scala, hanno anche costi contenuti». È l’invito rivolto oggi dal presidente del Veneto Luca Zaia durante il consueto punto stampa settimanale. Zaia ha ricordato di essere andato ieri nella zona di Este e Montagnana, nel Padovano, dove ha incontrato persone che hanno subito danni gravissimi a causa di una tromba d’aria. «Quelli estivi non saranno mesi facili: è nelle cronache il ripetersi di eventi eccezionali con danni anche molto gravi. Ma non ci sono più soldi e non è pensabile di illudere i cittadini con la prospettiva di interventi che non ci saranno. Valutate se ci si può assicurare, fin dove potete, fatelo», spiega. «Stiamo parlando di patrimoni personali come la casa – ha sottolineato Zaia – che è spesso il nostro bene più grande. Tutti o quasi siamo assicurati per la rottura di condotte idriche o scariche elettriche e con un investimento molto contenuto, qualche decina di euro, ci si può tutelare anche per altre calamità. Non aspettiamo che ci capiti una disgrazia; facciamolo prima».
Considerato l’articolo non potevano esimerci dal riportare alcuni commenti esposti online su il Gazzettino.it e che li trovate clicca qui :

amministrazione pubblica sprecona
Prendiamo le auto blu. Nessun governo riesce a ridurle: un ex presidente della repubblica (Scalfaro, tanto per far nomi) ne pretendeva due in quanto anche ex presidente della Camera; ancora oggi un ex-ministro di Ciampi (l’avvocato Fantozzi, sempre per far nomi) ne ha a disposizione una dotata di lampeggiatore che usa per la sua professione, non avendo ora alcuna carica politica.
Non parliamo poi di case: a Venezia un ex segretario comunale abita dopo molti anni ancora in un appartamento di servizio sul Canal Grande. Forse ne ha diritto ma sarebbe interessante saperne la ragione.
Se venissero eliminati certi privilegi l’amministrazione pubblica, a tutti i livelli, potrebbe avere i mezzi per gestire tifoni e tutto il resto.
commento inviato il 11-05-2011 alle 21:17 da robby

per “loro” i soldi ci sono sempre
Grazie per il consiglio Zaia, ma chissà perchè soldi non ce ne sono mai per i comuni mortali, per “loro” invece ce ne sono sempre di più. VERGOGNA!!!!!!ys
commento inviato il 11-05-2011 alle 20:00 da giovanna

mi raccomando andiamo tutti a votare!!!!!!!
commento inviato il 11-05-2011 alle 19:28 da quintino

“Se ci sono dei soldi, meglio usarli per stipendiare una certa Lorenza… &. C.”
commento inviato il 11-05-2011 alle 15:39 da silvaney … e i consulenti vari che si aggregano al carretto! Nonostante la crisi ce ne sono tanti … per tutte le materie!
commento inviato il 11-05-2011 alle 19:13 da Foks

La Danimarca….
…..sospende SCHENGEN..!  

TORINO 8 MAGGIO 2010; ROMA 8 MAGGIO 2011.

E’ passato un anno da quelle giornate palpitanti e straordinarie. Non è retorica dirlo: a volte sembra un secolo, a volte un attimo.
Ricordo con molta tenerezza  che, esattamente un anno fa, nel pomeriggio di Venerdi’ 7 Maggio, io ed il fratello di lotta Maurizio Castagna pieni di gioia, di speranza e di timori stavamo eseguendo un sopralluogo del percorso della manifestazione. Questa verifica  sembrava non finire mai. Ogni tanto ci fermavamo per immaginare cosa sarebbe successo l’indomani, tante telefonate arrivavano e ci interrompevano; una lunghissima ed ennesima intervista telefonica con un giornalista di Repubblica ci bloccò per quasi mezz’ora (da una parte eravamo consapevoli dell’importanza di far conoscere ciò che stava succedendo, dall’altra la voglia di mandare a quel Paese -ITALIA UNITA SPA- un rappresentante della stampa di Regime;) avevamo la sensazione che veniva interrotta, infatti, la magia intima di quei momenti straordinari di una vigilia di un evento che avrebbe segnato per sempre la nostra vita.
Il giorno dopo fu un vero trionfo, i nostri megafoni furono i canali per trasformare in grida di battaglia le tensioni accumulate in 6 mesi di preparazione.
Fu la dimostrazione che se si agisce per tempo, se si organizza tutto nei particolari, che se le finalità sono forti e limpide allora si riesce a rendere possibile ciò che appare lontanissimo: portare la nostra lotta laddove 150 anni fa il nostro nemico aveva intessuto le trame del sua aggressione nei nostri confronti e dove, a distanza di 150, anni apriva un Museo dedicato a Lombroso che ancora oggi rappresenta una vergogna per Torino e per tutta l’Europa.
In quest’anno sono successe moltissime cose… non tutte belle. La mia strada si è divisa (a volte anche molto dolorosamente) da quella di alcuni fratelli di lotta. Prego quel Dio che protegge le lotte dei Popoli che li aiuti a riflettere e che li aiuti a perdonarmi se ritengono che gli abbia fatto qualcosa di male; ringrazio quello stesso Dio per avermi dato la possibilità di essere ancora accanto a molti di loro e lo ringrazio di avermene fatto incontrare altri.
MAURIZIO CASTAGNA con il quale solo una settimana fa ho marciato a Catania per la Manifestazione per la l’applicazione dello statuto.
ENRICO VICICONTE entrato da poco nel Movimento Identità Mediterranea
DOMENICO IANNANTUONI con il quale abbiamo fondato il Comitato No Lombroso  e che affiancherò con  passione e fedeltà nella difficile impresa di riunire il “mio Sud “.
Ringrazio con commozione FRANCESCO LARICCHIA (anch’egli presente alla Manifestazione di Torino) il quale,  in qualità di Coordinatore del Premio L´Alfiere del Sud, me ne ha pochi giorni fa comunicato il conferimento  per la Sezione Italiana, Categoria Impegno Sociale con la  seguente motivazione del premio:  ” per avere voluto sostenere, promovendo la memoria dei cittadini meridionali i cui resti sono ingiustamente detenuti presso il Museo Lombroso di Torino, la tutela delle spoglie di gente del Sud indecorosamente esposte al pubblico ludibrio sulla base di antiscientifiche teorie che, fondandosi su taluni aspetti fenotipici umani, possono essere considerate antesignane degli aberranti, disumani e ripugnanti pregiudizi razziali”. Sara’ per me un onore ed un piacere essere presente il 21 maggio per ritirarlo a Bitonto in occasione della cerimonia di consegna.
GIANVITO ARMENISE: con lui e con i compatrioti di Azione e Tradizione facemmo risuonare a squarciagola a Torino la nostra lotta alla Massoneria cantando la “Vandeana”
GIAN LUCA BOZZELLI, a cui si deve la primigenia idea della protesta contro il truce Museo.
ANTONIO VARANO, che raggiunse la manifestazione in moto dalla Svizzera.
In quest’anno ho avuto modo di conoscere nuove persone che vorrei citare.
DANIELE CACCIATO, Vice coordinatore di  Identità Mediterranea, una delle persone più in gamba e straordinarie che abbia conosciuto in tutta la mia vita.
MONICA PISANO ed AURORA PIGLIA POCHI due compagne di lotta di SARDIGNA NATZIONE.
DONATELLA RINALDO e ROSA CASSATA due brillanti e dolci combattenti per la Sicilia
ALBERT GARDIN di Indipendenza Veneta
FABRIZIO PETTINATO di Piemonte Stato
DAVIDE ZINGONE, presidente del portale letterario Babylon Cafè con il quale abbiamo lanciato da meno di un mese il Premio Letterario “Identità Mediterranea”.
Il mia certezza è che quell’ Otto Maggio è stato solo una delle tante tappe di quel percorso che portera’ i Popoli d’Europa e del Mediterraneo ad essere liberi, prosperi e solidali.
Un abbraccio caloroso a tutti da Michele Iannelli
  
tratto dal profilo facebbok: clicca qui
 

2011.05.07 – COMUNICATO STAMPA DELLA REPUBBLICA DI MALU ENTU

06/05/2011
 
COMUNICATO STAMPA DELLA REPUBBLICA MALU ENTU
 
Il tempo a bordo della Nomentana,sta passando tranquillamente,in relax;anche se, siamo coscienti, nel vedere da parte delle autorità parecchio nervosismo derivato dalla nostra presenza a bordo della nave.
Ce la stanno smenando,proferendo minacce varie, che dette da loro ci fanno sorridere (come se il minacciarmi di
arresto m’impressionasse più di tanto….ohi ohi Lillu!!!!)
Da parte nostra siamo tranquilli, convinti come siamo che il problema dei trasporti marittimi ,sia un problema reale e
non solo un problema nato in periodo di campagna elettorale.
In questi giorni, le nostre orecchie sono piene di urla e buoni propositi, elargiti a tonnellate dal mondo politico sardo
per risolvere il problema millenario dei trasporti via mare in Sardegna; Molte di queste urla, siamo convinti , abbiano
termine il 16 Maggio 2011!!
Per i sardi ,sarebbe utile che tutti i responsabili della situazione odierna possano prendere atto, che la nostra
occupazione a bordo nave, non sono come le loro enunciazioni verbali! Non l’abbiamo fatta solo per far passare la
giornata, ma si rendano conto che la nostra intenzione é quella di mettere il dito nella piaga. Anche perché, ai sardi ,
non bastano le interrogazioni parlamentari (visto che se ne fanno 630 al giorno!!!) per il motivo che non esiste un solo
parlamentare che non spari la sua brava interrogazione da far riportare sui mass media di casa sua.
Purtroppo per noi, i nostri parlamentari sono da sempre convinti che siano gli altri a risolvere i nostri problemi,
oltretutto bisognerebbe che la Giunta Regionale fosse meno ingenua e criticabile.
Sarebbe bene che operasse in maniera più incisiva con qualche armatore per far in modo che cali le penne e non solo
in senso metaforico!! diciamo alla sarda ” che una limatina alle unghie gliela potremmo anche dare”
Dando un consiglio: qualche volta ascoltino le grida dal basso , che anche se, provengono da sardi senza “potere”,
possono essere più sagge delle loro azioni. In particolare, chiedo che mister Cappellacci , risponda al mio quesito
postogli tramite i mass media.
Da parte nostra, stasera ritorniamo a Civitavecchia e non diciamo cio’ che abbiamo in testa per il prossimo
futuro!!!!???????
Il Presidente,
Doddore Meloni