PUTIN AZZANNA L’AMERICA

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Lo schiaffo di Putin è arrivato con scatto felino, improvviso, come al solito stupendo tutti.
Anzi, è drammatico notare come in Occidente, anche ai piani alti, molti non se ne siano ancora accorti.
Ci aspettavamo la reazione del Capo del Cremlino alle continue provocazioni occidentali, ma forse pochi immaginavano che arrivasse in questo modo e così violenta.
Solo gli stolti pensano infatti che i russi siano in grado di reagire alle provocazioni del resto del mondo occidentale con armi convenzionali di deterrenza, magari sparando qualche drone in Asia minore.
Ho dedicato un libro intero alla strategia di Putin, ed uno dei focus dello studio si concentra sul comportamento “orientaleggiante” di Putin in campo geopolitico.
Per farla breve, come Sun Tzun sostiene nell’arte della guerra,
Il meglio del meglio non è vincere cento battaglie su cento, bensì sottomettere il nemico senza combattere
oppure, se preferite,
i guerrieri vittoriosi prima vincono e poi vanno in guerra. I guerrieri sconfitti prima vanno in guerra e poi cercano di vincere
Putin viene dal mondo dell’intelligence, ove ha fatto tesoro di strategie e tattiche, ed ogni mossa e contromossa poste in essere dal Presidente russo in questi anni mi confermano che la via orientale è quella che lui privilegia (anche se solo perchè costretto dalle circostanze e dai rapporti di forza tra le potenze).
In questa fase europei e americani, cioè i tradizionali aggressori della Russia, sono sorprendentemente deboli.
E lo sono non certo da un punto di vista militare, dove anzi primeggiano per investimenti e deterrenza, ma in campo economico.
Per la prima volta dopo tanti anni, infatti, si trovano in una situazione emergenziale e sono impegnati ad organizzare il da farsi.
Contrariamente a quanto di solito vien detto, la cosa non vale per la Russia, che non vive quasi esclusivamente sull’export di manufatti o sul potere della moneta, ma su quello di materie prime, petrolio in primis.
Il 6 marzo, i maggiori paesi produttori di petrolio con l’eccezione degli USA si sono riuniti a Vienna per sostenere il prezzo del petrolio che da inizio anno soffre a causa dell’epidemia in Cina.
L’effetto ottenuto è stato esattamente l’opposto perchè la Russia ha fatto saltare il banco.
I russi, secondi produttori al mondo, si sono messi di traverso ai tagli alla produzione, cosa che ha scatenato il mercato al ribasso, ed ora c’è chi vede un prezzo a 20 dollari al barile.
Nell’attesa, la quotazione è arrivata a 31 dollari al barile, e non si vedeva dal 1991.
Spiegato in modo più semplice, Putin non ha voluto accordarsi con i sauditi (maggioritari dell’Opec) per ridurre la produzione di greggio.
Questo taglio, infatti, avrebbe fatto salire il valore del greggio in commercio, e dunque il prezzo.
Più alta la quotazione, più soldi entrano nelle casse dei paesi produttori, Russi e arabi in testa.

Quel che non entra nella testa di chi legge le news in modo superificiale è che questa mossa della Russia fa parte di una precisa strategia rivolta a danneggiare il mercato americano.

E’ senz’altro vero che in passato – durante la crisi ucraina – Putin dichiarava che 70 dollari al barile fossero il prezzo giusto per l’oil, ma i tempi sono appunto molto cambiati, e soprattutto per le compagnie americane che ruotano attrono a questo gigantesco business.

Detto in altro modo, per stare a galla in modo dignitoso ora i russi possono permettersi di vendere il petrolio a 50 dollari al barile, perchè hanno un rublo debole che li favorisce nell’export e, soprattutto, hanno un fondo sovrano pieno zeppo di riserve valutarie. I sauditi, invece, hanno bisogno di venderlo a 90 per reggere.

Ma la vera botta è per le società degli States, legate al mercato petrolifero shale che richiede altissimi costi di estrazione. In altre parole, gli americani necessitano di un prezzo alto del petrolio.

Con la mossa di far saltare il prezzo, dunque, a rimetterci saranno Riad e Washington, mentre Mosca può reggere i 25/30 dollari al barile per almeno 6 anni. Putin si sta comportando come Jeff Bezos con amazon. Non vogliono essere competitivi nel mercato, ma vogliono essere «il» mercato. La Russia può resistere a lungo alla sofferenza, come ha dimostrato anche durante la seconda guerra mondiale, mentre americani e arabi no.

Se  il mercato del petrolio dovesse davvero saltare, ne rimarrà solo uno. E questa volta l’Highlander non sarà scozzese, ma russo.