A PROPOSITO DELLA MONARCHIA IN ITALIA

9 maggio 1946.
Mancano ventiquattro giorni al referendum della monarchia e Vittorio Emanuele III abdica in favore del fi­glio Umberto II.
La notizia giunge in Vaticano. E Pio XII ha una reazione im­mediata: «È troppo tardi!» esclama.
E in queste parole c’è un vaticinio: c’è la netta sensazione che la monarchia non sarebbe riuscita a farcela.
«È una decisione che non serve più», commentò il Pontefice «perché, anche se Vittorio Emanuele III esce dalla storia, la monarchia non si salva».
Sono parole che il Papa pronunciò certamente con disagio, perché era noto «l’apprezzamento del Pontefice per la monar­chia», mentre nella sua segreteria c’era un orientamento repub­blicano.
E questo si può dire anche per monsignor Montini, il futuro Paolo VI.
Gli osservatori politici non condividevano il parere del Pon­tefice, che alcuni giornali riportarono dopo la sua morte.
L’abdicazione del re, in favore del figlio Umberto, «luogote­nente del regno», aveva disorientato l’opinione pubblica e sem­brava che da questo gesto la monarchia potesse trarre nuovi ar­gomenti per la campagna del referendum.
«Il re», dichiarò allora uno storico «si era compromesso con il fascismo e il nazismo, mentre il figlio Umberto nessuno potrà mai accusarlo di essersi compromesso con il passato regime…».
Si sperava insomma che, con questo gesto estremo e con l’e­silio del re, la monarchia avesse la partita vinta.
Poche persone andarono a salutare l’ex re che s’imbarcava sull’incrociatore «Duca degli Abruzzi», diretto in Egitto.
Finiva un tempo.
Ma finiva anche la monarchia, come aveva profetizzato il Pontefice.