ATTUALITA

2011.09.22 – MOVIMENTU DE LIBERATIONI NATZIONALI SARDU

Martin Luther King:
"Prima o poi arriva l'ora in cui bisogna prendere una posizione
che non è né sicura, né conveniente, né popolare; ma bisogna prenderla perché è giusta!"
 
Il MLNS agisce, in qualità di soggetto di Diritto Internazionale, in nome di un intero Popolo e questo può essere considerato inpopolare…ma ritiene che è arrivato il momento di lasciare ogni indugio e agire con forza e decisione contro lo stato straniero occupante italiano prima che sia troppo tardi. Se non si ottiene l'indipendenza alla svelta il Popolo Sardo ha i giorni contati !!! Il nostro è un programma di assoluta "rottura" con lo stato italiano che ci ha colonizzato.
 

 
16.09.2011
 
L'UNIONE SARDA
Cronaca Regionale
 
Indipendentisti – «Un Movimento di liberazione»
 
Venerdì 16 settembre 2011
 
Si chiama Movimentu de liberatzioni natzionali sardu, ma non è un nuovo partito indipendentista: «Semmai un contenitore in cui altri potranno confluire e collaborare», spiega il presidente Sergio Pes, «perché il Movimentu sarà costituito come un soggetto di diritto internazionale. Potrà perciò chiedere il riconoscimento all'Onu della nazione sarda, disconoscendo l'occupazione italiana». «Sarà in contatto costante con i movimenti di liberazione baschi, catalani, scozzesi, e di regioni italiane come il Veneto», sottolinea durante la presentazione alla stampa Doddore Meloni, leader di Malu entu, che è tra i fondatori. Il Movimentu, precisa Pes, «vuole riaffermare la piena sovranità del popolo sardo, e si scioglierà quando i sardi, con libere elezioni, eleggeranno i loro governanti al di fuori dell'autorità dello Stato italiano».
 

 
13.09.2011 
 
PRESENTAZIONE
de su MOVIMENTU DE LIBERATZIONI NATZIONALI SARDU
 
Domani 14 Settembre 2011 subito dopo la fine della Conferenza Stampa indetta da
Giacomo Meloni alle ore 10.30 , nella saletta dell'hotel Mediterraneo in Cagliari
( ma non inerente con la nostra conferenza stampa, anche se dalle caratteristiche
politiche ideologiche similari) verra' presentata la nascita de su MOVIMENTU DE
LIBERATZIONI NATZIONALI SARDU presieduto dal Presidente , Sergio Pes, dal vice-
Presidente Francesco Pascalis, dai componenti il direttivo Mauro Senis, Felice
Pani , Onorato Scanu e Doddore Meloni.

 
31.08.2011
 
Il giorno 31.08.2011 un gruppo di patrioti Sardi ha dato vita a su “MOVIMENTU DE LIBERATZIONI NATZIUNALI SARDU”; il Movimento di Liberazione Nazionale del Popolo Sardo.
Il MLNS non è un partito politico ne’ un movimento culturale; il MLNS è stato costituito come Soggetto di Diritto Internazionale, pertanto diviene destinatario legittimo delle norme di diritto internazionale, agisce al pari di uno Stato e si propone di creare le condizioni “ giuridiche e materiali” per poter esercitare il diritto di autodeterminazione del Popolo Sardo come già previsto dal diritto internazionale.
Quindi agisce e si qualifica sempre e necessariamente nell’ambito della legalità, soprattutto internazionale, ed è legale disconoscere l’autorità di uno stato occupante presente con la forza e che impedisce l’esercizio del diritto di Sovranità del Popolo Sardo.
Il MLNS agisce contro l’attuale ordinamento giuridico in quanto la Nazione Sarda è occupata da uno stato straniero, quello italiano, e questo è illegittimo e illegale.
Il MLNS, infatti, non riconosce l’autorità delle istituzioni straniere italiane presenti sui territori occupati della auspicata Repubblica di Sardegna perché agiscono in difetto assoluto di giurisdizione ( il giudice straniero italiano infatti giudica in nome del popolo italiano e mai potrà giudicare un cittadino del Popolo Sardo in nome del Popolo Sardo e soprattutto nell’ambito territoriale della nostra Patria; tutto ciò lo può fare come atto di forza perché autorità occupante la nostra Terra e pertanto illegale.
Ripristinare la legalità è un dovere nei confronti del Popolo Sardo
e il ripristino della legalità nel territorio della nostra amata Patria è il nostro primo scopo.
La legalità si ripristina con la liberazione dallo stato straniero occupante e  con il ripristino della totale Sovranità esercitata solo ed esclusivamente dal Popolo Sardo.
La Sovranità si eserciterà solo quando il Popolo Sardo eleggerà liberamente i propri rappresentanti secondo le norme, gli usi e i costumi che esso deciderà.
Appena raggiunto questo determinante obiettivo lo stesso MLNS rimetterà a tali rappresentanti il proprio mandato perché avrà concluso il proprio compito.
Quando sarà ripristinata la legalità, con il pieno diritto di Sovranità per il Popolo Sardo, sarà necessario avviare una Costituente e lavorare per le nuove prime libere elezioni degli organi rappresentativi.
Fatto questo il MLNS cesserà di esistere avendo raggiunto il suo scopo e si metterà a disposizione dei nuovi membri eletti dal Popolo Sardo.
Il MLNS collaborerà parecchio col MLNV di cui tuttora faccio parte con la qualifica di Procuratore Delegato e come membro permanente del Direttivo;  ci si aiuterà a vicenda in questa lotta, per la liberazione delle nostre rispettive Patrie….E CI RIUSCIREMO !!!!!!    
Sergio Pes (Presidente MLNS)
 

2011.09.13 – TESSERA CITY / QUADRANTE DI TESSERA – LA SPECULAZIONE – VERSIONE INTEGRALE

Su segnalazione di Enzo TRENTIN – ACCADEMIA DEGLI UNITI, riportiamo:
Il presente documentario, "Tessera City: sviluppo – speculazione?" è stato fortemente voluto dall'associazione AmicoAlbero, dalla Lipu e dall'Ecoistituto del Veneto Alex Langer.
La regia e la costruzione del documentario, è stata effettuata da Multi Media Records, specializzata in edizioni e divulgazioni televisive.
Hanno partecipato in qualità di esperti il prof. Stefano Boato, docente dello IUAV di Venezia, e Luca Mamprin, dottore forestale, presidente dell'associazione AmicoAlbero.
Questo filmato rappresenta la voce "contro" rispetto a quella del Comune di Venezia, che in questi giorni sta organizzando degli incontri a livello di Municipalità per spiegare ai cittadini il PAT, di cui Tessera City, o Quadrante di Tessera ne rappresenta uno dei cardini. Ma non ci vogliamo divulgare molto, sarà più interessante seguire le due parti del filmato. Se quanto verrà detto risulterà condivisibile allo spettatore, noi siamo qui a chiedere semplicemente di farlo conoscere a quante più persone possibili.
Solo conoscendo l'altra faccia della medaglia, si potrà comprendere appieno verso quale abisso l'amministrazione del Comune di Venezia sta trascinando questi preziosi territori, nel nome della speculazione, della cementificazione, dell'arricchimento di pochi .
Buona visione.
L'Associazione AmicoAlbero
 
 
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2011.09.11 – GLI ATTENTATI ALLE TORRI GEMELLE E AL PENTAGONO

1024px-UA_Flight_175_hits_WTC_south_tower_9-11_editGli attentati dell'11 settembre 2001 sono stati una serie di quattro attacchi suicidi, organizzati e realizzati da un gruppo di terroristi aderenti ad al-Qāʿida contro obiettivi civili e militari nel territorio degli Stati Uniti d'America, spesso citati dall'opinione pubblica come i più gravi attentati terroristici dell'età contemporanea.
La mattina dell'11 settembre 2001 diciannove affiliati all'organizzazione terroristica di matrice fondamentalista islamica al-Qāʿida dirottarono quattro voli civili commerciali.
I terroristi fecero intenzionalmente schiantare due degli aerei sulle torri nord e sud del World Trade Center di New York, causando poco dopo il collasso di entrambi i grattacieli e conseguenti gravi danni agli edifici vicini. Il terzo aereo di linea venne dirottato contro il Pentagono. Il quarto aereo, diretto contro il Campidoglio o la Casa Bianca a Washington,[3] si schiantò in un campo vicino Shanksville, nella Contea di Somerset (Pennsylvania), dopo che i passeggeri e i membri dell'equipaggio tentarono, senza riuscirci, di riprendere il controllo del velivolo.
Gli attacchi terroristici dell'11 settembre causarono circa tremila vittime.
Nell'attacco alle torri gemelle morirono 2.752 persone, tra queste 343 vigili del fuoco e 60 poliziotti.
La maggior parte delle vittime era civile; settanta le diverse nazionalità coinvolte.
Gli attacchi ebbero grandi conseguenze a livello mondiale: gli Stati Uniti d'America risposero dichiarando la "guerra al terrorismo" e attaccando l'Afghanistan controllato dai Talebani, accusati di aver volontariamente ospitato i terroristi.
Il parlamento statunitense approvò lo USA PATRIOT Act mentre altri stati rafforzarono la loro legislazione anti-terroristica, incrementando i poteri di polizia.
Le borse rimasero chiuse quasi per una settimana, registrando enormi perdite subito dopo la riapertura, con quelle maggiori fatte registrare dalle compagnie aeree e di assicurazioni.
L'economia della Lower Manhattan si fermò per via della distruzione di uffici del valore di miliardi di dollari.
I danni subiti dal Pentagono furono riparati un anno dopo e sul luogo fu eretto un piccolo monumento commemorativo.
La ricostruzione del World Trade Center è invece stata più problematica, a seguito di controversie sorte riguardo ai possibili progetti e sui tempi necessari al loro completamento.
La scelta della Freedom Tower per la ricostruzione del sito ha subito ampie critiche, conducendo all'abbandono di alcune parti del progetto originario.
Le vittime degli attentati furono 2 974, esclusi i diciannove dirottatori: 246 su quattro aeroplani (87 sul volo American Airlines 11, 60 sul volo United Airlines 175, 59 sul volo American Airlines 77 e 40 sul volo United Airlines 93; non ci fu alcun superstite), 2 603 a New York e 125 al Pentagono.
Altre 24 persone sono ancora elencate tra i dispersi.[32] Tutte le vittime erano civili a parte 55 militari uccisi al Pentagono.
Furono più di 90 i paesi che persero cittadini negli attacchi al World Trade Center.
Il NIST ha stimato che circa 17 400 civili erano presenti nel complesso del World Trade Center al momento degli attacchi, mentre i dati sui turisti elaborati dalla Port Authority of New York and New Jersey (l'"Autorità portuale di New York e del New Jersey") suggeriscono una presenza media di 14 154 persone sulle Torri Gemelle alle 8:45 del mattino.
La gran parte delle persone al di sotto delle zone di impatto evacuò in sicurezza gli edifici, come pure 18 persone che si trovavano nella zona di impatto della torre meridionale.
Al contrario, 1 366 delle vittime si trovavano nella zona di impatto o nei piani superiori della torre settentrionale; secondo il Rapporto della Commissione, centinaia furono le vittime causate dall'impatto, mentre le restanti rimasero intrappolate e morirono a seguito del collasso della torre.
Quasi 600 persone furono invece uccise dall'impatto o morirono intrappolate ai piani superiori nella torre meridionale.
Almeno 200 persone saltarono dalle torri in fiamme e morirono, come raffigurato nella emblematica foto The Falling Man ("L'uomo che cade"), precipitando su strade e tetti degli edifici vicini, centinaia di metri più in basso.
Alcune persone che si trovavano nelle torri al di sopra dei punti di impatto salirono fino ai tetti degli edifici sperando di essere salvati dagli elicotteri, ma le porte di accesso ai tetti erano chiuse; inoltre, non vi era alcun piano di salvataggio con elicotteri e, quella mattina dell'11 settembre, il fumo denso e l'elevato calore degli incendi avrebbe impedito agli elicotteri di effettuare manovre di soccorso.
Le vittime tra i soccorritori furono 411.
Il New York City Fire Department (i vigili del fuoco di New York) perse 341 vigili del fuoco e 2 paramedici; il New York City Police Department (la polizia di New York) perse 23 agenti, il Port Authority Police Department (la polizia portuale) 37. I servizi di emergenza medica privata persero altri 8 tecnici e paramedici.
La Cantor Fitzgerald L.P., una banca di investimenti i cui uffici si trovavano ai piani 101-105 del WTC 1, perse 658 impiegati, più di qualunque altra azienda.
La Marsh Inc., i cui uffici si trovavano immediatamente sotto quelli della Cantor Fitzgerald ai piani 93-101 (dove avvenne l'impatto del volo 11), perse 295 impiegati, mentre 175 furono le vittime tra i dipendenti della Aon Corporation.
Dopo New York, lo Stato che ebbe più vittime fu il New Jersey, con la città di Hoboken a registrare il maggior numero di morti.
È stato possibile identificare i resti di sole 1 600 delle vittime del World Trade Center; gli uffici medici raccolsero anche «circa 10 000 frammenti di ossa e tessuti non identificati, che non possono essere collegati alla lista dei decessi».
Altri resti di ossa furono trovati ancora nel 2006, mentre gli operai approntavano il Deutsche Bank Building per la demolizione.
La morte per malattie ai polmoni di alcune altre persone è stata fatta risalire alla respirazione delle polveri contenenti centinaia di composti tossici (quali amianto, mercurio, piombo, ecc.) causate dal collasso del World Trade Center.
La gravità dell'inquinamento ambientale derivante da tali polveri – che investirono tutta la punta sud dell'isola di Manhattan – fu resa nota al grande pubblico solo a distanza di circa quattro anni dall'evento: sino ad allora le agenzie governative statunitensi avevano sottovalutato o nascosto il rischio ambientale, forse allo scopo di non causare ulteriore panico e di rendere più spediti i soccorsi, lo sgombero delle macerie, il ripristino delle normali attività della città così gravemente ferita.
A seguito degli attacchi, negli Stati Uniti e nel mondo sono stati sollevati diversi dubbi circa il reale svolgimento dei fatti e sono state formulate numerose teorie difformi da quelle comunemente accettate, generalmente configurabili come teorie del complotto.
Tali dubbi e teorie hanno dato luogo a innumerevoli dispute e controversie circa la natura, l'origine e i responsabili degli attentati, contestando il contenuto dei resoconti ufficiali circa l'accaduto e suggerendo, tra l'altro, che persone con incarichi di responsabilità negli Stati Uniti fossero a conoscenza del pericolo e che deliberatamente avrebbero deciso di non prevenirli, o che individui estranei ad al-Qāʿida avrebbero partecipato alla pianificazione o all'esecuzione degli attacchi.
Una delle più diffuse teorie pone in dubbio che gli edifici colpiti a New York siano crollati per conseguenza del solo impatto degli aerei e degli incendi che ne sono seguiti.
Tuttavia, la comunità degli ingegneri civili concorda con la versione che vuole il collasso delle Torri gemelle provocato dagli impatti ad alta velocità degli aviogetti e dai conseguenti incendi, piuttosto che da una demolizione controllata della quale non è mai stata fornita alcuna prova.
Tracce di esplosivi di nano-termite sono stati individuati tra i detriti delle Twin Towers del World Trade Center di New York. Sì, proprio le Torri, quelle Torri che l’opinione pubblica americana e non è stata indotta a credere siano state abbattute dal più terribile e spettacolare attentato terroristico della storia.
Analizzando numerosi detriti raccolti subito dopo il crollo, il Dr. Steven Jones, professore di Fisica della Brigham Young University, coadiuvato da un team internazionale composto da nove scienziati, ha individuato chiaramente residui di esplosivo nano-termite, generalmente usato per scopi militari e per le demolizioni controllate degli edifici.
Dopo un rigoroso processo di peer-review, la notizia della scoperta e la relativa documentazione sono state pubblicate sulla prestigiosa rivista scientifica Bentham Chemical Phisics Journal, una delle testate più accreditate e rispettate negli U.S.A.
In sintesi, come già dimostravano (per chi aveva gli occhi attenti per capirlo) alcuni filmati girati durante il crollo, è possibile adesso affermare ufficialmente che a determinare il crollo delle Twin Towers non sono stati gli aerei che le hanno colpite, ma tutta una serie di cariche di esplosivo piazzate con estrema perizia e maestria in numerosi punti dei due edifici.
Non ditemi che c'e gente che crede ancora che la causa è stata il dirottamento.
Anche i bambini di 10 anni lo sanno, che è stata l'ennesima menzogna mondiale.
Serviva una scusa per dichiarare la guerra ,e costi quel che costi l'hanno trovata.
www.lonesto.it
 
 

2011.09.06 – TRAGEDIA A TORINO – MUORE NELLA MACCHINA DOVE VIVEVA DOPO LO SFRATTO

TORINO – Ieri mattina Anna Maria lo ha chiamato una, due, tre volte: «Silvio, svegliati». Lo ha scosso, ma l’uomo non ha risposto: «Gli ho preso il polso ma non ho sentito il battito». Uscita dall’auto, Anna Maria ha telefonato con il cellulare: «Non c’era credito ma ho composto il numero d’emergenza e ho chiamato l’ambulanza». Poi la donna è rientrata nella vecchia Fiat Punto e ha accarezzato il volto del fratello maggiore: «Non lasciarmi sola», ha implorato. Però Silvio Garino, 65 anni, non respirava più. Morto nel sonno durante la notte, forse per un infarto, secondo il medico legale Paolo Guizzardi. Disteso sul sedile posteriore di quell’auto che per lui e la sorella Anna Maria, di due anni più giovane, era diventata la casa.
Perché a fine maggio i due erano stati sfrattati per morosità da quel piccolo appartamento di Cirié, non pagavano più l’affitto e le bollette, la luce era stata tagliata. Non avevano un quattrino e «si erano ridotti a vivere come barboni», dice ora chi li conosce. «Non è vero – ha spiegato la donna al capitano Roberto Capriolo, comandante della compagnia di Venaria che ha competenza su Lanzo Torinese, centro di mezza montagna dove la coppia si era rifugiata -. Noi non abbiamo mai chiesto l’elemosina, non siamo dei mendicanti e nonostante le difficoltà di questi ultimi mesi, abbiamo sempre mantenuto, per quanto ci è stato possibile, un comportamento dignitoso». La donna giura che il periodo buio sarebbe finito presto: «Avevamo fatto domanda per la pensione e ci era stato promesso che l’avremmo ottenuta, così da poterci permettere di nuovo un alloggio».
A Cirié, cittadina a Nord di Torino, poco più di quindicimila abitanti, Silvio e Anna Maria erano conosciuti: «Per anni hanno gestito un bar-tavola calda. Ci sapevano fare, erano affiatati: lui serviva, lei cucinava», ma poi le cose sono andate male. «Siamo stati costretti a chiudere. Non riuscivamo più a pagare i fornitori, avevamo dei debiti, abbiamo anche avuto dei problemi nel lasciare l’attività» ed è stato il tracollo. «All’inizio – spiega Anna Maria – e in attesa di una sistemazione, abbiamo alloggiato per due settimane in una pensione. Poi, finiti i nostri pochi risparmi, siamo andati via e ci è rimasta solo l’auto».
Scosso Francesco Brizio, sindaco di Ciriè: «Mi chiedo perché – dice – non si siano rivolti ai servizi sociali del Comune, li avremmo certamente aiutati». Forse per vergogna, per un sussulto di dignità: «C’è da comprenderli – riferisce un vecchio cliente del bar trattoria -. Silvio, in particolare, era una persona orgogliosa e nascondeva a tutti la sua condizione di indigenza. Non a caso a dormire andavano a Lanzo, qualche chilometro fuori da Ciriè, perché temevano che qualcuno potesse accorgersi del loro dramma». A Lanzo, sempre nello stesso parcheggio di via Loreto «perché – ha spiegato Anna Maria ai carabinieri -, a Loreto c’é la casa della Madonna e io in questi mesi ho sempre pregato perché anche noi potessimo trovare una sistemazione». Una casa, una pensione, tornare alla normalità, invece «di girare, dopo l’orario di chiusura, per tutti i mercati della valle alla ricerca degli scarti che vengono abbandonati e che per noi erano il pasto», ha detto Anna Maria tra le lacrime. «Non ne potevamo più di frugare nei cassonetti, ma sempre stando attenti a non farci vedere da nessuno». Fratello e sorella, compagni in una vita che li ha visti sempre insieme, «nessuno di noi due si è mai sposato» e ora separati «dopo la disgrazia. Non c’è più il mio faro – conclude Anna Maria -, Silvio è sempre stato una guida, vorrei morire anch’io».
La donna, affidata ai servizi sociali già nella serata di ieri, è stata accolta in una comunità della zona, gestita proprio dalle religiose della congregazione «Santa Maria di Loreto», devote alla Madonna che Anna Maria ha pregato durante le notti trascorse in auto, in quel parcheggio di Lanzo, in via Loreto, «dove il mio Silvio – dice – se ne è andato per sempre».
 

2011.09.06 – DISUBBIDIèNTZIA

E Doddore MELONI, tanto per non lasciare nulla d'intentato per la liberazione della propria Patria, la Nazione Sarda, ha fondato un nuovo movimento DISUBBIDIèNTZIA.
Come non prendere ad esempio quest'uomo e le sue iniziative…forza Doddore, anche dalla Repubblica Veneta, speriamo presto liberata dal giogo italiano, ti giunga tutta la nostra solidarietà e gratitudine… qualunque cosa tu stia facendo per la tua Patria, per il tuo Popolo, aiuti anche tutti noi.
Che lo stato straniero italiano si senta sempre più circondato da Popoli pronti a rivendicare e a lottare per la propria libertà.
W IL POPOLO SARDO, W LA NAZIONE SARDA.
 
 

2011.08.22 – LA LOMBARDIA SI RIBELLA A BOSSI.

Giovedí 18.08.2011 22:45
 
di Fabio Massa
 
Altro che militanti veneti e bossi pontida 420autonomisti di Belluno. La Lega Nord è tutta un fermento anche nella sua Regione simbolo, la Lombardia. E per la prima volta l'antipatia dei militanti e di buona parte dei dirigenti non si appunta solo sull'ormai famoso "cerchio magico", e quindi sulla corrente che fa capo a Rosy Mauro e a Marco Reguzzoni, ma inizia a indirizzarsi sul Senatùr in persona. L'analisi che si fa in Lombardia, del resto, è spietata. Al di là della difesa d'ufficio davanti alle continue rimostranze di Roberto Formigoni, in un refrain infinito che dura ormai da oltre un anno, anche i meno avvertiti hanno ormai capito che i tagli agli enti locali, de facto, sono il contrario della ricchezza promessa ai territori del Nord grazie all'affermazione del federalismo. In più, il ceto medio e imprenditoriale, che elezione dopo elezione il Carroccio aveva eroso al Pdl, con l'ultima stangata si trova disorientato, arrabbiato, inferocito. A peggiorare la situazione il fatto che il partito ribolle per il taglio dei consiglieri, dei posti di potere in quegli enti nei quali la Lega stava lottando per entrare. Per questo motivo Bossi aveva parlato di "persone che nel movimento ragionano come i terroni".
In Lombardia, terra pragmatica, di quella che una volta era solo un'idea sussurrata, si inizia a parlare liberamente, apertamente: occorre sostituire il Senatùr. Il delfino c'è già, e si chiama Roberto Maroni, unito in un ticket di ferro (almeno per adesso), con Roberto Calderoli. "Qui rischiamo l'implosione come mai. Prima abbiamo perso Milano, adesso tassiamo tutti – si confida un dirigente leghista con Affaritaliani.it – Alle prossime elezioni sarà un bagno di sangue se non si fa qualcosa, e invece l'Umberto si mette a parlare di Brunetta, del nano di Venezia e continua con le sue inutili provocazioni". Secondo quanto risulta ad Affari, è proprio in Lombardia il laboratorio che ormai da tempo sta preparando il dopo-Bossi. Del resto, il futuro del partito è condizionato ai congressi dell'autunno: in quella sede si svolgerà l'ultima battaglia tra "cerchio magico" e "maroniti", con Reguzzoni che va all'assalto della segreteria di Giorgetti. Sta a Bossi decidere se vuole continuare ad essere il padre nobile del Carroccio o l'ennesimo caso di pensionato eccellente (e pure un po' scomodo).
 
Tratto da: clicca qui
 

2011.08.22 – C’ERA UNA VOLTA IL “SENATUR”…

La normalizzazione della Lega e del suo leader si è completata.
E il declino del Pdl ha colpito anche il Carroccio.
Per diverse ragioni, a partire dalla crisi economica.
Eppure difficilmente Bossi potrà essere messo da parte
di ILVO DIAMANTI
 
Umberto Bossi
IL PASSAGGIO di Bossi in Cadore, per festeggiare il compleanno dell'amico Tremonti, insieme a Calderoli, è durato poco. Qualche giorno appena. Per l'incalzare della crisi, ma soprattutto, per paura dei fischi, delle proteste e dei contestatori. Così, niente interviste e niente conferenze stampa.
C'era una volta il SenaturUna nemesi: il contestatore contestato. Il portavoce della Protesta protestato. A casa propria (visto che il bellunese è culla del leghismo). Un tempo, invece, Bossi era costantemente (in) seguito da una comunità di giornalisti "specializzati". Soprattutto d'estate, in attesa di una provocazione quotidiana, che desse un po' di colore politico a una stagione altrimenti incolore.
E Bossi non deludeva mai. Sparava (verbalmente) contro l'Italia, i "vescovoni" e il Papa polacco. Contro Berlusconi, le destre e le sinistre – romane. Da qualche anno, però, nessuna sorpresa e meno giornalisti, a Ponte di Legno come in Cadore. La Lega non riserva più sorprese. Si è normalizzata. Tutti i politici, d'altronde, si sono un po' "leghizzati". Le sparano grosse per ottenere spazio sui media. Sul modello del Senatur nel comizio di ieri sera a Schio.
Poi, soprattutto, il declino del berlusconismo ha "colpito" anche la Lega. Che, come il Pdl e Forza Italia, è un "partito personale". Quantomeno: altamente "personalizzato". "Impersonato" dalla "persona" di Umberto Bossi, fin dai primi anni Novanta. Quando il Senatùr, dopo aver riunito
le diverse leghe regionaliste intorno al nucleo lombardo e dopo aver "epurato" tutti gli altri leader concorrenti, è divenuto il solo, indiscusso Capo della Lega. Unico riferimento strategico e simbolico. Unica bandiera. Più della stessa Padania (che egli, d'altronde, incarna).
Oggi, quella parabola pare essersi consumata. Nonostante che la Lega, negli ultimi anni, abbia riconquistato il peso elettorale di un tempo. Nonostante che, da dieci anni stia al governo, quasi ininterrottamente. E sia divenuta il "partito forte" della maggioranza. Eppure, da qualche tempo, pare finita in un cono d'ombra. Insieme al Capo. Per diverse ragioni.
a) La crisi di consenso della maggioranza, messa in luce dalle amministrative e dal referendum degli scorsi mesi, alimentata dalla bufera dei mercati.
b) Le difficoltà provocate dalle manovre finanziarie del governo, ultima quella discussa in queste settimane. Hanno alimentato l'insoddisfazione popolare, ma, soprattutto, hanno costretto la Lega a giocare un ruolo sgradito e innaturale. A indossare una sola maschera. Quella del "partito di governo". Che chiede sacrifici. Impone tasse. Senza contropartite, perché parlare di federalismo mentre si tagliano le risorse agli enti locali, anzi: mentre si tagliano migliaia di enti locali, è quantomeno ardito.
c) E poi c'è il problema di Bossi, la Persona intorno a cui ruota il partito Personale leghista. Non è più quello di un tempo. La malattia l'ha segnato profondamente. Anche se i segni del male e della sofferenza, esibiti apertamente e senza timidezza, hanno, per certi versi, rafforzato il carisma del Capo. Non solo tra i suoi "fedeli". Oggi, però, la debolezza del corpo appare sempre più un limite. All'esterno, perché Bossi insiste ad atteggiarsi come un tempo. Come se nulla fosse cambiato. La stessa canotta d'antan. E poi gli sfottò, le pernacchie, il dito levato. Come se fosse lo stesso degli anni Ottanta e Novanta. Ma non lo è più. Così, però, rischia di apparire patetico. Il peggio che possa capitare a un Barbaro orgoglioso come lui.
d) Inoltre, su di lui pesano i segni, più che i sospetti, dell'omologazione ai vizi della politica politicante. L'impressione di essere sensibile ai (e condizionato dai) consigli di un circolo esclusivo e ristretto di dirigenti (e di parenti). Per non parlare del "familismo", visto che il suo portavoce pare essere divenuto il figlio Renzo.
e) La sua debolezza "personale", però, sembra riflettersi anche all'interno del partito. Attraversato da tensioni centrifughe. Fra territori e leader, che corrono e si rincorrono, ciascuno per proprio conto. Talora, contro gli altri. Mentre cresce l'insoddisfazione degli elettori e degli stessi militanti, espressa in modo aperto all'adunata di Pontida dello scorso giugno.
Eppure è difficile, quasi impossibile, che Bossi possa venir messo da parte. Nessuno ne ha la forza, nel partito. E se lo stesso Bossi decidesse di uscire di scena, per propria decisione, difficilmente la Lega gli potrebbe sopravvivere, così com'è ora. Perché l'unica bandiera, l'unico mito fondativo, l'unico legame biografico: resta lui. Senza di lui, tutte le mille differenze locali e personali che oggi, faticosamente, coabitano nella Lega, rischiano di esplodere. Ostaggio di se stesso e del proprio passato, il Capo non è mai sembrato tanto solo.
 
tratto da: clicca qui

2011.08.22 – LEGA CONTESTATA, BOSSI “SCAPPA” NELLA NOTTE.

Dopo due giorni di insulti e proteste, il leader del Carroccio decide di lasciare il Cadore.
"Brutto, brutto, brutto: andiamo via", si sfoga con pochi intimi all'interno di un hotel Ferrovia blindato.
Il clima è talmente pesante che la cena per il 64esimo compleanno di Tremonti è spostato all'ultimo secondo nella baita a Lorenzago del ministro dell'Economia
“Brutto, brutto, brutto: andiamo via”.
 Umberto Bossi nella notte decide di lasciare l’hotel Ferrovia di Calalzo di Cadore per timore di altre proteste.
Ci sono voluti due giorni di contestazioni dell’ormai ex popolo leghista bellunese e decine di insulti dei passanti, per far comprendere al leader del Carroccio che la base ha superato il limite di sopportazione.
Tornare indietro ora è difficile.
Da contadino della politica quale è, Bossi ha compreso che non può più salvarsi dal Titanic: affonderà insieme a Silvio Berlusconi.
Mercoledì sera ha dovuto cancellare il comizio in piazza per timore delle proteste leghiste, capitanate dal presidente della Provincia di Belluno che si è presentato con la bandiera dell’ente listata a lutto.
Ieri ha ricevuto insulti dalle auto che passavano davanti all’albergo.
Si è nascosto per tutto il giorno all’interno insieme a Roberto Calderoli.
E i dieci minuti che è uscito per accogliere l’amico Giulio Tremonti, i tre sono stati costretti a farsi circondare da una decina di uomini della scorta.
Prigionieri a casa loro.
Tanto che ieri sera la tradizionale festa di compleanno del ministro dell’economia all’hotel Ferrovia è stata trasferita all’ultimo minuto (nella speranza di depistare proteste e giornalisti) nella baita di Tremonti a Lorenzago.
La stessa baita dove i quattro saggi del centrodestra stilarono il federalismo che fu poi bocciato dagli elettori con il referendum.
La baita è raggiungibile solo attraversando un cancello, ovviamente ieri notte sigillato e sotto stretta sorveglianza.
Nascosti nella loro terra, in fuga dagli ex elettori che per venti anni hanno regalato alla Lega la sensazione di potere e immortalità che adesso comincia a franare.
Alberto da Giussano non può fare nulla, l’inesistente Padania comincia a essere ridimensionata agli occhi di Bossi.
Le proteste fanno male.
Anche ieri per tutto il giorno è stato un continuo susseguirsi di manifestazioni e contestazioni davanti all’albergo.
Dal sindaco Pdl del Comune di Calalzo al presidente provinciale di Confcommercio, dagli ex leghisti e autonomisti, al Pd ai cittadini.
Qui era impensabile fino a pochi mesi fa che qualcuno potesse criticare il Capo.
All’hotel Ferrovia di Gino Mondin era un continuo pellegrinaggio di complimenti, mani da stringere, baci e foto ricordo tutti sorridenti col ministro leghista di turno.
Dalle macchine che passavano davanti all’albergo è sempre stato un “viva Bossi, viva la Lega”.
Da due giorni invece la strada è piena di contestatori e manifestanti.
E dalle auto il conducente più delicato gli ha gridato contro “cialtrone”.
Il livello di sopportazione è ampiamente superato, ma la realtà non ha ancora preso forma nella mente del Carroccio.
Il nervosismo è palpabile.
A un giornalista della Rai regionale che lo segue imperterrito persino all’inaugurazione di una piccolissima centrale elettrica, Bossi si mostra molto infastidito.
“Vaffanculo, siete anche qui”.
Così, dopo essersi nascosto per tre giorni, Bossi sceglie di scappare.
 Lo fa di notte.
Mentre cenava nella baita, poco dopo le una di questa mattina, i sei uomini della scorta del leader leghista hanno pagato il conto dell’albergo (che era prenotato per Bossi fino a venerdì),  fatto le valigie, caricato le macchine.
Poi sono andati a prelevare il Capo e lo hanno portato lontano dalle contestazioni.
 Presumibilmente a Gemonio, a casa sua.
Dove almeno una bandiera della Lega rimarrà alta: quella che ha nel suo giardino.
Calderoli è invece rimasto a dormire in albergo perché G., il figlio della compagna Gianna Gancia (presidente della Provincia di Cuneo) ha undici anni ed era stanco.
Partiranno all’alba, ha fatto sapere il ministro per la Semplificazione.
Quando i giornalisti presumibilmente dormiranno e, soprattutto, i contestatori non saranno tornati qui davanti.
A ripercorrere gli eventi di questi tre giorni appare evidente come la Lega deve fare i conti con una inaspettata realtà: non ha più il polso del territorio.
 La base è stanca, non ne può più di leggi ad personam, nuove tasse.
Da mesi gli elettori del Carroccio chiedono a Bossi di staccare la spina al governo e lasciare Berlusconi.
La base lo ha chiesto talmente ad alta voce attraverso i canali consueti, che il Carroccio invece di dialogare con i malpancisti, ha preferisco censurarli chiudendo persino gli interventi liberi a Radio Padania.
Ora è troppo tardi.
Berlusconi non si può più scaricare.
Ed è lo stesso Senatùr ad averlo compreso. “Silvio ha vinto grazie a noi e ora noi perdiamo grazie a lui”, si è confidato in uno sprazzo di spietata lucidità.
Il gioco è finito.
Le proteste fanno male.
 Meglio tornare a casa, durante la notte.
Al buio, di soppiatto, senza farsi vedere da nessuno.
 
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2011.08.22 – THE ECONOMIST” DESCRIVE IL FALLIMENTO DELL’ITALIA UNITA

a Napoli prima grande monarchia e poi cricca politica
 
Angelo Forgione
 
L’importante testata londinese “The Economist” ha pubblicato recentemente, sia su carta che on-line, un reportage firmato da John Prideaux e titolato “Oh for a new Risorgimento”, sulla situazione politico-economica d’Italia, mettendo in evidenza molti problemi della società italiana nell’anno delle celebrazioni del 150° anniversario di unità e certificando dal punto di vista estero il fallimento della nostra Nazione.
Si analizza l’anomalia di un paese in cui il Primo Ministro governa in coalizione con i secessionisti della Lega Nord “che accusano Garibaldi di non aver unito l’Italia ma di aver diviso l’Africa”.
Anche la celebrazione a Sud può apparire desolante perchè – si legge – “nel 18° secolo Napoli era la terza città più importante in Europa dopo Londra e Parigi.
Prima di essere accorpata all’Italia unita, era la città Capitale di una grande monarchia (gli inglesi lo sanno meglio degli italiani, e del resto “The Economist” nasce nel 1843, in piena crescita delle Due Sicilie) mentre ora è governata da una cricca di politici inetti.
In questi giorni la città è famosa per i suoi cumuli maleodoranti di rifiuti non raccolti, come allora lo era per la baia e il vulcano che prima e dopo meravigliarono Goethe e i visitatori del grand-tour”.
Si fa poi riferimento al fenomeno editoriale italiano, il bestseller “Terroni” di Pino Aprile che fa luce sulle ombre delle truppe del nord che presumibilmente “liberarono dalla dittatura” il Sud nel 1860, dove per dittatura si intende la stessa monarchia definita “grande” in precedenza.
Il reportage sottolinea che, a differenza di altri paesi che rivedono la loro storia senza però mettere in discussione l’unità, in Italia è diverso e si avverte che le regioni che compongono il paese sono troppo diverse per essere fuse in una singola nazione e che, di conseguenza, l’Italia come Stato ha radici poco profonde.
Secondo questa linea di pensiero, la mancanza del consenso al progetto nazionale avrebbe portato alla debolezza delle istituzioni e del governo.
L’analisi del divario nord-sud sfocia nella constatazione che il meridione è di fatto la più grande e popolosa area sottosviluppata nella “euro-zone”.
Prideaux sottolinea che “il rapporto intende sostenere che le cause dell’attuale malessere dell’Italia e il divario nord-sud risalgono a un’epoca più recente e non a 150 anni fa”, così come del resto ampiamente evidenziato da recenti studi del CNR (Malanima e Daniele), della BANCA D’ITALIA (Fenoaltea e Ciccarelli), dallo SVIMEZ e dell’ISTAT, oltre che dal Financial Times ultimamente.
”Tra il 2000 e il 2010 la crescita media dell’Italia, misurata in Pil a prezzi costanti è stata pari ad appena lo 0,25% su base annua.
Di tutti i Paesi del mondo, solo Haiti e Zimbabwe hanno fatto peggio”.
La chiusura del dossier è una condanna: “L’Italia è diventata un luogo che è a disagio nel nuovo mondo, timoroso della globalizzazione e dell’immigrazione.
Ha adottato una serie di politiche che discriminano fortemente i giovani a favore degli anziani.
A tutto ciò si aggiunge un’avversione per la meritocrazia che ha finito col far emigrare un gran numero di giovani talenti italiani all’estero.
Inoltre, l’Italia non è riuscita a rinnovare le sue istituzioni ed è per questo che soffre di continui conflitti di interesse debilitanti nella magistratura, la politica, i media e business.
Questi sono problemi che riguardano la nazione nel suo complesso, non una provincia o l’altra.
A tutto ciò non ha giovato l’irrompere di Berlusconi al Governo.
È giunto il momento per l’Italia di smettere di incolpare i morti per le sue difficoltà, di svegliarsi e prendersi un sorso di quel delizioso caffè che sa fare”.
Insomma, anche per il “The Economist” l’Italia è da rifare… per un nuovo Risorgimento. Non c’è dubbio, e sicuramente non potrebbe essere peggiore di quello precedente che ad una grande monarchia del sud ha sostituito una cricca di politici inetti.
Di luci ormai l’Italia ne ha ben poche e c’è poco da salvare, peggio di così c’è solo da scavare il fondo.
E lo diciamo senza alcuna esterofilia, anche perchè proprio da Londra è partito tutto questo sfascio.
 
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2011.08.15 – UN USCIERE SMASCHERA CENTO DIPENDENTI ASSENTEISTI: “MI DICEVANO DI NON LAVORARE”.

tratto da un articolo de il GAZZETTINO (segnalato da Nicola)
 
Dipendenti rientravano più tardi solo per strisciare il badge
L'ho fatto presente ai superiori ed è cominciato il mobbing
 
 
Il palazzo della Regione Veneto a Rovigo (Max Sandri)di Cristina Fortunati
 
 
ROVIGO
Ex militare dell'esercito, per sei anni in servizio a palazzo Ferro Fini a Venezia, quell'andazzo non riusciva a mandarlo giù. Era abituato al duro ritmo delle forze armate e agli orari impossibili delle commissioni e dell'aula, l'usciere part time della sede di Rovigo della Regione che, nel 2008, al colmo dell'indignazione, ha presentato l'esposto alla guardia di finanza da cui è partita l'indagine nei confronti di 101 dipendenti assenteisti (su 111) del grande palazzo di viale della Pace. E ci racconta com’è andata.
La sua decisione di rivolgersi alle fiamme gialle è stata certamente insolita. Come è maturata?
«Quando, all'inizio degli anni Duemila, sono entrato in servizio a Rovigo, dove avevo chiesto il trasferimento per avvicinarmi a casa, mi sono reso conto che in questi uffici si lavorava molto poco. Io stesso avevo compiti limitati. Sulle prime ero disorientato. Ero abituato a correre tutto il giorno, su e giù per i palazzi della Regione a Venezia. L'ho fatto presente ai miei superiori. Mi hanno guardato quasi con meraviglia. Siediti lì, fai quello che ti viene chiesto e non preoccuparti, mi hanno risposto. Così seduto in quel posto, nell'ingresso del palazzo, ho avuto modo di vedere da vicino l'abitudine a non registrare le uscite dei miei colleghi. Alcuni di loro stavano assenti, mentre risultavano in servizio, anche ore. Quando uscivo alle 17 strisciavo il badge. Altri lasciavano il lavoro insieme a me. Ma tornavano verso le 18.30 a passare il badge. Così figuravano di aver lavorato un'ora e mezza in più».
Prima di fare l'esposto aveva fatto presente ai suoi superiori quello che succedeva?
«Certamente, a quelli in servizio a Rovigo. Quando ho capito che quella delle assenze fatte passare per lavoro era una consuetudine ho segnalato la cosa. Perché vuoi sollevare un vespaio? mi hanno risposto. Mi hanno fatto presente che quella di Rovigo è una sede periferica di cui nessuno si cura. "Non sanno neanche che esistiamo" mi ha detto qualcuno. La parola d'ordine era, insomma, non attiriamo l'attenzione di Venezia su di noi. Continuiamo a stare tranquilli».
Ma lei "tranquillo" non riusciva proprio a starci.
«Era più forte di me. Quel trasferimento mi aveva avvicinato a casa ma aveva comportato una decurtazione dello stipendio. Tra una cosa e l'altra dai due milioni e 400mila lire che prendevo a Venezia, ero arrivato a un milione e 600mila. È stato così che ho cominciato a collaborare il sabato e la domenica con una ditta che organizza manifestazioni. Mi aiutava a sbarcare il lunario e mi tenevo occupato. A me lavorare dà soddisfazione».
Come hanno reagito nel posto di lavoro al suo inconsueto attivismo?
«Non bene. Ero una mosca bianca. Mi facevano contestazioni minuziose e immotivate. Rispondevo e non protocollavano le mie risposte. Nel 2004 ho chiesto il part time: volevo avere la possibilità di avviare un'attività in proprio. Nessuna risposta. Ho minacciato la denuncia per mobbing per ottenerlo. Ora lavoro in viale della Pace quattro mesi l'anno. Per il resto del tempo svolgo un'altra attività. Lavoro ogni minuto e pago le tasse su tutto quello che guadagno».
Alla fine però la Procura contesta anche a lei 17 muniti di una singola uscita non registrata…
«Non mi stupisce. È la conseguenza del sistema che vige nel palazzo. L'usciere esce a volte per andare in posta a ritirare la corrispondenza. La prima volta ho chiesto un ordine scritto per poter essere in regola. Sei matto? mi hanno detto. Obblighi l'impiegato a compilare una carta e bisogna trovare il dirigente per farla firmare. Stai tranquillo e non piantare grane».
 
Domenica 14 Agosto 2011 – 22:29    Ultimo aggiornamento: Lunedì 15 Agosto – 13:30

2011.07.27 – RESTITUIE ALI’ A TOMMASO.

A QUESTO RAGAZZO SICILIANO NON VEDENTE E' STATO RAPITO IL CANE IL 23/07 IN LOCALITA' MONTALLEGRO (AGRIGENTO) DA UN MALFATTORE, IL SUO FEDELE AMICO E GUIDA PER CIECHI ALI', UN PASTORE TEDESCO DI 9 ANNI…AIUTIAMOLO DIFFONDENDO L'APPELLO E LA FOTO, AFFINCHE' QUESTO CRIMINALE RESTITUISCA ALI' ALL'AFFETTO DEL SUO AMATO TOMMASO. questo è il numero del microcip di Alì 0977200001555424; Vi ricordo che Alì ha un taglio nell'orecchio sinistro ben visibile dovuto a un morso quando era piccolo, un marchio all'interno dell'orecchio e dato che è un cane guida è castrato.
Tratto dal profilo Facebook: clicca qui
 
 

2011.07.17 – UNA LETTERA DI PROTESTA DALLA GRECIA

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15 luglio 2011
Autore Carmen Gallus
Voci dall’estero riporta una lettera inviata ieri sera a David Malone da una delle persone che protestavano in Grecia, e pubblicata sul suo blog
 
13 luglio 2011
Ciao a tutti voi
Scrivo per INFORMARVI di ciò che sta accadendo da 48 giorni nel mio bel paese.
Siamo stati per le strade e le piazze in tutta la Grecia, PACIFICAMENTE dimostrando la nostra avversione per le azioni del governo, per la corruzione, per l’assenza di democrazia nel paese che le ha dato i natali …
 
Il governo e l’INTERO SISTEMA POLITICO del nostro paese da molti anni ha approfittato del popolo, della terra, della storia.
Si è giunti al punto che ci hanno minacciato di nuovo con i carri armati per le strade COME HANNO FATTO I DITTATORI QUASI 40 ANNI FA!
Essi governano con le BUGIE, diffondendo la PAURA e hanno tutti i media dalla loro parte.
Stiamo combattendo una lotta impari …
Il 28 e il 29 giugno gente da tutta la Grecia, di ogni età e ceto sociale, gente semplice che non era mai andata a un corteo o a una manifestazione, si è riunita pacificamente davanti al Parlamento per protestare contro le nuove misure, contro il nuovo prestito, contro un futuro senza speranza, senza sogni, senza via d’uscita…
SAPPIAMO CHE CI SONO ALTRE STRADE.
Lo sanno anche loro.
 
I NOSTRI POLITICI HANNO SCELTO DI METTERE GLI INTERESSI DEI BANCHIERI SOPRA GLI INTERESSI DEL POPOLO!
Hanno scelto non solo di ignorare la nostra voce, ma di cercare di reprimerla con una violenza senza precedenti e con bombe chimiche!
Giornalisti che sono stati nelle zone di guerra hanno TESTIMONIATO che questo era MOLTO PEGGIO!
Non vi annoierò con i dettagli. Se qualcuno vuole sapere di più contattatemi.
Questo non ci lascia altra scelta che rimanere sulle strade!
Stiamo combattendo per liberare il nostro paese dall’oppressione del nostro governo incostituzionale!
Per favore sosteneteci!
Passaparola!
FACCIAMO CHE TUTTO IL MONDO SAPPIA COSA STA SUCCEDENDO QUI !!!!!
LA GRECIA E’ SOLO L’INIZIO – QUESTA DEVASTAZIONE ARRIVERA’ ANCHE DA VOI … DOBBIAMO UNIRCI TUTTI INSIEME PER EVITARE CHE QUESTO SUCCEDA
VOGLIAMO UNA SOCIETA’ CHE SIA EQUA, DEMOCRATICA, ONESTA E RISPETTOSA DELLA VITA.
NOI SIAMO TANTI, LORO SONO POCHI.
SE CI UNIAMO POSSIAMO OTTENERE TUTTO

2011.07.16 – IL VENETO PUO’ ESSERE UNO STATO A SE’

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«Il Veneto può essere uno Stato a sè».
Il presidente della Provincia di Belluno, Bottacin: «Siamo in grado di mantenerci da soli»
lug 12th, 2011
A margine della presentazione del volume “Il lavoro e i suoi percorsi”, oggi a Villa Patt di Sedico, il presidente della Provincia di Belluno, Gianpaolo Bottacin, ha fatto il punto della situazione per quanto concerne la situazione economica del territorio: «Ogni anno regaliamo allo Stato decine di miliardi di euro in tasse.
Se ci tenessimo tutti i nostri soldi saremmo autosufficienti: il Veneto può essere uno Stato a sè».
«Una sentenza della Corte Europea aveva già dichiarato che per le realtà in grado di mantenersi da sé, potevano essere adottate fiscalità di vantaggio: è il caso della famosa sentenza delle Azzorre – ha spiegato Bottacin – .
Accadesse anche per la nostra terra, sarebbe l’occasione di uscire da un guado in cui è stata portata da decenni di politica che non ha saputo cogliere i segnali che arrivavano dalla popolazione».
«Tavoli strategici, incontri, proteste: tutto per ottenere prime pagine sui giornali, e poi?
Per anni ci si è guardati allo specchio senza ascoltare le realtà economiche che chiedevano una politica pragmatica, che indicasse le vie da seguire e le percorresse con decisione – ha continuato Bottacin – .
Così facendo le industrie hanno perso il passo nei mercati internazionali e sono state soppiantate dai concorrenti.
La crisi che stiamo attraversando, che molti non si sono accorti essere mondiale, ha accelerato la resa dei conti e l’Italia oggi è chiamata a pagare l’aver vissuto – per troppo tempo – al di sopra delle proprie possibilità».
«Non è facile ripartire, perché ci si deve confrontare con le realtà vicine, come il Trentino Alto Adige, che da sessanta anni gode di risorse economiche che ci vengono negate.
Questo ha fatto diventare quel che sono oggi quelle terre: terre a cui è stato concesso molto, tanto, troppo; terre dove facevano esplodere le montagne per costruire le piste da sci», ha detto ancora Bottacin.
«Le manovre correttive che dobbiamo mettere in atto devono correggere gli errori del passato, ma devono essere azioni decisive e coraggiose – ha concluso Bottacin – .
Non più “soluzioni a metà”, ma passi decisi per indicare la rotta, assumendosi responsabilità.
Basta navigare “a vista” e tirare a campare: il territorio, le sue aziende e l’intero tessuto sociale reclamano risposte vere e concrete».

2011.07.12 – DANIMARCA, BASTA SCHENGEN! GIA RIPRISTINATI I CONTROLLI DOGANALI!

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08/07/2011
 
La Danimarca non molla e contro il parere della Commissione (sovietica) europea ha ripristinato le dogane.
 
Il primo giorno delle frontiere ripristinate cuore dell'Europa di Schengen ha spinto frotte di giornalisti e cameramen sul Confine Tedesco-danese.
I doganieri danesi, alle prese con un lavoro abbandonato alcuni anni fa, ma svolto in maniera quanto mai meticolosa, sono stati fotografati (chissà cosa c’è di tanto strano da fotografare!) e gli automobilisti, fra i quali molti turisti, presi d’assalto dalle telecamere e dai microfoni come fossero delle star.
Controlli a campione, col preciso intento di proteggere il Paese dell’Unione scandinava dall’assalto della criminalità proveniente dall’Europa orientale e dal contrabbando di armi, droga e medicinali illegali.
Nel mirino non vi sono né turisti, né pendolari, ma i minibus provenienti da Romania, Bulgaria, Ucraina e dintorni, troppo spesso carichi di persone destinate al mercato nero fiorito negli ultimi anni nell’area del Baltico a causa della totale assenza di controlli fra gli stati dell'Unione europea.

Forza Danimarca!
Mai mulà, tegnì dür semper!
Qual è il prossimo paese comunitario che da un bel calcio nel sedere ai ladroni di Schegen?
Avanti un altro!
GP

 

2011.07.12 – IL PROCURATORE GENERALE DELLA CORTE DI APPELLO DI VENEZIA GIUSEPPE ROSIN: LA SENTENZA DI PRIMO GRADO A TREVISO “INQUIETANTE”…

GIOVANE MAROCCHINO CONDANNATO DAL TRIBUNALE DI TREVISO A 8 ANNI PER VIOLENZA SESSUALE, LA CORTE D'APPELLO LO SCAGIONA E I GIUDICI TREVIGIANI FINISCONO NEL MIRINO…
… E SE LO DICONO LORO!!!
 
Quello che oggi si legge sul Gazzettino di Treviso è davvero insolito… come una caduta degli dei dall'Olimpo.
Se penso all'inchiesta farsa sulla Polizia Nazionale Veneta e ai problemi che abbiamo ancor oggi col farci restituire gli effetti rubati dagli inquirenti italiani qui a Treviso, non c'è che dire… forse ogni tanto, anche fra loro si "mordono".
Non vogliamo neppure entrare nel merito della vicenda giudiziaria, di cui però ci piacerebbe sapere chi sono stati gli abili investigatori della polizia giudiziaria italiana, il pubblico ministero italiano e il giudice italiano che hanno condannato a 8 anni una persona per poi sentirsi affibiare dallo stesso procuratore generale presso la corte d'appello di Venezia i seguenti epiteti:
 
"…LA SENTENZA PRONUNCIATA DAL TRIBUNALE DI TREVISO ADDIRITTURA INQUIETANTE…"
 
"…MANCAVANO LE PROVE A CARICO DELL'IMPUTATO…"
 
"…LE PROVE PORTATE DALLA DIFESA NON ERANO STATE VALUTATE O PRESE NELLA GIUSTA CONSIDERAZIONE…"
 
"…LA DENUNCIA, OLTRE A FAR ACQUA DA TUTTE LE PARTI, RISULTAVA PRIVA DI FONDAMENTO E PALESEMENTE FALSA…"
 
Quante strane analogie con l'inchiesta sulla Polizia Nazionale Veneta contro questo MLNV.
E per fortuna che lo abbiamo scritto, ripetuto e sollecitato ancora in tempi non sospetti.
Mi sa proprio che toccherà alla Polizia Nazionale Veneta procedere all'arresto del procuratore Capo straniero italiano Antonio Fojadelli e del questore italiano Carmine Damiano, i due complici,che oltre ad essere bugiardi e ladri si sono macchiati dei numerosi reati che abbiamo più volte elencato.
Ma si sa, Maroni, ministro dell'interno italiano del partito italiano lega nord non ha neppure mai risposto alle interpellanze parlamentari dell'opposizione (Rubinato e Naccarato)… che pretendono la difesa di questi due emeriti delinquenti, chissà come mai???
Non c'è onore in ciò che hanno fatto e in ciò che si ostinano a fare… si sono delegittimati da soli.
Peccato che la stampa di regime dia spazio a queste verità solo se le dice un'altra procura italiana… strano dice le stesse cose che abbiamo detto noi e denunciato da tempo.
Vergognatevi, tutti quanti, servi e ipocriti… O.n.u. compreso, che ancora sta a guardare.
 
Sergio Bortotto, Presidente del MLNV
 
 

2011.07.12 – INGEGNO VENETO… RIFIUTI DI NAPOLI? UN “BEN DI DIO”.

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Carla Poli, del Centro Riciclo di Vedelago, coi rifiuti rifà tutto.
Seguendo il primo principio della Fisica: Nulla si crea e nulla si distrugge. Tutto si trasforma.
 
VEDELAGO
Miracolo?
No.
Riciclo.
In provincia di Treviso si trasformano le scoasse secche negli oggetti più disparati e utili.
Con un nastro trasportatore, un impianto che il mondo ci invidia.
E – ovvio – l’educazione.
«Sono stufa!
Non vado più ai convegni in Italia a spiegare come risolvere il problema dei rifiuti!
In giro non capiscono niente!».
Carla Poli, direttrice del Centro Riciclo di Vedelago, sbotta.
Quando le chiediamo perché avendo vicino a Treviso un gioiellino d’impianto di riciclo come il suo, ci sono ancora tante discariche e la città non ha ancora avviato la differenziata porta a porta, la Poli sbuffa… – Mi chiamano perfino i cinesi per capire come muoversi! – dice.
E’ arrabbiata e infastidita dai politici la tenace direttrice che ha trovato una soluzione per far ritornare a vivere i nostri rifiuti, dopo oltre 25 anni di ricerche, studi, investimenti.
Treviso come la gran parte dell’Italia non vuole capire e non vuole risparmiare, «manca soprattutto la volontà politica e l’informazione» – dice – «dall’estero mi cercano per capire e acquisire le nostre tecnologie, qui criticano e basta.
Treviso ha lo stesso problema di Napoli, anche se in forma diversa, non vedo collaborazione da parte del comune e dell’amministrazione, perché probabilmente non vuole risparmiare e far risparmiare i suoi cittadini».
Alla base ci deve essere una buona raccolta differenziata per poter ricavare la materia prima secondaria, viene chiamata così la materia prima da riciclo, «bisogna informare e insegnare a fare una raccolta corretta, io non tratto materiale raccolto alla rinfusa in sacchi neri, a monte deve esserci un’educazione ecologica, quella che spiego ai bambini quando vengono in visita qui».
E’ quello che ci ripete più volte Carla Poli, mentre spiega che il suo centro accoglie i rifiuti (non umidi) differenziati, di vari comuni del territorio e di grandi aziende private come Nestlè e Benetton, perché a loro conviene, risparmiano molto.
Qui, dove lavorano 68 dipendenti, l’indifferenziato o frazione secca, quello che solitamente non sappiamo classificare, è riciclabile: «abbiamo solo uno scarto del 5% rappresentato dai pannolini, ma stiamo cercando il modo di recuperare anche quello» – sottolinea – «il resto se ci guardiamo bene dentro, è fatto per lo più da imballaggi, plastiche e gomme (75%), come giocattoli rotti, attaccapanni, carta patinata».
A Vedelago arrivano ogni giorno 100 tonnellate di rifiuti, il 35% viene subito messo sul mercato e venduto ad altre aziende che lo riciclano, mentre il 65% passa al processo di trattamento.
La frazione residua secca viene messa su un nastro trasportatore, controllata e separata dagli elementi non compatibili come vetro, legno, oggetti tecnologici, scarti industriali.
Poi vengono selezionati i materiali che hanno valore di mercato, come il ferro e l'alluminio che vengono venduti ad aziende di tutta Europa che li riciclano.
Il resto finisce nell'impianto di trattamento che lavora gli scarti: il materiale che si forma dall’estrusione in cui le varie parti della frazione secca si amalgamano sfregandosi a 180 gradi senza combustione, è la materia prima secondaria, un composto che una volta raffreddato viene sminuzzato diventando un granulato, che rispetta tutte le normative dell’Unione europea.
Il granulato plastico viene usato nel settore edile per pavimentazioni, costruzioni e arredi urbani come giochi per bambini, tavoli e panchine più resistenti del legno, meno pesanti del cemento e più economici.
Si possono creare piste ciclabili e staccionate, «a Pescara abbiamo fatto una pista ciclabile di 12 chilometri», «un materiale che da performance superiori, non si usura come il legno, costa meno e si ricicla nuovamente», rimarca Poli.
Si pensi che il prodotto finito che solo quattro anni fa veniva venduto 25 euro a tonnellata ora ha un valore di circa 240 euro, la richiesta è esorbitante e in continua crescita: «Treviso non ha ancora capito che deve fare la raccolta porta a porta e portarmela qui, eliminando i cassonetti sulle strade, abbattendo i costi a medio lungo termine, riducendo fortemente la produzione di rifiuto non riciclabile», ripete questa ingegnosa donna, che ha proposto all’amministrazione di raccogliere i rifiuti differenziati delle scuole di Treviso a costo zero, ma l’amministrazione dopo due anni non ha ancora dato il via alla sperimentazione.
Da poco Carla Poli è stata in visita a Napoli definendo i loro rifiuti «un ben di dio!», ci spiega che a Napoli gli impianti privati per la raccolta differenziata ci sono, ma non sono mai stati attivati: «il popolo napoletano, non è stupido, ma i politici, le amministrazioni, non spingono per una raccolta differenziata, perché politicamente non paga».
La Campania è piena di rifiuti tossici che vengono dal nord «anche noi abbiamo le discariche abusive, le nascondiamo, ma ci sono anche nella Marca, non siamo migliori».
Oltre alla possibilità di diminuire il rifiuto portato in discarica dal 50% attuale al 5%, c’è da aggiungere che il Centro di Riciclo di Vedelago, mette in moto anche la macchina dell’economia, perché Carla Poli è prima di tutto un’imprenditrice, dando lavoro ad altre industrie che comprano la materia prima secondaria e costruiscono manufatti richiesti in tutto il mondo.
«Vado ai convegni nelle città, spiego, informo, e soprattutto dimostro che ci sono solo vantaggi.
Quando i politici sono informati e non si attivano con un progetto serio, non hanno più scusanti».
 
Autore: Isabella Loschi