Barbara Benini Chiavegato. Si firma così la moglie del Serenissimo Lucio Chiavegato, affiancando al suo cognome – rigorosamente – anche quello del marito, quasi a dire che lei non ha paura di stare dalla sua parte, contro la procura di Brescia che – in un blitz assai labile – ha condotto il leader del Comitato 9 Dicembre, già presiedente della LIFE (Liberi Imprenditori Federalisti Europei, ndr) e del movimentoVeneto Stato, dietro le sbarre. La sua foto sulle prime pagine di tutti i giornali, sotto il titolo “terroristi”. Dietro gli occhiali scuri e una voce che accenna emozione, c’è una donna forte. Fortissima. Vestita con un pantalone beige e una giacchetta di pelle scura, che ha appuntato sulla borsa a tracolla un’adesivo della bandiera di San Marco. Lo mostra fiera in piazza dei Signori, dove è stata organizzata la manifestazione leghista a sostegno (hanno detto) dei 24 arrestati. Lo stesso vessillo che indossava il giorno prima davanti al carcere di Montorio quando, in 250 persone amici di Lucio Chiavegato, si sono trovate per far arrivare a lui il loro sostegno.
«Sono arrivati alle 5 del mattino, erano in otto tra carabinieri e Ros – ci racconta – A differenza degli altri fermati non avevano un mandato di arresto, ma solo uno di perquisizione. Hanno guardato in ogni angolo della casa, rimanendo da noi per più di due ore. Hanno sequestrato di tutto, dai computer di casa ai cellulari. Addirittura dei cd che contenevano foto di famiglia. Poi, intorno alle 7 e 30, hanno portato mio marito in caserma. Mi hanno detto che dovevano fargli firmare dei documenti relativi alla perquisizione. E invece lo hanno arrestato: io da quella mattina non l’ho più visto né sentito». Una sola chiamata dalle forze dell’ordine, per consegnargli il faldone con tutta la documentazione relativa l’accusa, tra cui le intercettazioni che lei dice «non provano assolutamente nulla». Una «azione più politica» che di sicurezza pubblica: «Aspetto che mandino mio marito a casa – dice – Succederà, con calma. Dal mio punto di vista non c’è nulla che lo accusi, ma lo trattengono in carcere perché devono giustificare questa inchiesta. Dimostrare che è una cosa seria». Quando di serio, anche per chi non è indipendentista, sembra non esserci nulla. Gli scagnozzi di Matteo Salvini, arrivato con lauto anticipo alla manifestazione programmata per le 18, si danno il turno per sussurrarle all’orecchio che «il segretario del Carroccio vorrebbe salutarla», e lei impassibile gli risponde che «deve aspettare, sta finendo di parlare» con me, che conosco suo marito ma che incontro lei per la volta. Gli chiedo della sua presenza alla manifestazione del partito che, Lucio Chiavegato, non ha mai appoggiato. Anzi, verso cui puntava il dito come buona parte degli indipendentisti: «Il mio primo pensiero è che si trattasse di una strumentalizzazione – dice – Lo sappiamo tutti che la Lega Nord ha perso consensi in tutto il Veneto, e a poche settimane dalle elezioni europee credo stiano cercando di recuperarli. Ho deciso di partecipare per mio marito, ma lo dico chiaramente: per noi quello che conta è l’indipendenza. E vorrei sapere che cosa ne pensa la Lega, che cosa sta facendo davvero per questo obbiettivo. Un giorno parlano di autodeterminazione, l’altro di federalismo, poi di autonomia. Lo spieghino chiaramente, a noi e a tutti i loro elettori».
Strumentalizzazione. La stessa parola che ribadisce sul palco davanti al pubblico padano che ha riempito la piazza. Lo dice perché vuole dirlo e, si vede, cercando tutta la forza di chi è sempre stato all’esterno degli occhi mediatici. Noi le chiediamo dei bambini, della sua famiglia: «Loro sono sereni, perché lo sanno che il papà è attivo in politica. È successo, e lo affronteremo insieme. Noi siamo con lui».