Mancano ventiquattro giorni al referendum della monarchia e Vittorio Emanuele III abdica in favore del figlio Umberto II.
La notizia giunge in Vaticano. E Pio XII ha una reazione immediata: «È troppo tardi!» esclama.
E in queste parole c’è un vaticinio: c’è la netta sensazione che la monarchia non sarebbe riuscita a farcela.
«È una decisione che non serve più», commentò il Pontefice «perché, anche se Vittorio Emanuele III esce dalla storia, la monarchia non si salva».
Sono parole che il Papa pronunciò certamente con disagio, perché era noto «l’apprezzamento del Pontefice per la monarchia», mentre nella sua segreteria c’era un orientamento repubblicano.
E questo si può dire anche per monsignor Montini, il futuro Paolo VI.
Gli osservatori politici non condividevano il parere del Pontefice, che alcuni giornali riportarono dopo la sua morte.
L’abdicazione del re, in favore del figlio Umberto, «luogotenente del regno», aveva disorientato l’opinione pubblica e sembrava che da questo gesto la monarchia potesse trarre nuovi argomenti per la campagna del referendum.
«Il re», dichiarò allora uno storico «si era compromesso con il fascismo e il nazismo, mentre il figlio Umberto nessuno potrà mai accusarlo di essersi compromesso con il passato regime…».
Si sperava insomma che, con questo gesto estremo e con l’esilio del re, la monarchia avesse la partita vinta.
Poche persone andarono a salutare l’ex re che s’imbarcava sull’incrociatore «Duca degli Abruzzi», diretto in Egitto.
Finiva un tempo.
Ma finiva anche la monarchia, come aveva profetizzato il Pontefice.