LETTERA AL MATTINO DI NAPOLI DA UN INDIPENDENTISTA SARDO

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Lettera spedita al quotidiano “Il Mattino” di Napoli dal sottoscritto.
In questo periodo mi domando spesso come mai, all’iniziativa da parte dell’attuale governo di festeggiare la ricorrenza dei 150 dell’unità d’Italia, non corrisponda una presa di posizione indignata, seguita da iniziative forti da parte del sud attraverso i suoi organi di informazione.
Come può un carnefice pretendere che le vittime festeggino i massacri subiti?
La mia patria – la Sardegna- allora, suo malgrado, si trovava dalla parte sbagliata, tuttavia ho ben chiaro la tragedia che ha subito il popolo meridionale. E’ per questo che sollecito il vostro quotidiano ad intraprendere delle iniziative serie atte ad evitare che sia realizzato questo progetto sciagurato, oltraggioso, ideato nel totale disprezzo della verità. Il popolo meridionale deve mobilitarsi da subito perché le celebrazioni non avvengano. Non solo: dovete pretendere di trasformare la data in un evento che commemori i morti dei massacri e mettere questo stato fittizio, nato sul sangue e la sopraffazione, di fronte alle sue responsabilità storiche. Costringere i suoi rappresentanti a porgere le scuse al sud e pretendere che cambi completamente la storiografia fondata sulla retorica risorgimentale, la quale assegna un ruolo di padri ” amorevoli” della patria a personaggi che invece furono degli incalliti assassini.
Soprattutto incominciare a riconsiderare la storia riesumando tutte le verità, così da dare loro i giusti connotati politici da cui trarre gli strumenti per una vostra ineludibile indipendenza da uno stato che non vi ha mai accettato.
Il sud può farcela da solo, ma dovete prendere coscienza con fiducia delle vostre potenzialità: alle condizioni attuali sarete sempre destinati al ruolo di colonia, adatta solo a fornire forza lavoro al sistema produttivo del nord. Dovete reclamare il ritorno allo stato del sud perché tale era prima che venisse aggredito e violentato: lo dovete fare in memoria di coloro che combatterono, morirono, furono torturati e imprigionati a difesa dei valori che esso incorporava; per i milioni dei vostri antenati che furono costretti a trovare rifugio nelle Americhe dopo che fu fatta terra bruciata; perché Napoli ritorni ad essere una grande capitale come lo fu prima di essere stata depredata delle sue risorse economiche e culturale. Lo dovete al popolo del sud di oggi , il quale merita di realizzare i propri modelli di sviluppo secondo la propria visione della vita e non invece secondo gli occhi famelici di speculatori che agiscono con logiche colonialiste consolidatesi tra gli antichi potentati , nei 150 di falsa unità.
Lo dovete fare anche perché il nord si è posto nella condizione politica di scaricarvi quando vuole.
Lo dovete fare per la vostra dignità.
Deus cherzat ca cust’istadu fraigadu a pitzus de sas faullas no bi siet prus: torramus a su chi fiat ainnanti de su bochidorgiu pro fraigare un unidade de amistade tra sos populos mediterraneos.
traduzione: Dio voglia che questo stato fondato sulle menzogne non ci sia più, ritorniamo al periodo precedente ai massacri per costruire una vera amicizia tra i popoli mediterranei.
Un indipendentista sardo, Sergio Gabriele Cossu.
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24 Luglio 1861, leggete questa pagina di diario
“ Mancando il necessario per causa dei ribelli fui incaricato di far del mio meglio al recupero di che mettere nelle caldare.
Preso il carro mossi in direzione di Pondelandolfo dove giorni prima ne avevo scorto masserie e depositi appena fuori dalle mura.
Circondata una casa ci avvicinammo cauti. Improvvisamente dal piano sovrastante ne apparve un giovinetto che imbracciando un fucile incominciò a far fuoco senza riparasene.
Colpiti due bersaglieri ed ucciso il cavallo del traino, rispondemmo al fuoco.
Entrammo nella masseria dove trovammo tracce di uomini ormai lontani protetti da volti di donne muti e senza sentimenti. Si prese ogni cosa potesse servir alla truppa ed ai briganti.
Poi lasciammo al fuoco il resto mentre le donne cercavano di ricoprirsi dalla violenza della truppa. Rientrando scorgemmo sul monte a ridosso della strada le sagome dei briganti che da lontano avevano assistito alle sorti dei loro rifugio”.

Cesare Augusto Bracci, Capitano del 36° fanteria
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