riceviamo e pubblichiamo: quanto ci è stato scritto è tratto da qui
Incredibile quante analogie si possono rilevare fra il periodo ante-fascismo ed i nostri giorni.
Dal più semplice cronico ritardo dei treni al disagio economico e sociale, dal ingovernabilità ed instabilità politica alla mancanza di giustizia.
Cerchiamo di analizzare e comparare questi temi.
I treni viaggiano sempre in ritardo ed accusano avarie anche quando sono nuovi di pacca.
Chi è costretto ad usarli per viaggiare, lo sa bene.
La differenza con il periodo pre-fascista è che siamo nei tempi moderni dei treni superveloci, quelli che in Italia si chiamano ad alta velocità.
Beh, proprio alta non direi.
La nostra alta velocità ferroviaria, nata per ultima in Europa, è nata già vecchia e di gran lunga meno veloce dei fantasmagorici 300/400 kmh di cui possono godere i francesi, che viaggiano in alta velocità sin dal lontano 1983.
Noi siamo appena nell’ordine di una velocità media di 180/200 kmh e potete rendervene conto quando l’autostrada corre parallela alla TAV:
i treni impiegano un bel po di tempo a scomparire dalla vista di un guidatore che procede alla velocità di 130 kmh.
E per di più, il costo per chilometro di questa nuova linea ferroviaria ad alta velocità è in assoluto e di gran lunga il più alto di tutti:
in Spagna un costo medio di 15 milioni di euro per chilometro, in Francia un po meno, 13 milioni.
In Italia?
Il dato che ho rilevato è parziale e risale al 2008:
44 milioni di euro per chilometro il costo della tav-nata-lenta italiana.
In alcuni tratti, pare che il costo medio per chilometro italiano abbia addirittura superato di decine di volte il costo medio europeo.
Misteri della casta politica e burocratica italiana in tema di appalti pubblici.
Fatto sta che la TAV italiana è nata sinistra, poichè collega Torino e Milano con la direttrice tirrenica sino a Napoli e Salerno.
Cosa avranno fatto di male le regioni adriatiche e geograficamente destre per patire un simile danno, questo non è dato saperlo.
Cosa avrà da meritare la città di Napoli piuttosto della città di Pescara o di Bari, questo poi è un dato illegibile nel governo della cosa pubblica italiana.
Se poi pensiamo a quanto è costata l’eterna incompiuta Salerno-Reggio Calabria, comprendiamo forse un po meglio perchè è preferibile investire in appalti pubblici in regioni come la Campania e la Calabria, piuttosto che l’Abruzzo o la Puglia.
E per fortuna che è scampato il pericolo calabro-siciliano del ponte sullo stretto di Messina!
Beh, sappiamo tutti il potere di attrazione che hanno le organizzazioni mafiose sugli appalti pubblici, specie su quelli più grandi serviti sotto il loro naso.
E veniamo al secondo punto di analisi storica comparata del periodo prefascista con i nostri giorni:
il grado di aggressione della mafia e della criminalità sulla sicurezza dei cittadini.
Il Fascismo mise a posto entrambe le cose, sbaragliando per la prima volta la mafia costretta così ad emigrare nelle americhe e rendendo sicure le città italiane, tanto da consetire di lasciare liberamente l’uscio delle case aperto ed inviolato.
Mio padre mi ha raccontato come nacque il Fascismo a Foggia, e questo resoconto può essere di grande chiarimento alla nostra analisi.
La criminalità cresceva ogni giorno di più e la giustizia non si dimostrava in grado di perseguire e punire il crimine ed i criminali, che circolavano liberi ed indisturbati.
Un bel giorno, un gruppo di cittadini, decise di porre fine a questa eterna ingiustizia ed insicurezza sociale ed organizzarono una giustizia privata molto efficace.
Prelevati nottetempo i delinquenti nelle loro case, li portavano in casolari siti in aperta campagna, dove somministravano loro un giudizio sommario, condito da grandi bevute di olio di ricino e portentose manganellate.
Sentenziata la colpevolezza degli “imputati”, essi venivano trasportati presso le Isole Tremiti e lì, giustiziati con un gran salto nel buio nel mare notturno, salto che avveniva dalla sommità di quelle isole.
Morte certa, punizione garantita, sentenza soddisfatta, giustizia compiuta.
In qualche modo, in quel modo.
Quei cittadini, erano i fascisti.
Osservando nel mondo dei nostri giorni la lentezza e l’inefficacia della giustizia, l’incertezza della pena e la debolezza della legge e l’arroganza con cui delinquenti incalliti vengono scarcerati per decorrenza dei termini, errori nelle modalità di arresto e di giudizio, amnistie ed altre cosette simili, il paragone con l’epoca pre-fascista pare calzare benissimo.
Detto per inciso, mio padre non è affatto un fascista, ma ha tenuto a raccontarmi questi episodi vissuti nella sua adolescenza proprio perchè riteneva di mettermi al corrente del pericolo insito nella ingiustizia odierna, facile preda di una sete di giustizia che è da ritenere tutt’altro che silente.
Veniva da una famiglia di fascisti però, come mio nonno, o come lo zio di mia nonna, salito all’onore del servizio di segretario personale del Duce.
Ma questo ultimo inciso non ha rilevanza ai fini della nostra analisi.
Ha un enorme valore invece, la ricorrenza del contrasto opposto alle mafie dall’attuale ministro dell’Interno Roberto Maroni, convinto persecutore di ogni mafia e dei suoi boss latitanti:
sotto il governo del ministro Maroni infatti, quasi tutti i più pericolosi boss mafiosi latitanti sono stati assicurati alla pena detentiva comminata dalla magistratura.
Un risultato eccezionale che propone una suggestione notevole nella nostra comparazione temporale, in specie se, comparando i due più grandi contrastatori delle mafie dall’unità italiana ad oggi notiamo un significativo sinonimo dei termini Fasciare e Legare e di una mera differenza di colorazione delle camicie:
da nere a verdi.
Ma questa è e deve restare una mera suggestione, vista la notevole differenza di ambiti in cui si sono mossi i nostri due protagonisti:
Mussolini potè dare carta bianca al Prefetto Mori in virtù del potere assoluto di una dittatura, quale era quella fascista, mentre il nostro contemporaneo Maroni ha ottenuto i notevoli risultati raggiunti in tema di contrasto alle mafie governando in una democrazia.
E questa differenza avvalora ancor di più l’azione del Maroni, maggiormente “contenuto” dalla osservanza della legge democratica e niente affatto sorretto da un potere assoluto.
L’opera anti-mafia del nostro Maroni resterà sicuramente nei testi di storia di questo paese, poichè raggiunta e governata con notevoli e maggiori difficoltà rispetto al suo precedente storico.
Passiamo ora dalla comparazione analitica alla proiezione futuribile:
se il federalismo, come dice sempre il ministro Maroni, è incompatibile con le organizzazioni mafiose, basterà solo questo elemento riformatore a salvare il paese da un ritorno al passato?
Mi spiego meglio.
Premesso che le precondizioni del periodo fascista appaiono sovrapponibili a quelle odierne, potrà essere la chiave di volta risolutiva in una democrazia repubblicana l’applicazione del federalismo, ovvero sarà la secessione a dare un aut aut al ripetersi della storia?
Che sfida incredibile pone questa analisi, quale proiezione suggestiva pone dinanzi ai nostri occhi.
Ma, teniamo fuori l’emotività dalla sfera razionale ed analizziamo insieme i possibili scenari.
Scenario Primo:
Il Federalismo
L’ascendente del federalismo come nuova massa collante di una unità nazionale vacillante ed assai degradata, piace a molti.
Sarà perchè risparmia scenari di ritorno ad un passato fascista e dittatoriale, sarà perchè unisce ciò che è diviso, sarà perchè è l’unica ricetta politica in grado di assicurare un futuro all’intero paese e non ad una sola parte di esso.
Ma tutto questo potrà avvenire a certe condizioni:
I – la realizzazione ed applicazione concreta e totale del pacchetto sul federalismo fiscale nel paese;
II – la sempre più probabile ed auspicabile estensione della ricetta federalista dalla fiscalità alla struttura statuale ed alla sua forma di stato e di governo, raggiungendo un federalismo politico che veda ogni regione come uno stato autonomo riunito agli altri sotto un governo federale.
III – l’emarginazione delle organizzazioni mafiose dal controllo del voto popolare e del conseguente potere pubblico;
IV – un formidabile contrasto alla devastante corruzione politica e burocratica;
V – l’adesione totale, convinta e condivisa di tutte le popolazioni italiane alla filosofia federalista;
VI – l’eliminazione di ogni spreco del danaro pubblico e della inefficienza nella pubblica amministrazione;
VII – una completa realizzazione delle riforme che urgono per riavvicinare stato di diritto e stato di fatto, oggiAggiungi un appuntamento per oggi più che mai lontani e distanti l’uno dall’altro.
Di tutti questi, il più importante ed indispensabile risulta essere proprio il punto V.
Senza una incarnazione convinta della ispirazione federalista da parte delle popolazioni che oggi vivono felicemente al di sopra delle loro possibilità socio-economiche grazie allo sfruttamento incessante delle risorse prodotte in gran parte dei territori del nord del paese, ogni sforzo sarà reso vano, inutile, velleitario.
Poichè e impensabile l’applicazione del federalismo in un ambito democratico come un dogma che cada dall’alto:
esso non sarebbe compreso e condiviso, anzi verrebbe visto come un nemico di ogni status quo e per questo, avversato e contrastato.
Non siamo nella dittatura fascista e nessuno ha carta bianca come vorrebbe.
Siamo in una democrazia, immatura, incompleta e bloccata, certamente, ma pur sempre una democrazia:
occorre un rispetto assoluto delle regole, da parte di tutti, compresi quelli che le regole le scrivono.
E questo, è proprio il limite del federalismo applicato:
se non trova consenso in tutte le popolazioni ed in tutti i territori, non funzionerà mai.
Ora, chi lo va a dire alle popolazioni del sud che devono credere ciecamente nel federalismo e contemporanemente fare enormi passi indietro nel proprio stile di vita eccessivo rispetto alle proprie possibilità?
Chi potrà convincerli che un posto di lavoro insicuro e scomodo in una fabbrica lontano dalla propria città sia meglio di un comodo lavoro pubblico-dipendente praticamente sotto casa?
E chi potrà convincerli che non esiste un lavoro che non costa sacrificio, rischio e sudore, e chi li convincerà che l’assenteismo, il pensionamento in giovanissima età, le pensioni di invalidità false, le raccomandazioni politiche, il lavoro in nero e le ricchezze prodotte nella illegalità dell’economia sommersa sono un male impossibile da sopportare?
Tutte queste domande contrastano con la capacità di una democrazia di imporre un comportamento piuttosto che un altro alle popolazioni resistenti al cambiamento.
Difficile garantire la stabilità democratica in questa proiezione.
Cerchiamo di analizzare e comparare questi temi.
I treni viaggiano sempre in ritardo ed accusano avarie anche quando sono nuovi di pacca.
Chi è costretto ad usarli per viaggiare, lo sa bene.
La differenza con il periodo pre-fascista è che siamo nei tempi moderni dei treni superveloci, quelli che in Italia si chiamano ad alta velocità.
Beh, proprio alta non direi.
La nostra alta velocità ferroviaria, nata per ultima in Europa, è nata già vecchia e di gran lunga meno veloce dei fantasmagorici 300/400 kmh di cui possono godere i francesi, che viaggiano in alta velocità sin dal lontano 1983.
Noi siamo appena nell’ordine di una velocità media di 180/200 kmh e potete rendervene conto quando l’autostrada corre parallela alla TAV:
i treni impiegano un bel po di tempo a scomparire dalla vista di un guidatore che procede alla velocità di 130 kmh.
E per di più, il costo per chilometro di questa nuova linea ferroviaria ad alta velocità è in assoluto e di gran lunga il più alto di tutti:
in Spagna un costo medio di 15 milioni di euro per chilometro, in Francia un po meno, 13 milioni.
In Italia?
Il dato che ho rilevato è parziale e risale al 2008:
44 milioni di euro per chilometro il costo della tav-nata-lenta italiana.
In alcuni tratti, pare che il costo medio per chilometro italiano abbia addirittura superato di decine di volte il costo medio europeo.
Misteri della casta politica e burocratica italiana in tema di appalti pubblici.
Fatto sta che la TAV italiana è nata sinistra, poichè collega Torino e Milano con la direttrice tirrenica sino a Napoli e Salerno.
Cosa avranno fatto di male le regioni adriatiche e geograficamente destre per patire un simile danno, questo non è dato saperlo.
Cosa avrà da meritare la città di Napoli piuttosto della città di Pescara o di Bari, questo poi è un dato illegibile nel governo della cosa pubblica italiana.
Se poi pensiamo a quanto è costata l’eterna incompiuta Salerno-Reggio Calabria, comprendiamo forse un po meglio perchè è preferibile investire in appalti pubblici in regioni come la Campania e la Calabria, piuttosto che l’Abruzzo o la Puglia.
E per fortuna che è scampato il pericolo calabro-siciliano del ponte sullo stretto di Messina!
Beh, sappiamo tutti il potere di attrazione che hanno le organizzazioni mafiose sugli appalti pubblici, specie su quelli più grandi serviti sotto il loro naso.
E veniamo al secondo punto di analisi storica comparata del periodo prefascista con i nostri giorni:
il grado di aggressione della mafia e della criminalità sulla sicurezza dei cittadini.
Il Fascismo mise a posto entrambe le cose, sbaragliando per la prima volta la mafia costretta così ad emigrare nelle americhe e rendendo sicure le città italiane, tanto da consetire di lasciare liberamente l’uscio delle case aperto ed inviolato.
Mio padre mi ha raccontato come nacque il Fascismo a Foggia, e questo resoconto può essere di grande chiarimento alla nostra analisi.
La criminalità cresceva ogni giorno di più e la giustizia non si dimostrava in grado di perseguire e punire il crimine ed i criminali, che circolavano liberi ed indisturbati.
Un bel giorno, un gruppo di cittadini, decise di porre fine a questa eterna ingiustizia ed insicurezza sociale ed organizzarono una giustizia privata molto efficace.
Prelevati nottetempo i delinquenti nelle loro case, li portavano in casolari siti in aperta campagna, dove somministravano loro un giudizio sommario, condito da grandi bevute di olio di ricino e portentose manganellate.
Sentenziata la colpevolezza degli “imputati”, essi venivano trasportati presso le Isole Tremiti e lì, giustiziati con un gran salto nel buio nel mare notturno, salto che avveniva dalla sommità di quelle isole.
Morte certa, punizione garantita, sentenza soddisfatta, giustizia compiuta.
In qualche modo, in quel modo.
Quei cittadini, erano i fascisti.
Osservando nel mondo dei nostri giorni la lentezza e l’inefficacia della giustizia, l’incertezza della pena e la debolezza della legge e l’arroganza con cui delinquenti incalliti vengono scarcerati per decorrenza dei termini, errori nelle modalità di arresto e di giudizio, amnistie ed altre cosette simili, il paragone con l’epoca pre-fascista pare calzare benissimo.
Detto per inciso, mio padre non è affatto un fascista, ma ha tenuto a raccontarmi questi episodi vissuti nella sua adolescenza proprio perchè riteneva di mettermi al corrente del pericolo insito nella ingiustizia odierna, facile preda di una sete di giustizia che è da ritenere tutt’altro che silente.
Veniva da una famiglia di fascisti però, come mio nonno, o come lo zio di mia nonna, salito all’onore del servizio di segretario personale del Duce.
Ma questo ultimo inciso non ha rilevanza ai fini della nostra analisi.
Ha un enorme valore invece, la ricorrenza del contrasto opposto alle mafie dall’attuale ministro dell’Interno Roberto Maroni, convinto persecutore di ogni mafia e dei suoi boss latitanti:
sotto il governo del ministro Maroni infatti, quasi tutti i più pericolosi boss mafiosi latitanti sono stati assicurati alla pena detentiva comminata dalla magistratura.
Un risultato eccezionale che propone una suggestione notevole nella nostra comparazione temporale, in specie se, comparando i due più grandi contrastatori delle mafie dall’unità italiana ad oggi notiamo un significativo sinonimo dei termini Fasciare e Legare e di una mera differenza di colorazione delle camicie:
da nere a verdi.
Ma questa è e deve restare una mera suggestione, vista la notevole differenza di ambiti in cui si sono mossi i nostri due protagonisti:
Mussolini potè dare carta bianca al Prefetto Mori in virtù del potere assoluto di una dittatura, quale era quella fascista, mentre il nostro contemporaneo Maroni ha ottenuto i notevoli risultati raggiunti in tema di contrasto alle mafie governando in una democrazia.
E questa differenza avvalora ancor di più l’azione del Maroni, maggiormente “contenuto” dalla osservanza della legge democratica e niente affatto sorretto da un potere assoluto.
L’opera anti-mafia del nostro Maroni resterà sicuramente nei testi di storia di questo paese, poichè raggiunta e governata con notevoli e maggiori difficoltà rispetto al suo precedente storico.
Passiamo ora dalla comparazione analitica alla proiezione futuribile:
se il federalismo, come dice sempre il ministro Maroni, è incompatibile con le organizzazioni mafiose, basterà solo questo elemento riformatore a salvare il paese da un ritorno al passato?
Mi spiego meglio.
Premesso che le precondizioni del periodo fascista appaiono sovrapponibili a quelle odierne, potrà essere la chiave di volta risolutiva in una democrazia repubblicana l’applicazione del federalismo, ovvero sarà la secessione a dare un aut aut al ripetersi della storia?
Che sfida incredibile pone questa analisi, quale proiezione suggestiva pone dinanzi ai nostri occhi.
Ma, teniamo fuori l’emotività dalla sfera razionale ed analizziamo insieme i possibili scenari.
Scenario Primo:
Il Federalismo
L’ascendente del federalismo come nuova massa collante di una unità nazionale vacillante ed assai degradata, piace a molti.
Sarà perchè risparmia scenari di ritorno ad un passato fascista e dittatoriale, sarà perchè unisce ciò che è diviso, sarà perchè è l’unica ricetta politica in grado di assicurare un futuro all’intero paese e non ad una sola parte di esso.
Ma tutto questo potrà avvenire a certe condizioni:
I – la realizzazione ed applicazione concreta e totale del pacchetto sul federalismo fiscale nel paese;
II – la sempre più probabile ed auspicabile estensione della ricetta federalista dalla fiscalità alla struttura statuale ed alla sua forma di stato e di governo, raggiungendo un federalismo politico che veda ogni regione come uno stato autonomo riunito agli altri sotto un governo federale.
III – l’emarginazione delle organizzazioni mafiose dal controllo del voto popolare e del conseguente potere pubblico;
IV – un formidabile contrasto alla devastante corruzione politica e burocratica;
V – l’adesione totale, convinta e condivisa di tutte le popolazioni italiane alla filosofia federalista;
VI – l’eliminazione di ogni spreco del danaro pubblico e della inefficienza nella pubblica amministrazione;
VII – una completa realizzazione delle riforme che urgono per riavvicinare stato di diritto e stato di fatto, oggiAggiungi un appuntamento per oggi più che mai lontani e distanti l’uno dall’altro.
Di tutti questi, il più importante ed indispensabile risulta essere proprio il punto V.
Senza una incarnazione convinta della ispirazione federalista da parte delle popolazioni che oggi vivono felicemente al di sopra delle loro possibilità socio-economiche grazie allo sfruttamento incessante delle risorse prodotte in gran parte dei territori del nord del paese, ogni sforzo sarà reso vano, inutile, velleitario.
Poichè e impensabile l’applicazione del federalismo in un ambito democratico come un dogma che cada dall’alto:
esso non sarebbe compreso e condiviso, anzi verrebbe visto come un nemico di ogni status quo e per questo, avversato e contrastato.
Non siamo nella dittatura fascista e nessuno ha carta bianca come vorrebbe.
Siamo in una democrazia, immatura, incompleta e bloccata, certamente, ma pur sempre una democrazia:
occorre un rispetto assoluto delle regole, da parte di tutti, compresi quelli che le regole le scrivono.
E questo, è proprio il limite del federalismo applicato:
se non trova consenso in tutte le popolazioni ed in tutti i territori, non funzionerà mai.
Ora, chi lo va a dire alle popolazioni del sud che devono credere ciecamente nel federalismo e contemporanemente fare enormi passi indietro nel proprio stile di vita eccessivo rispetto alle proprie possibilità?
Chi potrà convincerli che un posto di lavoro insicuro e scomodo in una fabbrica lontano dalla propria città sia meglio di un comodo lavoro pubblico-dipendente praticamente sotto casa?
E chi potrà convincerli che non esiste un lavoro che non costa sacrificio, rischio e sudore, e chi li convincerà che l’assenteismo, il pensionamento in giovanissima età, le pensioni di invalidità false, le raccomandazioni politiche, il lavoro in nero e le ricchezze prodotte nella illegalità dell’economia sommersa sono un male impossibile da sopportare?
Tutte queste domande contrastano con la capacità di una democrazia di imporre un comportamento piuttosto che un altro alle popolazioni resistenti al cambiamento.
Difficile garantire la stabilità democratica in questa proiezione.
Scenario Secondo:
Il Secessionismo
L’ossessione dei fannulloni, la paura folle degli spreconi di danaro altrui, visto che, “l’altrui danaro” con la Secessione, tornerebbe a disposizione diretta di chi lo produce e non di chi lo spreca.
Ma quali sono le precondizioni che portano al secessionismo e quali scenari di democrazia aprono?
I – Il fallimento del federalismo è la prima condizione da rispettare per aprire una strada decisa e diretta al secessionismo.
II – L’impossibilità di ricondurre altrimenti il governo del paese a criteri di razionalità e di reciprocità fra spesa e contribuzione.
Ecco i due criteri di scelta obbligata per ottenere il secessionismo delle regioni del nord dal resto del paese.
In questo quadro è difficile prevedere cosa accadrà in caso di secessione di una parte delle popolazioni e dei territori dallo stato italiano, in specie se si guarda alla difficoltà di ottenere una “secessione dolce e civile”, piuttosto di una guerra civile.
Il tema è delicato, ma val la pena di approfondirlo, almeno negli aspetti di una continuità democratica nel caso secessionista.
La stabilità democratica in caso di secessione del nord sarebbe garantita?
Sì, almeno nel nord del paese, che otterrebbe una vittoria civile e democraticamente accettata da tutte le parti, un po come è avvenuto nel passato nella scissione della Cecoslovacchia nelle due repubbliche Ceca e Slovacca, secessione che ha fatto un gran bene all’economia di entrambe i “paesi separati”.
Per quanto riguarda il sud, restano sul tavolo tutte le domande che abbiamo posto nel caso della applicazione federalista, visto che sarebbe il sud del paese a dover cambiare velocemente passo in tutti e due i casi.
O il sud accetta il federalismo e lo condivide incarnandolo, ovvero dovrà subire il secessionismo, sia pur non condiviso, ma obbligatoriamente incarnato.
Il sud si salva in tutti e due casi ed in un regime di stabilità democratica, solo se accetterà la sua sfida vitale:
camminare sulle proprie gambe, eliminare le mafie, distruggere il mondo della illegalità diffusa.
E allora, quale suggestione vi piace di più?
Quale sarà il futuro dell’Italia?
Una rinnovata democrazia federalista ovvero il ritorno di una buia dittatura?
Una secessione civile ovvero una guerra civile?
Ai posteri, l’ardua sentenza.
Ai contemporanei, la difficile leggerezza dell’essere divisi, in un paese unito.
Il Secessionismo
L’ossessione dei fannulloni, la paura folle degli spreconi di danaro altrui, visto che, “l’altrui danaro” con la Secessione, tornerebbe a disposizione diretta di chi lo produce e non di chi lo spreca.
Ma quali sono le precondizioni che portano al secessionismo e quali scenari di democrazia aprono?
I – Il fallimento del federalismo è la prima condizione da rispettare per aprire una strada decisa e diretta al secessionismo.
II – L’impossibilità di ricondurre altrimenti il governo del paese a criteri di razionalità e di reciprocità fra spesa e contribuzione.
Ecco i due criteri di scelta obbligata per ottenere il secessionismo delle regioni del nord dal resto del paese.
In questo quadro è difficile prevedere cosa accadrà in caso di secessione di una parte delle popolazioni e dei territori dallo stato italiano, in specie se si guarda alla difficoltà di ottenere una “secessione dolce e civile”, piuttosto di una guerra civile.
Il tema è delicato, ma val la pena di approfondirlo, almeno negli aspetti di una continuità democratica nel caso secessionista.
La stabilità democratica in caso di secessione del nord sarebbe garantita?
Sì, almeno nel nord del paese, che otterrebbe una vittoria civile e democraticamente accettata da tutte le parti, un po come è avvenuto nel passato nella scissione della Cecoslovacchia nelle due repubbliche Ceca e Slovacca, secessione che ha fatto un gran bene all’economia di entrambe i “paesi separati”.
Per quanto riguarda il sud, restano sul tavolo tutte le domande che abbiamo posto nel caso della applicazione federalista, visto che sarebbe il sud del paese a dover cambiare velocemente passo in tutti e due i casi.
O il sud accetta il federalismo e lo condivide incarnandolo, ovvero dovrà subire il secessionismo, sia pur non condiviso, ma obbligatoriamente incarnato.
Il sud si salva in tutti e due casi ed in un regime di stabilità democratica, solo se accetterà la sua sfida vitale:
camminare sulle proprie gambe, eliminare le mafie, distruggere il mondo della illegalità diffusa.
E allora, quale suggestione vi piace di più?
Quale sarà il futuro dell’Italia?
Una rinnovata democrazia federalista ovvero il ritorno di una buia dittatura?
Una secessione civile ovvero una guerra civile?
Ai posteri, l’ardua sentenza.
Ai contemporanei, la difficile leggerezza dell’essere divisi, in un paese unito.
Gustavo Gesualdo alias Il Cittadino X
quanto ci è stato scritto è tratto da qui
E’ notizia di oggi quella della scarcerazione di quattro fiancheggiatori che coprirono la latitanza del boss mafioso bernardo provenzano per “scadenza dei termini”.
Arrestati nel 2006 sono stati anche condannati nel 2009 ma la suprema corte italiana ha ritardato a fissare l’ultimo processo.
Così, mentre la sentenza definitiva della cassazione non arriva, la corte d’appello rimette in libertà questi malviventi mafiosi.
Questa è la giustizia italiana.
Questa situazione rappresenta una forte similitudine con le precondizioni che favorirono l’avvento del fascismo, così come abbiamo analizzato all’interno del post.
Andiamo bene, proprio bene …
Arrestati nel 2006 sono stati anche condannati nel 2009 ma la suprema corte italiana ha ritardato a fissare l’ultimo processo.
Così, mentre la sentenza definitiva della cassazione non arriva, la corte d’appello rimette in libertà questi malviventi mafiosi.
Questa è la giustizia italiana.
Questa situazione rappresenta una forte similitudine con le precondizioni che favorirono l’avvento del fascismo, così come abbiamo analizzato all’interno del post.
Andiamo bene, proprio bene …