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Morirono circa 2.652 Ungheresi (di entrambe le parti, ovvero pro e contro la rivoluzione) e 720 soldati sovietici. I feriti furono molte migliaia e circa 250.000 (circa il 3% della popolazione dell’Ungheria) furono gli Ungheresi che lasciarono il proprio Paese rifugiandosi in Occidente.
La rivoluzione portò a una significativa caduta del sostegno alle idee del comunismo nelle nazioni occidentali.
Il Partito comunista ungherese approfittò della Prima Conferenza mondiale dei partiti comunisti, che si tenne a Mosca nel novembre 1957, per far votare la condanna a morte di Nagy da tutti i dirigenti comunisti presenti, fra cui Maurice Thorez e Palmiro Togliatti, con l’unica eccezione del polacco Gomulka.
Nagy fu condannato a morte e impiccato il 16 giugno 1958.
Palmiro Togliatti disse: “È mia opinione che una protesta contro l’Unione Sovietica avrebbe dovuto farsi se essa non fosse intervenuta, nel nome della solidarietà che deve unire nella difesa della cività tutti i popoli“.
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L’Unità arrivò persino a definire gli operai insorti “teppisti” e “spregevoli provocatori” giustificando l’intervento delle truppe sovietiche sostenendo invece che si trattasse di un elemento di “stabilizzazione internazionale” e di un “contributo alla pace nel mondo“.
Luigi Longo sostenne la tesi della rivolta fascista: “L’esercito sovietico è intervenuto in Ungheria allo scopo di ristabilire l’ordine turbato dal movimento rivoluzionario che aveva lo scopo di distruggere e annullare le conquiste dei lavoratori…“.