1997.05.08 – I SERENISSIMI


"Serenissimi" è il nome dato dai mass media a un gruppo di persone (autodefinitesi "Veneta Serenissima Armata", braccio operativo del "Veneto Serenissimo Governo") che nel nome della Repubblica di Venezia, la notte fra l'8 ed il 9 maggio 1997, a pochi giorni dalla ricorrenza del bi-centenario della caduta della Serenissima sotto l'invasione napoleonica (12 maggio 1797), occuparono con le armi in pugno Piazza San Marco e il Campanile di San Marco a Venezia, issando sulla cella campanaria la bandiera del Leone. Con questo gesto intendevano simbolicamente ripristinare la sovranità della Serenissima rivendicando il diritto del popolo veneto alla sua indipendenza e affermando l'illegittimità sia dello scioglimento della Repubblica di Venezia nel 1797, sia del referendum del 1866 con il quale i Savoia fecero ratificare l'annessione del Veneto al Regno d'Italia. Il loro gesto, che voleva anche contestare l'appartenenza del Veneto alla cosiddetta Padania, lo "stato" di cui Umberto Bossi, il leader del movimento autonomista Lega Nord, aveva annunciato di voler proclamare l'indipendenza nel settembre successivo, suscitò in tutto il mondo un vasto clamore ed ebbe rilievo sia nella stampa italiana che in quella internazionale.
 

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I Serenissimi, partiti dal padovano con un camion che trasportava un autocarro artigianalmente camuffato da mezzo blindato, giunsero, poco dopo mezzanotte, all'imbarcadero del Tronchetto, per imbarcarsi verso la loro destinazione.
Alcuni vestiti con tute mimetiche e armati di un fucile mitragliatore Beretta MAB 38, residuato bellico della Seconda guerra mondiale, ma funzionante, salirono a bordo di un traghetto di linea dell'ACTV con il finto autoblindo e dirottarono la motozattera su piazza San Marco.
Giunti nella piazza, alcuni dei partecipanti all'azione l'occuparono simulando di tenerla sotto tiro con l'"autoblindo", mentre il resto del gruppo, scardinando la porta, salì in cima al campanile di San Marco.
Qui fu issata la bandiera con il leone alato, simbolo della Serenissima Repubblica di Venezia, gesto dimostrativo che fu dichiarato dagli interessati essere l'obiettivo della loro azione.
Secondo quanto accertato in seguito, l'intenzione degli occupanti del campanile sarebbe stata quella di tenere tale posizione sino al 12 maggio, bicentenario del giorno in cui, nel 1797, il Maggior Consiglio della Repubblica Veneta e il Doge Ludovico Manin abdicarono di fronte alle truppe francesi; allo scopo s'erano dotati anche di viveri. Gli uomini sul campanile erano dotati di un radiotrasmettitore, già utilizzato in vari episodi di pirateria dell'etere a partire dal 17 marzo 1997, per emettere abusivamente messaggi politici in tutto il Veneto sulle stesse frequenze della RAI (in particolare il TG1), coprendone le trasmissioni.
I manifestanti comunicarono alle autorità, che nel frattempo avevano isolato la piazza, che avrebbero iniziato a trattare non appena fosse giunto un loro rappresentante.
La sera stessa il sindaco di Venezia, Massimo Cacciari, andò a parlare con i manifestanti.
Al mattino del 9 alle ore 8.15, su ordine del prefetto, uomini del GIS dei Carabinieri diedero inizio a un'operazione volta a porre fine alla manifestazione: un gruppo di militari occupò la piazza arrestandovi alcuni occupanti, un altro gruppo scalò il campanile usando delle impalcature poste all'esterno dell'edificio mentre altri penetrarono all'interno.
Nel giro di pochi minuti i Carabinieri arrestarono tutti i partecipanti all'azione.
Il gruppo dei “Serenissimi” era composto da 8 persone:
Gilberto Buson
Cristian Contin
Flavio Contin
Antonio Barison
Luca Peroni
Moreno Menini
Fausto Faccia
Andrea Viviani
Sostenuti a distanza da Giuseppe Segato (deceduto per cause naturali il 27 marzo 2006) e Luigi Faccia.
Le motivazioni all'inizio non furono chiare e solo la conoscenza dei personaggi che la attuarono portarono a definire meglio l'ambiente in cui si progettò l'evento.
Sembra che queste persone, pur non svolgendo un'attività politica in senso proprio, avessero nostalgia per i tempi della Repubblica di Venezia, cancellata manu militari da Napoleone Bonaparte e ne auspicassero la restaurazione.
Sostenevano di aver fatto delle ricerche storiche e scoperto elementi che, a loro parere, invalidavano l'atto di Napoleone del 1797, l'accettazione dell'atto da parte del Maggior Consiglio, e anche il referendum di ratifica dell'annessione al Regno d'Italia del 1866.
Secondo i Serenissimi l'atto di Napoleone era illegittimo in quanto effettuato contro uno stato neutrale e non perfezionato dal "Maggior Consiglio", che avrebbe deliberato in mancanza del numero legale; il referendum del 1866, invece, sarebbe stato caratterizzato da brogli e violazioni degli accordi internazionali sottoscritti durante l'Armistizio di Cormons e la Pace di Vienna.
All'epoca ci fu il sospetto iniziale che l'ispirazione del gesto fosse venuta dalla Lega Nord o da ambienti contigui.
Il leader della Lega Nord, Umberto Bossi smentì immediatamente adombrando il sospetto di un tentativo di coinvolgimento da parte dei servizi segreti italiani, con lo scopo probabile di impedire la imminente proclamazione della Padania.
Smentirono anche gli altri movimenti autonomisti.
Nonostante ciò, in Veneto e anche altrove nel Nord Italia, molti presero sul serio l'iniziativa, cominciando ad organizzare tavolini di raccolta firme e denaro per le famiglie degli 8 manifestanti.
Col trascorrere delle ore si capì che si trattava di una manifestazione dimostrativa, sebbene la magistratura, ancora nel maggio 2006 abbia rinviato a giudizio alcuni degli 8 imputati per reati gravi.
In ogni caso – al di là del punto di vista effettivo dei "Serenissimi" – il fatto assunse per forza di cose una rilevanza politica, essendo additato da molti come un sintomo del malcontento, diffuso in Veneto e in molte regioni settentrionali, verso la politica dello Stato centrale.
Il processoA seguito delle indagini volte a svelare la pianificazione del gesto eversivo, fu istruito un processo.
Tra i capi di accusa ipotizzati vi erano:
attentato all'unità dello Stato, perché il retroattivo annullamento dell'operato di Napoleone Bonaparte ristabilendo lo status quo ante, riportando cioè la situazione al 1797, avrebbe annullato anche la successiva unione del Veneto all'Italia del 1866, come pure gli esiti della prima e della seconda guerra mondiale;   banda armata interruzione di pubblico servizio, per le interruzioni delle trasmissioni televisive effettuate in precedenza alla manifestazione veneziana.
Nel maggio 2006 vi sono stati altri rinvii a giudizio per altri reati connessi agli stessi fatti.
Il processo ai Serenissimi si concluse con assoluzioni, patteggiamenti e condanne:
Luigi Faccia: condanna a 4 anni e 9 mesi di reclusione per la manifestazione veneziana (scontati 3 e mezzo ed affidato ai servizi sociali) oltre ad una condanna a 6 mesi di reclusione per associazione sovversiva da parte del Tribunale di Verona, 5 anni e 3 mesi complessivi.
Non aveva partecipato alla manifestazione, ma fu identificato come ideologo dell'operazione e sedicente Presidente del Veneto Serenissimo Governo.
Giuseppe Segato: condanna a 3 anni e 7 mesi di reclusione per il reato di eversione. Non aveva partecipato alla azione, ma fu identificato come ideologo.
La detenzioneGiuseppe Segato, che non aveva partecipato all'azione ma ne era stato considerato l'ideologo, si ammalò in carcere e fu condotto all'ospedale ammanettato, in lettiga.
Nel 2003, a 6 anni dall'azione condotta in piazza San Marco, tutti i Serenissimi condannati avevano terminato di scontare la pena.
Da più parti fu chiesto che fosse concessa la grazia per i Serenissimi, considerando il loro gesto come una manifestazione di opinione, spettacolare ma non particolarmente violenta.
La grazia non fu mai concessa.
Una prima domanda di grazia per Luigi Faccia fu presentata dalla moglie nel dicembre 1999, ma nel 2000 l'allora ministro della giustizia Piero Fassino, ne bloccò l'iter.
Una volta cambiato titolare del dicastero, intervenne una nuova domanda.
Il ministro leghista Roberto Castelli dichiarò che «Faccia non ha fatto male a nessuno», e tuttavia la grazia, che è competenza esclusiva del Presidente della Repubblica, non gli fu concessa, sebbene richiesta da diversi soggetti politici del Veneto (tra cui La Liga Veneta, i Verdi del Veneto, Forza Italia del Veneto) e personalità pubbliche tra cui Massimo Cacciari, sindaco di Venezia, dopo essersi comunque costituito parte civile contro i Serenissimi, Gianfranco Bettin – Consigliere regionale Verdi del Veneto – e da Paolo De Marchi, Presidente della Federazione Regionale Verdi del Veneto.
Le opinioni a favoreDurante la detenzione i "Serenissimi" ricevettero numerose lettere di solidarietà, alcune sono raccolte nel libro "Ti con nu nu con Ti".
Vi furono appelli per la scarcerazione o per una riduzione della pena, che non furono però accolti; in particolare per Luigi Faccia e Giuseppe Segato.
Alcuni hanno sostenuto che le condanne inflitte furono eccessivamente dure, data la portata dimostrativa del gesto.
Il fucile di cui disponeva il gruppo era un residuato bellico della seconda guerra mondiale e non furono compiuti atti di violenza su persone.
Taluni hanno sostenuto apertamente che sulle condanne dei "Serenissimi" abbiano influito più le posizioni politiche espresse che non il gesto in sé, malgrado l'accaduto si configurasse senza ombra di dubbio come una fattispecie di reato espressamente previsto dal Codice Penale italiano.
 
tratto da Wikipedia: clicca qui
 

 
DOPO LA SENTENZA
Il gruppo venetista prepara la controffensiva.
Assolti dall’accusa di eversione.
Gli avvocati: «Da 5 a 10mila euro per imputato»

Il tanko dei Serenissimi in piazza San Marco (archivio)

Il tanko dei Serenissimi in piazza San Marco (archivio)

VENEZIA – Prima di tutto l'aspetto politico: «Questa non è una semplice sentenza, ma è la definitiva sconfitta di un disegno ideologico di alcuni pezzi dello Stato che volevano reprimere un'idea, quella di un Veneto indipendente ».
Poi quello economico perché alla fine in tribunale funziona così.
Ed ecco che i Serenissimi non si accontentano di essere stati definitivamente prosciolti dalle accuse di banda armata, eversione, terrorismo e guerra civile, ma chiederanno attraverso i loro avvocati Renzo Fogliata, Alessio Morosin e Luigi Fadalti anche i danni allo Stato che li ha costretti a subire un processo lungo e stressante condito da capi di imputazione durissimi e rarissimi, come «depressione del sentimento nazionale», reato riesumato dal procuratore veronese nel 1999 a due anni di distanza dai fatti del campanile di San Marco del maggio 1997.
E' già, perché i tre serenissimi Flavio Contin, Cristian Contin e Gilberto Buson non hanno mai contestato di aver dirottato un ferry, di aver sequestrato l'equipaggio e di aver assaltato il campanile per proclamare l'indipendenza del Veneto e hanno affrontato la prima condanna senza battere ciglio, ma hanno combattuto strenuamente nelle aule di tribunale nel processo parallelo che ha visto coinvolte quasi quaranta persone accusate di far parte della rete eversiva indipendentista veneta.
D'altra parte il processo veronese è stato aperto subito dopo le dichiarazioni dell'avvocato generale dello Stato Augusto Nepi che in occasione dell'apertura dell'anno giudiziario del 1999 parlava del pericolo di «turbolenze venetiste», dedicando, per usare le parole dell'avvocato Renzo Fogliata, «due pagine alla mala del Brenta e quattro ai serenissimi ».
«La Cassazione ha giudicato il ricorso della procura generale veneziana inammissibile – continua Fogliata – bocciando di fatto tutto il teorema costruito da Papalia dodici anni fa».

 

 

 

 

Non c'è terrorismo dunque per la Corte di cassazione, perché i «tanki» con cui è stato dato l'assalto erano di fatto trattori e un solo fucile non è sufficiente per configurare un'azione violenta di tipo eversivo.
In due parole la Cassazione, nelle motivazioni della sua sentenza di inammissibilità del ricorso della procura veneziana, conferma l'ipotesi che l'assalto al campanile e il blocco dei segnali televisivi fossero atti simbolici.
E va da sé che per un atto simbolico dodici anni di processo sono decisamente troppi.
«La cifra del risarcimento per processi che vanno oltre la legittima durata è stabilita dalla legge in mille euro all'anno – spiega Morosin – chiederemo tra i cinquemila e i diecimila euro per imputato, una cifra modesta per sottolineare la necessità di ristoro morale per quello che a tutti gli effetti è stato un accanimento dello stato italiano».
Il processo ai Serenissimi per eversione e terrorismo è iniziato a Verona nel 1999, poi è stato spostato a Padova dove la corte d'appello ha assolto tutti gli imputati.
A provare l'ultimo tentativo di ricorso è stata la procura generale di Venezia che si è rivolta alla Cassazione.
 
Alessio Antonini 07 luglio 2011