ATTUALITA

2012.10.08 – MA GUARDA UN PO’ CHE SORPRESA… ECCO I VERTICI DELLA POLIZIA ITALIANA CONDANNATI!


 
Ricordate gli atti di aggressione posti in essere contro il MLNV con artificiose operazioni polziesco/giudiziarie???
  
 (il questore straniero italiano Carmine Damiano)
 
  (la messa in scena mediatica sull'operazione nel 2009)

 
  (la messa in scena mediatica sull'operazione del 2012)
 

il 5 luglio 2012 alcuni degli alti dirigenti della polizia italiana condannati per le violenze alla Diaz di Genova:
– Franco Gratteri capo della Direzione centrale anticrimine
condannato a 4 anni per falso aggravato
– Gilberto Caldarozzi capo dello Sco (Servizio Centrale Operativo)
condannato a 3 anni, per lo stesso reato.
Ora rimossi dal ministro dell’Interno Anna Maria Cancellieri data l’interdizione dei pubblici uffici prevista dalla sentenza.
Ma che strano.
Proprio la stampa di regime ha più volte pubblicato l'attività direzionale e di coordinamento delle operazioni realizzate anche contro il MLNV ad opera dello SCO (il servizio centrale operativo della polizia italiana) e/o della direzione centrale anticrimine della polizia italiana, servizi apicali e centrali del ministero dell'interno italiano diretti proprio da questi "signori".
Che dire… credete ancora a queste gente?

 
Tanto per farvi un'idea di chi siano in realtà questi "signori"  vi proponiamo un'interrogazione di alcuni parlamentari italiani:
e per fortuna che lo dicono loro
 
 
 
 
Diaz:
Senatori Radicali e del Pd presentano interrogazione a Cancellieri a seguito di sentenza Cassazione su Diaz

I senatori Radicali Marco Perduca e Donatella Poretti coi senatori del gruppo del Partito Democratico Roberto Della Seta, Roberto Di Giovan Paolo, Francesco Ferrante e Vincenzo Vita hanno presentato ieri un'interrogazione alla Ministro Cancellieri per sapere se abbia preso cognizione delle motivazioni della sentenza della Corte di cassazione e quali determinazioni intende adottare alla luce delle stesse.
L'interrogazione ricorda come, "dalle motivazioni della Cassazione sulla vicenda della scuola Diaz di Genova del 3 ottobre scorso, emerge, tra le alre cose, che l’allora Capo della polizia, dr. De Gennaro (proprio quella personcina che mi ha destituito dalla polizia italiana nel 2000 con false motivazioni VEDI) e l’attuale Capo della polizia dr. Manganelli, pur non partecipando con responsabilità dirette ai gravi illeciti penali, si siano resi responsabili di comportamenti che hanno oggettivamente favorito l’avvio e gli sviluppi della drammatica vicenda e, che per quanto riguarda in particolare il dr. De Gennaro, risulta accertato che egli, nelle ore immediatamente precedenti l’irruzione nella Scuola Diaz, aveva dato la direttiva di operare una 'più incisiva' azione di repressione e di procedere agli arresti del caso, inviando a Genova funzionari apicali per sostituire i funzionari locali nella guida delle operazioni.
Per dare attuazione alla direttiva, si era tenuta nella questura di Genova una riunione, all’esito della quale il comando delle operazioni era stato assunto, in sostituzione di un funzionario 'dissociatosi dalla linea assunta per lo svolgimento dell’operazione', da Francesco Gratteri, definito nella sentenza 'figura apicale che ha svolto un ruolo centrale nelle vicende processuali' e che 'ha dato impulso alla scellerata opera mistificatoria', e che lo stesso dr. Gratteri era stato inviato presso la Scuola Diaz dal suo diretto superiore dr. Manganelli, con il quale era rimasto in stretto contatto durante l’intera giornata del 21.7.2001, nel corso della quale, tra le ore 20.30 e le ore 0.31, si erano registrati 19 contatti telefonici tra i due.
Alla luce di tutto cio' i Parlamentari che interrogano la Cancellieri ritengono urgente avere una risposta immediata a e chiara circa il futuro di chi, a detta della Cassazione, non avrebbe tenuto comportamenti in linea cogli obblighi di legge.
Tutti e sei i Senatori hanno inoltre presentato vari disegni di legge per l'introduzione del reato di tortura nel codice penale, una questione che dopo esser stata ampiamente affrontata in commissione giustizia in Senato, era approdata in Aula dove ha subito uno stop da parte delle frange piu' conservatrici del PDL e rischia ora di esser definitivamente cancellata dall'agenda della legislatura.
Il 3 scorso, il Senatore Perduca aveva chiesto che De Gennaro rassegnasse le dimissioni.
Segue il testo integrale dell'interrogazione.
Premesso che:
– col deposito delle motivazioni, in data 3 ottobre 2012, da parte della Corte di cassazione, della sentenza relativa alla nota vicenda della Scuola Diaz di Genova, risulta definitivamente accertato che nella notte tra il 21 e il 22 luglio 2001, vi fu una devastante irruzione delle forze di polizia, che si sono rese responsabili di una sanguinosa aggressione ai danni dei 93 pacifici occupanti della predetta Scuola, poi tratti illegittimamente in arresto;
– al fine di giustificare l’illecito comportamento di cui sopra, i responsabili dell’aggressione e degli illegittimi arresti, si sono successivamente resi responsabili di una serie di reati di falso e di calunnia;
– di tale condotta “cinica e sadica”, secondo l’apprezzamento dei giudici, si erano resi responsabili alcuni funzionari di polizia in posizioni apicali, che in questi anni e fino alla rimozione imposta dal giudicato di condanna, non solo hanno conservato tali posizioni, ma hanno addirittura ottenuto ulteriori avanzamenti di carriera;
• dalle suddette motivazioni emerge altresì che l’allora Capo della polizia, dr. De Gennaro e l’attuale Capo della polizia dr. Manganelli, pur non partecipando con responsabilità dirette ai gravi illeciti penali, si sono resi responsabili di comportamenti che hanno oggettivamente favorito l’avvio e gli sviluppi della drammatica vicenda;• per quanto riguarda in particolare il dr. De Gennaro, risulta accertato che egli, nelle ore immediatamente precedenti l’irruzione nella Scuola Diaz, aveva dato la direttiva di operare una “più incisiva” azione di repressione e di procedere agli arresti del caso, all’uopo inviando a Genova funzionari apicali per sostituire i funzionari locali nella guida delle operazioni;• per dare attuazione alla direttiva, si era tenuta nella questura di Genova una riunione, all’esito della quale il comando delle operazioni era stato assunto, in sostituzione di un funzionario “dissociatosi dalla linea assunta per lo svolgimento dell’operazione”, da Francesco Gratteri, definito nella sentenza “figura apicale che ha svolto un ruolo centrale nelle vicende processuali” e che “ha dato impulso alla scellerata opera mistificatoria”;• lo stesso dr. Gratteri era stato inviato presso la Scuola Diaz dal suo diretto superiore dr. Manganelli, con il quale era rimasto in stretto contatto durante l’intera giornata del 21.7.2001, nel corso della quale, tra le ore 20.30 e le ore 0.31, si erano registrati 19 contatti telefonici tra i due;
– evidenti appaiono pertanto, al di là delle responsabilità penali, le responsabilità funzionali dell’allora e dell’attuale Capo della polizia.
si chiede di sapere se:
Il Ministro interrogato abbia preso cognizione delle motivazioni della sentenza della Corte di cassazione e quali determinazioni intende adottare alla luce delle stesse.
 
 
proprio tutta un'altra polizia
 
 
 
 

2012.10.08 – LA SENTENZA DELLA CASSAZIONE SULL’IRRUZIONE NELLA SCUOLA DI GENOVA DURANTE IL G8


Diaz, la Cassazione conferma le condanne per i vertici della polizia: scatta la sospensione
Prescritto il reato di lesioni gravi per nove agenti del nucleo speciale della Mobile. Il Viminale: «Sentenza da rispettare»
La sentenza della CASSAZIONE sull'irruzione nella scuola di genova durante il g8
Diaz, la Cassazione conferma le condanne
per i vertici della polizia: scatta la sospensione
Prescritto il reato di lesioni gravi per nove agenti del nucleo speciale della Mobile. Il Viminale: «Sentenza da rispettare»
Confermate in via definitiva le condanne per falso aggravato inflitte agli alti funzionari di polizia coinvolti nelle violenze alla scuola Diaz di Genova, il 21 luglio 2001.
Lo ha deciso la quinta sezione penale della Cassazione. Nel dettaglio, la Cassazione ha confermato l'impianto accusatorio della Corte d'Appello di Genova del 18 maggio 2010.
Convalidata la condanna a 4 anni per Francesco Gratteri, attuale capo del dipartimento centrale anticrimine della Polizia; convalidati anche i 4 anni per Giovanni Luperi, vicedirettore Ucigos ai tempi del G8, oggi capo del reparto analisi dell'Aisi.
Tre anni e 8 mesi a Gilberto Caldarozzi, attuale capo servizio centrale operativo.
Convalidata anche la condanna a 5 anni per Vincenzo Canterini, ex dirigente del reparto mobile di Roma.
La conferma delle condanne comporterà la sospensione dal servizio per i funzionari dal momento che nei loro confronti è stata applicata la pena accessoria della interdizione dai pubblici uffici per 5 anni.
Prescritti, invece, i reati di lesioni gravi contestati a nove agenti appartenenti al settimo nucleo speciale della Mobile all'epoca dei fatti.
Si tratta degli agenti di polizia Tucci, Cenni, Basili, Ledoti, Compagnone, Stranieri, Lucaroni e Zaccaria.
A quanto si è appreso nei loro confronti, data la dichiarazione di prescrizione, non dovrebbe scattare la pena accessoria della condanna all'interdizione dai pubblici uffici per cinque anni.
 
La conferma della condanna
 
IL VIMINALE (il ministero dell'interno italiano)
«La sentenza della Corte di Cassazione va rispettata come tutte le decisioni della Magistratura.
Il ministero dell'Interno ottempererà a quanto disposto dalla Suprema Corte.
La sentenza mette la parola fine a una vicenda dolorosa che ha segnato tante vite umane in questi 11 anni.
Questo non significa che ora si debba dimenticare. Anzi, il caso della Diaz deve restare nella memoria».
Lo afferma in una nota il ministro dell'Interno Annamaria Cancellieri.
«Ma proprio le definitive parole dei giudici ci devono spingere a guardare avanti sicuri che le Forze di Polizia sono per i cittadini italiani una garanzia per la sicurezza e per la democrazia – prosegue il ministro –
Del resto nessuno può dimenticare l'attività quotidiana di tante donne e uomini della Polizia che, con dedizione, professionalità e coraggio, lavorano al servizio dello Stato per il bene di tutti».
 
MANGANELLI (l'attuale capo della polizia italiana)
La Polizia «accoglie la sentenza della magistratura con il massimo dovuto rispetto e ribadisce l'impegno a proseguire nel costante miglioramento del percorso formativo relativo al complesso campo dell'ordine e della sicurezza pubblica».
Queste le parole del Capo della Polizia, Antonio Manganelli dopo la sentenza sui fatti di Genova. «Esprimo apprezzamento e orgoglio per la maturità, l'onestà, la dedizione e l'entusiasmo con cui quotidianamente il Paese viene servito dalle donne e dagli uomini delle forze di polizia» ha aggiunto Manganelli.
I LEGALI –
«Giustizia è fatta: ci sono voluti 11 anni per arrivare a questo verdetto e la Cassazione è stata coraggiosa.
Mai, nelle democrazie occidentali, si è arrivati ad una condanna per funzionari della Polizia di così alto livello» ha commentato Emanuele Tambuscio, legale di alcuni no-global picchiati alla Diaz. «La catena di comando è stata condannata e questo è un grande risultato, rimane però il dato di fatto che quella notte alla scuola Diaz è stata una pagina nera per la democrazia italiana e il Parlamento non ha nemmeno fatto una Commissione di inchiesta per individuare le responsabilità politiche» ha aggiunto l'avvocato Francesco Romeo, difensore di alcune vittime del pestaggio alla Diaz.
 
Il commento di G. Bianconi: «Sentenza terremoto»
 
«DE GENNARO SI DIMETTA»
«Chiedo formalmente che il Presidente Napolitano, come rappresentante dell'unità del Paese, chieda scusa alle vittime dei fatti della Diaz e di Bolzaneto» ha dichiarato Vittorio Agnoletto, l'ex portavoce del Genoa Social Forum del 2001.
Per Agnoletto, inoltre, Gianni De Gennaro, attuale sottosegretario alla Presidenza del Consiglio ed ex capo della Polizia, «deve rassegnare le dimissioni, perchè anche in assenza di una condanna giudiziaria esiste una condanna morale e professionale per ciò che è accaduto».
 
LE REAZIONI
«Una notizia positiva.
 Succede di rado, ma quando accade bisogna accoglierla con soddisfazione.
Vuol dire che in questo Paese c'è ancora un barlume di giustizia» ha commentato Giuliano Giuliani, padre di Carlo, il giovane morto nel luglio 2001 durante gli scontri al G8.
«Ora -ha aggiunto- speriamo che ci siano altre pagine di questo genere.
Cercheremo in tutti i modi di ottenere verità e giustizia anche sull'assassinio di Carlo».
«La nube tossica che per 11 anni ha coperto la mattanza alla Diaz si è dissolta» ha commentato Nichi Vendola presidente di Sinistra Ecologia Libertà.
«La Cassazione ci dice, con sentenza definitiva,- prosegue il leader di Sel – che a Genova nel luglio 2001 i tutori della legge si trasformarono in carnefici di ragazzini.
Per me, lo dico con viva emozione, è un raggio di verità e giustizia che illumina una pagina buia della storia italiana».
 
AMNESTY INTERNATIONAL
Per Amnesty International si tratta di «una sentenza importante, che finalmente e definitivamente, anche se molto tardi, riconosce che agenti e funzionari dello stato si resero colpevoli di gravi violazioni dei diritti umani di persone che avrebbero dovuto proteggere».
Tuttavia, per Amnesty «i fallimenti e le omissioni dello stato nel rendere pienamente giustizia alle vittime delle violenze del G8 di Genova sono di tale entità che queste condanne lasciano comunque l'amaro in bocca: arrivano tardi, con pene che non riflettono la gravità dei crimini accertati, e che in buona parte non verranno eseguite a causa della prescrizione, e a seguito di attività investigative difficili ed ostacolate da agenti e dirigenti di polizia che avrebbero dovuto sentire il dovere di contribuire all'accertamento di fatti tanto gravi.
Soprattutto, queste condanne coinvolgono un numero molto piccolo di coloro che parteciparono alle violenze ed alle attività criminali volte a nascondere i reati compiuti».
 
L'ITER GIUDIZIARIO
In primo grado, il 13 novembre del 2008, 13 imputati erano stati condannati complessivamente a 35 anni e 7 mesi di reclusione e altri 16, tra cui i vertici della catena di comando, erano stati assolti. Il 18 maggio del 2010 la terza sezione della Corte d'Appello di Genova ha sostanzialmente ribaltato la sentenza, condannando 25 imputati su 28, compresi tutti i vertici della polizia che erano stati assolti nel precedente giudizio, ad una pena complessiva di oltre 98 anni e 3 mesi di reclusione.
L'ex comandante del primo reparto mobile di Roma, Vincenzo Canterini, era stato condannato a 5 anni, il capo del dipartimento centrale anticrimine, Francesco Gratteri e l'ex vicedirettore dell'Ucigos, Giovanni Luperi, a 4 anni, l'ex dirigente della Digos di Genova, Spartaco Mortola e l'ex vicecapo del Servizio centrale operativo, Gilberto Caldarozzi, a 3 anni e 8 mesi, con la pena accessoria dell'interdizione per 5 anni dai pubblici uffici.
Per Gianni De Gennaro, ex capo della polizia, e oggi sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, è stato fatto un processo parallelo.
De Gennaro, assolto in primo grado, ma condannato in appello a un anno e 4 mesi, viene prosciolto definitivamente da ogni accusa dalla Cassazione, che, nel novembre 2011, annulla la sentenza d'appello «perchè il fatto non sussiste».
 
IL BLITZ ALLA DIAZ
Il blitz alla scuola Diaz, dove il Comune di Genova aveva alloggiato gli attivisti del Genoa Social forum giunti nel capoluogo ligure per le manifestazioni contro il G8 del 2001, avviene nella serata del 21 luglio.
Il giorno dopo la morte di Carlo Giuliani.
Quasi 400 agenti di polizia fanno irruzione nel complesso scolastico, molti vengono picchiati, le loro facce insanguinate vengono ritratte in foto e filmati e fanno il giro del mondo.
( tratto da un articolo da il CORRIERE DELLA SERA: http://www.corriere.it/cronache/12_luglio_05/diaz-cassazione_03e8bb5e-c6aa-11e1-8ab7-67e552429064.shtml )

ROMA
Le violenze della polizia e gli immotivati arresti di massa dei no-global inerti e innocenti, hanno «gettato discredito sulla Nazione agli occhi del mondo intero».Lo sottolinea la Cassazione nelle motivazioni, appena depositate, del processo Diaz che ha decapitato i vertici della polizia. La «gravità» dei reati commessi dai funzionari della polizia, come quello della violazione «dei doveri di fedeltà» delle calunnie e dei falsi, legittima il no «al riconoscimento delle attenuanti generiche» a favore degli imputati. Hanno commesso una «consapevole preordinazione di un falso quadro accusatorio ai danni degli arrestati, realizzato in un lungo arco di tempo intercorso tra la cessazione delle operazioni ed il deposito degli atti in Procura».

Le motivazioni della Cassazione.
La Cassazione, nelle motivazioni del processo Diaz evidenzia, come già fatto dalla Corte d'Appello di Genova, «l'odiosità del comportamento» dei vertici di comando. «Di chi, in posizione di comando a diversi livelli come i funzionari – è scritto – una volta preso atto che l'esito della perquisizione si era risolto nell'ingiustificabile massacro dei residenti nella scuola, invece di isolare ed emarginare i violenti denunciandoli, dissociandosi così da una condotta che aveva gettato discredito sulla Nazione agli occhi del mondo intero e di rimettere in libertà gli arrestati, avevano scelto di persistere negli arresti creando una serie di false circostanze». In pratica, crearono verbali menzogneri «funzionali a sostenere così gravi accuse da giustificare un arresto di massa». Ed avevano formulato le accuse «in modo logico e coerente, tanto da indurre i pubblici ministeri a chiedere, e ottenere seppure in parte, la convalida degli arresti».

I poliziotti gridavano bastardi.
I poliziotti che fecero irruzione alla scuola Diaz di Genova – durante il G8 del 2001 – «si erano scagliati sui presenti, sia che dormissero, sia che stessero immobili con le mani alzate, colpendo tutti con i manganelli (detti tonfa) e con calci e pugni, sordi alle invocazioni di non violenza provenienti dalle vittime, alcune con i documenti in mano, pure insultate al grido di bastardi». Lo sottolinea la Cassazione nelle motivazioni di conferma delle condanne ai vertici della polizia per il pestaggio alla Diaz.
( tratto da un articolo de il MESSAGGERO: http://www.ilmessaggero.it/primopiano/cronaca/diaz_polizia_cassazione/notizie/223008.shtml )
 
Cassazione: prosciolto De Gennaro (eh eh eh … e quando mai!)
Roma
Il blitz delle forze dell’ordine alla scuola Diaz di Genova, la sera del 21 luglio del 2001, al G8 durante il quale perse la vita il giovane manifestante Carlo Giuliani, fu «eseguito con inusitata violenza dai 300 agenti operanti, pur in assenza di reali gesti di resistenza» da parte dei 93 no-global arrestati e portati nella caserma Bolzaneto dove «subiscono altri atti di prevaricazione», anche dalla polizia penitenziaria.
Lo scrive la Cassazione nelle motivazioni del proscioglimento dell’ex capo della polizia Gianni De Gennaro, ora sottosegretario con delega all’Intelligence , che la corte d’Appello – il 17 giugno 2010 – aveva condannato a un anno e quattro mesi di reclusione per aver istigato alla falsa testimonianza l’ex questore Francesco Colucci, insieme all’ex capo della Digos Spartaco Mortola, condannato a un anno e due mesi e anche lui assolto.
Il fascicolo di De Gennaro e Mortola, che hanno scelto il rito abbreviato, è il primo capitolo del G8 ad approdare alla Suprema Corte – anche se nato per ultimo – ed, essendo corredato dalle due sentenze di merito già emesse nei confronti dei 25 agenti e dirigenti della polizia colpevoli del pestaggio alla Diaz, la Cassazione ne ha potuto prendere visione e maturare un giudizio «sul piano della ricostruzione storica degli eventi».
Questo in attesa che il processo principale del G8, quello sulla «macelleria messicana» avvenuta alla Diaz, si celebri il prossimo 11 giugno, quando è fissata la prima udienza innanzi alla Quinta sezione penale del Palazzaccio. Intanto, comunque, i supremi giudici – nella sentenza 20656 – affermano che «le indagini di polizia giudiziaria, rapidamente promosse dalla Procura di Genova, consentono, alla luce delle concordi dichiarazioni dei manifestanti, delle testimonianze assunte e di molti reperti video-fotografici e documentari, di chiarire subito i profili di abusività e ingiustificata durezza dell’azione portata a compimento nella scuola».
La Cassazione ricorda subito che il presupposto del blitz si basa sulla «accertata falsità del ritrovamento di due bottiglie molotov» nella Diaz, mendacio «asseverato nella maggior parte dei verbali di arresto» dei 93 no-global. In pratica, la storia delle molotov è servita alla polizia solo per legittimare «falsamente “a posteriori” l’arresto in flagranza» degli ospiti della Diaz. Venendo a De Gennaro, la Suprema Corte rileva che il verdetto di appello è «caratterizzato da elementi il più delle volte soltanto congetturali se non apodittici», di cui sono traccia i frequenti «non può non ritenersi» o frasi come «un astratto contributo».
Tutto il processo si riduce ad una circostanza – riassume la Cassazione – se sia stato lui a mandare Roberto Sgalla, allora capo delle relazioni esterne della polizia, alla Diaz, la sera dell’irruzione, o se Sgalla abbia ricevuto la chiamata da Colucci.
I supremi giudici osservano che dagli atti emerge che Colucci – il quale inizialmente disse che fu De Gennaro ad esortarlo a chiamare Sgalla e poi ritrattò la deposizione, dopo abboccamenti con lo stesso De Gennaro e Mortola – fece una prima chiamata a Sgalla e dopo a De Gennaro, il che farebbe presumere che fu l’ex questore a dire all’addetto stampa di andare alla Diaz, tanto più che il Capo della Polizia «ben più agevolmente e con l’autorevolezza del suo ruolo avrebbe potuto mettersi in contatto con Sgalla senza l’intermediazione del questore».
Nessuno, però, sottolinea l’alta Corte si è preso la briga, durante il processo, di chiedere a Sgalla da chi avesse ricevuto l’ordine: si tratta però di una faccenda «destituita di ogni profilo di seria pertinenza».
De Gennaro era al corrente del blitz, tanto che autorizzò l’uso anche di contingenti dei carabinieri, ricorda la Cassazione, ma non diede ordini sulle modalità dell’irruzione – non c’è nessuna prova – anzi raccomandò prudenza.
Per Colucci il processo è in corso e deve spiegare perché cambiò versione sulla catena di comando la sera del blitz nel quale 93 uomini e donne inermi, giornalisti compresi, furono massacrati di botte e sbattuti in carcere.
( tratto da un articolo de il SECOLO XIX: http://www.ilsecoloxix.it/p/genova/2012/05/28/APbgXpbC-cassazione_prosciolto_gennaro.shtml ).

2012.08.24 – FACEBOOK…E LO STATO CANAGLIA ITALIANO.

 

Facebook: il ministero degli Interni ha ottenuto le chiavi per entrare nei profili
 
Posted on 15 febbraio 2012
 
Il ministero degli Interni italiano ha ottenuto dai vertici di Facebook le chiavi per entrare nei profili degli utenti anche senza mandato della magistratura.
Una violazione della privacy che farà molto discutere.
Negli Stati Uniti, tra migliaia di polemiche, è sul tavolo un disegno di legge che, se sarà approvato, permetterà alle agenzie investigative federali di irrompere senza mandato nelle piattaforme tecnologiche tipo Facebook e acquisire tutti i loro dati riservati.In Italia in silenzio e senza clamore, lo hanno già fatto.
I dirigenti della Polizia postale due settimane fa si sono recati a Palo Alto, in California, e hanno strappato, primi in Europa, un patto di collaborazione che prevede la possibilità di attivare una serie infinita di controlli sulle pagine del social network senza dover presentare alcuna richiesta della magistratura e attendere i tempi necessari per una rogatoria internazionale.
Questo perchè, spiegano alla Polizia Postale, la tempestività di intervento è fondamentale per reprimere certi reati che proprio per la velocita di diffusione su Internet evolvono in tempo reale.
Una corsia preferenziale, insomma, che potranno percorrere i detective digitali italiani impegnati soprattutto nella lotta alla pedopornografia, al phishing e alle truffe telematiche, ma anche per evitare inconvenienti ai personaggi pubblici i cui profili vengono creati a loro insaputa.
Intenti forse condivisibili, ma che di fatto consegnano alle forze dell’ordine il passepartout per aprire le porte delle nostre case virtuali senza che sia necessaria l’autorizzazione di un pubblico ministero.
In concreto, i 400 agenti della Direzione investigativa della Polizia postale e delle comunicazioni potranno sbirciare e registrare i quasi 17 milioni di profili italiani di Facebook.
Ma siamo certi che tutto ciò avverrà nel rispetto della nostra privacy?
Polizia, Carabinieri, Guardia di finanza e persino i vigili urbani scandagliano le comunità di Internet per ricavare informazioni sensibili, ricostruire la loro rete di relazioni, confermare o smentire alibi e incriminare gli autori di reati.
Sempre più persone condur l’enorme potenzialità del Web e per la facilità con cui si viola riservatezza altrui cono in Rete una vita parallela e questo spiega perche alle indagini tradizionali da tempo si affianchino pedinamenti virtuali.
Con la differenza che proprio pea molto facile finire nel mirino dei cyberop: non è necessario macchiarsi di reati ma basta aver concesso l’amicizia a qualcuno che graviti in ambienti “interessanti” per le forze dell’ordine.
A Milano, per esempio, una sezione della Polizia locale voluta dal vicesindaco Riccardo De Corato sguinzaglia i suoi “ghisa” nei gruppi di writer, allo scopo di infiltrarsi nelle loro community e individuare le firme dei graffiti metropolitani per risalire agli autori e denunciarli per imbrattamento.
Le bande di adolescenti cinesi che, tra Lombardia e Piemonte, terrorizzano i connazionali con le estorsioni, sono continuamente monitorate dagli interpreti della polizia che si insinuano in Qq, la più diffusa chat della comunità.
Anche le gang sudamericane, protagoniste in passato di regolamenti di conti a Genova e Milano, vengono sorvegliate dalle forze dell’ordine.
E le lavagne degli uffici delle Squadre mobili sono ricoperte di foto scaricate da Facebook, dove i capi delle pandillas che si fanno chiamare Latin King, Forever o Ms18 sono stati taggati insieme ad a ltri ragazzi sudamericani, permettendo cosi agli agenti di conoscere il loro organigramma.
Veri esperti nel monitoraggio del Web sono ormai gli investigatori delle Digos, che hanno smesso di farsi crescere la barba per gironzolare intorno ai centri sociali o di rasarsi i capelli per frequentare le curve degli stadi.
Molto più semplice penetrare nei gruppi considerati a rischio con un clic del mouse.
Quanto ai Carabinieri, ogni reparto operativo autorizza i propri militari, dal grado di maresciallo in su, ad accedere a qualunque sito internet per indagini sotto copertura, soprattutto nel mondo dello spaccio tra giovanissimi che utilizzano le chat per fissare gli scambi di droga o ordinare le dosi da ricevere negli istituti scolastici.
Mentre, per prevenire eventuali problemi durante i rave, alle compagnie dei Carabinieri di provincia è stato chiesto di iscriversi al sito di social networking Netlog, dove gli appassionati di musica tecno si danno appuntamento per i raduni convocando fans da tutta Europa.
A caccia di raver ci sono anche i venti compartimenti della Polizia postale e delle comunicazioni, localizzati in tutti i capoluoghi di regione e 76 sezioni dislocate in provincia. «Il nostro obiettivo è quello di prevenire i rave party prima che abbiano inizio», spiegano, «e per questo ci inseriamo nelle comunicazioni tra organizzatori e partecipanti, nei social network, nei forum e nei biog». 
Così può capitare che anche chi ha semplicemente partecipato ad una chat per commentare un gruppo musicale finisca per essere radiografato a sua insaputa.
In teoria queste attività sono coordinate dalle procure che conducono le indagini su singoli fatti o su fenomeni più ampi. I responsabili dei social network non ci tengono a farlo sapere e parlano di una generica offerta di collaborazione con le forze dell’ordine per impedire che le loro piattaforme favoriscano alcuni delitti.
Un investigatore milanese rivela a “L’espresso” che, grazie alle autorizzazioni della magistratura, da tempo ottiene dai responsabili di Facebook Italia di visualizzare centinaia di profili riservati di altrettanti utenti, riuscendo persino ad avere accesso ai contenuti delle chat andando indietro nel tempo fino ad un anno.
Chi crede di aver impostato le funzioni di riservatezza in modo da non permettere a nessuno di vedere le foto, i post e gli scambi di messaggi con altri amici, in realtà, se nel suo gruppo c’e un sospetto, viene messo a nudo e di queste intrusioni non verrà mai a conoscenza.
E non sempre l’autorità giudiziaria viene messa al corrente delle modalità con cui vengono condotte alcune indagini telematiche.
Un ufficiale dei Carabinieri, che chiede di rimanere anonimo, ammette che certe violazioni della legge sulla riservatezza delle comunicazioni vengono praticate con disinvoltura: «Talvolta», spiega l’ufficiale. «creiamo una falsa identità femminile su Fb, su Msn o su altre chat, inseriamo nel profilo la foto di un carabiniere donna, meglio se giovane e carina, e lanciamo l’esca.
 II nostro carabiniere virtuale tenta un approccio con la persona su cui vogliamo raccogliere informazioni, magari complimentandosi per un tatuaggio.
E in men che non si dica facciamo parte del suo gruppo, riuscendo a diventare “amici” di tutti i soggetti che ci interessano».
Di tutta questa attività, spiega ancora l’ufficiale, «non sempre facciamo un resoconto alla procura e nei verbali ci limitiamo a citare una fantomatica fonte confidenziale».
Da oggi, in virtù dell’accordo di collaborazione con Mark Zuckerberg siglato dalla Polizia, chi conduce queste indagini potrà fare a meno di avvisare un magistrato perchè «la fantasia investigativa può spaziare», prevede un funzionario della Polposta, «e le osservazioni virtuali potranno essere impiegate anche in indagini preventive».
 
fonte (L’Espresso)
tratto da:
http://mondonewss24.altervista.org/blog/facebook-il-ministero-degli-interni-ha-ottenuto-le-chiavi-per-entrare-nei-profili/

2012.07.22 – E GLI SLOVENI SI RISCOPRONO VENETI???

da un articolo della Tribuna del 22.07.2012 (clicca qui per visionarlo)
22 luglio 2012
di Paolo Coltro
Si vuole qui raccontare come la cultura faccia più Europa di quanto succede a Bruxelles o Strasburgo.
Di come possa superare i confini volando alto e subito dopo atterrando tra la gente: quella di oggi, ma anche quella dei secoli passati.
Perché la cultura utilizzata, in questo caso, è quella degli storici.
Così, succede che a Capodistria si sia formato un Centro di ricerca per la storia di Venezia, che è una notizia forte ed entusiasmante per tutto ciò che significa: un ponte tra due Stati, Italia e Slovenia, (un'ostrega, diciamo noi, tra italia e Slovenia, ma tra Veneto e Slovenia) spesso contrapposti proprio su questioni derivate dalla storia; un lavoro comune che vuol dire riconoscimento di un passato di riferimento condiviso e da leggere in chiave attuale; infine, ma soprattutto, il superamento di stratificazioni ideologiche (quelle fasciste italiane, quelle comuniste titine) che di fronte alla storia vera, quella dei secoli, dimostrano tutta la loro evanescenza.
Come spesso accade, le belle idee camminano con le gambe di persone fisiche.
Anche in questo caso: da una parte, a Capodistria Koper c'è il professor Darko Darovec, medievista e modernista e grande organizzatore; a Venezia Ca' Foscari il professor Claudio Povolo, allievo di Gaetano Cozzi, storico dai multiformi interessi: dalle tradizioni popolari alla koinè mediterranea, dal governo della Serenissima ai sistemi sociali e al ruolo delle religioni.
Questa storia di persone, storia di storici, parte vent'anni fa.
A Capodistria, spopolata dall'esodo degli italiani, ad inizio anni novanta si forma un piccolo gruppo di intellettuali raccolti attorno all'Archivio di Stato, tra loro anche il direttore del locale museo: si battezzano Società storica del Litorale, sembra una delle cento iniziative localistiche.
Un angolo di provincia con idee tutt'altro che provinciali.
Il giovane, allora, Darko Darovec è il motore: con coraggio decide che il primo convegno espressione pubblica del suo gruppo sia dedicato a «Venezia e l'Istria».
Sembra quasi ovvio ma non lo è.
Nel 1991, ben prima che l'idea di Europa cominci a realizzarsi, nell'ex Jugoslavia e quindi in Slovenia, sono forti le folate anti italiane.
E occuparsi di Venezia per molti significa occuparsi dell'Italia, con un errore storico evidente ma non avvertito dalla politica.
Le tracce più recenti – ferite non ancora rimarginate, da una parte e dall'altra – sono l'occupazione fascista e l'italianizzazione spinta di quelle terre, i soprusi e le vendette, le due stagioni delle foibe (1943 e 1945, da rileggere con attenzione), e poi i confini, e poi l'esodo in massa degli italiani, l'irrisolta questione dei loro beni…
Per la memoria recente, questi sono gli italiani per gli sloveni; e viceversa, gli italiani si sentono da decenni profughi e derubati, in una contrapposizione che il ricorrente ricordo degli esuli non sopisce: ricordiamoci che esiste ancora, qui da noi, il comune di Fiume in esilio.
Darovec tira dritto, fa il suo convegno e chiama da Venezia Claudio Povolo, superando le ostilità della politica e dello stesso mondo universitario, che allora vuol dire Lubiana.
Il convegno recepisce il principio del common heritage, quell'eredità comune che unisce invece di dividere.
Quel consesso di studiosi intacca un tabù, incrina la crosta della diffidenza, apre una porta.
Ogni due anni a Capodistria il Centro di Ricerche Scientifiche organizza un convegno, sulle tematiche più diverse: arrivano storici da tutt'Europa e anche dagli Stati Uniti.
Negli anni, il centro diventa sempre più dinamico: ci lavorano 80-100 ricercatori, che cercano nella storia, ma soprattutto cercano finanziamenti europei per i loro studi, quello che da noi si fa poco o niente.
In questo Darovec è un mago, i suoi progetti sono seri e vengono accolti.
Il Centro di Capodistria diventa così forte che la sua gente può dar vita all'Università di Koper, indipendente da quella di Lubiana: il che è un successo anche politico. Claudio Povolo è l'italiano del gruppo: ed è paradossale che di questa sua attività si stupiscano più a Venezia che a Koper.
In fin dei conti si deve al "coraggio" di Darovec e alla presenza di Povolo se in qualche modo Venezia si esporta dove per secoli c'era già.
Ma si avanti: il primo Centro, poi l'Università e ora il Centro Interuniversitario per il Patrimonio Storico-Culturale Veneto ricerche per la storia di Venezia, il cui significato va molto oltre il suo nome.
Va molto oltre, per esempio, a tutte le iniziative sull'identità veneta partorite dalla politica leghista di casa nostra.
Nasce, il Centro, da presupposti diversi e da un progetto battezzato Shared Culture, cultura condivisa.
Spiega Povolo: «Per ritrovare una comune identità culturale spogliata da ogni nazionalismo», e bisogna riconoscere che è uno sforzo soprattutto sloveno.
I rapporti sempre più stretti tra studiosi dalla visione larga forse sconfiggono le posizioni di pancia di qua e di là del confine.
Soprattutto un concetto è chiaro, da una parte e dall'altra: i vent'anni di fascismo non fondano un'italianità che in questo modo diventa pretestuosa e le conferiscono connotati distorti.
Molto meglio ritrovare radici comuni e vicende condivise tornando indietro nella storia, quando governava Venezia.
Che, tanto per dire, nel Cinquecento, per ripopolare l'Istria svuotata da una pestilenza, introduce popolazioni slave, regalando terre ai Morlacchi perché si insedino.
Altro che l'italianità dei muscoli e dei podestà in orbace… Dice Povolo: «Si tratta di decostruire tutto il periodo successivo alla presenza della Serenissima», il che significa proporre ragioni diverse per la cultura condivisa.
Certo, l'idea di Europa e il processo politico dal 2000 in poi hanno aiutato, ma pare che a Koper sloveni e italiani ci siano arrivati prima e insieme.
Con gli studi, con i convegni, che però non sono stati solo parole.
Insomma, è questo il piccolo miracolo da raccontare, il risvolto concreto, l'idea che si traduce in qualcosa di tangibile.
E' nato il centro studi per la storia di Venezia, che è fifty fifty sloveno e italiano: nel comitato scientifico ci sono tre docenti sloveni e tre italiani, tutti di Ca' Foscari: Luciano Pezzolo, Paolo Eleuteri e naturalmente Claudio Povolo, onorato anche con il ruolo di presidente.
Si "tocca" fisicamente il Centro: perché il comune di Capodistria ha donato palazzo Baseggio-Tiepolo, naturalmente appartenuto a famiglie veneziane, e lo sta restaurando.
E al restauro ha collaborato anche Guido Biscontin, altro docente veneziano.
Tutto naturalmente con denaro sloveno, magari ottenuto dall'Europa, ma sloveno.
Venezia, s'intende l'Università e la Regione, non ci hanno messo un euro.
Ora la Regione parteciperà alla pubblicazione di uno studio sulle suppliche alle magistrature veneziane provenienti dall'Istria dal '500 in poi, che è una goccia nel mare ma almeno è una goccia.
A Ca' Foscari, quando è stato presentato ufficialmente il Centro neonato a Capodistria dopo vent'anni di collaborazione diciamo così individuale, il rettore Carraro era impegnato ad illustrare l'iniziativa Art Night: encomiabile, al passo con i tempi, mediaticamente suggestiva.
Ma diversa dalla shared culture che apre orizzonti diversi tra italiani e sloveni.
Perché la cultura apre strade a tutto il resto, favorisce la comprensione, sgretola i pregiudizi e facilita, per esempio, anche gli scambi commerciali.
Il prossimo convegno, a maggio nel palazzo Baseggio-Tiepolo finito di restaurare, sarà dedicato alle Contaminazioni: sul concetto di difesa dell'identità, ogni gruppo per sé, con le cause e gli effetti.
Insomma, si mette il dito proprio sulla piaga.
Per farla rimarginare.
e aggiungiamo noi…
per far rimarginare questa piaga (che per noi è l'italia), FUORI L'ITALIA DALLA REPUBBLICA VENETA!

23.06.2012 – GIANNOTTI BRUNO – PIEDIMONTE SAN GERMANO (FROSINONE)


COGNOME : giannotti
NOME : bruno
DATA NASCITA : 27/04/1981
SESSO : M
INDIRIZZO : via enrico loris
CAP : 03030
COMUNE : piedimonte san germano
PROVINCIA : frosinone
TELEFONO : 3270156411
FAX :
E-MAIL : brunogiannotti@libero.it
TITOLO STUDIO : licenza media
POSIZIONE : PRIVO DI OCCUPAZIONE
LOCALITA’ LAV. : ovunque (mi trasferisco immediatamente…è urgente aspetto un bimbo per fine settembre)
CURRICULUM : Servizio di leva assolto nei vigili del fuoco nell’ anno 1999/2000;
Operaio generico metalmeccanico in catena di montaggio presso Lear Corporation, per mesi sei;
Guardia giurata armata presso Metronotte città di Cassino per anni tre;
Cameriere e aiuto cucina in ristorante;
Rappresentante/venditore di contratti telefonia mobile per la Wind Mobile;
Rappresentante/venditore di polizze assicurative per la Generali Assicurazioni;
Operaio, carrellista, sequenziatore e magazziniere presso la Ceva Logistics di Cassino per anni uno;
Autista di bisarca su territorio nazionale presso TVL di Piedimonte San Germano per mesi tre (periodo corto causa assunzione per sostituire autista infortunato);
Autista di bisarca su territorio estero presso Simone Trasporti;
Magazziniere e addetto consegne con furgone presso Qualitalia Gastrochef di Aquino (ingrosso accessori e alimenti nel settore macelleria) nel territorio del Lazio e parte della Campania e Abbruzzo;

In possesso delle patenti B, C, E, CQC e carta per cronotachigrafo digitale.

2012.06.04 – MLNS – DENUNCIA DI OCCUPAZIONE, DOMINAZIONE E COLONIZZAZIONE DELLA NAZIONE SARDA


Cagliari, 04 giugno 2012SPETT. LE O.N.U. DIRECTOR GENERAL Mr. Kassym-Jomart Tokayev Palais des Nations Avenue de la Paix 8-14 1211 Geneva 10 Switzerland OGGETTO : Denuncia di occupazione, dominazione e colonizzazione della NAZIONE SARDA da parte dello Stato straniero italiano – Rivendicazione di sovranità de Popolo Sardo Con il presente documento il MOVIMENTU DE LIBERATZIONI NATZIONALI SARDU (Movimento di Liberazione Nazionale Sardo) rivendica la sovranità del Popolo Sardo ed esige la liberazione della Nazione Sarda dall’occupazione illecita e illegittima dello stato straniero italiano. Alla Nazione Sarda ed al suo Popolo, storicamente indipendente dal IX al XV secolo d.c., è impedito l’esercizio del legittimo diritto alla sovranità nel proprio territorio a causa dell’occupazione italiana, uno stato straniero colonialista e razzista. Storicamente la Nazione Sarda dal 1409 ha subito l’occupazione della Corona d’Aragona, nel 1718 dell’Austria e dal 1720 dei Savoia; dal 1861 vi è poi “de jure e de facto” l’illegittima, illecita, nonché violenta e repressiva occupazione, anche militare, dello stato straniero italiano. CIO’ PREMESSO Codesta Organizzazione delle Nazioni Unite si attivi, unitamente e d’intesa con questo MOVIMENTU DE LIBERATZIONI NATZIONALI SARDU per garantire l’immediata cessazione dell’illegittima ed illecita occupazione dello stato straniero italiano dal territorio della Nazione Sarda. Assicuri l’immediato effettivo ritiro dello stato occupante, con le sue istituzioni e le sue forze armate, dal territorio della Nazione Sarda Garantisca la necessaria istituzione della Polizia Sarda e la affianchi con l’invio di proprie forze di interposizione ai confini territoriali e con l’invio di propri Osservatori onde consentire le libere elezioni dei nuovi Organi Istituzionali del Popolo Sardo. Sostenga, anche con finanziamento ad hoc il processo di ripristino e di ricostruzione della Nazione Sarda Condanni lo stato straniero italiano al risarcimento di tutti i danni da occupazione, comprensivo dei danni di guerra per i passati conflitti mondiali e colonialisti e dall’illegittimo prelievo fiscale dal 1861 alla data dell’effettiva cessazione della suddetta occupazione PRENDA ATTO -del costituitosi presente MOVIMENTU DE LIBERATZIONI NATZIONALI SARDU, nato al solo e imprescindibile scopo di liberare il Popolo Sardo dall’occupazione, dalla dominazione e dalla colonizzazione posta in essere dallo stato straniero italiano -della legittimazione di questo MOVIMENTU DE LIBERATZIONI NATZIONALI SARDU ad agire in nome del Popolo Sardo sul piano internazionale attraverso il proprio apparato istituzionale ai sensi e per gli effetti dell’art. 96.3 del Primo Protocollo di Ginevra del 1977. -Dell’elevato valore e del vitale interesse per il Popolo Sardo che ha questo documento e che esso sia recepito nel suo più alto significato anche se in difetto, senza fraintendimenti e senza sollevare eccezione alcuna e tanto meno eccezione che possa comportarne il rigetto. Gli eventuali allegati verranno prodotti alla bisogna. Per il Movimentu de Liberatzioni Natzionali Sardu Il Presidente – Sergio Pes.

2012.06.14 – L’EUROGENDFOR E LA REPUBBLICA DEI ROBOCOP


(TRATTO DA QUI)

Di Francesco Filini
“Molto spesso la realtà supera la finzione”, un’espressione d’uso comune (ultimamente molto ricorrente) per rimarcare lo stupore che si prova di fronte a certi accadimenti, così assurdi da arrivare a superare la più sconfinata fantasia umana.
Nel mondo cinematografico vengono spesso prodotti film avveniristici e fantascientifici, con l’intento di immaginare il mondo e la società in cui viviamo in un ipotetico futuro prossimo o remoto, solo per citarne due su tutti: 2001 Odissea nello Spazio (1968) del maestro Stanley Kubrick e la trilogia Ritorno al futuro (1985), diretta da Robert Zemeckis.
Ma se c’è un film che più di ogni altro è riuscito a preconizzare i tempi che stiamo vivendo, quello è Robocop – il futuro della legge (1987) di Paul Verhoeven, dove in una distopica Detroit del futuro l’amministrazione comunale, indebitata fino al collo da una sconvolgente crisi economica e flagellata dalla conflittualità sociale, è costretta a privatizzare le forze dell’ordine cedendo la gestione del dipartimento di pubblica sicurezza alla OCP, una mastodontica multinazionale. Privatizzare la polizia è soltanto il primo passo verso l’acquisizione legale della città di Detroit da parte di una società votata esclusivamente al profitto come la OCP, che in realtà mira ad edificare una futuristica megalopoli per garantire un nuovo ordine fatto di pace, sicurezza e giustizia: Delta City.
Il Consiglio d’amministrazione della OCP è in grado di organizzare la vita dei cittadini in funzione del suo unico interesse: il profitto, che per una multinazionale è un imperativo categorico, la sua stessa ragion d’essere.
Nella Detroit del futuro Verhoeven ha immaginato la dittatura capitalista, la sottomissione legale del popolo ai padroni del profitto. Il regista olandese ha visto nella OCP i nazisti del futuro, rappresentando il nazismo oggi l’emblema del regime totalitario: infatti colori del logo OCP richiamano direttamente alla bandiera nazista.
Le assonanze con la società di oggi sono a dir poco imbarazzanti: le casse delle pubbliche amministrazioni infatti si trovano in uno stato decisamente catastrofico. La crisi economica finora è stata relegata ad un fenomeno mediatico, tant’è che ancora oggi è diffusa una certa sicurezza tra il cittadino medio, non sono poche le persone che serene e fiduciose dichiarano che noi non faremo mai la fine della Grecia. Ma questa ostentata sicurezza, che trae la sua origine da un sistema dell’informazione che riesce ad essere malato e drogato ancor più di quello politico, sarà presto minata dall’incontrovertibilità della disperazione della gente. Con le ultime misure di austerità imposte dall’€urocrazia di marca tedesca e battente badiera a stelle e strisce, e con le ancor più disastrose ricette di cura imposte dagli usurocrati sedicenti dottori della banca d’affari Goldman Sachs, la crisi sta inesorabilmente arrivando al suolo. Da mesi (se non addirittura anni) le imprese e le realtà del terzo settore che hanno svolto prestazioni per conto delle amministrazioni comunali attendono di essere liquidate. Nel frattempo, per pagare gli stipendi, i fornitori e per far fronte alle spese di gestione, le stesse sono costrette ad andare in banca a farsi scontare le fatture, pagando i soliti e usuranti tassi d’interesse, fino a quando non saranno liquidate dal debitore pubblico. Ma quando una pubblica amministrazione non riesce ad erogare denaro in virtù dei cosidetti “patti di stabilità”, alla lunga vengono meno anche i servizi. E non si parla solo di strade, edilizia, trasporti ecc… ma anche di interventi di sostegno ai più deboli. I servizi sociali rischiano infatti di essere presi a colpi di mannaia dai sempre più disperati assessori al bilancio, e ciò significa che la famiglia con un portatore d’handicap dovrà provvedere da sè al disagio, con tutto ciò che comporterà.
Altri incontrovertibili segnali della ricaduta al suolo della crisi e del conseguente depauperamento del popolo, sono il proliferare dei “Compro Oro”, ovvero di piccole botteghe di cambiavalute che lucrano sulla penuria di moneta e sulla disperazione della gente. Questi negozi escono fuori come funghi: sostituiscono con impressionante regolarità gli esercizi commerciali più piccoli. La crescente disperazione è messa in evidenza anche dal continuo sorgere, insieme ai Compro Oro, delle cosiddette “sale slot“, che altro non sono che filiali dell’Agenzia dell’Entrate in grado di illudere le masse con il sogno del soldo facile, con il mito della “svolta della vita” che ogni sofferente disagiato che si rispetti attende con devota speranza.
Questo è ciò che accade quando le città diventano facile preda dell’usura planetaria. Questa è la crisi che il regista di Robocop nel 1987 aveva immaginato nella Detroit del futuro, con il relativo avvento del privato che sostituisce il pubblico per incrementare i suoi profitti e appropriarsi dei cittadini.
Non è un caso infatti che oggi le privatizzazioni siano diventate la parola d’ordine a cui ogni pubblica amministrazione italiana è chiamata a rispondere battendo i tacchi. E nel disegno dei nuovi dominatori rappresentati dalla Troika (UE, BCE e FMI), lo smantellamento sistematico degli stati attraverso la privatizzazione del tessuto produttivo e del welfare diventa una necessità improrogabile. E gli stati dell’Unione monetaria devono sottostare al diktat, devono man mano cedere la loro sovranità (parola che suscita immediate allergie epidermiche agli €urocrati) come Mr. Goldman Sachs – Monti dichiarava sfacciatamente qualche mese fa. Devono lasciare il passo al privato, agli organismi sovranazionali non eletti e immuni a qualsiasi azione legale da parte da chicchessia. Perchè la necessita della Troika è una necessità da difendere con manganelli e proiettili di gomma se necessario. E non è detto che tutti i governi e tutti gli uomini delle forze armate siano disposti a reprimere le piazze affollate da gente che rivendica la propria sovranità, il proprio diritto ad esistere.
Ed è per questo che, esattamente come l’OCP si era impossessata delle forze dell’ordine, la Troika oggi istituisce l’Eurogendfor (EGF), ovvero la polizia agli ordini della BCE (ente privato al 100%) che sembra abbia già esordito a Piazza Syntagma reprimendo la recente rivolta d’Atene, dove il maggior sindacato di polizia greca aveva dichiarato: «Rifiutiamo di metterci contro i nostri genitori, fratelli, figli, contro i cittadini che chiedono un cambiamento». Ed aveva minacciato di arrestare i membri della Troika per «insulto alla democrazia e alla sovranità nazionale». L’EGF non deve rispondere a nessuno delle sue azioni, ha poteri illimitati e non può essere citato in giudizio. E’ un ente sovranazionale e immune nei confronti di cittadini e stati ex-sovrani.
La profezia di Verhoeven sembra essersi avverata, le grandi consorterie finanziarie europee che si nascondono dietro la Troika si stanno impadronendo degli stati nazionali, impongono le loro regole e le loro forze dell’ordine. Il tutto sta accadendo in questi giorni, con il colpevole silenzio della politica e dei mass media, anch’essi assoldati e al servizio della Troika.
Nel film del regista olandese il protagonista è Robocop, una macchina ricavata dai resti di un poliziotto massacrato dai criminali, il simbolo della tecnica che sostituisce l’uomo. Eppure alla fine sarà proprio l’androide a sventare i piani dell’OCP, la vera mandante della criminalità organizzata. Robocop ritrova la coscienza propria dell’essere umano, che alla fine prevale sulla macchina. Nella società distopica della futuristica Detroit Verhoeven lancia un messaggio di speranza e di grande fiducia verso l’uomo. Ed è su quest’ultima parte che la realtà, purtroppo, stenta a raggiungere la fantasia…

2012.06.11 – SATANA MONTI

Pubblicato il 31 maggio 2012 da

Monti ha basato la sua azione, in questi sei mesi di “duro” lavoro, su tre principii fondamentali, riassumibili in questi tre concetti.
1)      Prima aumentiamo le tasse, poi migliorerà la situazione economica.
2)      Prima facciamo chiudere tutte le aziende, poi creeremo posti di lavoro.
3)      Prima leviamo ai cittadini tutti i soldi che hanno a disposizione, poi  aumenteranno i consumi.
Tutti sappiamo in quale maniera antidemocratica Monti sia stato (im)posto al Governo dell’Italia  ma non tutti, purtroppo, credevano che Monti fosse parte attiva  di un progetto diabolico per schiavizzare i popoli.
I sei mesi del suo operato costituiscono la prova lampante che il Prof. Monti è l’espressione del male, di quell’entità che si arroga il diritto di imporre la sottomissione  dei popoli nella loro più assoluta inconsapevolezza.
Dopo sei mesi della sua satanica attività i risultati sono:  un carico fiscale molto più pesante,  un debito pubblico molto più grande di prima e la minaccia di ipoteca su tutti gli immobili privati a garanzia del debito pubblico.
Era questo il suo intento?
Un docente che applica questi tre princìpii, che sono l’esatto contrario no solo di ciò che insegna  la scienza dell’economia, ma di quanto avviene nella pratica giornaliera del  libero mercato,  sta solo completando il progetto di distruzione a cui è stato demandato.
Qualunque imprenditore sa che una pressione fiscale insostenibile come quella a cui siamo sottoposti da anni ed aggravatasi negli ultimi mesi,  può solo produrre fallimenti, dismissioni, disoccupazione e disperazione.
Qualunque di noi sa che quando un’azienda chiude è difficilissimo farla ripartire e se le cause che hanno portato alla sua chiusura coincidono con i tre principii di Monti e non vengono drasticamente rimosse, quell’azienda non riaprirà mai più.
Tutti noi sappiamo, senza averlo mai  studiato, ma per averlo testato quando, mettendo mano al nostro portafogli ci accorgiamo che è vuoto, che senza soldi in tasca non si va nei negozi a fare acquisti e senza acquisti il mercato va indietro, arretra l’economia, si va  in recessione e la recessione crea  ulteriori fallimenti, chiusure, disoccupazione e disperazione.
Monti e i suoi fratelli satanici hanno portato a termine la loro opera di disgregazione della società  democratica  ed ora i popoli si trovano ad un bivio:
– accettare passivamente il gramo destino che la banda dei diabolici potenti ha riservato  agli schiavi;
–  ribellarsi, cacciare i dèmoni impostori e riprendere in mano le redini dei propri destini.
Le sedicenti Istituzioni democratiche repubblicane  si stanno preparando a questa seconda evenienza convocando vertici nelle Prefetture per prevenire disordini  ipotetici, ma altamente probabili,  vista l’alta tensione sociale latente.
Cosa faranno?
Metteranno  in atto arresti preventivi di cittadini “esasperati”, di potenziali “sobillatori”?  O si limiteranno ad azioni di contrasto tramite le forze speciali antisommossa?
Ma queste istituzioni chi difendono?
I cittadini esasperati da imposizioni folli o i folli che continuano ad imporle?
Non sarebbe  il caso che le forze dell’ordine si aggregassero  alle sacrosante future proteste dei cittadini  per   dare  loro manforte ad assegnare tutti gli autori e spalleggiatori del disastro sociale a democratici tribunali popolari, tribunali composti da onesti cittadini, padri e madri di famiglia, per un giudizio equo e imparziale emesso secondo il principio del buon senso del padre di famiglia?
Se così non sarà, se i responsabili  la faranno ancora e sempre franca rimanendo impuniti, addirittura con la protezione di chi ha il dovere di difendere tutti  i cittadini,  queste istituzioni democratiche avranno innescato, molto  incautamente,  la miccia di una guerra civile.
Daniele Quaglia
 

2012.06.11 – IMU – QUANTO SI RISCHIA A NON PAGARE


Pubblicato il 4 giugno 2012 da
Prima l’ISI, poi l’ICI ed ora l’IMU.
L’ISI non ha storia, l’ICI fin dalla sua entrata in vigore ha provocato la repulsione totale da parte LIFE che a suo tempo ha avviato anche cause pilota contro questa tassa.
Queste cause però hanno comportato l’esclusiva uscita di risorse economiche visto che nessun giudice ha accolto le nostre istanze, per quanto fondate e valide.
Per l’IMU non siamo disposti a spendere un centesimo per contestare la sua legittimità, ma siamo ben contenti di indicare a chi non ha la possibilità di pagare entro i termini,  i rischi a cui si espone .
In questo senso ci da una mano la CGIA di Mestre che si è presa la briga di accertare l’ammontare delle sanzioni  previste per chi  non versa l’IMU.
Per una media abitazione, prima casa con rendita catastale di 430€ e garage con rendita 91 € con una prima rata,  su tre, di 50€ l’una  ci sarebbe il rischio di pagare, tra interessi e sanzioni  1,60 €,  se il pagamento avviene entro i 30 giorni dalla scadenza che arrivano a 3,13 € se il pagamento avviene entro un anno.
Oltre questo termine non è dato sapere l’importo delle sanzioni.
In questo momento di crisi, in cui 50 € possono essere più utili nelle nostre tasche piuttosto  che nelle casse dell’Esattoria, si può anche decidere serenamente di pagare più avanti dando ragione al vecchio detto: per pagare e per morire c’è sempre tempo anche in considerazione del fatto che è in’imposta contestata da molte forze politiche e da molti sindaci.
Dovesse essere abrogata come sembrerebbe possibile, memori di quanto accaduto per la tassa sul medico e consapevoli che lo Stato in questi casi non ha mai restituito al cittadino quanto pagato indebitamente ……. meglio tenersi i soldi in tasca nel rispetto di un altro detto popolare: Articolo quinto, chi si tiene i soldi ha sempre vinto!
Daniele Quaglia
Seguiamo l’esempio di Mario Monti

2012.06.04 – PRONTI ALLA GUERRA – POTERI SPECIALI A MONTI

New York, 31 mag. (TMNews) – La crisi dell’Eurozona e le violenze in Siria sono state, ieri sera, al centro di una videoconferenza a quattro fra il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, il presidente del Consiglio, Mario Monti, il presidente francese, Francois Hollande, e il Cancelliere tedesco, Angela Merkel.
Dopo le indiscrezioni uscite sul sito del Corriere della Sera, confermate in ambito diplomatico, anche la Casa Bianca ha reso noto, nella notte italiana, che i quattro leader hanno discusso “degli sviluppi in Europa, dopo il summit del G-8 di Camp David e l’incontro informale in seno all’Unione europea. I leader continueranno a tenersi a stretto contatto in vista del G-20 in Messico del prossimo mese” ha informato Washington.
Inoltre, “i leader hanno discusso dei recenti sviluppi in Siria e hanno condiviso l’opinione che sia importante porre fine alle violenze del governo contro la sua stessa popolazione e urgente ottenere una transizione politica”.

 POTERI SPECIALI A MONTI

Singolari coincidenze? Solo in Italia la realtà supera la fantascienza. Dopo l’attentato di Brindisied il terremoto stragistico in Emilia Romagna è imminente la guerra all’Iran? Cos’altro ci vuole a persuadere i recalcitranti? Diamo un’occhiata all’ultima trovata. «Norme in materia dipoteri speciali sugli assetti societari nei settori della difesa e della sicurezza nazionale, nonché per le attività di rilevanza strategica nei settori dell’energia, dei trasporti e delle comunicazioni»: è il titolo della recente legge dello Stato italiano, numero 56, promulgata l’11 maggio 2012 e passata inosservata alla gran massa dell’opinione pubblica. Strano. In calce reca la firma del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e del Primo Ministro non eletto dal popolo tricolore. Il proponente è proprio il maggiordomo dell’alta finanza speculativa (Trilateral Commission, Goldman Sachs, Bilderberg, Aspen, eccetera) a cui mancavano i super poteri. Il Premier abusivo – recentemente volato in Usa a prendere nuovi ordini – precisamente il 9 marzo scorso aveva indicato tale auto-attribuzione (mediante un Decreto-legge) giustificata dalla «straordinaria necessità ed urgenza». Il Parlamento ha approvato all’unanimità: infatti al Senato i contrari risultano zero, mentre i favorevoli 246 (20 gli astenuti). Alla Camera, infine, hanno votato a favore ben 401 deputati (42 contrari e 2 astenuti). Quali saranno i criteri d’esercizio di tali poteri speciali? L’esercizio del golden share è lo specchietto per le allodole. C’è ben altro: l’arbitrarietà del concetto di minaccia effettiva. Ovvero di grave pregiudizio per gli interessi essenziali della difesa e della sicurezza nazionale. Chi attenta all’Italia? E’ un pretesto per restringere ulteriormente la sbandierata libertà (di impresa) in democrazia? Come mai neanche un’apertura di tg (locale) per questa clamorosa notizia? Strano che nessun impiegato della comunicazione in servizio permanente effettivo (la ditta Travaglio & Santoro) abbia detto alcunché. E Grillo, pardon Casaleggio, tace inspiegabilmente? Come mai nell’occasione Vendola non ha pontificato, visto che mette il becco su tutto, peggio del prezzemolo avariato? Latita perfino Saviano (neanche uno sfondo su Repubblica). E Fabio Fazio che balbettava dinanzi a Piero Pelu’ che aveva accennato alla scie chimiche? Che peccato: un’occasione bruciata per dirne quattro allo Zio Sam. Caos programmato dall’Intelligence Usaalle porte. Una domanda spontanea. A parte il Memorandum bellico stipulato fra Italia ed Israele (siglato da Berlusconi), perché le forze militari del Belpaese si sono esercitate recentemente nel deserto del Negev? E’ davvero singolare che il Regolamento dell’Unione europea (264) concerne «misure restrittive nei confronti di determinate persone, entità e organismi in considerazione della situazione in Iran» (Gazzetta Ufficiale, serie speciale Unione Europea, numero 41 del 24 maggio 2012). Forse andrebbe letto alla luce del Trattato di Lisbona e del Trattato sull’Ue, che assoggettano il Vecchio Continente in termini militati allaNato? Qualche europarlamentare italiota avrà almeno letto prima di firmare in bianco?Eurogendfor (con sede nella caserma dei Carabinieri Chinotto di Vicenza) di cui abbiamo accennato già due anni fa, vi dice nulla? I compiti e gli incarichi dell’Egf – che non necessita di un mandato giudiziario per operare, compreso l’ordine pubblico sottratto alla Polizia di Stato – esulano dal controllo parlamentare e della magistratura.
Guerra infinitaBarack Obama in persona il 16 marzo scorso ha siglato un ordine esecutivo che potrebbe conferirgli il potere di istituire la legge marziale negli Stati Uniti d’America in tempo di pace. L’atto – denominato “Preparazione Nazionale Risorse per la Difesa” – è visibile sul sito ufficiale della Casa Bianca. Dopo la firma dell’HR 347 ( “Trespass bill”) e l’ancora più terrificante National Defense Authorization Act (legge di autorizzazione sulla Difesa Nazionale), che permette al presidente di detenere e torturare cittadini americani senza un giusto processo. Insomma, giochi da Premio Nobel. E’ solo una questione di tempo prima che un grande “attacco terroristico” – orchestrato come al solito dall’Intelligence – venga messo in atto in una nazione occidentale. E quando avverrà, ci sarà una forte scossa in tutto il mondo, anzi un panico di massa globale. Verrebbe introdotta una legge marziale economica. Posta in essere come misura temporanea, ma una volta realizzata rimarrà al suo posto. I diritti civili verranno sospesi e, particolarmente in America, la sicurezza Interna, già intollerabilmente intrusiva, raggiungerà un’onnipresenza orwelliana. Ci sarà bisogno di un solo evento al momento opportuno che venga sospinto dai media mainstream e si scatenerà l’inferno. Attenzione. Gli ordini esecutivi presidenziali sono già stati approvati, i campi di detenzione deiFusion Center e quelli della FEMA sono già operativi e 20 mila soldati sono stati addestrati per intervenire brutalmente, in caso di collasso economico e rivolte popolari. In parole banali: la legge marziale è un sistema di governo che si ha quando i militari prendono il controllo della situazione.
Fronte interno – «È chiaro che c’è stato un movimento continuo nella direzione deipreparativi per la legge marziale, una tendenza che è stata tanto continua, quanto inattesa» (Peter Dale Scott, “La guerra, la legge marziale e la crisi economica” in, Global Research, 23 febbraio 2011). «Non è più solo per le guerre in Afghanistan e in Iraq. Il Dipartimento della Sicurezza Nazionale è interessato ad un impianto di telecamere che possono sbirciare su quasi quattro chilometri quadrati di territorio americano (costituzionalmente protetto) per lunghi, lunghi periodi di tempo. La Sicurezza Nazionale non ha un particolare sistema in mente. Proprio ora, esso sta solo sollecitando la risposta dell’industria ad una formale richiesta per questo “Sistema di Sorveglianza su Vasta Area”. Ma è l’ultima indicazione di come la potente tecnologia di sorveglianza militare, sviluppata per trovare gli insorti stranieri e terroristi, stia migrando sul fronte nazionale» (Spencer Ackerman, “La Sicurezza nazionale vuole spiare su 4 Km quadrati simultaneamente” in Wired, 23 gennaio 2012). «C’è un vero e proprio, pericoloso scollamento tra gli apparati di politica estera di Washington e la maggior parte del popolo americano nel suo complesso. Penso che abbiate visto la prova di questo il 15 febbraio (2003), quando ci sono state manifestazioni di pace in oltre 300 città americane. E penso che ci sia una differenza reale tra quella che io chiamo l’oligarchia americana, che ora praticamente controlla non solo la Casa Bianca ma anche il Congresso, e la Corte Suprema e la democrazia americana» (Lewis Lapham, “L’Attacco di Lewis Lapham attack alla plutocrazia americana” Allan Gregg, 20 gennaio 2011, trasmissione originale: marzo 2003). «Quanto in basso dobbiamo affondare, Sig. Obama? Ha ritratto se stesso come un uomo d’onore e un difensore del costituzionalismo, ma ha aperto le porte alla regola dell’illegalità e dell’autoritarismo» (Philip Giraldi, “La creazione dei terroristi americani”, in The Council For The National Interest, 19 gennaio 2012). «Un perimetro della Sicurezza Nazionale del Nord America va ben al di là del tenere al sicuro la gente da eventuali minacce percepite. È un mezzo per difendere il commercio, le risorse, come pure gli interessi corporativi ed è un pretesto per il controllo del continente» (Dana Gabriel, “Il pretesto per un perimetro della Sicurezza Nazionale del Nord America” in Be Your Own Leader, 11 dicembre 2011). «Tutto il potere e la politica dell’uomo non possono mantenere un sistema molto a lungo dopo che la sua verità ha cessato di essere riconosciuta o un’istituzione molto a lungo dopo che ha cessato di contribuire al servizio pubblico. È altrettanto vano, come aspettarsi di preservare un albero, le cui radici sono state tagliate. Esso può presentarsi come verde e fiorente come prima per un breve periodo, ma la sua condanna è segnata, il suo principio di vita è perduto e la morte è già al suo interno» (Anna Letitia Barbauld, Selected Poetry & Prose, p. 275-276).
Lavoro sporco – Immaginate che cosa farà lo Stato occidentale in uniforme ai manifestanti ed alla popolazione quando sarà dichiarata la legge marziale. Le aree di guerra mediorientale sembreranno abbastanza tranquille in confronto alle zone di guerra in occidente. Le normative dello stato di polizia – dopo gli attacchi dell’11 settembre – hanno contribuito al processo di costruzione dello stato gendarme e all’istituzione di un sistema universale di schiavitù globale. Sotto questo nuovo sistema internazionale ci sarà un’élite criminale in cima, una classe manageriale nel mezzo, e i consumatori senz’anima nella parte inferiore. Secondo lo storicoWebster Tarpley, il conduttore radiofonico Alex Jones, ed altri, grandi comparti della classe media e del sottoproletariato saranno sterminati. Il lavoro sporco è stato affidato alla Sicurezza Nazionale. E’ stata istituita come una macchina extragiudiziale per uccidere e spiare. Ma le sue operazioni, sotto copertura antidemocratiche ed eugeniste, sono state nascoste dietro narrazioni false come la guerra al terrore e falsi obiettivi come la sicurezza interna.
La portata tirannica della Sicurezza nazionale si è già estesa al Canada. Dana Gabriel ha evidenziato il consolidamento sul potere politico e sulle risorse naturali dei plutocrati in Nord America l’11 dicembre 2011, in un articolo intitolato, “Il pretesto per un perimetro della Sicurezza Nazionale del Nord America”: «Il 7 dicembre, il presidente Barack Obama e il primo ministro Stephen Harper hanno annunciato Sicurezza perimetrale al di là delle frontiere e piano d’azione per la competitività economica. Il nuovo accordo si concentra sulle minacce alla sicurezza, la facilitazione degli scambi, la crescita economica e l’occupazione, il rafforzamento della legge sull’integrazione transfrontaliera, nonché il miglioramento delle infrastrutture e della sicurezza informatica. Mentre l’accordo sul perimetro viene fatto passare come vitale per la sicurezza e la prosperità di canadesi e americani, c’è il piccolo dubbio che significherà un buon compromesso tra la sovranità e la sicurezza. Qualsiasi accordo che dà al Dipartimento della Sicurezza Nazionale più informazioni personali pone un grave rischio per il diritto alla privacy. Man mano che entrambi i paesi vanno avanti, la sicurezza perimetrale sarà ulteriormente definita e dominata dagli interessi americani. Questo potrebbe costringere il Canada a rispettare eventuali nuove misure di sicurezza statunitensi, indipendentemente dai pericoli che possono costituire per le libertà civili. Un perimetro della Sicurezza Nazionale del Nord America va ben al di là del tenere al sicuro la gente da eventuali minacce percepite. È un mezzo per difendere il commercio, le risorse, come pure gli interessi corporativi ed è un pretesto per il controllo del continente. In uno stato di legge marziale, dissidenti, blogger, giornalisti che si basano sui fatti, gli attivisti anti-guerra, i possessori di armi, gli attivisti di Occupy Wall Street e gli attivisti del Tea Party saranno tutti ritenuti “terroristi domestici” e portati in prigioni segrete da pedine che hanno subìto il lavaggio del cervello dello stato corporativo globale». Tom Burghardt ha scritto l’11 ottobre 2008, nel suo articolo, “Militarizzare la Patria, in risposta alla crisi politica ed economica” : «Lo spionaggio indiscriminato sugli attivisti da parte dell’ormai defunta Counter intelligence Field Activity (CIFA) del Pentagono, come pure le rivelazioni secondo cui le agenzie dello stato di polizia nel Maryland spiavano abitualmente gli organizzatori contro la guerra, condividevano queste informazioni con la National Security Agency e li classificavano come “terroristi” nei database gestiti dal governo, sono visti come mezzi esemplari per “mantenere la gentaglia in riga”- e sotto silenzio, se necessario». Una segnalazione altamente inquietante di Christopher Ketchum nel maggio giugno 2008 pubblicata di Radar Magazine, sottolineava come «il nucleo principale del database top secret legato alla pianificazione dell’eventualità di Continuità del Governo, include i dissidenti e attivisti di varie fasce, politici e manifestanti contro le tasse, avvocati e professori, editori e giornalisti, possessori di armi, clandestini, cittadini stranieri e molte altre innocue persone comuni». Il giornalista investigativo Tim Shorrock ha detto – dopo averlo appreso da una gola profonda e verificato – che quel nucleo principale è un «sistema di dati per un’emergenza di sicurezza interna’ progettato per essere utilizzato dai militari in caso di una catastrofe nazionale, una sospensione della costituzione o l’imposizione della legge marziale. … Il suo nome deriva dal fatto che essa contiene ‘copie del ‘nucleo principale” o l’estratto di ciascun elemento delle informazioni di intelligence americana prodotte dall’FBI e da altre agenzie della comunità di intelligence degli Stati Uniti». Il Nord America viene già trattato dalle élite e dalle autorità di governo come un teatro di guerra. Sono state disseminate le trappole per topi: il recinto della schiavitù è stato progettato fino all’ultimo dettaglio.
EXECUTIVE ORDER NATIONAL DEFENSE RESOURCES PREPAREDNESS
LEGGE 11 MAGGIO 2012, N. 56
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(articolo tratto da qui)

2012.05.20 – FESTA DELLE SENSA E IL BUCINTORO


IL BUCINTORO DEL SETTECENTO
5 ottobre 1786. Per esprimere in due parole che cosa è il Bucintoro, lo chiamerò una galea da parata. Il Bucintoro antico, del quale rimangono le riproduzioni, giustifica questa espressione più ancora del moderno, il quale con tutta la sua magnificenza ci fa dimenticare la sua origine. Insisto sempre nella mia antica idea: date ad un artista un soggetto veramente buono, ed egli produrrà qualche cosa di buono. Nel caso nostro all’artista era stato affidato il compito di costruire una galea, che fosse degna di portare i capi della Repubblica, nel giorno solenne che consacra il tradizionale dominio del mare; un tal compito è stato eseguito alla perfezione. La nave è già per sé tutta una decorazione; non si può dire quindi che sia sovraccarica di ornamenti; è tutto un cesello d’oro, e del resto non serve ad altro; è un vero e proprio ostensorio, che serve a mostrare al popolo i suoi principi, in tutta la loro magnificenza. Si sa che il popolo, come ha una predilezione per adornare i suoi capelli, così ama vedere anche i suoi supériori in abito elegante e sfarzoso. Questa nave di gala non è che un autentico mobile d’inventario, che ci ricorda in modo tangibile quello che i Veneziani furono, o si lusingarono di essere. (l.W. Goethe, Viaggio in Italia)
Nèl 1719, trovandosi il dogale naviglio secentesco in condi¬zioni assai precarie (aveva ben 113 anni di navigazione) si commissionò un nuovo Bucintoro, incaricando altresì i responsabili dell’allestimento della nuova imbarcazione di scoprire i difetti della vecchia, in modo da apportare le modifiche necessarie. Proprio del 1719 è uno spaccato in sezione longitudinale di un Bucintoro, progettato e mai realizzato, dipinto ad olio su carta in grigio e rosso, che reca alla base le misure in piedi veneti. Questo studio (attualmente assai deteriorato e ridipinto in talune parti) pur mantenendo la medesima struttura del Bucintoro del Seicento, presenta notevoli varianti nelle decorazioni. La polena raffigura la Fede e La Giustizia; (nel precedente Bucintoro vi era la sola Giustizia); al posto delle colonnine che sorreggevano il tiemo vi sono delle figure allegoriche, corredate da scritte (molte delle quali sono attualmente illeggibili), che non corrispondono a nessuna decorazione dei navigli dogali: la poppa inoltre presenta una curvatura assai più a accentuata di qualsiasi altro Bucintoro. Lo spaccato è conservato nella sala del Bucintoro del Museo Storico Navale di Venezia. proviene dalla sala dei modelli dell’ Arsenale, come è attestato dal Casoni, e reca la scritta: Anno 1719 Petrus Fileti hoc perfecit opus. Di Pietro Fileti all’infuori di questa, sino ad ora, non si conoscono altre notizie. La direzione dei lavori del nuovo Bucintoro fu affidata all’architetto navale Michele Stefano Conti, che fu confuso talora col committente dei disegni del Canaletto, Stefano Conti (uomo d’affari nativo di Lucca). Le statue e gli intagli furono ideati e disegnati dallo scultore Antonio Corradini (1668-1752), artista già affermato in città: la Serenissima gli affidò l’incarico il 14 dicembre 1719. Vari documenti dell’Archivio di Stato di Venezia ci dicono che il Corradini oltre che l’ideatore delle decorazioni fu il sovrintendente ai lavori di intaglio. Egli, per tale incombenza, dovette abbandonare per anni la sua bottega di scultore. Gli intagliatori che decorarono il Bucintoro furono in alcuni anni tutti quelli operanti in città. Nel 1727 per scolpire la poppa ne vediamo al lavoro ben sessanta. Il Temanza cita Michele Fanoli e il figlio Lorenzo: lavorò molto con suo figlio nel Bucintoro Ducale, ed è tutta sua la statua di Marte, o sia Scandarbech, che è sulla prora. Fece molti bassi rilievi et arpie vicino alla sedia del doge. Poiché è molto improbabile che a prua vi fossero due statue di Marte, la contraddizione in cui il Temanza pare dunque caduto (dal momento che, in un altro passo, afferma invece che la statua di Marte di questo Bucintoro proveniva dal precedente) può essere risolta supponendo che il Marte dei Vanini sia stato sostituito in un secondo momento con quest’altro del Fanoli. Il nome di un intagliatore che operò sul Bucintoro ci è fornito da una carta d’archivio: il 3 aprile 1728, per la perizia dimostrata negli intagli, fu accettato come Maestro marangon all’Arsenale Pietro Pichi, con l’obbligo di lavorar sia di “grosso” che di “sotil”, ricevendo la paga di 24 soldi al giorno. Da quanto si è detto si deduce che non si può parl,are di statue del Bucintoro eseguite dal Corradini e dalla sua scuola. Per il lavoro di sovrintendente il Corradini ricevette, negli anni in cui operò, mediamente 15 lire al giorno ma, dal 27 marzo del 1728, essendo ormai quasi tutti gli intagli ultimati, il governo veneziano gli tolse lo stipendio, pur obbligandolo a sorvegliare i lavori e la sistemazione dei vecchi intagli. Per debito di riconoscenza si pensò di corrispondergli la somma di 60 zecchini, che fu mutata in una medaglia d’oro dello stesso valore. Il suo nome era ricordato in una iscrizione posta a prua della nave: ANTONIl CORADINI SCULPTORIS INVENTUM. Da notizie tratte dai registri dell’ Arsenale (ora non rintracciabili), trascritte dal Casoni 8, sappiamo che il 23 novembre 1722 il Bucintoro fu “accarenato”. I lavori dovettero andare molto a rilento dal 1722 al 1726, forse per mancanza di danaro. Il 22 febbraio 1726 furono messi a disposizione 8.000 ducati per proseguire la costruzione  che si protrasse per altri due anni. L’8 maggio del 1727 fu dato incarico al Corradini di sovrintendere personalmente alle sculture, incarico ricoperto dapprima dal proto dei marangoni Piero de Pieri. Il 6 settembre 1727 si lavorava ancora agli intagli del tiemo, dei fianchi e della poppa e vi prestavano la loro opera ben sessanta intagliatori, costretti a lavorare anche le domeniche e i giorni festivi. Il 15 settembre, in via del tutto eccezionale, fu accordato il permesso all’intagliatore Lorenzo Picotin di lasciare per un certo periodo i lavori del Bucintoro per ornare le carrozze dell’ Ambasciatore Bragadin. Il I maggio 1727 si diede ordine i allestire provvisoriamente il Bucintoro per l’uso: mancavano numerosi intagli e la de orazione dell’ interno  del tiemo, per il quale i pensò di supplire con damaschi. La festa della Sensa cadeva in quell’ anno il 22 maggio: per essa  si prevedeva l”uscita del Bucintoro nuovo. La datazione ufficiale del Bucintoro settecentesco è proprio il 1727 e fu posta a prua della nave, sulla pelle di leone che scendeva dal sedile della Giustizia. Essa ricordava anche il doge Alvise III Mocenigo, sotto il cui dogado l’opera era stata compiuta: ALOYSIO MOCENIGO VENETIARUM PRINCIPE. ANNO SALUTIS 1727. Ma dalle notizie offerteci dai registri dell’ Arsenale 15 e dai Commemoriali di Pietro Gradenigo  apprendiamo che il varo avvenne il 12 gennaio 1728 e che il Bucintoro fece la sua prima comparsa ufficiale per la Sensa di quell’ anno (25 maggio), interamente dipinto in rosso, col cosiddetto “bolo”, necessario per la futura dora¬tura. Un documento dell’Archivio di Stato, datato 8 aprile 1728, reca un preventivo per la spesa della doratura – che fu successivamente approvata – e ammonta a 15.500 ducati, richiesti da Giovanni d’Adamo, capo di quell’arte veneziana. Gli intagli furono ultimati prima del 4 maggio del 1728 e in quell’occasione venne richiesto ai doratori un ulteriore esatto calcolo dell’oro impiegato. La doratura ebbe inizio il 31 maggio 1728, com’era attestato da una scritta in rosso posta sul muro sinistro del deposito del Bucintoro in Arsenale, nel quale per circa un anno lavorarono ininterrottamente quasi tutti i doratori della città. Il Casoni potè leggere e ricopiare la scritta, che apparve in occasione di un restauro al¬l’edificio, il 12 dicembre 1827: 1728 Addì 31 maggio Fu principiato a indorar il Bucintoro. L’iscrizione, come attesta il Casoni, dopo il reperimento e la trascrizione fu subito imbiancata. L’appalto per la doratura venne dato ai due maggiori artigiani della città: Donà Giuliato, con bottega in campo ai Ss. Apostoli, e Zuane d’Adamo, con bottega in Frezzeria a San Moisè, “ambi eguali compagni e appaltatori”. All’Archivio di Stato di Venezia si conservano i documenti relativi ai modi e ai tempi della doratura. Già nel 1727 (7 agosto in Pregadi) Nicolò Boldù aveva avanzato la proposta che si seguisse il sistema usato per dorare il Bucintoro precedente; lo stesso concetto fu ribadito il 3 gennaio dell’anno seguente. Per evitare lo sperpero dell’oro si ordinò di usarlo nelle sole parti in vista, evitando di dorare i dossali di rimesso delle sedie fino al pavimento e la parte posteriore delle arpie che formavano la balaustra dei giardini di poppa e di prua (come era avvenuto del resto nel Bucintoro precedente). Per gli addobbi interni si ordinò di economizzare e la magistratura alle Rason Vecchie, che doveva soprintendere all’allestimento interno, ordinò che sul nuovo Bucintoro si adattassero stoffe e cortine del vecchio naviglio, e si sa che furono sostituite soltanto due cortine. Anche per gli intagli si seguì lo stesso principio: si cercò di fare la massima economia. Infatti non tutti gli intagli e le statue del vecchio Bucintoro secentesco andarono distrutti. Se una parte fu venduta all’asta e assegnata al maggior offerente, il mercante ebreo Sanson Jona, per ducati 628 e un altro lotto a Giovanni d’Adamo (uno dei due appaltatori per la doratura del Bucintoro) per ducati 180, si utilizzarono non pochi “vecchi lavorieri” (intagli e ornamenti) del precedente Bucintoro per decorare il nuovo naviglio ducale: essi furono collocati nel 1727 per decisione presa in Pregadi, per ragioni di risparmio e per accelerare i lavori che – come si è detto – si protraevano ormai da anni: e l’accostamento dei vecchi intagli ai nuovi fu fatto con accortezza, in modo che non ne risentissero la bellezza e la magnificenza della nuova costruzione. Tra le parti reintegrate nel nuovo Bucintoro, oltre alla statua di Marte e ai due leoni marciani, vi furono specialmente i pannelli a bassorilievo dell’interno del grande tiemo con le decorazioni astrologiche. Il Bucintoro settecentesco – che apparve in tutto il suo splendore il 26 maggio 1729 – ripeteva la struttura del precedente, con l’introduzione di due “giardini a poppa”, ma risultava essere più sfarzoso di ogni altro negli addobbi, negli intagli, nelle statue e nelle dorature, anche se le decorazioni e i temi iconografici erano gli stessi dì quello secentesco;ne fa fede il Donno, nell’Allegro giorno veneto, che descrive analoghe allegorie. Le misure qui riportate sono conformi alle originali, in piedi vene ti di mare, i metri figurano tra parentesi (secondo le indicazioni del Casoni un piede veneto equivale a cm. 34,8) 25. Il Bucintoro aveva una lunghezza di 100 piedi (m. 34,800), era largo “alla bocca” 21 (m. 7,308), ed era alto 24 piedi (m. 8,351). Era a due ponti, come i precedenti: il prima era destinata a 168 rematori, a quelli della riserva e a circa 40 marinai, aveva a pappa e a prua due stanze in cui si riponevano le vesti e le refezioni. I rematori, tutti arsenalotti, si disponevano su panche (poste trasver¬salmente) a quattro per remo. Un remo (in totale erano 42) misurava 30 piedi (m. 10,44), e per facilitare e rendere possibile la vaga aveva “a capi alcuni fori da potervi i remiganti intrometterle mani”: questi ultimi erano sette e un “giron”. Ma i fori dai quali uscivano i remi erano 50, essendone otto riservati per le corde dei rimarchi che facevano compiere alla nave le manovre più complesse. I fianchi del naviglio nella parte inferiore erano decorati can 20 statue in forma di Sirene alate a mezza busta e da 20 mascheroni in bassorilievo che sostenevano la “rema”. A pappa erano posti due grandi leoni alati, opera dei fratelli Vanini (provenienti dal Bucintoro secentesco), e due giganti marini (Ota e Efialte), in funzione di telamoni a sostenere i giardini detti anche “pergoli” (corpi aggettanti in fuori). Ai lati dei giganti marini erano poste le raffigurazioni delle Arti dell’ Arsenale, dei Calafati (sinistra) e dei Marangani (a destra), coi loro proti e capimaestri. A  prora spuntavano due speroni: il superiore lungo piedi 13 e ½  (m . 4,698) rappresentava il Mare, era sovrastato da un leone alato (San Marco) e dalle allegorie della Pace e della Guerra. in forma di putti; l’ inferiore raffigurava la Terra con Zeffiro che spira verso il mare. Ai lati degli speroni c’erano rispettivamente le raffigurazioni dei due principali fiumi veneti: il Po e l’Adige. Tra il primo e il secondo ponte, le fiancate erano ornate a bassorilievo con trionfi di divinità marine. Vi erano raffigurati: Nettuno, Anfitrite sul delfino, Venilia e Salacia (simboleggianti il flusso e il riflusso del mare), Tetide, Forco, Nereo,  Janira sopra il delfino, Portumno (divinità che simboleggiava l’arrivo in porto sicu¬ro), Proteo in sembianza di balena, la ninfa Ligea, Venere Citerea, Leucippe, Tisa sopra gli ippocampi, la ninfa Dori (simboleggiante l’amarezza dell’acqua marina), Galatea con molte Nereidi e Tritoni, Glauci con cornamuse e varie ninfe marine.
Il secondo ponte consisteva nella piazza della prora detta palmetta, lunga 12 piedi e 1/4 (m. 4,263), circondata da due giardini. Su di essa prendevano posto gli scudieri del doge, i comandadori (otto dei quali portavano i vessilli e le sei antiche lunghe trombe d’argento), i proti e i capimaestri dell’Arsenale. L’esterno della prua era decorato da una grande grottesca e da una conchiglia che sorreggeva la polena. Quest’ultima raffigurava la Giustizia reggente la spada e la bilancia, seduta su di una pelle di leone, sovrastata dall’ombrello dogale, con a lato la Pace (avente come simboli una colomba e un ramo d’ulivo). Sulla pelle del leone era posta la scritta che ricordava il doge Alvise III Mocenigo e, di seguito a questa, la raffigurazione dello Zodiaco con il sole nascente sotto il segno della Vergine e ai lati i simboli della Bilancia e del Leone, a significare che Venezia con la Forza (il leone) e la Giustizia (la bilancia) si sarebbe mantenuta sempre Vergine invitta. In un angolo di detto Zodiaco stava la scritta che ricordava l’ideatore degli in¬tagli: Antonio Corradini. A prua si apriva anche l’ingresso all’interno del Bucintoro, con ai lati due Sfingi (simboleggianti la Sapienza), fronteggiato da un grande arco, sostenuto da due telamoni, che aveva sulla sommità lo stemma del doge, al centro del quale era posta la gigantesca statua di Marte, che i Veneziani chiamavano familiarmente Scanderbeg, identificandolo in Giorgio Castriota (1403-1468), eroe e difensore dell’indipendenza albanese contro i Turchi, il cui nome, per le sue benemerenze verso la Repubblica, era stato posto nel Libro d’Oro della nobiltà veneziana. La poppa era ornata da bassorilievi con fiori e frutta e il timone era pure intagliato. Ai lati della poppa (similmente alla prua) si aprivano due giardini, sorretti, oltre che da due grandi telamoni, da mostri marini e ninfe, mentre all’interno “i pergoli” erano decorati da bassorilievi con baccanali di putti. I giardini di poppa misuravano piedi 34 e 1/2 (m. 12,006), con uno “sporto” di un “pergolo” nel mezzo di piedi 6 (m. 2,088). Nel mezzo di questi giardini stava il tronco con serpi attorcigliate (le serpi erano il simbolo della Prudenza) presso il quale stava l’ammiraglio dell’ Arsenale, al cui comando era la nave. Attraversata la porta, si apriva la sala di piedi 65 (m. 22,62) di lunghezza, divisa da nove arcate, otto delle quali misuravano 7 piedi (m. 2,436) e la nona 3 piedi e 1/2 (m. 1,218), adornate da doppi putti (allegorie della musica, della caccia, della pesca e della danza) per un totale di 18 figure. Ne risultavano perciò due lunghe sale fiancheggiate da 90 sedili, con dossali di rimesso (ornate da strumenti scientifici) sui quali prendevano posto i nobili veneziani che partecipavano alla cerimonia. Lungo le due sale si aprivano 19 finestre per lato con cartigli e fiori, sostenute da 152 cariatidi a mezzo busto in forma di ninfe. Alla fine delle due sale, verso poppa. si ergeva un arcone interno, al centro del quale era collocata la statua del Tempo Presente, addossata ad un pilastro che nascondeva la base dell’unico albero della nave. Questa statua aveva funzione portante, sorreggendo il tiemo nel punto di congiunzione delle due parti; la minore, quella sopraelevata, era di piedi 24 e 1/2 (m. 8,525) e copriva il gabinetto del doge. L’arco era decorato con strumenti musicali intagliati e dorati: era il luogo destinato ai musici della cappella marciana che cantavano le laudi e il madrigale durante la cerimonia dello sposalizio del mare. Saliti due gradini si accedeva al gabinetto di poppa, destinato al doge, agli ambasciatori stranieri e alle più alte cariche di governo, che era lungo 15 piedi e 3/4 (m. 5,481): intorno a questo spazio si aprivano 5 finestre per lato, e 5 a poppa, per un totale di 15, sostenute da 64 statue di satiri a figura intera (quattro per finestra). All’ingresso del Gabinetto era posto un arcone, decorato con lo stemma do gale e due putti, sostenuto da telamoni. All’estremità della poppa era il trono dogale, adornato da due teste di leone e da due tondi con le storie di Ercole. Nella parte posteriore del dossale c’era un bassorilievo rappresentante una vittoria navale con trofei; questa parte si abbassava e  permetteva al doge di gettare tra le onde dell’Adriatico l’anello per sposare il mare. Ai lati del trono erano poste le statue della Prudenza e della Forza. Il secondo ponte aveva un pavimento ligneo decorato con preziosi intarsi a mo¬tivi geometrici. Il grande tiemo era a volta di botte ed adornato all’esterno da velluto cremisi e all’interno da 36 scomparti dorati a bassorilievo con le Virtù e i mesi dell’anno (iniziante more veneto da marzo), i segni zodiacali e le Arti Liberali (con le ore del giorno e della notte dominate dai pianeti) entro ovati aventi nelle zone intermedie dei “San Marco” e delle ombrelle. Il piccolo tiemo, sovrastante il gabinetto, era ricoperto, come quello grande, di raso cremisi con ricamate le armi del doge. Gli scomparti interni erano 10 e rap¬presentavano le Muse con Apollo. Inoltre erano posti dieci stemmi dei Patroni e Provveditori all’ Arsenale che avevano seguito i lavori: Antonio Nani, Zorzi Pasqualigo, Bortolo Erizzo, Alvise Gritti, Daniel Dolfin (Provveditori); Giovanni Malipiero, Filippo Antonio Boldù, Antonio Grimani, Nicolò Foscarini e Marin Contarini (Patroni). Gli stemmi erano sostenuti da mezze cariatidi e intervallati da ombrelle. Il piccolo tiemo aveva un corpo aggettante in fuori (baldacchino) dal quale pendeva un drappo di seta cremisi con un leone marciano ricamato. Il baldacchino era decorato da una conchiglia, da Pallade sul cocchio in bassorilievo e da due figure alate con la tromba, simboleggianti la Fama. In particolare la decorazione del “volto” (cioè del soffitto) all’interno del gran¬de tiemo era assai interessante per i temi iconografici. Secondo quanto appare dalle descrizioni del Luchini e della Cronaca Veneta, che riguardavano il Bucintoro settecentesco (ma sappiamo di poteri e riferire sicuramente, per questa parte, anche al naviglio precedente), i trentasei scomparti intagliati del soffitto si rial¬lacciavano alla tematica astrologica che tanta fortuna ebbe nel Medioevo e nel Rinascimento, e di cui si trovano a Padova (in particolare nel Salone) e a Venezia (portale centrale della Basilica Marciana, capitelli del Palazzo Ducale, Libreria Marciana) esempi illustri. Questo del Settecento è il Bucintoro più noto ai moderni, sia perché riprodotto in molte famose vedute veneziane – celebri in tutto il mondo quelle dei Guardi e dei Canaletto – sia per la dovizia di notizie che ci ha permesso fin qui di ricostruirlo in modo abbastanza preciso. Esso è anche ricordato con sottile ironia dal poeta settecentesco Antonio Lamberti:
Xe ‘I Bucinroro ‘Na barca d’oro, Sive indorada Per el de fora, E decorada de drento ancora De galoni, de tapei, De veludi boni e bei, Dove l’oro è intramezzà Da coltrine de cendà.
Il Bucintoro settecentesco per forma e iconografia assommava le esperienze dei prototipi precedenti esprimendole nelle dolci, sinuose e raffinate forme rococò ed era, nel contempo, l’immagine di una Venezia festeggiante che traeva i suoi mo¬tivi d’essere da un glorioso passato sui mari. L’insieme delle decorazioni del Bucintoro, esaltando quasi esclusivamente fatta eccezione per tal une Virtù cristiane che decoravano l’interno del grande tiemo una tematica classica, risultava quindi essere un unicum. La polena, in forma di Giustizia, fu sicuramente fin dal Quattrocento l’ornamento principale della nave dogale, quella Giustizia su cui i Veneziani avevano modellato le loro azioni e il loro Stato. Le divinità dell’Olimpo, Apollo con le Muse e Minerva (la cultura e l’intel-ligenza) unite alla Forza e alla Prudenza ornavano il gabinetto dogale, quasi ad illuminare la condotta del Principe. Le Virtù, le Arti Liberali, attività dello spirito e della mente nel corso dei mesi e delle ore del giorno e della notte soggette ai segni astrali e ai pianeti che influenzano la vita e il destino degli esseri umani, sovrastavano i due saloni, nei quali prendeva posto il Senato veneto, quasi un memento della condizione della vita. Allegorie della Sapienza, della Guerra (Marte), della Pace, del Tempo Presente, del dio Pan (simboleggiante il mondo), di tutto ciò che vi è di buono, malvagio e imponderabile, unite alla raffigurazione dello Zodiaco con l’o¬roscopo di Venezia, vergine invitta, popolavano li secondo ponte. Sul primo e sulle fiancate abitavano le divinità marine: un inno a glorificazione del mare, conquistato con quelle navi veneziane costruite dalle Arti dei Calafati e dei Marangoni, sulla cui operosità si reggeva la potenza dell’ Arsenale. La prua della nave, simboleggiava i possessi di terraferma con i principali fiumi che vi scorrono, il Po e l’Adige, domi¬nati dal saggio governo di Venezia. Il simbolo di San Marco in forma di leone andante, appare più volte nelle decorazioni, ma è qui laicizzato, non ha nulla di sacro, non è in veste di santo patro¬no, è l’emblema della potenza della città. Una costante nella lettura dei simboli del Bucintoro è l’assoluta mancanza di raffigurazioni religiose che pur erano presenti nelle navi veneziane. Iddio, i Santi che sono spesso invocati, adorati e venerati nel corso della cerimonia e dei riti che si compiòno sul Bucintoro per lo sposalizio del mare, non trovano posto nell’imbarcazione dogale. Se la preghiera per i naviganti, che invoca porti tranquilli, è rivolta a Dio durante la funzione che si celebra a bord¬o il medesimo concetto è raffigurato sul Bucintoro da una divinità pagana, Por¬tumno (che simboleggia appunto l’arrivo in porto sicuro). E manca parimenti una qualsiasi raffigurazione delle storie di Alessandro III a Venezia, da cui pure avreb¬be avuto origine l’investitura per il possesso del mare Adriatico. Il Bucintoro va letto come una bibbia pauperum ed ha lo scopo di dimostrare mondo la potenza veneziana, in un secolo in cui purtroppo essa era in rapido de¬clino; è un tempio in cui si esaltano fino all’esasperazione la storia, il mito e il culto civico di Venezia. Il naviglio dogale rappresentava, nella tradizione popolare, un elemento fiabe¬sco e mitizzato. Solamente la sua “Cate bionda Biriota” era superiore in bellezza, afferma Alessandro Caravia nel Naspo Bizaro (Venezia 1565), allo splendore del Bucintoro:
No credo che ghe sìa stele in tel cielo Né zoie in India che sia più lusente De i to oci, viseto mio belo E del restante dirò solamente Che ‘l raro al mondo Tizian col penelo Solo a retrarte sarave valente: Val più le to belezze che quant’ oro Xe in Zeca e l’Arsenal con Bucintoro
Il Bucintoro è menzionato persino in ninne nanne. Nella raccolta del Canti po¬polari del Bernoni, due lo ricordano. Nella prima, si parla di una bimba fortunata nata di maggio, mese in cui le fasce si asciugano facilmente, e di un copriletto di raso d’oro ricamato: Quel bel covertor de razo d’oro Che par el dose co’ el va al Bucintoro. Nella seconda, dolcissima, una nutrice cerca di far addormentare il bambino promettendogli tutto ciò che più di prezioso esiste a Venezia: bei vestiti, collane d’oro al collo (i preziosi manini), la Zecca, l’Arsenale e il Bucintoro; che qui vedia¬mo addirittura sposato alla Bucintoressa, considerato a guisa di un essere animato evidente ricordo del doge e della dogaressa):
Fame la nana; se ti fussi mio, Te mandaria pulito e ben vestio; Te mandaria eo i manineti al colo, La Zeca, l’Arsenal e ‘l Buçintoro: EI Buçintoro e la Buçintoressa. La mama che t’ ha fato è andata a messa; E la xe a la messa e la xe ai Tolentini, In dove che va tuti i fantolini.
IL BUCINTORO In dettaglio
Innanzitutto il suo nome. Ci sono diverse versioni sul suo appellativo: chi lo fa derivare dal Latino “Bucem taurus”, chi da altri nomi più o meno nobili o greci. Io, più prosaicamente, lo faccio derivare dal nome veneziano “burcio d’ oro”, in quanto le sue dimensioni, al nudo di tutti gli abbellimenti, sono proprio quelle di un “burcio”, ossia di una grossa imbarcazione da carico tuttora circolante nelle Lagune. Era la nave di rappresentanza ufficiale della Repubblica di Venezia, adibito a ricevere gli ospiti più illustri al loro arrivo ed allo sposalizio del mare. Gli ospiti potevano arrivare o dalla parte della laguna, ed allora si andava loro incontro o a S. Nicolò o per il Canale dell’ Orfano a Malamocco; oppure da terra: o da Fusina, se arrivavano da Padova, o dalla fossa Grimana, l’ attuale Piazza Barche, se da Treviso e dal Friuli. Allora passava attravesro il Canal Grande e sotto il Ponte di Rialto, la cui altezza era stata progettata proprio per agevolare il passaggio del Bucintoro. Queste sono le musure dell’ ultimo Bucintoro, come descritto da Emanuel Cicogna in un suo manoscritto del Museo Correr (copia di mano di Giovanni Casoni), cc. 186 r – 190 v.
BUCINTORO SETTECENTESCO
piedi veneti        metri Lunghezza                     100                 34,800 Altezza                       24                   8,351 Larghezza alla bocca          21                   7,308 Gabinetto di poppa, lunghezza 15 e 3/4             5,481 Giardini di poppa             34 e 1/2            12,006 Sporto di un pergolo nel mezzo 6                   2,088 Palmetta di prora             12 e 1/4             4,263 Remo, lunghezza               30                  10,440 Sperone superiore, lunghezza  13 e 1/2             4,698 Sperone inferiore, lunghezza  11                   3,826 Sala grande, lunghezza        65                  22,620 Tiemo (piccolo -) con sporto  24 e 1/2             8,525 Arcate interne: 8, larghe      7                   2,436 Arcata interna: 1, larga       3 e 1/2             1,218 Fori per remi e corde: 50 (42 per i remi; 8 per le corde)
Banchetto degli Arsenalotti 1 A, ms, Cicogna 33# del Museo Correr di Venezia (copia di mano di Giovanni Casoni), cc. 186 r- 190 v, Notizia A, Gelfi: Descrizione delle formalità intrinseche e minute della Festa dell’ Ascensione col Bucintoro riguardo singolarmente a quanto riferisce alli Arsenalotti e loro trattamento in Palazzo Ducale scritta dal maestro Gelfi Antonio e qui fedelmente trascritta, Parmi convenevole dar una descrizione della funzione che succedeva il giorno dell’ Ascensione del Signore che a tale oggetto era d’uopo anche del Bucintoro per apportarsi al Lido, come più dettagliatamente il leggitore conoscerà qui appiedi. Il Bucintoro stava già pronto alle rive della Piazza condottovi la vigilia dell’ Ascensione dalli Arsenalotti con li tre Ammiragli, cioè quello dell’ Arsenale, quello del Lido e Malamocco, il primo dei quali andava a situarsi nella località del giardino laterale a puppa, il secondo a prora ed il terzo finalmente si collocava a puppa vicino al timon, nella situazione dell’ultimo ci stavano tutti li Proti, sotto Proti e capi d’opera dell’ Arsenale, Posto che il Bucintoro si staccava dalle rive della Piazza, cioè nel giorno (l’ Ascensione, di mattina alle ore 9 antimeridiane, tutte le navi, galee, galiasce e bastimenti mercantili che si trovavano, facevano ala e col tiro della loro artiglierie rendevano più maestosa l’andata al Lido del sudetto. Quando attrovavasi dirimpetto all’ex Cappella dell’ Arsenale ove eravi venerata una immagine (immagine che ancora si conserva, su1la torre dell’ Arsenale a sinistra dell’antico ingresso marittimo in un piccolo capitello od altarino) i remiganti la salutavano al modo che si praticava nelle galere. Frattanto Monsìgnor Patriarca se ne stava nell’isola di S. Elena nella quale era il monastero dì Monaci Olivetani ad attender il passaggio del Bucintoro. Veniva trattato egli da quei padri con una veramente religiosa collazione di castagne ed acqua, antico inalterabile costume che sempre si è operato. Dopo la sopressione di quei Padri subentrò alli suddetti la professione dei Ped [ …] d’Istria. Quando accostavasi il Bucintoro, il Patriarca col seguito dei Canonici e Clero della cattedrale di S. Pietro apparato pontificalmente, entrava in un piatton dorato, come egualmente gli altri e si trasferiva ad incontrarlo: pervenuto al fianco del Bucintoro, benediva un mastello d’acqua la quale di poi veniva versata nel mare. (Viene qui dimostrata ancora una volta la netta separazione che usava la Signoria tra Chiesa e Stato: nel Bucintoro prendeva parte solo il “Primicerio”, ossia l’ Ecclesiasta preposto alla chiesa di S. Marco che, va ricordato, era la Cappella “Palatina” ossia la cgiesa privata del Doge e della Signoria; nel mentre il Patriarca seguiva la Nave di Stato in una sua imbarcazione a parte: a fianco della barchetta del Doge dei Nicolotti che il Bucintoro trainava…) Uscito che era il Bucintoro dal Porto del Lido si appriva lo schenale della ducal sedia, dove il doge gettava nell’acqua un anello d’oro (questo doveva esser tale, ma di fatto per lo più era metallo) esprimendo queste parole: “Desponsamus te mare in signum perpetui dominij”.
Eseguita la funzione con li descritti metodi tornava al Lido, dove il Principe con tutto il seguito, scendeva alla chiesa di S. Nicolò (era questa uffiziata dalli monaci cassinensi) e alla lor soppressione supplì un arciprete delle 9 congregazioni: era destinato per turno. Ivi v’assisteva alla messa sollenemente cantata in pontificale e terminata che era ascendeva con tutto l’accompagnamento nel Bucintoro il quale ritornava a S. Marco d’onde partì. Tutti dippoi restavano trattenuti ad un real convitto. Questa la memoria di quanto era consueto di somministrare S. Serenità al n. di 100 graduati ministri dell’ Arsenale con li 3 Ammiragli nel Banchetto il giorno sudetto ancorche non fosse fatta la funzione in quel giorno a cagione degli antichi istituti, cioè che fosse calma e ciel sereno, caso diverso non aveva effetto la gita al Lido. In primo luogo si noti che delli numero 100 proposti convitati erano apposti in 10 tavole, che tali appunto erano ancor questi di tal numero, compresa ancor quella degli Ammiragli e Proti, tutti generalmente avevano le stesse posade, con la sola differenza che nella tavola degli Ammiragli e Proti erano serviti in posade d’argento, e le altre tavole con posade cioé cucchiaio d’ottone, cortello e pirone di ferro e queste poi restavano in proprietà dei 90 ministri e quelle d’argento venivano restituite.
Qualità, quantità e porzione del convitto.
PER ANTIPASTO 1 piatto di fette di Pan di Spagna -una fetta cadauno 1 piatto di Savoiardi 1 piatto di Raffioli 1 piatto di Sfogiade 1 cao di latte – la decima parte 1 piatto di narance garbe – una per cadauno 1 piatto di osso collo – uno per cadauno 1 piatto di cedro – la decima parte 1 piatto di celeni – uno per cadauno 1 piatto di lingua salata – la decima parte
PER PASTO 1 piatto grande di trippe di vitello per minestra – la decima parte per cadauno 1 piatto di fette di figà – una fetta per cadauno 1 piatto – due polpettoni – la decima parte per cadauno 1/4 di vitello allesso – la decima parte per cada uno 1 piatto con tre pollastre allesse – 1/4 per cadauno 1 piatto con 10 colombini rosti – uno per cadauno 1/4 di vitello arrosto – la decima parte per cadauno 1 capretto intiero – la decima parte per cadauno 1 piatto di dindiotti rosti – 1/2 per cadauno
DOPO PASTO 1 piatto di rosada – la decima parte per cadauno 1 piatto di puina – la decima parte per cada uno 1 piatto di pomi – la decima parte per cadauno 1 piatto di sparesi – la decima parte per cada uno 1 piatto di fenocchi – la decima parte per cada uno 1 piatto di artichiocchi – la decima parte per cadauno 1 piatto di straccaganaccie – la decima parte per cadauno 1 piatto di susini – la decima parte per cada uno 1 piatto con un tortion – la decima parte per cadauno 1 piatto con torta sfogiada – la decima parte per cada uno 1 piatto con due formagelle – la decima parte per cadauno 1 piatto con 10 scatole di confetti – una per cadaun 1 piatto con 10 stelle di marzapan – una per cadaun 1 piatto con fiaschetti di moscato – la decima parte 2 panni bianchi per cada un uno bianco e nero a disposizione di tutti li convitati che componevano le 10 tavole e quelli che componevano le 90 persone erano padroni d’appropriarsi della sua posada, ed anco una bassa da tavola di vetro e il suo sotto e li piatti di terra per cadauno. Terminato il pranzo gli Ammiragli si mettevano in vesta e venivano levati dal -calco e condotti al Serenissimo che era a Banchetto, ancor essi in pubblica figura. Sua Serenità facevagli delle ricerche relativamente al pranzo, cioè se erano stati ben serviti e se vi fosse stata trascurata qualche cosa giusto l’antico istituto: questi ri¬spondevano di no, poi li premuniva per l’anno venturo e li licenziava. Questi si portavano di nuovo nella sala ove erano partiti a far nota alli ministri quanto aveva lor detto sua Serenità e davano il congedo a tutti.
N.B. Che nella giornata surifferita la mattina prima di partire dall’Arsenale, si andava in gran numero a prendere il caffè dalli due Padroni dell’ Arsenale, dalli quali eravamo trattati con bussolai, acqua di limone e naranza, con caffè preceden¬temente  si era andati già dall’ Amiraglio che v’era soltanto caffè e bussoladi, partiti  unitamente ambidue li Padroni s’andava in chiesa di S. Martino alla messa, poi con lo stesso seguito andavamo per la parte interna (cioè per S. Antonin, li Greci, S. Provolo etc.) a S. Marco a fare il complimento a Sua Serenità che ci stava attendendo alla sua camera in Palazzo Ducale, ordinando che si desse la merenda ti che consisteva in pane, formaggio e vino. Scrissi con tutta esattezza questa notoria funzione perché io mi trovai testimo¬ne qual ministro dell’Arsenale ed in conseguenza avendo diritto di trovar¬mi in tutti i luoghi descritti, così ho potuto con piena esattezza rendere soddisfatto, il mio benevolo leggitore al quale auguro perfetta salute di vero cuore.
Scritta da Antonio Gelfi, antico maestro dei Calafai, anni ultimi del secolo XVIII.
[a.c. 144 dello stesso manoscritto si legge (di mano del Casoni): “Antonio Gelfi maestro calafato dell’Arsenale morto a Venezia il 10 agosto 1829].

2012.03.29 – FRIULI, QUELLI CHE VOGLIONO L’INDIPENDENZA SUBITO

tratto da un articolo de L'INDIPENDENZA.COM clicca qui
 
Scorre sangue giovane nelle vene del movimento autonomista friulano.
Anime differenti, ma con un obiettivo comune: la difesa e la tutela della “Piccola Patria”. Dietro i padri nobili, da Tessitori a D’Aronco, da Schiavi a Baracetti, da pre Checo Placereani fino a Silvano Pagani, purtroppo appena scomparso, c’è una nidiata di trentenni e quarantenni che ne ha raccolto il testimone.
E che ha idee chiare e voglia di fare.
«I grandi vecchi dell’autonomismo friulano avevano visto lontano – spiega William Cisilino, di Pantianicco di Mereto di Tomba, 37 anni, direttore dell’Agenzia regionale per la lingua friulana -.
Il senatore e ministro Tiziano Tessitori fu il primo a premere per lo Statuto speciale in questa regione, ma all’epoca i partiti erano tutti contrari.
Così è avvenuto per la nascita dell’Università del Friuli, osteggiata dall’establishment dei partiti, ma fortemente voluta dalla base degli autonomisti, da D’Aronco in giù.
Ecco, io penso che se i politici di oggi ascoltassero un po’ di più le istanze degli autonomisti, beh si eviterebbero certi errori. Personalmente ho cominciato a frequentare questo mondo a vent’anni.
In casa non c’era una specifica tradizione, ma abbiamo sempre parlato in marilenghe in modo spontaneo.
Per la mia formazione è stato fondamentale il fatto di aver conosciuto don Claudio Bevilacqua (ora parroco a Tarvisio, ndr), che mi ha fatto apprezzare i suoi scritti, e poi le idee di un fine intellettuale come Angelo Pittana.
L’autonomismo moderno credo che non debba essere vincolato al 100% con l’appartenenza al Friuli storico.
Un friulanista convinto può essere anche “venetofono”, qui l’importante è intendersi sul senso culturale.
E cioè essere d’accordo che le decisioni politiche, penso all’acqua, al destino dell’università, all’energia, alla terza corsia dell’A4, debbano essere prese qui, sul territorio, e non a Trieste, Roma, Milano o Bruxelles.
Così sarebbe più facile “controllare” gli amministratori».
«La nostra è una tradizione vissuta intimamente e non ostentata – racconta Feliciano Medeot, 36 anni, di San Lorenzo Isontino, direttore della Società Filologica friulana e radici, fin da ragazzo, nel mondo folkloristico locale -, direi quasi una derivazione asburgica.
Friulani oggi?
E’ avere a cuore da dove si viene per capire dove si può e si vuole andare.
Il nostro bagaglio culturale e identitario è forte, alla luce di quanto è accaduto nelle nostre terre nel Novecento.
Sui problemi concreti fare massa critica è fondamentale, quindi ben venga la collaborazione e il confronto con tutte le anime del movimento, perchè è necessario essere uniti per salvaguardare i diritti. Auspico che da ora in avanti si coniughi l’intellighenzia con l’azione.
Il mio modello di riferimento è Gianfranco D’Aronco, un vero precursore per tante battaglie».
«Nell’epoca della globalizzazione – dice Monica Tallone, classe 1964, udinese di origine ma carnica di adozione, vice presidente della Filologica proprio per la Carnia – noi autonomisti siamo portatori di una diversità che è ricchezza.
I padri nobili del nostro movimento ci hanno dato la consapevolezza dell’appartenenza, in una terra dove si mescolano e incrociano le tre grandi civiltà europee, latina, germanica e slava.
Se uno non sa da dove viene, difficilmente riuscirà a trovare la strada giusta, la soluzione ai problemi.
E proprio sul fronte della lingua, credo che abbiamo seminato abbastanza: adesso, anche tra i ragazzi, è normale parlare in friulano».
«Autodeterminazione del popolo friulano».
Questo il leit motiv del “Front Furlan”, 300 iscritti tra sostenitori e militanti, l’ala radicale della galassia autonomista.
«Il nostro ultimo congresso – spiega il portavoce Federico Simeoni, 39 anni – ha portato all’estremo le istanze nelle quali crediamo, fino all’indipendentismo.
I modelli a cui ci ispiriamo sono la Scozia e la Catalogna, non certo gli spot della Lega, che in 20 anni non ha combinato niente.
Puntiamo a una gestione completa del potere in loco, nessuna delega allo Stato centrale.
Noi, come movimento, siamo nati nel 2006, siamo radicati in provincia di Udine, ma ora ci allarghiamo verso Pordenone.
Il nostro punto di riferimento, nel passato, è sempre stato il vecchio, caro, Movimento Friuli, con una figura su tutte, quella di Fausto Schiavi.
Abbiamo sempre avuto una grande ammirazione anche per Silvano Pagani, è stato un uomo molto coraggioso in anni in cui certe scelte di campo costavano care a chi le faceva.
Lui e quelli come lui hanno seminato tantissimo.
Adesso tocca a noi portare avanti quel grande lavoro».
 
 
FONTE ORIGINALE: 

2012.03.24 – IMPENDITORE IN CRISI, I CARABINIERI GLI SEQUESTRANO L’AUTO E LUI SI UCCIDE.

tratto da: qui
 
Mercoledì 21 Marzo 2012 – 10:18
BELLUNO
Un altro imprenditore 'strozzato' da crediti e debiti, che non ha trovato altra via d'uscita che impiccarsi ieri sera in una baracca vicino alla sua abitazione, mentre i familiari lo attendevano per la cena.
Come quelle di altri imprenditori, la sua azienda stava andando male e la fortuna non ha certo aiutato Giampietro Benvegnù, di 53enne.
A raccontare la sua tragica storia è il Gazzettino nella sua versione on-line.
Quello che è accaduto lunedì, poco prima delle 20, sembra proprio essere stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso.
Benvegnù, finito di lavorare nella sua impresa edile a Rosolin di Sospirolo, la B.G. & C. Snc, con sede sotto casa, dove lavorava con la famiglia e due o tre dipendenti, facendo lavori edili e vendendo materiale per l’edilizia, ha preso l’auto per andare fino al bar del Mis per giocare a carte con gli amici, come era sua consuetudine.
Da un anno l’uomo non aveva la patente di guida, che gli era stata ritirata dai carabinieri quando era stato fermato per un controllo nel quale aveva rifiutato di sottoporsi al test dell’etilometro.
Da allora non guidava più e, nonostante i disagi sul lavoro e per l’azienda, si faceva accompagnare ovunque con la macchina e con il camion.
L’altra sera Benvegnù avrebbe dovuto percorrere una manciata di chilometri in una strada fuori mano, a Sospirolo, giusto per arrivare al bar, fare due mani a carte con gli amici, bere un rosso e tornare a casa per cenare con la famiglia.
Sulla via del ritorno però ha trovato i carabinieri che lo hanno fermato.
«Un normale controllo» dicono dall’Arma.
«Una persecuzione» secondo amici e familiari.
Lo trovano senza patente, sottopongono l’auto al fermo amministrativo. Scatta la denuncia penale.
Benvegnù pensa a che cosa avrebbe significato per lui, per la sua azienda.
Alle difficoltà ad accedere agli appalti pubblici con il certificato penale sporco.
Niente più gare d’appalto.
Forse è proprio in quel momento che ha cominciato un po’ a morire. Intanto, vista l’auto dei carabinieri, sono arrivati i familiari a perorare la causa del congiunto, a scongiurare la denuncia.
Ma non c’è stato niente da fare.
La legge è legge, ed è uguale per tutti.
Chi c’era racconta che Benvegnù appariva come assente, distaccato. Forse aveva già maturato la sua tragica decisione.
Non si è arrabbiato, non ha reagito.
Si è incamminato a piedi verso casa e mentre la moglie cucinava si è tolto la vita.
«È stato accerchiato dalle istituzioni, se non lo avessero perseguitato Giampietro oggi sarebbe ancora con noi» dice con voce rotta dall’emozione Giordano Dal Pont, suo amico prima ancora che commercialista dell’impresa.
 
 
I Carabineri avrebbero detto ai familiari: "la legge è uguale per tutti".
Certo diciamo noi… quindi è uguale anche per voi.
Allora alzate i tacchi e fate dietro-front,  fuori dai territori della Repubblica Veneta perchè come servitori di uno stato canaglia qual'è l'italia che occupa illegalmente e illecitamente la nostra Patria, la vostra stessa istituzione si rende complice di questo crimine internazionale che reiteratamente anche l'arma dei carabinieri sta perpetuando sui nostri territori.
Ricordiamo ai cittadini Veneti che lo stato straniero occupante italiano no ha alcuna giurisdizione sui territori della Repubblica Veneta, la nostra Patria che non ha mai cessato di esistere.
Lo stato italiano è stato denunciato all'ONU da questo MLNV  per l'occupazione, la dominazione e lo colonizzazione della nostra Patria.
Le autorità straniere italiane, pur sapendolo, agiscono nonostante il DIFETTO ASSOLUTO DI COMPETENZA e l’INCOMPETENZA ASSOLUTA per materia e per territorio.
Tutte le autorità straniere italiane agiscono in  DIFETTO ASSOLUTO DI GIURISDIZIONE nei Territori della Repubblica Veneta.
Questo cittadino Veneto e ogni altro cittadino Veneto hanno per diritto internazionale la facoltà di disconoscere ogni provvedimento e l'autorità stessa delle istituzioni straniere italiane, che sono anche gia state diffidate a procedere in qualsivoglia maniera contro Cittadini del Popolo Veneto incorrendo nella violazione dell'Ultimatum di questo MLNV notificato allo stato italiano in data 14/12/2010.
E' pertanto nullo ogni provvedimento anche di natura giudiziaria e/o amministrativa posta in essere contro qualsiasi Cittadino del Popolo Veneto.
Questo messaggio non intende giustificare o avvalorare alcuna mancanza di rispetto contro le forze dell'ordine; questo messaggio è una rivendicazione giuridica del diritto di autodeterminazione prevista per legge dalle norme del diritto internazionale (patti di New York del 1966) ratificati anche dall'italia con legge 881/77.
Su la testa Popolo Veneto… diciamo "ITALIA… NO,GRAZIE!"
Sergio Bortotto Presidente del MLNV.
 
 

2012.03.24 – BLOCCA I LADRI CHE ENTRANO IN CASA SUA: DENUNCIATO PER SEQUESTRO DI PERSONA.

 
 
tratto da: qui
 
Venerdì 23 Marzo 2012 – 18:22 VENEZIA

Con grande coraggio ha bloccato i ladri che stavano per entrargli in casa, poi è stato denunciato per sequestro di persona.
È quanto accaduto nei giorni scorsi a uno jesolano di 40 anni.
L'uomo abitata a Jesolo Paese e in una notte della scorsa settimana è stato svegliato di soprassalto dall'abbaiare dei suoi due cani.
Uscito di casa in tutta fretta, ha sorpreso i due ladri, due cittadini albanesi, all'interno del suo giardino.
I due alla vista dell'uomo hanno cercato di darsi alla fuga, ma non hanno fatto i conti con il suo sangue freddo: senza nessun timore e grazie alla sua possente mole, il 40enne è riuscito infatti a bloccare i due ladri fino all'arrivo delle forze dell'ordine.
Un terzo, che aspettava i due complici a bordo di un'auto, è riuscito a scappare.
LA STORIA «Erano le 4 – racconta l'uomo – a svegliarmi sono stati i cani che abbaiavano con insistenza.
Sono uscito in giardino e ho trovato queste due persone.
Hanno cercato di scappare, ma sono riuscito a bloccarle, dando l'allarme alle forze dell'ordine.
Purtroppo ho ricevuto una bella sorpresa: una loro denuncia per sequestro di persona». U
n strascico giudiziario inaspettato per il 40enne jesolano, che ora chiede una maggiore tutela.
«Onestamente non so davvero cosa pensare: queste persone sono entrate nel giardino per entrare dentro in casa mia.
Ho dato l'allarme e ho cercato di tenerli fermi per assicurarli alla giustizia.
Penso di essermi comportato come avrebbe fatto chiunque nella stessa situazione.
Credo che ai cittadini servano maggiori tutele».
 
 
Ricordiamo ai cittadini Veneti che lo stato straniero occupante italiano no ha alcuna giurisdizione sui territori della Repubblica Veneta, la nostra Patria che non ha mai cessato di esistere.
Lo stato italiano è stato denunciato all'ONU da questo MLNV  per l'occupazione, la dominazione e lo colonizzazione della nostra Patria.
Le autorità straniere italiane, pur sapendolo, agiscono nonostante il DIFETTO ASSOLUTO DI COMPETENZA e l’INCOMPETENZA ASSOLUTA per materia e per territorio.
Tutte le autorità straniere italiane agiscono in  DIFETTO ASSOLUTO DI GIURISDIZIONE nei Territori della Repubblica Veneta.
Questo cittadino Veneto e ogni altro cittadino Veneto hanno per diritto internazionale la facoltà di disconoscere ogni provvedimento e l'autorità stessa delle istituzioni straniere italiane, che sono anche gia state diffidate a procedere in qualsivoglia maniera contro Cittadini del Popolo Veneto incorrendo nella violazione dell'Ultimatum di questo MLNV notificato allo stato italiano in data 14/12/2010.
E' pertanto nullo ogni provvedimento anche di natura giudiziaria e/o amministrativa posta in essere contro qualsiasi Cittadino del Popolo Veneto.
Questo messaggio non intende giustificare o avvalorare alcuna mancanza di rispetto contro le forze dell'ordine; questo messaggio è una rivendicazione giuridica del diritto di autodeterminazione prevista per legge dalle norme del diritto internazionale (patti di New York del 1966) ratificati anche dall'italia con legge 881/77.
Su la testa Popolo Veneto… diciamo "ITALIA… NO,GRAZIE!"
Sergio Bortotto Presidente del MLNV.

2012.03.18 – MA CONTRO CHI COMBATTIAMO ??? IL DOVERE DI APRIRE GLI OCCHI PER NON SOCCOMBERE.


Poteri forti,

poteri deviati,
sette sataniche,
nuovo ordine mondiale …

2° Convegno sui Poteri Forti curato dall'Assoc. Realtà Allo Specchio il 18 marzo 2012 a Resana (Tv) con quattro relatori :

Giuseppe Bisetto (I Movimenti religiosi alternativi:una nuova cultura?),
Paolo Franceschetti ,avvocato (Sètte sataniche e organizzazioni criminali),
Paolo Ferraro,magistrato di Cassazione (Il Braccio politico-sociale delle Massonerie deviate),
Marco Pizzuti (Il New World Order è alle porte,possiamo fermarlo?)

 

2012.02.27 – KENNEDY PRIMA DI ESSERE UCCISO CI AVEVA AVVISATI SULLE SOCIETA’ SEGRETE E SULLE BANCHE


Ecco un altro video su Youtube che divide le opinioni:

Il video:
Informatevi!!!
Ecco come siamo diventati schiavi delle banche centrali internazionali
 
[includeme src=http://www.youtube.com/embed/Sok8nodx9hk frameborder=0 width=400 height=400]
 
NOI DICIAMO NO AL NUOVO ORDINE MONDIALE.
ma le opinioni discordanti le trovate sui commenti presenti su Youtube
 

2012.02.25 – ORE 15.00 – BOSCOLO HOTEL – VIALE VERONA 12 – VICENZA – VI

25 FEBBRAIO 2012 ORE 15.00
presso il Boscolo Hotel de la Ville sito in Viale Verona 12 a Vicenza: riunione aperta a tutti i responsabili ed i delegati dei movimenti venetisti attivi nel territorio che hanno come obiettivo l’Indipendenza della nostra Patria e la libertà del Popolo Veneto.
La riunione è comunque aperta anche ai cittadini del Popolo Veneto e a quanti intendano aderire alla comune iniziativa.
(cell. 347-5710738) dott. Gabriele Perucca coordinamento@mlnv.org

2012.02.23 – NUOVO ORDINE MONDIALE… LO STATO DI POLIZIA E’ ALLE PORTE ?

 
tratto da: DEMOCRATIC BLOG
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali
articolo 2 (Diritto alla vita) comma 2:
La morte non si considera inflitta in violazione di questo articolo quando risulta da un ricorso alla forza resosi assolutamente necessario …  per reprimere, in modo conforme alla legge, una sommossa o una insurrezione.
— 
Mentre la situazione economica internazionale sta rapidamente precipitando, avvengono quasi di sfuggita sullo sfondo dei movimenti assai curiosi, che visti in una prospettiva più ampia assumono una connotazione leggermente preoccupante.Nel 2008 vi fu una accesa polemica in Italia per la decisione del governo di schierare per le strade delle città un numero cospicuo di militari, per la precisione 2500 fanti dell'Esercito destinati a compiti di sicurezza e di ordine pubblico.
Una assoluta novità nella storia dell’Italia repubblicana, ed una misura che ricordava troppo da vicino usanze più congeniali a regimi dittatoriali.
Ma per quale motivo?
Quasi sicuramente una decisione che aveva uno scopo pratico, ovvero il testare la reazione popolare di fronte ad un provvedimento tipico di uno stato in cui vige la legge marziale.
Nello stesso modo, il governo tedesco aveva proposto di modificare la costituzione per permettere un dispiegamento dell’esercito all'interno dei confini nazionali.
La spiegazione ufficiale di questa manovra è la necessità di “combattere il terrorismo”.
Una scusa ovviamente risibile, dal momento che le vittime per il terrorismo sul suolo tedesco negli ultimi anni sono pari a quelle causate da caduta di dischi volanti.
Lo stesso provvedimento è stato preso negli Stati Uniti, dove dal 1° Ottobre 2008 è stata dispiegata sul suolo nazionale una brigata di fanteria, una brigata di combattimento attivo in precedenza di stanza in Iraq.
Ancora una volta, si tratta di una misura inconsueta, un fatto mai verificatosi in precedenza.
Sempre negli Stati Uniti, si ricorderà come l’amministrazione Bush si sia a lungo impegnata negli ultimi anni nella costruzione di numerosi campi di detenzione per civili.
Se ne contano più di 800 sparsi su tutto il territorio americano, pronti all’uso e al momento del tutto vuoti.
Ma pronti per chi?
Se facciamo ancora un passo indietro, vi è un altro indizio che suggerisce un determinato scenario.
Torniamo in Europa, e riprendiamo in mano il famigerato Trattato di Lisbona, ovvero la nuova costituzione dell’entità orwelliana che risponde al nome di Unione Europea.
Un trattato sempre rigettato dai cittadini nelle sue varie forme, ma che finirà solennemente ratificato all’unanimità nelle oscure sale dei vari parlamenti europei.
Il Trattato di Lisbona è stato compilato in modo volutamente confusionale, con una sequenza di continui rimandi e aggiunte a documenti precedentemente redatti, come il Trattato sull’Unione Europea (TUE), la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea e la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU).
L’articolo Articolo 52, paragrafo 3 del Trattato di Lisbona così recita:
3. Laddove la presente Carta contenga diritti corrispondenti a quelli garantiti dalla convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (detta CEDU), il significato e la portata degli stessi sono uguali a quelli conferiti dalla suddetta convenzione.
Ciò implica che la CEDU sia parte costituente del Trattato.
Ed arrivando al dunque, vediamo cosa dice questa Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali , all’articolo Articolo 2 – Diritto alla vita:
1. Il diritto alla vita di ogni persona è protetto dalla legge.
Nessuno può essere intenzionalmente privato della vita, salvo che in esecuzione di una sentenza capitale pronunciata da un tribunale, nel caso in cui il delitto è punito dalla legge con tale pena.
2. La morte non si considera inflitta in violazione di questo articolo quando risulta da un ricorso alla forza resosi assolutamente necessario:
1. per assicurare la difesa di ogni persona dalla violenza illegale;
2. per eseguire un arresto regolare o per impedire l'evasione di una persona regolarmente detenuta;
3. per reprimere, in modo conforme alla legge, una sommossa o una insurrezione.
Ecco quindi che secondo il Trattato di Lisbona, diviene lecito privare della vita un cittadino quando il ricorso alla forza da parte dello stato si rende assolutamente necessario, come ad esempio nel caso di una “sommossa”.
 
Una aggiunta curiosa, questa dei padri costituenti.
Quando mai si è vista nell'Europa contemporanea, placida e pacifica, una insurrezione popolare tale da giustificare un intervento armato da parte delle forze dell'ordine?
Perchè si sente ora la necessità di autorizzare queste forze dell'ordine ad agire in tal senso?
Facendo quindi un breve riepilogo di tutti questi elementi inizia a delinearsi un quadro dai tratti alquanto foschi.
La crisi economica che stiamo vivendo è assai grave, e la sua portata non è stata ancora sperimentata.
La crisi ad oggi ha travolto le strutture finanziarie, e per la maggioranza dei cittadini pare avere solamente un carattere numerico, cifre che ci vengono dispiegate dai telegiornali e che non siamo nemmeno in grado di quantificare.
Quando la debolezza del sistema finanziario farà sentire i suoi effetti sull’economia reale, allora anche il singolo cittadino conoscerà in prima persona il significato di questa depressione.
Gli indebitati non saranno più in grado di ripagare i propri debiti, il blocco del credito implicherà un grosso calo nella produzione con conseguenti fallimenti e licenziamenti su grande scala.
Il periodo delle vacche grasse per l’Occidente è finito, un periodo di prosperità iniziato nel dopoguerra e che era fondato essenzialmente sul debito, in maniera via via più marcata.
Questo è il momento in cui quei debiti si pagano, e occorrerà farsene una ragione.
E l’elite del potere tali scenari li aveva già previsti da tempo, dal momento che ha le idee un po’ più chiare degli economisti della domenica che affollano i media e che ancora non hanno idea del perché tutto questo stia succedendo.
Una grande crisi economica, le conseguenti rivolte popolari, una serie di provvedimenti atti a fronteggiare al meglio tali “sommosse”, con tanto di eserciti schierati per le strade, autorizzati a sparare sulle folle e con tanti campi di concentramento già allestiti, per i “dissidenti”.
Ed alla fine del temporale, come un Deus ex Machina calerà dall’alto la definizione di un Nuovo Ordine, di cui tutti sapranno ormai accettare la necessità.

2012.02.23 – LA VISITA DEL PRESIDENTE ITALIANO NAPOLITANO ALLA NAZIONE SARDA

  
La politica grata a Napolitano: “Custode dei diritti dei sardi”
 
La politica grata a Napolitano:
 
Napolitano durante la visita in Sardegna
Le promesse non sono mai mancate, da queste parti.
Sono i fatti che lasciano a desiderare.
Quindi sarebbe comprensibile, da parte della politica regionale, una sana diffidenza verso gli impegni assunti da Giorgio Napolitano in Sardegna.
Invece, dopo la visita del capo dello Stato, i vertici istituzionali appaiono decisamente più fiduciosi di prima.
I commenti del governatore Ugo Cappellacci e del sindaco di Cagliari, Massimo Zedda, lo confermano: la sensazione è che il presidente della Repubblica non vorrà apparire come quelli (da lui stesso criticati) che in passato hanno parlato a vanvera
Anzi, secondo Cappellacci il Quirinale sarà ancor più un «saldo riferimento».
Il governatore lo scrive in una lettera di ringraziamento inviata ieri all’illustre ospite: «Lei signor presidente – vi si legge – appare ormai agli occhi dei sardi come il massimo garante dei nostri diritti e degli impegni presi con l’Isola dal precedente e dall’attuale governo». 
tratto da: Facebook
 
 
Foto di Giuseppe Biasi
Napolitano tornatene in Italia……
Il presidente dello stato italiano è stato accolto a sassari al grido di “buffone buffone, non ti vogliamo”, “servo dele banche”….
Resterà la visita delle proteste, dei cori ingiuriosi, delle contestazioni. Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano non dimenticherà molto facilmente l’accoglienza che una parte della Sardegna gli ha riservato nella sua due giorni nell’isola. I giornali nazionali se ne sono accorti, ed è una notizia. Perché il tabù è stato violato. La figura del Capo dello Stato finora era sempre rimasta immune da contestazioni, oppure erano state ben celate dalla potentissima macchina del Quirinale. Stavolta no, stavolta non è stato possibile.
E che Napolitano temesse le contestazioni lo si capisce facilmente analizzando, a mente fredda, tre episodi avvenuti nel corso della sua giornata cagliaritana. Uno più inverosimile dell’altro.
Il primo ce lo racconta Sardegna Quotidiano di ieri. In un pezzo uscito a pagina 2 e dal titolo “La strana caccia al sulcitano”, il giornale ci informa che
“Dopo il blocco del corteo non autorizzato partito da piazzale Trento, alcuni manifestanti hanno cercato di raggiungere il Municipio (dove si trovava Napolitano, ndr) in pullman. Inutile: sono stati fermati da agenti della polizia saliti a bordo dei mezzi di linea e invitati a scendere, nonostante avessero in mano il biglietto”.
Gli agenti hanno chiesto i documenti a tutti i passeggeri per identificare chi veniva dal Sulcis. Scrive Sardegna Quotidiano:
“Giampaolo Muntoni, Giuliano Marongiu e Simona Pastorini sono indignati. “Ci hanno chiesto da dove venivamo e gli abbiamo risposto: Da Carbonia. A quel punto ci hanno fatto andare giù dall’autobus”.
Il secondo episodio ce lo racconta il sito Democrazia Oggi, che in un post di Andrea Pubusa dal titolo Presidente, anch’io sono “inkazzato”! si chiede
“Perché è stato soppresso il treno che da Carbonia-Villamassargia-Domusnovas e Siliqua porta a Cagliari? Perché è stata violata la fondamentale libertà di circolazione sancita dall’art. 16 della Costituzione? E con essa altri diritti costituzionali come la libertà di riunione e di manifestazione del pensiero? E tutto questo proprio davanti al Presidente della Repubblica che di queste libertà è il primo custode e garante. Si vuole mettere la mordacchia ad un’intera zona, la più povera d’Italia? Si vuol far tacere un’intera Isola?”.
Il motivo della soppressione del treno è semplice: anche in questo caso, si voleva evitare che dal Sulcis arrivassero centinaia di persone a contestare Napolitano, in quanto rappresentante dello Stato italiano.
Ma l’ultimo episodio è sicuramente il più paradossale. I giornali hanno evitato di approfondirlo, è proprio il caso di dirlo, per carità di patria. Lunedì mattina il presidente ha partecipato al Teatro Lirico ad un incontro sulla Sardegna e i 150  anni dell’Unità d’Italia. In programma era prevista anche l’esecuzione dell’Inno di Mameli. Ma proprio lunedì l’Unione Sarda ci informa che “l’esecuzione dell’Inno di Mameli da parte del coro e dell’Orchestra del Teatro Lirico è saltato per motivi di sicurezza”.
Sì, avete capito bene: “motivi di sicurezza”. La versione ufficiale dice che sarebbe stato difficile gestire l’entrata e l’uscita del coro e dell’orchestra in teatro, che più di cento persone sarebbero dovute restare dietro le quinte per troppo tempo, e via cavillando. La verità “più” ufficiale è invece un’altra: pochi giorni prima della visita di Napolitano, il Quirinale ha preteso che le autorità politiche isolane garantissero che nessuno tra gli orchestrali e i cantanti avrebbe approfittato della situazione per protestare contro i tagli alla cultura e per spiegare in quale difficile situazione versi oggi il Teatro Lirico di Cagliari.
Ma questa garanzia ovviamente nessuno l’ha potuta dare, e così il Quirinale ha preferito fare a meno dell’Inno di Mameli! Straordinario, no?
L’inno ovviamente è stato eseguito regolarmente il giorno dopo a Sassari. Dove però non c’è una fondazione lirica, e quindi nessuno aveva niente da ridire sui tagli alla cultura da parte del governo.
Napolitano si è sorpreso delle contestazioni. Ha risposto a chi lo ha fischiato sia a Cagliari che a Sassari, affermando che lui non è il “rappresentante delle banche” (quello è Monti…) e che “non si contesta con grida futili”.
Sarà anche così. Ma che un Presidente della Repubblica arrivasse a temere un coro, un’orchestra e addirittura l’Inno di Mameli dà l’idea di quanto oggi la politica italiana sia terrorizzata dalle contestazioni, di quanto sia necessario continuare a far credere agli italiani che va tutto bene e che la situazione è sotto controllo. Anche a costo di bloccare treni, pullman e impedire l’esecuzione dell’inno nazionale. Manco fossimo nella Sudamerica degli anni ’70.