“Dobbiamo porci il problema di come aggredire il contante che è presente nelle case degli italiani”.
La frase ormai è celebre e i lettori la riconosceranno.
Non l’ha pronunciata un bandito, ma la nostra vicepremier, Maria Elena Boschi.
E lo ha detto in un evento dal titolo eloquente: “A Cesare quel che è di Cesare”.
“È quindi diventato un reato detenere del contante, lecitamente guadagnato e già abbondantemente scremato dall’esosità del fisco! – commenta alla Nbq Maurizio Milano (Alleanza Cattolica) esperto di finanza –
Per non parlare del termine utilizzato, “aggredire”, indegno di un politico che consideri il proprio ruolo come quello di servitore del bene comune”.
La Boschi ha anche vantato, nella stessa occasione, il recupero di 23 miliardi di euro di evasione, con la sottolineatura “in Italia c’è la percezione di un’eccessiva pressione fiscale”. “Ammesso e non concesso che la cifra riportata sia realistica – dice Milano – secondo il Boschi-pensiero in Italia la colpa è sempre dei cattivi evasori: non è vero che il nostro sia tra i Paesi più tassati al mondo e non vi è assolutamente una pressione fiscale esorbitante che schiaccia famiglie ed imprese.
Macché, è solo una “percezione” falsa, senza basi reali.
E dire che la scorsa estate i media ci hanno vessato con l’idea della temperatura “percepita” bel più alta di quanto indicava la colonnina di mercurio. Reale o percepito?
Insomma, «così è, se vi pare».
Peccato però che i dati ufficiali stimino il total tax rate gravante sulle imprese italiane a ridosso del 65%, contro il già elevato 49% della Germania ed il più ragionevole 29% della Svizzera: è ragionevole affermare che le imprese italiane si lamentano a torto, per una “percezione” distorta della realtà?”. Inoltre: “A fronte di una persecuzione fiscale da fare invidia allo sceriffo di Nottingham, il “quantum” del recupero dell’”evasione” fiscale andrebbe poi analizzato accuratamente, distinguendo tra ciò che corrisponde ad effettive evasioni ed elusioni, giustamente da sanzionare, e quanto invece alla pressione su dirigenti e funzionari dell’Agenzia delle Entrate a centrare i loro “obiettivi monetari” di recupero dell’”evasione”, con ogni mezzo.
Un po’ come quelle amministrazioni comunali che si trovano a fine anno sotto budget sulle contravvenzioni stradali ed iniziano a mettere autovelox ovunque: viene davvero raggiunto l’obiettivo “sicurezza stradale”, nel secondo caso, e l’obiettivo “equità fiscale”, nel primo?
È lecito dubitarne, l’importante è fare cassa”.
E qui si arriva al punto veramente dolente.
Cioè ai contanti da “aggredire”. Il denaro a cui si riferiva Maria Elena Boschi ammonta a 180-230 miliardi di euro (a seconda delle stime) in contanti nelle cassette di sicurezza, secondo le stime di Banca d’Italia e organi investigativi.
Due “voluntary disclosure” (emersione volontaria), una nel 2015 e l’altra nel 2017 ancora in corso non hanno avuto il successo sperato.
Anche perché non era conveniente: facendo “emergere” il contante, rendendolo tracciabile, le tasse sarebbero state ricalcolate negli ultimi cinque anni, con un forte aggravio per il contribuente.
Cosa stanno per fare, allora?
Dal 2015 è in vigore il reato dell’auto-riciclaggio, che può costare fino a 9 anni di reclusione.
Per chi ha molti contanti l’alternativa è secca: o non usa quel denaro, oppure rischia un’incriminazione per auto-riciclaggio.
Oltre al bastone c’è anche la carota.
Il governo si adopererà per rendere più facile il pagamento con moneta elettronica.
Ma anche in questo caso, quella che è una carota per il consumatore, è un’altra bastonata per i venditori e i professionisti che prestano servizi al pubblico: arrivano adesso, infatti, le sanzioni per chi non è dotato di Pos per i pagamenti con bancomat e carte di credito e debito.
La battaglia contro i contanti non è affatto nuova.
E’ in corso in tutto l’ultimo decennio, con una campagna mediatica martellante rilanciata da dichiarazioni politiche a tema. Il governo Monti, nel 2012, aveva fissato il limite del pagamento in contanti a 999,99 euro, dunque dai 1000 euro in su, come tutti noi ricordiamo ancora, dovevamo necessariamente pagare con moneta elettronica.
Dal gennaio 2014, le banconote da 200 e 500 euro sono considerate “a rischio” di attività di riciclaggio e stanno sparendo dal mercato.
Entro il 2018, la banconota da 500 euro sarà ritirata.
Renzi ha alzato la soglia del pagamento in contanti a 2999,99 euro, rilassando leggermente il vincolo.
Tuttavia il suo stesso governo ha introdotto l’obbligo dei Pos (su cui, appunto, adesso scattano le sanzioni), la fattura elettronica per tutti i fornitori della Pubblica Amministrazione, lo scontrino elettronico, che è già obbligatorio per la grande distribuzione, che comunica direttamente al Fisco tutto ciò che si incassa.
Ma i controlli non si limitano a questi, perché se è vero che c’è un tetto sui pagamenti in contanti, coerentemente c’è anche sul denaro che versiamo in banca e su quello che preleviamo.
Sia chi preleva che chi versa deve anche dimostrare, documentazione alla mano, con date e circostanze certe, come ha speso i soldi che ha prelevato, o dove ha recuperato quelli che sta versando.
Altrimenti deve pagare tasse aggiuntive sui contanti, che a quel punto vengono considerati automaticamente come reddito.
A queste norme, sfornate una dietro l’altra a ritmo crescente, si accompagna una campagna stampa martellante.
Contante è uguale a criminalità: “Ricordo che solo tre categorie umane non possono fare a meno del contante: lo spacciatore, il delinquente e l’evasore” diceva la giornalista Milena Gabanelli nella sua trasmissione Report, nel 2012, quando lanciò una vera e propria crociata contro il contante. Ma la criminalità ha bisogno dei contanti, necessariamente?
No, come spiega, con dovizia di dettagli, il giornalista ed editore Leonardo Facco in Elogio del contante, la più accorata difesa del più classico metodo di pagamento.
No, perché un bravo hacker è, già da ora, perfettamente in grado di mascherare origine e destinazione di ogni pagamento elettronico.
Possibile che tanta enfasi sulla criminalità non celi altri intenti?
A pensar male… si può pensare che la tracciabilità serva soprattutto al prelievo dai conti privati di tutto il necessario da parte dello Stato, senza possibilità di difesa.
E’ un ulteriore modo di penetrare nelle mura domestiche della famiglia, entro cui è difficile che un padre o una madre o un fratello paghino con bonifici, mentre è molto più facile che si prestino o regalino soldi in contanti.
E’ insomma, un’ennesima imposizione di un potere verticale sulla società. “Date a Cesare quel che è di Cesare” – conclude Milano – è fondativo della legittima autonomia delle realtà temporali ma rischia di venire assolutizzato se non è letto insieme al resto della frase “e date a Dio quel che è di Dio”.
Non compete davvero allo Stato decidere se i cittadini possono o meno detenere contante, che rimane un legittimo presidio di libertà.
Uno degli ultimi”.
(segnalato da Benedetto Celot e tratto da: CLICCA QUI)