IMPRENDITORE VENETO … SI, MA IN AUSTRIA!

L’imprenditore veneto: “Ho portato la fabbrica in Austria: l’autonomia non serve a niente”
Il problema non sono le tasse, ma la burocrazia locale
L’ultima nicchia dello sterminato capannone da 60 mila metri quadrati è occupata da imballaggi alti quattro metri.
Due presse, 8 mila tonnellate ciascuna, arrivate dal Giappone.
Costate 17 milioni e mai installate. «Ho richieste da tutto il mondo e non riesco a soddisfarle.
Non mi lasciano ampliare lo stabilimento, e allora queste macchine restano imballate.
Ci perdo io, ci perdono tutti: potrei dare lavoro a centinaia di veneti. Invece assumo all’estero».
Nonostante l’Italia, a quasi 79 anni Francesco Biasion tutte le mattine alle 8 entra in fabbrica. Spesso anche di sabato.
Domenica ha votato sì al referendum.
Per sconforto, racconta. «Il Veneto dà troppo e riceve troppo poco.
Peggio di così non può andare.
Ma dia retta a me: non cambierà nulla. Anzi, potrebbe essere peggio: l’unica autonomia necessaria è quella da certi amministratori locali che ci impediscono di lavorare;
Dio ce ne scampi se un domani avranno più poteri». 
Quinta elementare.
A dieci anni era in azienda.
Anzi, prima: «Mio padre mi portava a vedere i fabbri picchiare l’incudine».
La Bifrangi era poco più di un’officina. Oggi è leader mondiale nello stampaggio a caldo dell’acciaio: oltre mille dipendenti, 250 milioni di fatturato, sei stabilimenti. Il più grande, quasi 500 addetti, è a Mussolente, 7 mila anime in provincia di Vicenza, dove i Biasion abitano da generazioni.
Gli altri sono a Lincoln e Sheffield, in Gran Bretagna, e a Houston.
L’ultimo è ad Althofen, in Carinzia, dove negli anni scorsi qualche imprenditore veneto ha ceduto alle lusinghe e trasferito in Austria parte delle produzioni.  
Biasion non ha scelto l’Est Europa dove la manodopera costa un quarto.
Ha aperto là dove gli operai guadagnano bene e il Fisco è meno opprimente, ma solo un po’. «Quelli come me non se ne vanno per pagare meno tasse.
Ce ne andiamo perché non siamo padroni nelle nostre fabbriche.
Sono stufo di andare dal sindaco di turno con il cappello in mano ogni volta che devo fare un investimento». 
Nel Vicentino la Bifrangi dà lavoro a centinaia di famiglie tra dipendenti, fornitori e indotto, albergatori compresi, perché è un modello studiato a ogni latitudine.
Mai uno sciopero. In mensa lavorano dieci cuochi assunti, si serve la verdura coltivata nei campi di Biasion e la carne delle sue bestie.
C’è un frantoio per estrarre l’olio delle sue olive e un piccolissimo mulino per macinare la farina ottenuta dal suo grano.
Nei capannoni si producono non solo i componenti in acciaio per l’industria pesante e la meccanica di precisione venduti in tutto il mondo; si progettano e realizzano anche i macchinari con cui fabbricarli.  
«Eppure mi sento trattato come un delinquente», dice Biasion.
Dieci anni fa ha brevettato il maglio più grande al mondo: un gigante di 1.500 tonnellate che quando piomba sull’acciaio incandescente esercita una pressione di 55 milioni di chili.
«Mi serviva un capannone nuovo.
Provincia e Regione erano d’accordo.
Il Comune anche».
Anzi no: il sindaco decide di costruire una nuova strada proprio nell’area dove dovrebbe estendersi la fabbrica. «Protesto e alla fine la spunto».
Ma in Comune si accorgono che il capannone è troppo alto e gli uccelli potrebbero sbatterci contro: niente licenza edilizia, altri anni di liti finché arriva la deroga per cominciare i lavori.
Apre il cantiere: servono fondamenta profonde 16 metri ma il Comune si mette di nuovo di traverso. «Mi sono stufato.
Ho chiamato in Texas.
La sera avevo una risposta: si può fare.
Quando siamo andati a presentare il progetto erano sorpresi: la fabbrica è vostra, dentro potete fare quel che volete». 
Tre anni fa, come alcuni suoi colleghi veneti, Biasion ha trasferito un pezzo di produzione in Carinzia.
Gli austriaci facevano promozione spinta, avevano creato una agenzia (oggi in liquidazione) per setacciare il Nord Italia e convincere le aziende a varcare il confine.
«E io sono andato, sempre per lo stesso motivo: avevo troppe commesse, mi serviva uno stabilimento più grande ma qui non me lo lasciavano fare». In dieci mesi la fabbrica era pronta.
«Mi hanno accolto con le fanfare, non sono mai riuscito a pagare nemmeno un caffè.
Eppure non lo rifarei: le tasse sono più basse, la pubblica amministrazione garantisce contributi a fondo perduto e procedure snelle, ma non trovo manodopera. Un disastro». 
Si torna al punto di partenza: le due presse imballate da cinque anni, i progetti incagliati, gli investimenti bloccati.
Le denunce: per aver piantato alcuni alberi e installato tre panchine, per una recinzione abusiva, per un impianto che inquinava.
«Tutte archiviate.
L’ultima poche settimane fa: il fatto non sussiste».
Nel frattempo Francesco Biasion ha assunto i 700 addetti che gli servivano.
All’estero. 
Tratto da (CLICCA QUI)
 

Francesco Biasion, 79 anni, è presidente del gruppo Bifrangi, leader mondiale nello stampaggio a caldo dell’acciaio.
La Bifrangi ha sei stabilimenti: uno in Veneto, gli altri sparsi tra Usa, Gran Bretagna e Carinzia 250 milioni
È il fatturato della Bifrangi.
Il gruppo ha oltre mille dipendenti, dei quali 500 lavorano a Mussolente, nel Vicentino