Comprendiamo l'indignazione di alcuni italiani… ma i martiri delle foibe sono anche cittadini della Repubblica Veneta, Veneti e Istro Veneti e Dalmati, altro che italiani.
Il lamentato revisionismo storico contro la becera sinistra italiana non si limiti anch'esso ad una verità di parte e fittizzia.
I festetggiamenti dei 150 anni dell'unità d'italia non sono solo il frutto di una ipocrisia (come scrive un lettore al giornale d'italia-vedi sotto), ma palesano quanto l'italia sia l'artefice e complice di una mistificazione gravissima perchè anche Il risorgimento italiano è in realtà un mito inesistente.
Veri e propri genocidi, massacri, campi di concentramento e l'esodo di popoli sono il marchio indelebile e il prezzo di questa falsa unità d'italia.
La mistificazione dei 150 anni dell'unità d'italia è un insulto alle vittime innocenti, ai combattenti e patrioti che hanno difeso, anche con l'estremo sacrificio della vita, le loro Patrie.
L'italia ha sistematicamente adottato provvedimenti d’autorità per cancellare dalla memoria del Popolo Veneto le proprie tradizioni, la propria cultura, la propria lingua e soprattutto la storia del proprio passato.
L'italia, quale stato straniero occupante che è, adotta da anni una sistematica azione di discriminazione razziale contro il Popolo Veneto, palesando un vero e proprio razzismo istituzionale allo scopo di annientare l’Amor Patrio e l’identità Nazionale del Popolo Veneto che sono valori universali per ogni Popolo e quindi inalienabili, irrinunciabili, incedibili e imprescrittibili.
L'italia, quale stato straniero occupante che è, adotta da anni una sistematica azione di discriminazione razziale contro il Popolo Veneto, palesando un vero e proprio razzismo istituzionale allo scopo di annientare l’Amor Patrio e l’identità Nazionale del Popolo Veneto che sono valori universali per ogni Popolo e quindi inalienabili, irrinunciabili, incedibili e imprescrittibili.
vedi anche:
WSM
Venetia, 2 agosto 2013
Sergio Bortotto, Presidente del MLNV e del Governo Veneto Provvisorio.
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LETTERA DI UN LETTORE DE "IL GIORNALE D'ITALIA"10/02/2013
Ricordare le vittime delle foibe vuol dire (anche) onorare il nostro Paese
Per evitare ogni negazionismo
Per evitare ogni negazionismo
Alle volte risulta più conveniente, alla classe politica, nascondere e occultare vere e proprie vergogne, dimenticate dai libri di storia. La legge n. 92 del 30 marzo 2004 ha concesso un riconoscimento, istituendo la "Giornata del ricordo, in onore delle vittime delle foibe, aventi una colpa: essere italiane o contrarie al regime comunista.Le foibe sono delle cavità naturali presenti sul Carso (altipiano alle spalle di Trieste e dell'Istria).
Alla fine del secondo conflitto mondiale i partigiani comunisti di Tito vi gettarono migliaia di persone, alcune dopo averle anche fucilate, altre ancora vive.
Purtroppo è impossibile quantificare le vittime delle foibe, ma circa 1.000 sono le salme esumate e diverse cavità sono irraggiungibili, a 60 anni di distanza..
Approssimativamente sono 6.000 – 7.000 persone uccise nelle Foibe, alla quali vanno aggiunte più altre 3.000 scomparse nei gulag, ossia i campi di concentramento del regime di Tito.
Gli infoibati erano prevalentemente italiani e tutti coloro che si opponevano al regime comunista titino.
Vi erano anche sloveni e croati, mentre tra gli italiani gli ex fascisti e gente comune che aveva la sola colpa di essere italiana o anti-comunista.
Le vittime dei titini venivano condotte, dopo atroci sevizie, nei pressi della foiba, dove gli aguzzini bloccavano i loro polsi e i piedi, tramite filo di ferro, ogni singola persona, servendosi anche di di pinze, e legavano gli uni agli altri sempre attraverso fil di ferro.
Così come è inopportuno il negazionismo sulla shoah, è giusto anche non continuare più a nascondere tale ferita, ancora apertissima, della storia italiana.
Quando inizieremo a fare ciò potremo dire che l'Italia e gli italiani hanno ancora un pizzico di patriottismo, una consapevolezza della storia del loro paese, altrimenti la festa dei 150 anni (152, ndr) dell'unità d'Italia sarà stata solo il frutto di una grande ipocrisia.
Per carità, non voglio innescare alcuna polemica ma, quando si parla di patriottismo, occorre esserlo sempre e onorare il proprio paese in ogni singolo momento della propria vita.
W l'Italia.
Alla fine del secondo conflitto mondiale i partigiani comunisti di Tito vi gettarono migliaia di persone, alcune dopo averle anche fucilate, altre ancora vive.
Purtroppo è impossibile quantificare le vittime delle foibe, ma circa 1.000 sono le salme esumate e diverse cavità sono irraggiungibili, a 60 anni di distanza..
Approssimativamente sono 6.000 – 7.000 persone uccise nelle Foibe, alla quali vanno aggiunte più altre 3.000 scomparse nei gulag, ossia i campi di concentramento del regime di Tito.
Gli infoibati erano prevalentemente italiani e tutti coloro che si opponevano al regime comunista titino.
Vi erano anche sloveni e croati, mentre tra gli italiani gli ex fascisti e gente comune che aveva la sola colpa di essere italiana o anti-comunista.
Le vittime dei titini venivano condotte, dopo atroci sevizie, nei pressi della foiba, dove gli aguzzini bloccavano i loro polsi e i piedi, tramite filo di ferro, ogni singola persona, servendosi anche di di pinze, e legavano gli uni agli altri sempre attraverso fil di ferro.
Così come è inopportuno il negazionismo sulla shoah, è giusto anche non continuare più a nascondere tale ferita, ancora apertissima, della storia italiana.
Quando inizieremo a fare ciò potremo dire che l'Italia e gli italiani hanno ancora un pizzico di patriottismo, una consapevolezza della storia del loro paese, altrimenti la festa dei 150 anni (152, ndr) dell'unità d'Italia sarà stata solo il frutto di una grande ipocrisia.
Per carità, non voglio innescare alcuna polemica ma, quando si parla di patriottismo, occorre esserlo sempre e onorare il proprio paese in ogni singolo momento della propria vita.
W l'Italia.
Federico Tringali
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l coraggio di raccontare "il sangue dei vinti"
Il libro che ha cambiato il modo di vedere la Resistenza
Il libro che ha cambiato il modo di vedere la Resistenza
Il coraggio di raccontare "il sangue dei vinti"
A 10 anni dall'uscita della sua opera, Giampaolo Pansa ricorda di come la faziosa storiografia di sinistra lo abbia ostracizzato per aver contribuito a far crollare il mito, uniformemente accettato, dei partigiani "eroi" a tutti i costi.
La storia, si sa, la scrivono i vincitori.
Questa è una verità assoluta.
Senza possibilità di appello.
E il sangue dei vinti che fine fa?
Viene dimenticato, senza che sia restituita una dignità a quanti hanno combattuto sul fronte degli sconfitti.
Un oblio che, nel caso della Resistenza, è durato esattamente sessant’anni.
Fino al 2003, quando un giornalista –notoriamente di sinistra- decide di raccontare un’altra verità.
Nasce così “il sangue dei vinti” di Giampaolo Pansa.
Uscito nelle librerie proprio 10 anni fa, all’inizio del 2003.
Un’altra verità
Il suo racconto di “ciò che accadde in Italia dopo il 25 aprile” diventa un vero e proprio caso mediatico.
Alla fine dell’anno il volume (di quasi 400 pagine) è stato divorato da migliaia di lettori.
Per l’esattezza, ne vengono vendute 400.000 copie in meno di 12 mesi.
Oggi, a distanza di una decade, Pansa ripropone il suo libro con una nuova introduzione, che tira un po’ le somme di come quell’opera venne accolta dalla “storiografia ufficiale”.
“Il baccano –ricorda Pansa nella nuova introduzione-aveva un precedente.
Nel 2002 sempre con la Sperling & Kupfer (stessa casa editrice de Il sangue dei vinti, ndr) avevo pubblicato I figli dell’Aquila, dedicato alle vicende di un ventenne che aveva combattuto per la Repubblica Sociale (…).
Partendo dalle sue traversie, narravo il percorso di tanti ragazzi italiani che avevano scelto di rifiutare l’armistizio del 1943, per schierarsi con Benito Mussolini nell’ultima battaglia.
Erano i vituperati ‘repubblichini’, parola che odio e che non uso oramai.
Il racconto si concludeva con la ritirata dei marò di San Marco verso il Po, nella fase finale della guerra”.
La polemica sorta in seguito al libro di Pansa nel 2002 non è nulla a confronto di ciò che avviene appena un anno dopo: “in quel libro non andavo ancora a toccare un nervo scoperto: quanto era accaduto dopo il 25 aprile del 1945.
Con la resa dei conti brutale imposta ai fascisti sconfitti, le esecuzioni di massa, gli stupri, le vendette, le torture.
In una parola il lato oscuro della Resistenza e le migliaia di morti che nascondeva”.
No, quello davvero no, non si può dire.
In un Paese come il nostro ci sono certi (falsi) miti che devono rimanere tali.
Granitici.
Incrollabili.
E, quanto fatto dai partigiani nella cosiddetta guerra di Liberazione dal nazi-fascismo sembra essere la più assoluta delle certezze su cui poggia l’Italia repubblicana.
Quasi che le basi della nostra Costituzione poggino esclusivamente sulla Resistenza e nulla più.
Va protetta, quindi, la verità raccontata da chi quella guerra ha deciso fosse suo esclusivo appannaggio.
Quella storia scritta dai vincitori deve essere l’unica versione possibile dei fatti.
Anche se chi ha vinto è un assassino.
Nonostante “gli eroi” siano stati riconosciuti tali per aver trucidato ragazzi (e non solo), spesso poco più che ventenni, solo perchè avevano fatto una scelta differente.
Quella dell’onore e della coerenza.
Vietato raccontare certe atrocità.
Ed il divieto arriva proprio da quanti si reputano i custodi-difensori di quella verità “ufficiale”.
Scrive sempre Pansa: “questi piccoli baroni non accettavano che un dilettante come il sottoscritto avesse osato invadere il loro territorio.
Mi giudicavano un abusivo, doppiamente molesto perché davo una lettura della Resistenza che loro consideravano blasfema”.
La rappresaglia
L’intellettuale dissidente, ma soprattutto il suo libro, comincia ad avere successo.
E così, come sempre avviene in ogni regime che si rispetti, chiunque non aderisca al pensiero unico –dettato dall’alto- è bene che sia annientato.
“Nei miei lavori successivi replicai alle critiche che i custodi della sacralità della Resistenza seguitavano a rivolgermi.
E ai fastidi che mi procuravano le loro truppe in piazza.
Culminati con un’aggressione a Reggio Emilia nell’ottobre del 2006 che in seguito mi costrinse a presentare i miei libri sempre protetto dalla polizia e dai carabinieri.
Sino a quando mi vidi obbligato a rinunciare ai dibattiti in pubblico”.
Una brutta serata, quella del 2006 per il giornalista di Casale Monferrato: “il 16 di ottobre, una banda di squadristi rossi, arrivata apposta da Roma e capeggiata da un funzionario di Rifondazione comunista, si era data da fare per impedire la presentazione della Grande Bugia(…).
La squadraccia fece un buco nell’acqua , perché l’intervento del pubblico che gremiva il salone dell’hotel Astoria la costrinse a sloggiare”.
La vendetta della “storia”
È però un altro il vero problema con cui Pansa deve fare i conti, qualche tempo dopo: “la mattina del 9 novembre 2006, mentre sfogliavo le pagine culturali della Stampa (quotidiano dove Pansa iniziò la sua carriera di giornalista, ndr) incappai in un titolone che strillava: Resistenza, hanno vinto i revisionisti.
L’occhiello chiariva il concetto così: la storia dei partigiani è sul banco degli imputati, ma gli studiosi che si riconoscono nella tradizione comunista tacciono.
Hanno gettato la spugna?
La lezione esposta sulla pagina era del professor Giovanni De Luna, docente di storia contemporanea all’Università di Torino”.
Il professore, però, è in ottima compagnia.
“(…)
Quattro giorni dopo l’aggressione di Reggio Emilia, con un tempismo da piccola vendetta rossa sempre all’erta si rifece vivo un altro storico accademico che mi aveva già infastidito per il sangue dei vinti.
Era Sergio Luzzati, 43 anni (sic!), docente di storia moderna, sempre a Torino che ottenne dal Corriere della Sera di poter pubblicare un suo personale editto di condanna al sottoscritto: Piace al ventre molle dell’Italia ignava.
Con un sottotitolo elaborato dai cervelloni della terza pagina di via Solferino: La rivincita.
Che soddisfazione per i nostalgici di Salò.
Luzzato sosteneva che La Grande bugia fosse un libro inutile perché ripeteva ‘cose che tutti sanno’.
Una robaccia ‘stilisticamente pedestre’.
Ma Luzzato sentiva il bisogno di mostrarsi ben più cazzuto.
Spiegò che i libri sfornati a ripetizione da Pansa (‘tonnellate di carta copiativa’), piacevano molto perché ‘il lettore di Pansa è probabilmente lo stesso che tiene in casa i libri di un altro giornalista di razza, Indro Montanelli’”.
Ci sarebbe da precisare che nessuno può dire di essersi fatto davvero una cultura senza aver letto almeno uno degli scritti di Montanelli, ma andiamo avanti con lo storico delirio, o il delirio dello storico, fate un po’ voi: “l’audience giampaolopansista corrisponde al ventre molle di un’Italia anti-antifascista ancor prima che anticomunista.
Un Paese felice di sentirsi ignorante, e di farsi illuminare dal Robin Hood di Casale Monferrato.
L’Italia innamorata di Pansa è un morsa che non fa invidia”.
La parola d’ordine è una sola, categorica e impegnativa per tutti (per parafrasare indegnamente Mussolini): infangare.
Infangare chiunque racconti una verità non allineata.
Vietato ricordare i crimini degli “eroi” col fazzoletto rosso.
I crimini indicibili
Del tutto inappropriato sbattere in faccia a tutti la realtà su un tema scomodo come quello delle foibe, ad esempio.
Tanto che lo scorso febbraio l’Anpi di Torino si è opposta alle commemorazione della giornata del ricordo.
“Quelli morti in Istria, Dalmazia Croazia e Slovenia erano tutti fascisti, se lo sono meritato” , si poteva leggere nel vergognoso comunicato.
E ancora, impensabile pensare di rileggere in un’altra chiave l’attentato di via Rasella, a Roma, nel quale i partigiani fecero saltare in aria, oltre che 42 soldati tedeschi, anche un bambino innocente che stava giocando davanti al portone di casa.
Rosario Bentivegna e sua moglie Carla Capponi, sono degli eroi, senza possibilità di replica.
Nonostante le loro gesta abbiano avuto come diretta conseguenza la strage delle Fosse Ardeatine.
Tutto questo, non è lecito e non è conveniente che venga riportato alla memoria di quel “ventre molle di un’Italia felice di sentirsi ignorante”.
È bene che venga tutto dimenticato.
È ben più importante continuare ad infierire su chi ha scelto di combattere, orgogliosamente, dalla parte sbagliata.
Meglio sputare sul sangue di quei vinti morti in nome di una coerenza che la storia ha sentenziato essere ingiusta.
La pregevole opera di Pansa è simile a quella messa in atto da Luca Telese con il suo “Cuori Neri” che ha restituito la memoria che meritavano ai caduti, di destra, dimenticati degli anni di piombo.
Dispiace solo che questo compito sembri essere appannaggio esclusivo degli intellettuali di sinistra.
E questo, è un altro evidente dato di fatto.
Il merito di Giampaolo Pansa è quello di aver dato voce, anche ai morti dimenticati della Repubblica Sociale, ridimensionando il mito di una Resistenza senza macchia e senza paura.
Da sempre vista nell’ottica miope di una sinistra figlia di quella guerra di liberazione, che non poteva accettare la messa in discussione del dogma: fascisti cattivi, partigiani buoni.
“Tremar dovesse la terra sotto/il tuo gagliardo passo d'ardito/tu va' sicuro con il tuo motto:/ Non ho tradito! (…) E se la morte che t'è d'accanto/Ti vorrà in cielo, dall'infinito/Si udrà più forte, si udrà più santo/Non ho tradito!” (testo del Capitano Bonola, Reg. "Folgore" della R.S.I., campo di concentramento di Coltano, estate 1945)
Micol Paglia
Tratto da (CLICCA QUI)
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e ancora
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A 10 anni dall'uscita della sua opera, Giampaolo Pansa ricorda di come la faziosa storiografia di sinistra lo abbia ostracizzato per aver contribuito a far crollare il mito, uniformemente accettato, dei partigiani "eroi" a tutti i costi.
La storia, si sa, la scrivono i vincitori.
Questa è una verità assoluta.
Senza possibilità di appello.
E il sangue dei vinti che fine fa?
Viene dimenticato, senza che sia restituita una dignità a quanti hanno combattuto sul fronte degli sconfitti.
Un oblio che, nel caso della Resistenza, è durato esattamente sessant’anni.
Fino al 2003, quando un giornalista –notoriamente di sinistra- decide di raccontare un’altra verità.
Nasce così “il sangue dei vinti” di Giampaolo Pansa.
Uscito nelle librerie proprio 10 anni fa, all’inizio del 2003.
Un’altra verità
Il suo racconto di “ciò che accadde in Italia dopo il 25 aprile” diventa un vero e proprio caso mediatico.
Alla fine dell’anno il volume (di quasi 400 pagine) è stato divorato da migliaia di lettori.
Per l’esattezza, ne vengono vendute 400.000 copie in meno di 12 mesi.
Oggi, a distanza di una decade, Pansa ripropone il suo libro con una nuova introduzione, che tira un po’ le somme di come quell’opera venne accolta dalla “storiografia ufficiale”.
“Il baccano –ricorda Pansa nella nuova introduzione-aveva un precedente.
Nel 2002 sempre con la Sperling & Kupfer (stessa casa editrice de Il sangue dei vinti, ndr) avevo pubblicato I figli dell’Aquila, dedicato alle vicende di un ventenne che aveva combattuto per la Repubblica Sociale (…).
Partendo dalle sue traversie, narravo il percorso di tanti ragazzi italiani che avevano scelto di rifiutare l’armistizio del 1943, per schierarsi con Benito Mussolini nell’ultima battaglia.
Erano i vituperati ‘repubblichini’, parola che odio e che non uso oramai.
Il racconto si concludeva con la ritirata dei marò di San Marco verso il Po, nella fase finale della guerra”.
La polemica sorta in seguito al libro di Pansa nel 2002 non è nulla a confronto di ciò che avviene appena un anno dopo: “in quel libro non andavo ancora a toccare un nervo scoperto: quanto era accaduto dopo il 25 aprile del 1945.
Con la resa dei conti brutale imposta ai fascisti sconfitti, le esecuzioni di massa, gli stupri, le vendette, le torture.
In una parola il lato oscuro della Resistenza e le migliaia di morti che nascondeva”.
No, quello davvero no, non si può dire.
In un Paese come il nostro ci sono certi (falsi) miti che devono rimanere tali.
Granitici.
Incrollabili.
E, quanto fatto dai partigiani nella cosiddetta guerra di Liberazione dal nazi-fascismo sembra essere la più assoluta delle certezze su cui poggia l’Italia repubblicana.
Quasi che le basi della nostra Costituzione poggino esclusivamente sulla Resistenza e nulla più.
Va protetta, quindi, la verità raccontata da chi quella guerra ha deciso fosse suo esclusivo appannaggio.
Quella storia scritta dai vincitori deve essere l’unica versione possibile dei fatti.
Anche se chi ha vinto è un assassino.
Nonostante “gli eroi” siano stati riconosciuti tali per aver trucidato ragazzi (e non solo), spesso poco più che ventenni, solo perchè avevano fatto una scelta differente.
Quella dell’onore e della coerenza.
Vietato raccontare certe atrocità.
Ed il divieto arriva proprio da quanti si reputano i custodi-difensori di quella verità “ufficiale”.
Scrive sempre Pansa: “questi piccoli baroni non accettavano che un dilettante come il sottoscritto avesse osato invadere il loro territorio.
Mi giudicavano un abusivo, doppiamente molesto perché davo una lettura della Resistenza che loro consideravano blasfema”.
La rappresaglia
L’intellettuale dissidente, ma soprattutto il suo libro, comincia ad avere successo.
E così, come sempre avviene in ogni regime che si rispetti, chiunque non aderisca al pensiero unico –dettato dall’alto- è bene che sia annientato.
“Nei miei lavori successivi replicai alle critiche che i custodi della sacralità della Resistenza seguitavano a rivolgermi.
E ai fastidi che mi procuravano le loro truppe in piazza.
Culminati con un’aggressione a Reggio Emilia nell’ottobre del 2006 che in seguito mi costrinse a presentare i miei libri sempre protetto dalla polizia e dai carabinieri.
Sino a quando mi vidi obbligato a rinunciare ai dibattiti in pubblico”.
Una brutta serata, quella del 2006 per il giornalista di Casale Monferrato: “il 16 di ottobre, una banda di squadristi rossi, arrivata apposta da Roma e capeggiata da un funzionario di Rifondazione comunista, si era data da fare per impedire la presentazione della Grande Bugia(…).
La squadraccia fece un buco nell’acqua , perché l’intervento del pubblico che gremiva il salone dell’hotel Astoria la costrinse a sloggiare”.
La vendetta della “storia”
È però un altro il vero problema con cui Pansa deve fare i conti, qualche tempo dopo: “la mattina del 9 novembre 2006, mentre sfogliavo le pagine culturali della Stampa (quotidiano dove Pansa iniziò la sua carriera di giornalista, ndr) incappai in un titolone che strillava: Resistenza, hanno vinto i revisionisti.
L’occhiello chiariva il concetto così: la storia dei partigiani è sul banco degli imputati, ma gli studiosi che si riconoscono nella tradizione comunista tacciono.
Hanno gettato la spugna?
La lezione esposta sulla pagina era del professor Giovanni De Luna, docente di storia contemporanea all’Università di Torino”.
Il professore, però, è in ottima compagnia.
“(…)
Quattro giorni dopo l’aggressione di Reggio Emilia, con un tempismo da piccola vendetta rossa sempre all’erta si rifece vivo un altro storico accademico che mi aveva già infastidito per il sangue dei vinti.
Era Sergio Luzzati, 43 anni (sic!), docente di storia moderna, sempre a Torino che ottenne dal Corriere della Sera di poter pubblicare un suo personale editto di condanna al sottoscritto: Piace al ventre molle dell’Italia ignava.
Con un sottotitolo elaborato dai cervelloni della terza pagina di via Solferino: La rivincita.
Che soddisfazione per i nostalgici di Salò.
Luzzato sosteneva che La Grande bugia fosse un libro inutile perché ripeteva ‘cose che tutti sanno’.
Una robaccia ‘stilisticamente pedestre’.
Ma Luzzato sentiva il bisogno di mostrarsi ben più cazzuto.
Spiegò che i libri sfornati a ripetizione da Pansa (‘tonnellate di carta copiativa’), piacevano molto perché ‘il lettore di Pansa è probabilmente lo stesso che tiene in casa i libri di un altro giornalista di razza, Indro Montanelli’”.
Ci sarebbe da precisare che nessuno può dire di essersi fatto davvero una cultura senza aver letto almeno uno degli scritti di Montanelli, ma andiamo avanti con lo storico delirio, o il delirio dello storico, fate un po’ voi: “l’audience giampaolopansista corrisponde al ventre molle di un’Italia anti-antifascista ancor prima che anticomunista.
Un Paese felice di sentirsi ignorante, e di farsi illuminare dal Robin Hood di Casale Monferrato.
L’Italia innamorata di Pansa è un morsa che non fa invidia”.
La parola d’ordine è una sola, categorica e impegnativa per tutti (per parafrasare indegnamente Mussolini): infangare.
Infangare chiunque racconti una verità non allineata.
Vietato ricordare i crimini degli “eroi” col fazzoletto rosso.
I crimini indicibili
Del tutto inappropriato sbattere in faccia a tutti la realtà su un tema scomodo come quello delle foibe, ad esempio.
Tanto che lo scorso febbraio l’Anpi di Torino si è opposta alle commemorazione della giornata del ricordo.
“Quelli morti in Istria, Dalmazia Croazia e Slovenia erano tutti fascisti, se lo sono meritato” , si poteva leggere nel vergognoso comunicato.
E ancora, impensabile pensare di rileggere in un’altra chiave l’attentato di via Rasella, a Roma, nel quale i partigiani fecero saltare in aria, oltre che 42 soldati tedeschi, anche un bambino innocente che stava giocando davanti al portone di casa.
Rosario Bentivegna e sua moglie Carla Capponi, sono degli eroi, senza possibilità di replica.
Nonostante le loro gesta abbiano avuto come diretta conseguenza la strage delle Fosse Ardeatine.
Tutto questo, non è lecito e non è conveniente che venga riportato alla memoria di quel “ventre molle di un’Italia felice di sentirsi ignorante”.
È bene che venga tutto dimenticato.
È ben più importante continuare ad infierire su chi ha scelto di combattere, orgogliosamente, dalla parte sbagliata.
Meglio sputare sul sangue di quei vinti morti in nome di una coerenza che la storia ha sentenziato essere ingiusta.
La pregevole opera di Pansa è simile a quella messa in atto da Luca Telese con il suo “Cuori Neri” che ha restituito la memoria che meritavano ai caduti, di destra, dimenticati degli anni di piombo.
Dispiace solo che questo compito sembri essere appannaggio esclusivo degli intellettuali di sinistra.
E questo, è un altro evidente dato di fatto.
Il merito di Giampaolo Pansa è quello di aver dato voce, anche ai morti dimenticati della Repubblica Sociale, ridimensionando il mito di una Resistenza senza macchia e senza paura.
Da sempre vista nell’ottica miope di una sinistra figlia di quella guerra di liberazione, che non poteva accettare la messa in discussione del dogma: fascisti cattivi, partigiani buoni.
“Tremar dovesse la terra sotto/il tuo gagliardo passo d'ardito/tu va' sicuro con il tuo motto:/ Non ho tradito! (…) E se la morte che t'è d'accanto/Ti vorrà in cielo, dall'infinito/Si udrà più forte, si udrà più santo/Non ho tradito!” (testo del Capitano Bonola, Reg. "Folgore" della R.S.I., campo di concentramento di Coltano, estate 1945)
Micol Paglia
Tratto da (CLICCA QUI)
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e ancora
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1/02/2013
Continua lo scempio contro i martiri delle foibe
A Narni bruciati la corona ed i fiori per Norma Cossetto
A Narni bruciati la corona ed i fiori per Norma Cossetto
Continua lo scempio contro i martiri delle foibe
Non solo lapidi e targhe prese a martellate (a Torino e a Genova), adesso si arriva anche a bruciare e devastare la corona d'alloro deposta nella via dedicata a una delle più tristemente note vittime dell'odio dei partigiani comunisti.
Ma nessuno interviene.
Dopo la distruzione delle targhe per i martiri delle foibe a Torino e a Genova, è arrivato anche l'ennesimo sfregio.
Nella "rossa" Narni sono stati bruciati la corona d'alloro ed il mazzo di fiori deposti in "via Norma Cossetto".
La strada è dedicata ad una delle vittime dell'odio comunista.
Norma Cossetto, 20 anni, venne stuprata ripetutamente e poi gettata -ancora viva- con entrambi i seni pugnalati in una delle gole carsiche.
Contro il vergognoso gesto, nessuna dichiarazione dei rappresentanti delle Istituzioni locali.
Micol Paglia
Tratto da (CLICCA QUI)
—
e ancora
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01/08/2013
L'ordine scellerato della sinistra: dimenticare le vittime delle Foibe
Sergio Marchi (La Destra): "Il Pd si ribelli ai suoi alleati e ponga riparo ad un errore gravissimo"
Non solo lapidi e targhe prese a martellate (a Torino e a Genova), adesso si arriva anche a bruciare e devastare la corona d'alloro deposta nella via dedicata a una delle più tristemente note vittime dell'odio dei partigiani comunisti.
Ma nessuno interviene.
Dopo la distruzione delle targhe per i martiri delle foibe a Torino e a Genova, è arrivato anche l'ennesimo sfregio.
Nella "rossa" Narni sono stati bruciati la corona d'alloro ed il mazzo di fiori deposti in "via Norma Cossetto".
La strada è dedicata ad una delle vittime dell'odio comunista.
Norma Cossetto, 20 anni, venne stuprata ripetutamente e poi gettata -ancora viva- con entrambi i seni pugnalati in una delle gole carsiche.
Contro il vergognoso gesto, nessuna dichiarazione dei rappresentanti delle Istituzioni locali.
Micol Paglia
Tratto da (CLICCA QUI)
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01/08/2013
L'ordine scellerato della sinistra: dimenticare le vittime delle Foibe
Sergio Marchi (La Destra): "Il Pd si ribelli ai suoi alleati e ponga riparo ad un errore gravissimo"
L'ordine scellerato della sinistra: dimenticare le vittime delle Foibe
Nella Roma di Marino si punta a cancellare il segno dell'esilio giuliano-dalmata.
Storace: 'Spettacolo squallido, ennesimo schiaffo alla Storia del nostro Paese'
Cancellare la Casa del Ricordo.
O quanto meno renderla marginale, farla ricadere in quel tunnel della storia dalla quale era stata tratta fuori a fatica, dopo decenni.
Un macabro parallelo con quella fine che tanti italiani hanno conosciuto, nel profondo di una foiba.
E' la storia che arriva dal Municipio I di Roma
"La Roma di Ignazio Marino si e’ esibita con uno squallido spettacolo nel municipio più importante; infatti, la bocciatura da parte della maggioranza che sostiene la presidente Alfonsi dell’emendamento che prevedeva di inserire nelle politiche del Municipio I delle collaborazioni con istituzioni storiche, come la Casa della Memoria e la Casa del Ricordo, e’ l’ennesimo schiaffo alla storia del nostro Paese.
Dimenticare le vittime delle foibe non può più rappresentare oggi solo il becero cinismo che ha contraddistinto la storia della sinistra italiana, ma bensì un atto barbaro di disumana gravità che va condannato senza esitazioni.
Oggi, con la decisione del Municipio I, ritorna l’oblio sul sangue versato…"E' quanto dichiara in una nota Francesco Storace, segretario nazionale de La Destra "La Roma di Ignazio Marino si e’ esibita con uno squallido spettacolo nel municipio più importante; infatti, la bocciatura da parte della maggioranza che sostiene la presidente Alfonsi dell’emendamento che prevedeva di inserire nelle politiche del Municipio I delle collaborazioni con istituzioni storiche, come la Casa della Memoria e la Casa del Ricordo, e’ l’ennesimo schiaffo alla storia del nostro Paese.
Dimenticare le vittime delle foibe non può più rappresentare oggi solo il becero cinismo che ha contraddistinto la storia della sinistra italiana, ma bensì un atto barbaro di disumana gravità che va condannato senza esitazioni.
Oggi, con la decisione del Municipio I, ritorna l’oblio sul sangue versato…", dichiara in una nota Francesco Storace, segretario nazionale de La Destra
Sergio Marchi, capogruppo de La Destra nel parlamentino del centro storico, ricostruisce la vicenda: "La maggioranza di centro sinistra, o più esattamente di sinistra centro vista la presenza nel governo locale di Sel e Lista civica per Marino insieme al Pd, ha presentato al consiglio del primo Municipio, o come si chiama ora Municipio centro storico, le proprie linee programmatiche.
Un libro dei sogni, con alcune ‘perle’ come la pedonalizzazione forzata dei Fori imperiali, rispetto al quale abbiamo espresso convintamente il nostro voto contrario.
Qualche emendamento dei tanti presentati dall’opposizione è stato pure accolto, ma proprio qui è intervenuto un fatto grave, che denunciamo dalle colonne del Giornale d’Italia e rispetto al quale chiediamo allo stesso Sindaco di porre prontamente rimedio.
Nel programma di consiliatura che ci è stato dato, nelle politiche culturali veniva citata la valorizzazione della Casa della Memoria, mentre nessun cenno si faceva alla Casa del Ricordo, struttura presente e funzionante proprio nel territorio del primo Municipio, dedicata al dramma troppo spesso dimenticato degli Italiani caduti vittime nelle Foibe per mano delle truppe comuniste del maresciallo Tito.
Ripetiamo per l’ennesima volta che non si tratta di fare confronti o paragoni tra drammi tra di loro non confrontabili, ma di ricostruire il più possibile una memoria storica condivisa per creare finalmente una coscienza nazionale che superi le barriere ideologiche di un interminabile dopoguerra.
Proprio grazie al Segretario de La Destra Francesco Storace, all’epoca alla guida della Regione Lazio, venne introdotta la Giornata del Ricordo, che si celebra il 10 Febbraio; ora quella giornata è tutelata da una Legge nazionale, votata con una larga maggioranza trasversale dal Parlamento italiano.
La Destra insieme alle altre forze di centrodestra presenti in Municipio, Fratelli d’Italia e PDL, ha sottoscritto un emendamento per rimediare alla omissione della maggioranza, ed inserire anche la Casa del Ricordo tra le strutture da valorizzare nell’ambito del territorio, e più in generale del circuito culturale cittadino.
Risultato?
Il Pd si astiene, ma guarda caso Sel e la Lista civica per Marino votano contro, insieme al Movimento Cinque stelle, e l’emendamento è bocciato.
Una brutta pagina per la democrazia, e un segno che una certa sinistra ideologica è dura da sconfiggere.
Iniziamo male, e ricordiamo a tutti che chi governa oggi a Roma rappresenta il 65 per cento dei votanti al ballottaggio, quindi non più del 25 per cento dei Romani.
Su temi così delicati, è presunzione grave pensare di poter decidere per tutti, con il rischio di riaprire ferite che vogliamo per sempre chiuse.
Chiediamo alla sinistra più responsabile e democratica di rimediare all’errore, se di errore si tratta.
Siete ancora in tempo.
Se no, l’errore diventerà una scelta politica, e nessuno ci potrà chiedere di rinunciare a lottare con tutte le nostre forze per difendere la memoria di tutti gli Italiani, e dunque per la nostra libertà", conclude Marchi.
Tratto da (CLICCA QUI)
Nella Roma di Marino si punta a cancellare il segno dell'esilio giuliano-dalmata.
Storace: 'Spettacolo squallido, ennesimo schiaffo alla Storia del nostro Paese'
Cancellare la Casa del Ricordo.
O quanto meno renderla marginale, farla ricadere in quel tunnel della storia dalla quale era stata tratta fuori a fatica, dopo decenni.
Un macabro parallelo con quella fine che tanti italiani hanno conosciuto, nel profondo di una foiba.
E' la storia che arriva dal Municipio I di Roma
"La Roma di Ignazio Marino si e’ esibita con uno squallido spettacolo nel municipio più importante; infatti, la bocciatura da parte della maggioranza che sostiene la presidente Alfonsi dell’emendamento che prevedeva di inserire nelle politiche del Municipio I delle collaborazioni con istituzioni storiche, come la Casa della Memoria e la Casa del Ricordo, e’ l’ennesimo schiaffo alla storia del nostro Paese.
Dimenticare le vittime delle foibe non può più rappresentare oggi solo il becero cinismo che ha contraddistinto la storia della sinistra italiana, ma bensì un atto barbaro di disumana gravità che va condannato senza esitazioni.
Oggi, con la decisione del Municipio I, ritorna l’oblio sul sangue versato…"E' quanto dichiara in una nota Francesco Storace, segretario nazionale de La Destra "La Roma di Ignazio Marino si e’ esibita con uno squallido spettacolo nel municipio più importante; infatti, la bocciatura da parte della maggioranza che sostiene la presidente Alfonsi dell’emendamento che prevedeva di inserire nelle politiche del Municipio I delle collaborazioni con istituzioni storiche, come la Casa della Memoria e la Casa del Ricordo, e’ l’ennesimo schiaffo alla storia del nostro Paese.
Dimenticare le vittime delle foibe non può più rappresentare oggi solo il becero cinismo che ha contraddistinto la storia della sinistra italiana, ma bensì un atto barbaro di disumana gravità che va condannato senza esitazioni.
Oggi, con la decisione del Municipio I, ritorna l’oblio sul sangue versato…", dichiara in una nota Francesco Storace, segretario nazionale de La Destra
Sergio Marchi, capogruppo de La Destra nel parlamentino del centro storico, ricostruisce la vicenda: "La maggioranza di centro sinistra, o più esattamente di sinistra centro vista la presenza nel governo locale di Sel e Lista civica per Marino insieme al Pd, ha presentato al consiglio del primo Municipio, o come si chiama ora Municipio centro storico, le proprie linee programmatiche.
Un libro dei sogni, con alcune ‘perle’ come la pedonalizzazione forzata dei Fori imperiali, rispetto al quale abbiamo espresso convintamente il nostro voto contrario.
Qualche emendamento dei tanti presentati dall’opposizione è stato pure accolto, ma proprio qui è intervenuto un fatto grave, che denunciamo dalle colonne del Giornale d’Italia e rispetto al quale chiediamo allo stesso Sindaco di porre prontamente rimedio.
Nel programma di consiliatura che ci è stato dato, nelle politiche culturali veniva citata la valorizzazione della Casa della Memoria, mentre nessun cenno si faceva alla Casa del Ricordo, struttura presente e funzionante proprio nel territorio del primo Municipio, dedicata al dramma troppo spesso dimenticato degli Italiani caduti vittime nelle Foibe per mano delle truppe comuniste del maresciallo Tito.
Ripetiamo per l’ennesima volta che non si tratta di fare confronti o paragoni tra drammi tra di loro non confrontabili, ma di ricostruire il più possibile una memoria storica condivisa per creare finalmente una coscienza nazionale che superi le barriere ideologiche di un interminabile dopoguerra.
Proprio grazie al Segretario de La Destra Francesco Storace, all’epoca alla guida della Regione Lazio, venne introdotta la Giornata del Ricordo, che si celebra il 10 Febbraio; ora quella giornata è tutelata da una Legge nazionale, votata con una larga maggioranza trasversale dal Parlamento italiano.
La Destra insieme alle altre forze di centrodestra presenti in Municipio, Fratelli d’Italia e PDL, ha sottoscritto un emendamento per rimediare alla omissione della maggioranza, ed inserire anche la Casa del Ricordo tra le strutture da valorizzare nell’ambito del territorio, e più in generale del circuito culturale cittadino.
Risultato?
Il Pd si astiene, ma guarda caso Sel e la Lista civica per Marino votano contro, insieme al Movimento Cinque stelle, e l’emendamento è bocciato.
Una brutta pagina per la democrazia, e un segno che una certa sinistra ideologica è dura da sconfiggere.
Iniziamo male, e ricordiamo a tutti che chi governa oggi a Roma rappresenta il 65 per cento dei votanti al ballottaggio, quindi non più del 25 per cento dei Romani.
Su temi così delicati, è presunzione grave pensare di poter decidere per tutti, con il rischio di riaprire ferite che vogliamo per sempre chiuse.
Chiediamo alla sinistra più responsabile e democratica di rimediare all’errore, se di errore si tratta.
Siete ancora in tempo.
Se no, l’errore diventerà una scelta politica, e nessuno ci potrà chiedere di rinunciare a lottare con tutte le nostre forze per difendere la memoria di tutti gli Italiani, e dunque per la nostra libertà", conclude Marchi.
Tratto da (CLICCA QUI)