tratto da un articolo de il GAZZETTINO (segnalato da Nicola)
Dipendenti rientravano più tardi solo per strisciare il badge
L'ho fatto presente ai superiori ed è cominciato il mobbing
Dipendenti rientravano più tardi solo per strisciare il badge
L'ho fatto presente ai superiori ed è cominciato il mobbing
di Cristina Fortunati
ROVIGO
Ex militare dell'esercito, per sei anni in servizio a palazzo Ferro Fini a Venezia, quell'andazzo non riusciva a mandarlo giù. Era abituato al duro ritmo delle forze armate e agli orari impossibili delle commissioni e dell'aula, l'usciere part time della sede di Rovigo della Regione che, nel 2008, al colmo dell'indignazione, ha presentato l'esposto alla guardia di finanza da cui è partita l'indagine nei confronti di 101 dipendenti assenteisti (su 111) del grande palazzo di viale della Pace. E ci racconta com’è andata.
La sua decisione di rivolgersi alle fiamme gialle è stata certamente insolita. Come è maturata?
«Quando, all'inizio degli anni Duemila, sono entrato in servizio a Rovigo, dove avevo chiesto il trasferimento per avvicinarmi a casa, mi sono reso conto che in questi uffici si lavorava molto poco. Io stesso avevo compiti limitati. Sulle prime ero disorientato. Ero abituato a correre tutto il giorno, su e giù per i palazzi della Regione a Venezia. L'ho fatto presente ai miei superiori. Mi hanno guardato quasi con meraviglia. Siediti lì, fai quello che ti viene chiesto e non preoccuparti, mi hanno risposto. Così seduto in quel posto, nell'ingresso del palazzo, ho avuto modo di vedere da vicino l'abitudine a non registrare le uscite dei miei colleghi. Alcuni di loro stavano assenti, mentre risultavano in servizio, anche ore. Quando uscivo alle 17 strisciavo il badge. Altri lasciavano il lavoro insieme a me. Ma tornavano verso le 18.30 a passare il badge. Così figuravano di aver lavorato un'ora e mezza in più».
Prima di fare l'esposto aveva fatto presente ai suoi superiori quello che succedeva?
«Certamente, a quelli in servizio a Rovigo. Quando ho capito che quella delle assenze fatte passare per lavoro era una consuetudine ho segnalato la cosa. Perché vuoi sollevare un vespaio? mi hanno risposto. Mi hanno fatto presente che quella di Rovigo è una sede periferica di cui nessuno si cura. "Non sanno neanche che esistiamo" mi ha detto qualcuno. La parola d'ordine era, insomma, non attiriamo l'attenzione di Venezia su di noi. Continuiamo a stare tranquilli».
Ma lei "tranquillo" non riusciva proprio a starci.
«Era più forte di me. Quel trasferimento mi aveva avvicinato a casa ma aveva comportato una decurtazione dello stipendio. Tra una cosa e l'altra dai due milioni e 400mila lire che prendevo a Venezia, ero arrivato a un milione e 600mila. È stato così che ho cominciato a collaborare il sabato e la domenica con una ditta che organizza manifestazioni. Mi aiutava a sbarcare il lunario e mi tenevo occupato. A me lavorare dà soddisfazione».
Come hanno reagito nel posto di lavoro al suo inconsueto attivismo?
«Non bene. Ero una mosca bianca. Mi facevano contestazioni minuziose e immotivate. Rispondevo e non protocollavano le mie risposte. Nel 2004 ho chiesto il part time: volevo avere la possibilità di avviare un'attività in proprio. Nessuna risposta. Ho minacciato la denuncia per mobbing per ottenerlo. Ora lavoro in viale della Pace quattro mesi l'anno. Per il resto del tempo svolgo un'altra attività. Lavoro ogni minuto e pago le tasse su tutto quello che guadagno».
Alla fine però la Procura contesta anche a lei 17 muniti di una singola uscita non registrata…
«Non mi stupisce. È la conseguenza del sistema che vige nel palazzo. L'usciere esce a volte per andare in posta a ritirare la corrispondenza. La prima volta ho chiesto un ordine scritto per poter essere in regola. Sei matto? mi hanno detto. Obblighi l'impiegato a compilare una carta e bisogna trovare il dirigente per farla firmare. Stai tranquillo e non piantare grane».
Domenica 14 Agosto 2011 – 22:29 Ultimo aggiornamento: Lunedì 15 Agosto – 13:30
Ex militare dell'esercito, per sei anni in servizio a palazzo Ferro Fini a Venezia, quell'andazzo non riusciva a mandarlo giù. Era abituato al duro ritmo delle forze armate e agli orari impossibili delle commissioni e dell'aula, l'usciere part time della sede di Rovigo della Regione che, nel 2008, al colmo dell'indignazione, ha presentato l'esposto alla guardia di finanza da cui è partita l'indagine nei confronti di 101 dipendenti assenteisti (su 111) del grande palazzo di viale della Pace. E ci racconta com’è andata.
La sua decisione di rivolgersi alle fiamme gialle è stata certamente insolita. Come è maturata?
«Quando, all'inizio degli anni Duemila, sono entrato in servizio a Rovigo, dove avevo chiesto il trasferimento per avvicinarmi a casa, mi sono reso conto che in questi uffici si lavorava molto poco. Io stesso avevo compiti limitati. Sulle prime ero disorientato. Ero abituato a correre tutto il giorno, su e giù per i palazzi della Regione a Venezia. L'ho fatto presente ai miei superiori. Mi hanno guardato quasi con meraviglia. Siediti lì, fai quello che ti viene chiesto e non preoccuparti, mi hanno risposto. Così seduto in quel posto, nell'ingresso del palazzo, ho avuto modo di vedere da vicino l'abitudine a non registrare le uscite dei miei colleghi. Alcuni di loro stavano assenti, mentre risultavano in servizio, anche ore. Quando uscivo alle 17 strisciavo il badge. Altri lasciavano il lavoro insieme a me. Ma tornavano verso le 18.30 a passare il badge. Così figuravano di aver lavorato un'ora e mezza in più».
Prima di fare l'esposto aveva fatto presente ai suoi superiori quello che succedeva?
«Certamente, a quelli in servizio a Rovigo. Quando ho capito che quella delle assenze fatte passare per lavoro era una consuetudine ho segnalato la cosa. Perché vuoi sollevare un vespaio? mi hanno risposto. Mi hanno fatto presente che quella di Rovigo è una sede periferica di cui nessuno si cura. "Non sanno neanche che esistiamo" mi ha detto qualcuno. La parola d'ordine era, insomma, non attiriamo l'attenzione di Venezia su di noi. Continuiamo a stare tranquilli».
Ma lei "tranquillo" non riusciva proprio a starci.
«Era più forte di me. Quel trasferimento mi aveva avvicinato a casa ma aveva comportato una decurtazione dello stipendio. Tra una cosa e l'altra dai due milioni e 400mila lire che prendevo a Venezia, ero arrivato a un milione e 600mila. È stato così che ho cominciato a collaborare il sabato e la domenica con una ditta che organizza manifestazioni. Mi aiutava a sbarcare il lunario e mi tenevo occupato. A me lavorare dà soddisfazione».
Come hanno reagito nel posto di lavoro al suo inconsueto attivismo?
«Non bene. Ero una mosca bianca. Mi facevano contestazioni minuziose e immotivate. Rispondevo e non protocollavano le mie risposte. Nel 2004 ho chiesto il part time: volevo avere la possibilità di avviare un'attività in proprio. Nessuna risposta. Ho minacciato la denuncia per mobbing per ottenerlo. Ora lavoro in viale della Pace quattro mesi l'anno. Per il resto del tempo svolgo un'altra attività. Lavoro ogni minuto e pago le tasse su tutto quello che guadagno».
Alla fine però la Procura contesta anche a lei 17 muniti di una singola uscita non registrata…
«Non mi stupisce. È la conseguenza del sistema che vige nel palazzo. L'usciere esce a volte per andare in posta a ritirare la corrispondenza. La prima volta ho chiesto un ordine scritto per poter essere in regola. Sei matto? mi hanno detto. Obblighi l'impiegato a compilare una carta e bisogna trovare il dirigente per farla firmare. Stai tranquillo e non piantare grane».
Domenica 14 Agosto 2011 – 22:29 Ultimo aggiornamento: Lunedì 15 Agosto – 13:30