Dopo due giorni di insulti e proteste, il leader del Carroccio decide di lasciare il Cadore.
"Brutto, brutto, brutto: andiamo via", si sfoga con pochi intimi all'interno di un hotel Ferrovia blindato.
Il clima è talmente pesante che la cena per il 64esimo compleanno di Tremonti è spostato all'ultimo secondo nella baita a Lorenzago del ministro dell'Economia
“Brutto, brutto, brutto: andiamo via”.
Umberto Bossi nella notte decide di lasciare l’hotel Ferrovia di Calalzo di Cadore per timore di altre proteste.
Ci sono voluti due giorni di contestazioni dell’ormai ex popolo leghista bellunese e decine di insulti dei passanti, per far comprendere al leader del Carroccio che la base ha superato il limite di sopportazione.
Tornare indietro ora è difficile.
Da contadino della politica quale è, Bossi ha compreso che non può più salvarsi dal Titanic: affonderà insieme a Silvio Berlusconi.
Mercoledì sera ha dovuto cancellare il comizio in piazza per timore delle proteste leghiste, capitanate dal presidente della Provincia di Belluno che si è presentato con la bandiera dell’ente listata a lutto.
Ieri ha ricevuto insulti dalle auto che passavano davanti all’albergo.
Si è nascosto per tutto il giorno all’interno insieme a Roberto Calderoli.
E i dieci minuti che è uscito per accogliere l’amico Giulio Tremonti, i tre sono stati costretti a farsi circondare da una decina di uomini della scorta.
Prigionieri a casa loro.
Tanto che ieri sera la tradizionale festa di compleanno del ministro dell’economia all’hotel Ferrovia è stata trasferita all’ultimo minuto (nella speranza di depistare proteste e giornalisti) nella baita di Tremonti a Lorenzago.
La stessa baita dove i quattro saggi del centrodestra stilarono il federalismo che fu poi bocciato dagli elettori con il referendum.
La baita è raggiungibile solo attraversando un cancello, ovviamente ieri notte sigillato e sotto stretta sorveglianza.
Nascosti nella loro terra, in fuga dagli ex elettori che per venti anni hanno regalato alla Lega la sensazione di potere e immortalità che adesso comincia a franare.
Alberto da Giussano non può fare nulla, l’inesistente Padania comincia a essere ridimensionata agli occhi di Bossi.
Le proteste fanno male.
Anche ieri per tutto il giorno è stato un continuo susseguirsi di manifestazioni e contestazioni davanti all’albergo.
Dal sindaco Pdl del Comune di Calalzo al presidente provinciale di Confcommercio, dagli ex leghisti e autonomisti, al Pd ai cittadini.
Qui era impensabile fino a pochi mesi fa che qualcuno potesse criticare il Capo.
All’hotel Ferrovia di Gino Mondin era un continuo pellegrinaggio di complimenti, mani da stringere, baci e foto ricordo tutti sorridenti col ministro leghista di turno.
Dalle macchine che passavano davanti all’albergo è sempre stato un “viva Bossi, viva la Lega”.
Da due giorni invece la strada è piena di contestatori e manifestanti.
E dalle auto il conducente più delicato gli ha gridato contro “cialtrone”.
Il livello di sopportazione è ampiamente superato, ma la realtà non ha ancora preso forma nella mente del Carroccio.
Il nervosismo è palpabile.
A un giornalista della Rai regionale che lo segue imperterrito persino all’inaugurazione di una piccolissima centrale elettrica, Bossi si mostra molto infastidito.
“Vaffanculo, siete anche qui”.
Così, dopo essersi nascosto per tre giorni, Bossi sceglie di scappare.
Lo fa di notte.
Mentre cenava nella baita, poco dopo le una di questa mattina, i sei uomini della scorta del leader leghista hanno pagato il conto dell’albergo (che era prenotato per Bossi fino a venerdì), fatto le valigie, caricato le macchine.
Poi sono andati a prelevare il Capo e lo hanno portato lontano dalle contestazioni.
Presumibilmente a Gemonio, a casa sua.
Dove almeno una bandiera della Lega rimarrà alta: quella che ha nel suo giardino.
Calderoli è invece rimasto a dormire in albergo perché G., il figlio della compagna Gianna Gancia (presidente della Provincia di Cuneo) ha undici anni ed era stanco.
Partiranno all’alba, ha fatto sapere il ministro per la Semplificazione.
Quando i giornalisti presumibilmente dormiranno e, soprattutto, i contestatori non saranno tornati qui davanti.
A ripercorrere gli eventi di questi tre giorni appare evidente come la Lega deve fare i conti con una inaspettata realtà: non ha più il polso del territorio.
La base è stanca, non ne può più di leggi ad personam, nuove tasse.
Da mesi gli elettori del Carroccio chiedono a Bossi di staccare la spina al governo e lasciare Berlusconi.
La base lo ha chiesto talmente ad alta voce attraverso i canali consueti, che il Carroccio invece di dialogare con i malpancisti, ha preferisco censurarli chiudendo persino gli interventi liberi a Radio Padania.
Ora è troppo tardi.
Berlusconi non si può più scaricare.
Ed è lo stesso Senatùr ad averlo compreso. “Silvio ha vinto grazie a noi e ora noi perdiamo grazie a lui”, si è confidato in uno sprazzo di spietata lucidità.
Il gioco è finito.
Le proteste fanno male.
Meglio tornare a casa, durante la notte.
Al buio, di soppiatto, senza farsi vedere da nessuno.
"Brutto, brutto, brutto: andiamo via", si sfoga con pochi intimi all'interno di un hotel Ferrovia blindato.
Il clima è talmente pesante che la cena per il 64esimo compleanno di Tremonti è spostato all'ultimo secondo nella baita a Lorenzago del ministro dell'Economia
“Brutto, brutto, brutto: andiamo via”.
Umberto Bossi nella notte decide di lasciare l’hotel Ferrovia di Calalzo di Cadore per timore di altre proteste.
Ci sono voluti due giorni di contestazioni dell’ormai ex popolo leghista bellunese e decine di insulti dei passanti, per far comprendere al leader del Carroccio che la base ha superato il limite di sopportazione.
Tornare indietro ora è difficile.
Da contadino della politica quale è, Bossi ha compreso che non può più salvarsi dal Titanic: affonderà insieme a Silvio Berlusconi.
Mercoledì sera ha dovuto cancellare il comizio in piazza per timore delle proteste leghiste, capitanate dal presidente della Provincia di Belluno che si è presentato con la bandiera dell’ente listata a lutto.
Ieri ha ricevuto insulti dalle auto che passavano davanti all’albergo.
Si è nascosto per tutto il giorno all’interno insieme a Roberto Calderoli.
E i dieci minuti che è uscito per accogliere l’amico Giulio Tremonti, i tre sono stati costretti a farsi circondare da una decina di uomini della scorta.
Prigionieri a casa loro.
Tanto che ieri sera la tradizionale festa di compleanno del ministro dell’economia all’hotel Ferrovia è stata trasferita all’ultimo minuto (nella speranza di depistare proteste e giornalisti) nella baita di Tremonti a Lorenzago.
La stessa baita dove i quattro saggi del centrodestra stilarono il federalismo che fu poi bocciato dagli elettori con il referendum.
La baita è raggiungibile solo attraversando un cancello, ovviamente ieri notte sigillato e sotto stretta sorveglianza.
Nascosti nella loro terra, in fuga dagli ex elettori che per venti anni hanno regalato alla Lega la sensazione di potere e immortalità che adesso comincia a franare.
Alberto da Giussano non può fare nulla, l’inesistente Padania comincia a essere ridimensionata agli occhi di Bossi.
Le proteste fanno male.
Anche ieri per tutto il giorno è stato un continuo susseguirsi di manifestazioni e contestazioni davanti all’albergo.
Dal sindaco Pdl del Comune di Calalzo al presidente provinciale di Confcommercio, dagli ex leghisti e autonomisti, al Pd ai cittadini.
Qui era impensabile fino a pochi mesi fa che qualcuno potesse criticare il Capo.
All’hotel Ferrovia di Gino Mondin era un continuo pellegrinaggio di complimenti, mani da stringere, baci e foto ricordo tutti sorridenti col ministro leghista di turno.
Dalle macchine che passavano davanti all’albergo è sempre stato un “viva Bossi, viva la Lega”.
Da due giorni invece la strada è piena di contestatori e manifestanti.
E dalle auto il conducente più delicato gli ha gridato contro “cialtrone”.
Il livello di sopportazione è ampiamente superato, ma la realtà non ha ancora preso forma nella mente del Carroccio.
Il nervosismo è palpabile.
A un giornalista della Rai regionale che lo segue imperterrito persino all’inaugurazione di una piccolissima centrale elettrica, Bossi si mostra molto infastidito.
“Vaffanculo, siete anche qui”.
Così, dopo essersi nascosto per tre giorni, Bossi sceglie di scappare.
Lo fa di notte.
Mentre cenava nella baita, poco dopo le una di questa mattina, i sei uomini della scorta del leader leghista hanno pagato il conto dell’albergo (che era prenotato per Bossi fino a venerdì), fatto le valigie, caricato le macchine.
Poi sono andati a prelevare il Capo e lo hanno portato lontano dalle contestazioni.
Presumibilmente a Gemonio, a casa sua.
Dove almeno una bandiera della Lega rimarrà alta: quella che ha nel suo giardino.
Calderoli è invece rimasto a dormire in albergo perché G., il figlio della compagna Gianna Gancia (presidente della Provincia di Cuneo) ha undici anni ed era stanco.
Partiranno all’alba, ha fatto sapere il ministro per la Semplificazione.
Quando i giornalisti presumibilmente dormiranno e, soprattutto, i contestatori non saranno tornati qui davanti.
A ripercorrere gli eventi di questi tre giorni appare evidente come la Lega deve fare i conti con una inaspettata realtà: non ha più il polso del territorio.
La base è stanca, non ne può più di leggi ad personam, nuove tasse.
Da mesi gli elettori del Carroccio chiedono a Bossi di staccare la spina al governo e lasciare Berlusconi.
La base lo ha chiesto talmente ad alta voce attraverso i canali consueti, che il Carroccio invece di dialogare con i malpancisti, ha preferisco censurarli chiudendo persino gli interventi liberi a Radio Padania.
Ora è troppo tardi.
Berlusconi non si può più scaricare.
Ed è lo stesso Senatùr ad averlo compreso. “Silvio ha vinto grazie a noi e ora noi perdiamo grazie a lui”, si è confidato in uno sprazzo di spietata lucidità.
Il gioco è finito.
Le proteste fanno male.
Meglio tornare a casa, durante la notte.
Al buio, di soppiatto, senza farsi vedere da nessuno.
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