ATTUALITA

LA FINE DELLA FOLLIA

black-tulipPubblicato da redazione in Il Frank,  9 maggio 2016
La FED ha avuto negli ultimi due anni un profitto record: 100 miliardi di dollari.
Lo stato italiano, paga interessi per 80 miliardi di euro l’anno (basterebbe che lo stato pagasse la stessa cosa delle banche e gli interessi sarebbero di 10 miliardi, altro che tagliare le pensioni e  altro che le tasse sono giuste…).
La domanda è: perché?
Come fa la FED ad avere i profitti di uno stato? Cioè, un paio di migliaia di persone fanno il profitto di uno stato?
È questa l’illusione che il mondo della finanza ha generato: gli stati non servono, l’economia reale non serve, la politica non serve e neppure le elezioni e ci sono dubbi fortissimi che la gente serva!
Tutto ciò che serve sono le banche centrali!
Il giochino di indebitare tutti, “SEMBRA” aver funzionato.
Dico sembra, perché tutti fanno finta che il sistema possa avere la forza per riprendersi, ma, anche qui, la storia dice che giunti ad una certa fase, non esiste nessuna forza del sistema capace di invertire il trend.
Tanto tempo fa, agli albori del capitalismo in Olanda, la storia ci mostra il fenomeno odierno nella stessa modalità…
Siamo agli inizi del 1600, per la precisione il 1624; un mercante olandese riceve un carico di merci proveniente dall’oriente.
Insieme alle sete e ad altri articoli, c’è un sacchetto iuta contenente delle “cipolle”.
Non sapendo cosa fossero quelle strane cipolle decise di mangiarle.
Le condì con olio sale e aceto e… Minchia Johnny: erano schifose… puahhh.
Gettò quindi la rimanenza nell’orto.
Dopo qualche tempo le cipolle diedero come risultato uno strano fiore: “il Tulipano”.
Fu una novità, botanici di tutto il paese vennero e rimasero stregati… ma il fascino di questo fiore aristocratico si diffuse nel paese ad ogni livello.
Gli olandesi dell’epoca, volevano ognuno prodursi quel fiore, per cui le cipolle di tulipano erano al centro di ogni scambio nella “casa dei mercanti Van Der Beurse” (da cui si dice derivi il termine borsa).
Grazie alla capacità del tulipano di cambiare colore facilmente in base al terreno di coltura, se ne produssero migliaia di tipi, di ogni colore.
Ogni famiglia olandese voleva acquistare “cipolle di tulipano” e in pochi anni i prezzi andarono alle stelle.
Le persone si indebitavano, vendevano la casa per comprare bulbi…
Le cronache dell’epoca riferiscono di transazioni incredibili…
Un muratore di allora aveva una paga annuale di 300 Fiorini, un bulbo di qualità “VICERE’ ” costava 2500 Fiorini !
Fu un quindicennio di follia, come il periodo attuale, ma nel 1637, il 5 Febbraio, il mercato crollò.
Sarà cosi anche stavolta, i segnali Orso, sono già evidentissimi, le aziende non riescono più a pagare gli interessi sul debito contratto.
Il Buy-back, quella operazione che consiste nel prendere a mutuo milioni di dollari, usarle poi per acquistare le azioni della propria azienda e farne salire il prezzo delle azioni, per incassare quindi il guadagno, non si può più fare.
Ci stanno gia perdendo.
E, c’è di peggio: una intera generazione di managers rincitrulliti finalmente verrà terminata.
Sono i manager del taglio dei costi.
Immaginate uno di questi manager, posto a dirigere una centrale nucleare… questo taglierà sui costi della sicurezza dell’impianto, tanto non serve…
Ecco, la follia è alla fine!
 

LE “TRUPPE” DI SOROS ALL’ASSALTO DEL BRENNERO

No-Borders-manifestazioneBolzano.
Nella giornata di Ieri, la Frontiera del Brennero, un lembo di Europa, tra Italia e Austria, diventato un simbolo per i militanti del movimento “No-border”, si è trovato al centro di un assalto che ha provocato danni, feriti tra le forze dell’ordine ed ore di tensione in tutta la zona.
I gruppi anarchici e black bloc sono arrivati al Brennero da tutta Europa.
Grazie ai mezzi finanziari forniti dal miliardario ebreo statunitense, George Soros, quello che finanzia la “No Borders” e le altre ONG che favoriscono l’ondata migratoria in Europa, la mobilitazione è stata attuata da vari paesi d’Europa da cui provenivano molti militanti per manifestare contro la barriera anti immigranti prevista dall’Austria. Le spese per il viaggio, colazione e trasferta sono state tutte finanziate dall’organizzazione con incluse le spese legali per gli arrestati.
Con un appello sul web, quelli della “No Borders” hanno organizzato una manifestazione contro il muro anti-migranti che il governo di Vienna vuole costruire al confine con l’Italia.
350 metri di barriera, annunciata e già finanziata dal governo austriaco con 1 milione e mezzo di euro.
Nessun partito politico ha aderito, ma all’appuntamento al Brennero ieri sono arrivati in seicento e sono iniziati gli scontri.
Il valico del Brennero è rimasto per ore avvolto nella nebbia dei fumogeni.
Tutti al buio, nonostante la giornata di sole.
Una lunga fila di treni bloccata al confine, spaventati i passeggeri, l’autostrada Bolzano-Innsbruck chiusa per ore, centinaia di agenti e carabinieri in tenuta antisommossa sui binari della linea internazionale a fronteggiare i militanti pro invasione.
Una guerriglia scatenata a quota 1300 Mt..
Quattro i feriti e diciotto i contusi tra le forze dell’ordine.
Nessuno di loro è grave.
Cinque invece le persone arrestate, sono tutti italiani.
Ma gli scontri al Brennero sono andati avanti per ore, come già avvenuto in Val di Susa.
Si tratta degli stessi gruppi e della medesima organizzazione che ha manifestato in Francia, a Calais, a favore dei migranti bloccati in attesa di passare in Inghilterra.
Stessa organizzazione, stessa regia e stesso finanziatore.
I manifestanti si battono per l’abolizione di tutte le frontiere e per realizzare una società “multiculturale”, omologata secondo le direttive delle centrali sovranazionali diBruxelles, conforme alle raccomandazioni dell‘ONU (quelle di sostituire le popolazioni europee), in ossequio a quanto indicato anche dal FMI (necessità di manod’opera di riserva per i paesi europei) e in totale accordo con i messaggi lanciati da Papa Francesco. Tanto d’accordo da poterli indicare come i “black blok” benedetti dal Papa.
Proprio nel punto della frontiera in cui si esce dall’Italia e si entra in Austria, si sono diretti i militanti “filo papalini” , i black bloc e gli anarchici che erano appena scesi alla stazione ferroviaria del Brennero poco prima delle 14. Molti sono arrivati anche dall’Austria e dalla Germania. I primi ad essere aggrediti, sono stati un gruppo di giornalisti che li aspettavano con le telecamere, tanto per fare una sceneggiata ad uso delle TV.
Già da vari giorni, sul Web e sui social media, la manifestazione era stata annunciata con un volantino molto esplicito: un uomo con il volto coperto dal passamontagna, con un bastone in mano e il filo spinato sullo sfondo.
Il corteo dei militanti mondialisti, molti dei quali con il volto coperto dai caschi da moto e da maschere antigas, con i bastoni in mano, si sono divisi in due tronconi: uno si è diretto verso l’autostrada bloccando la circolazione in entrambi i sensi, altri verso la linea ferrovia. Un gruppo, sempre a piedi, ha raggiunto il confine proprio dove è previsto di ripristinare i controlli e posizionare le barriere anti-migranti.
Urlando le slogan “Distruggiamo le barriere” , “No alle frontiere”, “viva il Papa”, hanno lanciato sassi e grossi oggetti contro le forze dell’ordine che hanno risposto con i lacrimogeni.
Il fumo ha avvolto il valico, mentre sono entrati in azione gli idranti che hanno fatto indietreggiare i manifestanti.
Bloccati i treni e la viabilità sull’autostrada che collega Bolzano a Innsbruck.
Gli scontri sono durati ore.
Le organizzazioni No Borders prevedono di fare altre manifestazioni in concomitanza con una campagna che verrà lanciata da varie ONG per chiedere la disobbedienza civile nel caso che i nazionalisti vincano le elezioni in Austria e si prevedono manifestazioni clamorose per contestare le scelte antimigrazione che verranno prese dal nuovo presidente austriaco.
Niente di nuovo ma rimane chiaro che, contravvenire alle direttive mondialiste dettate dagli organismi sovranazionali, rappresenta una sfida alla quale si risponde prima con le “truppe” di Soros e poi con le campagne mediatiche diffamatorie, una esperienza simile a quella già subita dal premier ungherese Viktor Orban.
Tratto da (CLICCA QUI)
 

LE ELEZIONI IN AUSTRIA – ANALISI ALTERNATIVA.

AUSTRIA - BANDIERAUN’ANALISI ALTERNATIVA ALLA VULGATA “PROGRESSISTA”
Maurizio Blondet  4 maggio 2016  0
di Paolo Borgognone
Premessa.
La FPÖ, il “diavolo”?
Le elezioni presidenziali austriache tenutesi il 24 aprile 2016 segnarono un punto di svolta nell’ambito delle relazioni politiche interne ai Paesi della Ue.
Il primo turno di queste elezioni, infatti, fu connotato dalla vittoria, nemmeno troppo a sorpresa, del candidato del Partito della Libertà Austriaco (Freiheitliche Partei Österreichs, FPÖ), Norbert Hofer, e dal simultaneo crollo di consensi dei due partiti “istituzionali” (democristiani, ӦVP, e socialdemocratici, SPӦ) dominanti la politica interna dal 1945.
Norbert Hofer ottenne, complessivamente, 1.499.971 preferenze su un totale di 4.279.170 voti validi, pari al 35,1 per cento dei consensi.
Il candidato socialdemocratico, Rudolf Hundstorfer, dovette accontentarsi di 482.790 voti (11,3 per cento) e quello democristiano, Andreas Khol, di 475.767 preferenze (11,1 per cento).
Al secondo posto, molto staccato da Hofer, si attestò il leader della sinistra liberal-borghese austriaca, ossia il candidato “indipendente” sostenuto dai Verdi, Alexander Van der Bellen, con 913.218 voti, pari al 21,3 per cento.
Norbert Hofer vinse il primo turno delle elezioni presidenziali austriache presentando un programma variamente articolato, una sorta di connubio liberista, etnonazionalista e protezionista in fatto di controlli alle frontiere e welfare.
Il programma di Hofer e della FPÖ si caratterizzava come interno alla galassia delle proposte “populiste” e “nazionaliste” di fuoriuscita dalle logiche neoliberali e cosmopolitiche della Ue.
La FPÖ si schierava infatti, come forza politica organizzata, contro la retorica immigrazionista (frontiere aperte), omosessualista (gay friendly) e integrazionista (fine dello Stato nazionale, cosmopolitismo neolibertario quale religione identitaria di massa dei “cittadini globali” della Ue) propria dell’eterogeneo apparato politico (PPE, PSE, ECR, liberaldemocratici, Verdi e Sinistra Europea) di riproduzione del dominio della tecnocrazia liberale di Bruxelles. Soprattutto, Norbert Hofer e la FPÖ si dichiararono contrari alla ratifica, in sede europea, del Trattato di libero scambio e libero commercio Usa-Ue (TTIP, altresì detto «Nato economica»).
Norbert Hofer affermò che «se l’Austria fosse chiamata oggi a esprimersi sul suo ingresso nell’Ue, lui voterebbe contro».
Hofer infatti si pronunciò in questi termini, riguardo all’idea di Europa che aveva in mente:
Non sono certo felice del blocco sul Brennero: ma finché le frontiere esterne della zona Schengen non funzionano, dobbiamo mettere in sicurezza i nostri confini nazionali […].
Dobbiamo lavorare ancora insieme a un’Europa comune e a un’Europa sussidiaria.
Questo è il mio obiettivo: un’Europa sussidiaria che non sia uno Stato centrale.
Ma se pensiamo di costruire uno Stato centrale in cui i Paesi membri hanno poco da dire allora è difficile.
La FPÖ è un tipico partito della destra radicale nazional-populista e post-industriale europea.
Questo partito, nato nel 1955 come soggetto politico prettamente liberal-nazionale capace di alternare una retorica sciovinistica a frangenti di più schietta integrazione liberale sistemica, a partire dal 1992 intraprese una sorta di svolta politica in direzione “populista” nel momento in cui la ratifica del Trattato di Maastricht segnò «l’avvento dell’“Europa dei banchieri e dei burocrati”, contrapposta a quella, idealizzata, dei “popoli” o delle “Patrie”».
Nel 1994 la FPÖ diede vita a una campagna a sostegno del “No” all’integrazione dell’Austria nella Ue e prese a definire la nascente, e sedicente, Unione europea quale sorta di “prigione dei popoli” e “delle identità”.
Nel 2011, la FPÖ varò un programma dal titolo «Europa der Vielfalt(Europa delle diversità)» in cui teorizzò «l’Europa intesa come “un’alleanza di nazioni libere e patrie autodeterminate”», ovvero un’Europa quale «spazio di cooperazione tra popoli che mantengono le loro specificità, le loro tradizioni e la loro cultura, rifiutando una “uniformità culturale” ottenuta attraverso un processo di integrazione troppo irrispettoso delle specificità e della sovranità dei singoli Stati-nazione».
Alla battaglia contro la Ue ideologizzata in senso cosmopolitico e neoliberale, la FPÖ affiancò, negli anni Novanta del XX secolo, una retorica genericamente ostile all’Islam e un programma politico teso alla realizzazione di un welfare identitario a primazia nazionale. Scrive, in merito, Marco Mancini:
Così la FPÖ nel 1994 sostiene il «no» nel referendum sull’adesione del paese austriaco all’Unione Europea, sfruttando anche i timori per l’apertura a Est.
Il nuovo leader del partito, Heinz-Christian Strache, insiste sulla possibilità di abbandonare l’Unione europea, qualora non vengano garantiti a sufficienza gli interessi nazionali austriaci.
La nuova Europa è bollata come «troppo allargata, simile all’Unione Sovietica, cosmopolita, separata dalle radici cristiane e invasa dall’Islam».
Sotto la guida del pittoresco Jӧrg Haider, tra il 1986 e il 1992 si «accentua la svolta anti-sistema della FPÖ».
Nell’ambito del partito, infatti, «vengono […] attenuati i precedenti toni liberisti, attraverso una posizione volta a tutelare le fasce più deboli della popolazione, pur all’interno di un’economia competitiva».
I risultati della svolta anti-sistema della FPÖ non si fecero attendere. Nel 1999 infatti, a fronte del 26 per cento dei voti ottenuti alle elezioni di ottobre, «la FPÖ di Haider riesce […] a conquistare il 47 per cento dei voti operai, a fronte del 4 per cento che sosteneva il partito nel 1979».
I ceti popolari furono attratti al voto per la FPÖ in quanto tale partito si connotò come l’unica forza politica, interna al panorama austriaco, nominalmente “euroscettica”, ossia impegnata in una battaglia culturale a difesa dei valori tradizionali della cultura autoctona da ogni ipotesi di colonialismo americanocentrico. Scrive infatti Mancini:
In termini generali, è possibile affermare che l’euroscetticismo costituisce solo una parte di una piattaforma più ampia, caratterizzata dall’ostilità nei confronti delle organizzazioni internazionali, accusate di minacciare la sovranità degli Stati, e del processo di globalizzazione nel suo complesso […].
Da una parte, l’ideologia mondialista è all’origine della società multiculturale; dall’altra, il «villaggio globale» impone anche una crescente omogeneizzazione delle culture e degli stili di vita, portando a una deleteria «Cocacolonization»[11].
La FPÖ può, come del resto la maggior parte dei partiti nazional-populisti europei, essere annoverata tra i movimenti che raccolgono il consenso dei «vinti» dai processi di globalizzazione.
I suddetti «vinti» e «sradicati» della globalizzazione sono soprattutto «i maschi di classe operaia, con bassi livelli di istruzione formale e poche competenze trasferibili», mentre i «vincitori» della mondializzazione devono essere annoverati all’interno della «nuova classe media», un ceto culturalmente cosmopolita, giovanilistico e femminilizzato, i cui appartenenti possono vantare livelli di istruzione medio-alti o alti, solide reti di capitalismo relazionale in grado di facilitarne l’ingresso nell’ambito dei settori professionali “che contano” e spiccata propensione all’integrazione nella network society senza frontiere.
Gli attuali elettori popolari della FPÖ sono dunque ravvisabili in quel ceto operaio «che figurava fra i “maggiori beneficiari dell’età dell’oro” del capitalismo fordista».
Sono dunque gli appartenenti alla classe operaia tradizionale novecentesca, un tempo elettori socialdemocratici, a orientare la propria scelta politica in direzione della FPÖ.
Costoro infatti, «nell’attuale epoca di cambiamenti strutturali» e di ridefinizione delle classi sociali nell’ottica dell’egemonia della cultura neoborghese e delle nuove forme di lavoro flessibile scaturite dai mutamenti sistemici intervenuti con il “cambio di fase” del capitalismo a partire dalla fine degli anni Settanta, sono i ceti sociali maggiormente penalizzati dall’immigrazione dai Paesi dell’Est ed “extraeuropei”, nonché dalla demolizione del Welfare State organizzata dai partiti socialdemocratici e liberalconservatori sistemici segnatamente durante i “ruggenti” anni Novanta del clintonismo, del blairismo e dell’“Ulivo mondiale”.
La precedente “aristocrazia operaia” caratteristica del “trentennio glorioso” del capitalismo relativo europeo (fordista/keynesiano) fu precipitata, dalle politiche di deregulation, di privatizzazione e di internazionalizzazione attuate, in un certo qual senso paradossalmente, da quelli che sino a quel momento erano stati i suoi tradizionali referenti politici (i partiti socialdemocratici filo-Ue e filo-Nato), nel baratro della precarizzazione lavorativa, sociale, politica ed esistenziale.
Pertanto, gli operai tradizionalmente intesi (la classe operaia socialdemocratica, sindacalizzata ed economicistica “realmente esistente”), data la precaria situazione in cui versano, […] costituiscono il gruppo che è più portato a inveire contro il libero commercio e il flusso internazionale dei capitali, e di conseguenza a essere attratto dalla retorica etnocentrica della destra radicale, riflessa in uno degli slogan centrali di questa famiglia politica, quello che porta a considerare il proprio popolo prima d’ogni altra cosa (nel Front National, esso recita Les français d’abord; nel Vlaams Blok,Eigen volk eerst; nella FPÖ, Osterreich zuerst).
L’elettore-tipo della FPӦ, dunque, già alla metà degli anni Novanta era identificabile attraverso queste caratteristiche sociologiche: maschio (alle elezioni del 1995 il 62 per cento degli elettori del Partito della Libertà era composto da uomini e il 38 per cento da donne), operaio (nel 1995 «gli ex elettori socialdemocratici costituivano quasi un quarto dell’intero totale della FPӦ, e gli operai continuavano a occupare la posizione di maggiore singolo gruppo demografico dell’elettorato della FPӦ, come già era accaduto nel 1990») e «in possesso di un’educazione tecnica o professionale.
La FPӦ, che pure annoverava una folta schiera di professionisti e imprenditori tra i suoi elettori (il gruppo dei liberi professionisti e degli imprenditori era infatti secondo solo a quello degli operai tra i soggetti sociali di riferimento del Partito della Libertà), è da sempre sottorappresentata tra le fasce maggiormente istruite e presumibilmente integrate e cosmopolite della classe media austriaca (appena il 16 per cento degli elettori della FPӦ nel 1995 possedeva una laurea).
L’elettorato della FPӦ era pertanto ravvisabile quale frutto di una sorta di alleanza tra determinati settori sociali «vincenti» dei processi di globalizzazione (yuppiedi varia estrazione) e fasce sociali «sconfitte dalla modernizzazione» (precedente “aristocrazia operaia” autoctona, ceti piccolo-borghesi proletarizzati dalle politiche di riduzione dello stato sociale, contadini residenti nelle aree rurali “tradizionali” del Paese).
La FPӦ infatti, vantando i consensi di una parte consistente dell’elettorato “autonomo”, benestante e integrato della provincia austriaca e finanche di Vienna, perseverava a presentarsi e a essere percepita come partito nazional-liberale dello “sciovinismo del benessere” o partito della «destra populista escludente».
La FPӦ è dunque un partito assai diverso dalle, peraltro assai minoritarie, se si esclude (parzialmente) il caso dello Jobbik ungherese, formazioni della destra radicale nazional-socialista o «socialistavӧlkisch» europea, propugnanti un programma di «nazionalismo economico» inconciliabile con il liberal-populismo sciovinistico della FPӦ.
Scrive infatti, divulgando una rassegna di questi partiti «socialistivӧlkisch», Hans-Georg Betz:
Fra i maggiori rappresentanti di questo gruppo ci sono il Partito nazional-democratico tedesco (Nationaldemokratische Partei Deutschlands, NPD) e (per certi versi) l’Unione del popolo tedesco (Deutsche Volksunion, Dvu), il Movimento Sociale Fiamma Tricolore in Italia e il British National Party.
Ciò che li distingue da altri partiti della destra radicale è l’adozione di un programma esplicitamente socialista nazionale (o, forse più appropriatamente, vӧlkisch).
Questi partiti politici, un tempo fieramente schierati su posizioni dogmaticamente anticomuniste e finanche russofobiche, oggi sono sorprendentemente tornati a suscitare l’interesse degli “addetti ai lavori” per via del proprio rapporto privilegiato con determinate correnti politiche nazional-patriottiche del “mondo russo” e si pongono come gli interpreti di un’originale, per quanto prospetticamente limitata e insufficiente, critica “nazionalistica” del capitalismo contemporaneo. Interessante rilevare che, in un frangente storico in cui la sinistra, anche quella solitamente percepita come “alternativa” e “radicale”, ha palesemente utilizzato ogni canale mediatico e politico (dal talk show alle riviste patinate di costume e gossip, fino alla comunicazione elettorale diretta) per sbarazzarsi da ogni precedente identità comunista e anticapitalista (per indossare i più comodi panni di interclassista “movimento dei movimenti” alterglobalista, negriano e cosmopolita), siano stati i partiti della destra radicale nazional-socialista evӧlkisch a farsi portavoce delle istanze di malcontento delle classi popolari per gli effetti perversi delle politiche di globalizzazione sistemica. Scrive infatti, sul tema, Hans-Georg Betz:
Ironicamente, in un mondo nel quale le posizioni teoriche anticapitaliste sono state largamente abbandonate, l’ala nazional-socialista dell’odierna destra radicale è una delle ultime forze politiche che rendono omaggio a richieste cruciali della tradizionale sinistra socialista e comunista, di cui quest’ultima si è ampiamente sbarazzata.
Oggi sono gruppi come il Movimento Sociale Fiamma Tricolore a proclamare che non possono esserci «compromessi con il capitalismo» e ad alzare la voce contro le privatizzazioni, il «mercato selvaggio», la globalizzazione, la disoccupazione di massa e il graduale smantellamento dello Stato sociale.
In effetti, conformemente alla propria vocazione di partito dello “sciovinismo del benessere”, nel momento in cui, tra il 2000 e il 2002, la FPӦ si trovò coinvolta in una coalizione di governo con il centro democristiano (ӦVP), manifestò «una chiara subalternità rispetto ai popolari, soprattutto in politica economica, dove le misure a favore dei ceti medio-bassi latitano».
In politica estera, inoltre, «le posizioni anti-conformiste di Haider, […] basate su un crescente anti-americanismo, non sono apprezzate dalle fasce più conservatrici dell’elettorato; i finanziamenti da parte degli imprenditori decrescono sensibilmente».
Tuttavia, ciò che provoca veramente l’inquietudine delle classi dirigenti sistemiche, politiche e mediatiche, dei Paesi della Ue nei confronti della FPӦ è la nuova svolta, ispirata alla promozione dei valori tradizionali, da parte del partito. In particolare, sotto la supervisione di Andreas Mӧlzer, sin dal 1997 la FPӦ adottò un programma che archiviava il precedente anti-clericalismo liberale «a favore della ricerca di consensi presso l’elettorato cattolico-tradizionalista».
Il nuovo programma culturale della FPӦ esprimeva esplicite critiche alla modernità neoliberale e alla società cosmopolitica, accennando
ai pericoli rappresentati […] dal consumismo nichilista tipico della società contemporanea. Inoltre, il documento tace sui diritti delle donne, enfatizza il ruolo della famiglia e respinge ogni tentativo di equiparare a essa le unioni omosessuali.
In politica internazionale, da ultimo, la FPӦ ha abbracciato una linea marcatamente euroscettica e filorussa.
Già nel 2008 infatti, il Partito della Libertà aveva cominciato a volgere lo sguardo a Oriente, più precisamente alla Serbia, Paese da vari osservatori internazionali considerato «prima vittima del nuovo ordine mondiale» made in Usa.
Nel maggio 2008, la FPӦ siglò un patto di collaborazione politica con il Partito Radicale Serbo (SRS). Il leader della FPӦ, Heinz-Christian Strache, prese parte a una delegazione politica del suo partito presso il SRS, a Belgrado, parlando addirittura a una manifestazione del Partito Radicale Serbo, in Piazza della Repubblica.
Dopo la lacerazione politica intervenuta, nel settembre 2008, all’interno del SRS, la FPӦ ha rinnovato il proprio accordo di collaborazione con la frazione “riformista” e “pro-Ue” sganciatasi dal SRS e costituente, sotto la presidenza dei transfughi neoliberali Tomislav Nikolic e Aleksandar Vucic, il conservatore ed “europeista” SNS (Partito serbo del progresso).
Nel 2016 il leader della FPӦ, Heinz-Christian Strache, definì Vladimir Putin «un democratico puro» e orientò decisamente in direzione di Mosca la direttrice di politica estera del partito.
Di rimando, i media liberali “europeisti” tornarono a sproloquiare riguardo a una fantomatica «Internazionale Nera» pro-Putin e al presidente russo quale «zar dell’estrema destra europea».
Inoltre, la FPӦ sembra aver cominciato a comprendere che l’islam radicale sunnita wahhabita e l’Islam sciita rivoluzionario non siano propriamente la stessa cosa, e ha stabilito contatti con esponenti della Repubblica islamica d’Iran.
La FPӦ, insieme agli altri partiti nazional-populisti europei, viene sistematicamente demonizzata come «fascista» e «razzista» dal mainstream media perché presenta un programma «value-oriented», ossia centrato su quei valori tradizionali che rappresentano «il principale ostacolo alla continua espansione del capitalismo globalizzato».
Infatti, come scrive Jean-Claude Michéa, lungi dal connotarsi quali riferimenti culturali tipici del «ritorno della “bestia immonda”» del fascismo storico novecentesco, i suddetti valori tradizionali «trovano la loro vera origine in quel sentimento naturale di appartenenza che si oppone, per definizione, all’individualismo astratto del liberalismo moderno (perché non c’è dubbio che il liberalismo pienamente sviluppato sia incompatibile con qualunque nozione di confine o di “identità nazionale”)».
Lungi dal configurarsi come esempio dell’eterno “fascismo di ritorno” brandito a mo’ di spauracchio mediatico dal clero universitarioliberal e dalla fitta schiera di strapagati opinionisti di sinistra, i valori tradizionali delle comunità storiche e popolari originarie possono costituire benissimo – una volta ritradotti e riorientati in senso ugualitario e universalistico – il punto di partenza privilegiato del progetto socialista e della sua peculiare cura nel preservare, contro il movimento capitalista di atomizzazione del mondo, le condizioni primarie di ogni esistenza veramente umana e comune.
I valori tradizionali sono compatibili con, e finanche propedeutici al, socialismo originario quale modello di sviluppo comunitario antagonista rispetto allo stato di cose presenti ma si connotano come radicalmente incomponibili con l’«universalismo astratto e benpensante che ha sempre caratterizzato la borghesia di sinistra». Infatti, oggi, il «sistema liberale globalizzato non può crescere e prosperare se non distruggendo progressivamente l’insieme dei valori morali ai quali quel popolo di destra è ancora profondamente – e legittimamente – attaccato».
Soprattutto per questa ragione il capitalismo odierno, «fatto sociale onnicomprensivo», totalità dialettica costituita da momenti anche culturali, auspica la resa dei conti con qualsivoglia ostacolo, sia esso di natura politica (indifferentemente dalla matrice ideologica di destra o di sinistra), culturale, economica o morale, che osi immaginare di frapporsi sulla via del suo dispiegarsi inarrestabile.
 
Il “circo mediatico” liberal, lo “spirito santo”?
La FPӦ, così come il resto dei partiti nazional-populisti europei, ponendo in essere una critica meramente nazionalistica del capitalismo contemporaneo, non è la soluzione al problema.
Su questo punto, Alain de Benoist ha pronunciato parole molto significative, sostenendo che «il sovranismo non porta da nessuna parte, perché nessuno Stato da solo è in grado di far fronte alle attuali sfide planetarie, a cominciare dal controllo del sistema finanziario».
Tuttavia, la critica sovranista all’Unione europea è condivisibile poiché, nel novero delle logiche neoliberali della Ue transatlantica, «la sovranità che si toglie alle nazioni non è riportata a livello sovranazionale, ma sparisce in una sorta di buco nero».
Il buco nero della tecnocrazia, del dominio dei mercati finanziari privati internazionali e dell’egemonia culturale cosmopolitica.
Dinnanzi a questo scivolamento della sovranità nazionale nel baratro del cosmopolitismo, sempre secondo de Benoist, «è abbastanza naturale essere tentati a ripiegare sullo Stato-nazione».
Eppure, se davvero si vuole costruire un’alternativa continentale, imperiale ma non imperialistica, al dominio geopolitico, economico, militare e culturale a stelle e strisce, la soluzione non può consistere nel ripiegamento sciovinistico dell’Europa delle “piccole patrie” (inevitabilmente soggette a influenze strategiche esterne) bensì nel varo di quello che Gérard Dussouy ha definito «patriottismo paneuropeo», tradizionale e originario (ossia profondo, radicale), finalizzato alla costruzione dello Stato europeo contro la sedicente Ue di Bruxelles. Alain de Benoist dimostra di condividere l’approccio di Dussouy, nel momento in cui fa suo il motto «Per l’Europa, contro Bruxelles».
Tuttavia, e al netto delle considerazioni di cui sopra, è necessario affermare che la FPӦ e i partiti nazional-populisti europei, pur annoverando nell’ambito della propria proposta politico-programmatica e culturale i limiti summenzionati, e pur perseverando a collocarsi nel novero della vulgata huntingtoniana in materia di relazioni internazionali e liberistica in economia, si connotano come infinitamente migliori rispetto al “circo mediatico” liberal e “progressista” impegnato nella loro costante e strumentale demonizzazione a mezzo tv e stampa. Il “circo mediatico” progressista è infatti compattamente schierato contro qualsivoglia baluardo antagonistico e tradizionale (katechon) all’ordine cosmopolitico costituito.
Le stesse elezioni politiche pluripartitiche e pubblicitarie, nei Paesi occidentali a sistema “democratico liberale” (sistema dell’“alternanza unica” tra partiti liberali di centrodestra e partiti liberali di centrosinistra sistemici) sono il mezzo attraverso cui l’oligarchia cosmopolitica internazionale (Global classfinanziarizzata) impone, per tramite della pervasiva e performativa azione di diversione propagandistica attuata dalla propria “guardia bianca”, ossia il “circo mediatico” unificato (ossia, gli strati superiori della new global middle class), la perpetuazione sine die dello stato di cose (neoliberali) presenti. La stampa liberal e radical-chic combatteva all’unisono una battaglia politica “anti-populisti” in nome della perpetuazione e della radicalizzazione, in ambito economico, politico e culturale, del citato “stato di cose presenti”. Sula Repubblica, non a caso, Ezio Mauro stigmatizzava il nazional-conservatorismo del premier ungherese Viktor Orbán, reo di aver proclamato il «fallimento del liberalismo».
Mauro si doleva che, in Gran Bretagna, la campagna elettorale per la Brexit fosse appoggiata dal conservatore Boris Johnson, «sindaco della città più cosmopolita del continente, Londra».
Per Ezio Mauro infatti, la cultura politica conservatrice non avrebbe dovuto opporsi al cosmopolitismo e al liberalismo di sinistra ma si sarebbe dovuta limitare a ritardarne gli effetti di accelerazione dei processi di flessibilizzazione integrale delle masse. Mauro, aperto sostenitore della rimozione del katechon, affermò infatti:
Prezzolini, guardandosi intorno sancirebbe a questo punto la sconfitta del “vero conservatore”, come lo idealizzava lui: capace di non confondersi con i reazionari, i tradizionalisti, i nostalgici, di non rifiutare i mutamenti purché avvengano gradualmente, di conservare le istituzioni.
Secondo Mauro dunque, la cultura conservatrice avrebbe dovuto rompere definitivamente con la Tradizione, con il katechon, e aderire al complesso di riferimenti cosmopolitici caratteristici del liberalismo progressista, storicista, neoborghese.
Proprio in questo senso andava esplicandosi il vero e proprio nocciolo della critica rivolta da Mauro ai partiti nazional-populisti europei, e in particolare alla FPӦ, ossia quella di voler stringere «amicizia con Putin», un soggetto politico percepito, dai liberal di ogni sorta, quale principale oppositore geopolitico e culturale del processo di americanizzazione conformistica e antitradizionale del mondo. Ezio Mauro infatti non si scagliava soltanto contro i populisti di destra, come la FPӦ, ma anche contro quelli di sinistra, tra cui il presidente della Repubblica ceca, il socialdemocratico Milos Zeman, sprezzantemente definito, dall’editorialista de la Repubblica, «xenofobo» e, si badi bene, «russofilo».
Sulla stessa linea interpretativa de la Repubblica si connotava il quotidiano “comunista”il manifesto, nel momento in cui, denunciando esplicitamente la filosofia politica di Alain de Benoist e Aleksandr Dugin, una filosofia che «indica l’orizzonte del blocco eurasiatico e la tradizione anticosmopolitica di Mosca come direzione di marcia», condannava senz’appello «i ripetuti interventi di Salvini a favore di Putin e le bandiere russe in tutte le piazze leghiste».
La sinistra liberal e radical-chic, ossia il “circo mediatico” politicamente corretto, despecifica strumentalmente i nazional-populisti al rango di «omofobi» (parola, quest’ultima, che non ha alcuna valenza letterale, significando semplicemente «paura dell’uguale»), «maschilisti» e «trogloditi» e promuove manifestazioni di femministe appartenenti ai ceti danarosi e integrati per ribadire la propria vocazione a soggetto politico e mediatico di riferimento del ceto medio semicolto (knowledge class), ovvero del principale sostenitore sociologico dei processi di internazionalizzazione e privatizzazione dei rapporti socio-politici vigenti.
Gli esempi, in tal senso, si sprecano e vale la pena riportarne un paio.
Nella prefazione a un noto libro dedicato al “fenomeno leghista”, il telegiornalista liberaldemocratico e cosmopolita Gad Lerner denuncia la diffusione del leghismo come nuova ideologia conservatrice; capace di entrare in sintonia con le pulsioni reazionarie che si perpetuano da secoli nella società di un’Italia settentrionale guelfa profondamente segnata dalla Controriforma, e refrattaria all’autorità statale.
Chi per gioco si fa immortalare al raduno di Pontida indossando barbarici copricapo con le corna d’ispirazione celtica nella vita di tutti i giorni si fa portatore di stereotipi comunitari retrivi.
La Lega ha fornito rappresentanza politica a pulsioni antimeridionali e xenofobe, ha legittimato un revival paganeggiante del tradizionalismo cattolico anticonciliare, coltiva al proprio interno il revanscismo delle piccole patrie […].
Sembrava uno scherzo e invece … […]
E’ obbligatorio sottostare allo scherzo se si vuole far parte del gruppo; così com’è necessario autocensurare repliche sbigottite nel caso del fraseggio volgare o razzista.
A sua volta, l’antropologa Lynda Dematteo, per sottolineare la dimensione “gretta” e “retriva” in cui si sarebbe accovacciato lo stereotipo del militante leghista di provincia sottolinea che «i celibi sono numerosi nei ranghi leghisti, i militanti sono conosciuti come “quelli che non riescono a trovare la ragazza”».
L’argomentazione della Dematteo implicitamente rimandava a un presunto confronto tra due rappresentazioni sociologiche tra esse inconciliabili, ovvero:
  • un microcosmo populistico maschile “tradizionalista”, “arretrato”, “chiuso” e “gretto”;
  • un macrocosmo cosmopolitico femminile “creativo” “avanzato”, “aperto” e dunque totalmente indisponibile al confronto con coloro i quali si venissero a porre nella condizione di contraddirne o metterne in discussione i citati postulati culturali (open mind) di riferimento.
Infatti, per l’antropologa Lynda Dematteo (una ragazza appartenente alla famigerata Erasmus Generation) era assolutamente incomprensibile il nominale rifiuto leghista nei confronti della globalizzazione e del cosmopolitismo individualistico.
La retorica ambizione leghista concernente il porsi in contraddizione con gli stereotipi culturali liberali caratteristici del mondo globalizzato in chiave americanocentrica era sinonimo di appartenenza a una cultura politica che Lynda Dematteo stigmatizzava proprio perché faticava a comprendere.
Scrive infatti la citata antropologa:
Il leader del Carroccio [Umberto Bossi] vede nella globalizzazione un processo distruttore e totalitario.
L’omologazione dei bisogni presuppone l’omologazione degli uomini, la globalizzazione passa per la “società multirazziale di Benetton e McDonald’s”.
Bossi ha una visione catastrofica del futuro – i popoli saranno sacrificati al profitto – e insorge contro il modello del “cosmopolitismo individualista” che mette in concorrenza i lavoratori del mondo intero a svantaggio degli europei […].
Attraverso queste operazioni che spostano l’antirazzismo e l’antitotalitarismo dall’alveo della sinistra a quello della destra, i dirigenti della Lega Nord riutilizzano a proprio vantaggio le argomentazioni della nuova destra francese degli anni settanta.
Da allora, i militanti di estrema destra si pongono come rappresentanti di un’etnia minacciata […].
Il razzismo avanza ormai sotto la maschera dell’elogio della differenza.
Secondo la semplicistica e interessatamente pubblicitaria interpretazione del “circo mediatico” sostenitore a oltranza della globalizzazione come moto storico di progresso capitalistico e universalistico “emancipatore” dell’umanità dai precedenti vincoli “patriarcali”, “conservatori” e “comunitari”, «i patrioti che si oppongono alla distruzione del proprio popolo» sotto i colpi dell’omologazione cosmopolitica non possono risultare che degli “estremisti di destra”.
Il femminismo modaiolo e individualista dei ceti ricchi è, significativamente, tra i principali fattori di legittimazione culturale dell’odierno capitalismo assoluto ed è un ingranaggio fondamentale, quanto fondamentalista nel proprio dogmatico fideismo “nuovista”, per l’ulteriore radicalizzazione dei processi di adeguamento dell’odierna postsocietà agli stili di vita e ai desideri di consumo immediato veicolati dal “circo mediatico” postmoderno.
Studiosi assai seri, come Nancy Fraser e Charles Robin, hanno perfettamente compreso queste dinamiche e sono arrivati a conclusioni pienamente ragionevoli, argomentate e, almeno a opinione di chi scrive, condivisibili.
Nancy Fraser sostiene infatti che «il movimento delle donne una volta aveva come priorità la solidarietà sociale, oggi festeggia le imprenditrici».
Secondo la Fraser, la critica femministica al capitalismo fordista keynesiano (1945-1975) «è diventata ancella del capitalismo contemporaneo».
In altri termini, la critica posta in essere dal movimento femminista al capitalismo relativo europeo è stata integralmente assorbita nel, e si è saldata con, il capitalismo avanzato di “terza fase”, o di “terza età”, un capitalismo «“disorganizzato”, globalizzato e neoliberista» perfettamente compatibile con «la critica al paternalismo dello stato sociale» urlato a squarciagola nei propri raduni dalle femministe negli anni Settanta.
E’ in questo senso infatti che «la svolta femminista verso una politica identitaria si è alleata fin troppo strettamente con un neoliberismo in crescita», determinando il successo dell’impostazione «liberista-individualista» del femminismo e la conseguente sconfitta del versante “solidaristico” e “antagonistico” di detto movimento.
Paradossalmente ma non troppo, oggi, la critica femministica al capitalismo fordista/keynesiano e al modello patriarcale di società «aiuta a legittimare il “capitalismo flessibile”».
Il femminismo come critica artistica e “creativa” al capitalismo antitetico/dialettico novecentesco, in definitiva, si è caratterizzato come un movimento ampiamente ambiguo perché «ha promesso nuove forme di liberalismo, in grado di garantire alle donne, così come agli uomini, i “beni” dell’autonomia individuale, un ampliamento delle scelte , l’avanzamento meritocratico» ma, lungi dal porre le basi per la formulazione di una progettualità politica “altra” rispetto allo stato di cose presenti, non ha fatto che radicalizzare, in senso ultracapitalistico, individualistico e postmoderno, il precedente stato di cose presenti (capitalistico, a direzione borghese ma mitigato e mediato da consistenti “iniezioni” di sindacalismo socialdemocratico “piccista”).
Nancy Fraser ha perfettamente ragione quando afferma che le femministe hanno «direttamente contribuito a far raggiungere al capitalismo questo stadio di sviluppo» accelerato e senza futuro, di eterno presente consumistico, alienante, sfruttatore e narcisistico.
La critica femministica del capitalismo è stata, insomma, una critica cosmopolitica del capitalismo di Stato (assistenziale e paternalistico) europeo novecentesco, unita a una lamentosa critica socialdemocratica attuata dalle femministe nei confronti degli squilibri nella redistribuzione delle ricchezze e del reddito prodotti dalle dinamiche del capitalismo antitetico/dialettico (fordista/keynesiano).
Nei fatti, come del resto i loro sodali sessantottini, le femministe criticavano le ipocrisie sessuali borghesi tipiche della società dicotomica degli anni Sessanta-Settanta in nome di una liberalizzazione integrale (o modernizzazione ultraliberale postborghese) dei costumi e peroravano una integrazione socialdemocratica di genere, attraverso la leva redistributiva di reddito e ricchezze, nell’ambito della nascente e arrembante società radicale dei consumi liberi di massa. In altri termini, le femministe volevano, per se stesse, in un’ottica progressivamente orientata all’individualismo antiborghese e anticomunitario quanto profondamente liberale, liberista e libertario, “il pane ma anche le rose”.
La critica femministica del capitalismo, per dirla con Nancy Fraser, «si è risolta a favore di un (neo)individualismo liberista» e in un elogio del «progresso individuale», ossia del progresso capitalistico della Storia.
Oggi, per esempio, persino la direttrice del Fondo monetario internazionale, Christine Lagarde, viene considerata dal “circo mediatico” liberal un esempio di “successo politico” del femminismo come movimento a favore dell’integrazione delle donne (indipendentemente dalla loro estrazione sociale e di censo) nell’ambito del sistema di relazioni socio-politiche promosso dal capitalismo speculativo. Scrive infatti, in merito, Nancy Fraser:
Lagarde è un esempio calzante delle contraddizioni del femminismo.
Il fatto è che la seconda ondata femminista, a cavallo tra fine anni Sessanta e fine Settanta, si focalizzava sul tema della redistribuzione: un approccio solidaristico vicino alla tradizione socialdemocratica.
Quando lo Zeitgeist è cambiato a favore del neoliberismo, anche il femminismo ha preso un’altra direzione: l’emancipazione legata all’equità è stata soppiantata dall’emancipazione in senso individualistico. Prendiamo proprio la Lagarde: una donna potente, ai vertici, ma che allo stesso tempo ha supportato politiche di austerity di fatto molto dannose per le condizioni delle donne.
Come ho avuto modo di scrivere ne L’immagine sinistra della globalizzazione, «discorso analogo vale per gli estemporanei raduni di femministe “indignate” (Se non ora quando), appartenenti in larga parte ai ceti benestanti delle città settentrionali, che nel 2011 belavano ostensivamente contro il sistema berlusconiano di gestione delle relazioni uomo-donna (improntate a criteri di mercificazione e di acquisizione), in nome di una piattaforma orientata al femminismo elitario, cosmopolita eglamour.
Le femministe ipocritamente “indignate” del 2011 “sputavano su Berlusconi” e su Putin credendo di porsi in tal modo come avanguardie di un movimento di liberazione di genere, mentre non predicavano che una liberalizzazione narcisistica dei costumi sessuali sul modello del loro “romanzo preferito”, Cinquanta sfumature di grigio, esattamente come le femministe “storiche” negli anni Settanta “sputavano su Hegel” (il pensatore in assoluto più incompatibile con il capitalismo e per questa ragione demonizzato come “autoritario” e “conservatore” dai liberali di sinistra à laBobbio e dalle femministe di vecchio conio) rivendicando un’aperta modernizzazione, o liberalizzazione, in chiave postmoderna e individualistica, dei costumi borghesi.
Quella delle femministe “indignate” e “in carriera” di Se non ora quando non era altro che la più palese e inequivocabile manifestazione di adeguamento conformistico e politically correct dei ceti medi contemporanei, declinati a sinistra e al femminile, ai codici di comportamento di una società totalmente liberalizzata, volgarmente disinibita, tribalizzata e atomizzata su basi di consumo e desiderio compulsivi e individualistici, nonché priva di ogni residuo pudore psicologico e identitario collettivo».
In altri termini, le femministe che, nel febbraio 2011, domandavano “indignate” la testa del “puttaniere” Berlusconi (reo di «non rispettare le donne»), nel novembre dello stesso anno accolsero con sollievo il golpe dei mercati che detronizzò il Cavaliere di Arcore insediando al suo posto il «grigiocrate» Mario Monti.
Quest’ultimo infatti, pur varando, per conto della troika capitalistica di Washington-Bruxelles, controriforme neoliberali che posticipavano in sempiterno l’età pensionistica (maschile e femminile), veniva apprezzato dalle femministe neoborghesi elettrici del PD in quanto, diversamente dal precedente “puttaniere” (che per varie ragioni non s’era azzardato a toccare il welfare pensionistico nostrano), percepito mediaticamente come “gentiluomo rispettoso delle donne”.
Non sorprende dunque, alla luce delle considerazioni di cui sopra, che il femminismo cosmopolitico e modaiolo postmoderno sia la protesi culturale su cui si imposta l’odierna critica “democratica” attuata dal “circo mediatico” liberal nei confronti dei partiti e movimenti cosiddetti “populisti euroscettici” e “filorussi” dei Paesi della Ue.
Nell’Europa postcontemporanea, affermano gli stessi aedi del cosmopolitismo liberale, «la destra è più per famiglia e religione, la sinistra più per modernizzazione e piacere della vita […].
L’Europa ha di fatto accettato l’americanizzazione».
L’americanizzazione giunse in Italia sull’onda del boom consumistico postbellico, in particolar modo attraverso la diffusione del medium tv commerciale, pubblica e privata.
Nel 1957 il giornalista statunitense Vance Packard si accorse che la tv era lo strumento attraverso cui, per tramite della pubblicità, le aziende private intendevano vendere i loro prodotti al numero più ampio possibile di utenti-consumatori.
Negli anni Ottanta del XX secolo, in Italia, attraverso le «telerisse» del talk show televisivo quale veicolo di normalizzazione conformistica e di stratificazione neomoltitudinaria del pubblico-consumatore-di-immagini (il popolo regredito al rango di “gente”, indistinta per ceto sociale di appartenenza), l’americanizzazione conobbe un processo di ulteriore radicalizzazione.
Il talk show infatti, «dove le opinioni, anche le più scardinate, sbaragliano la concretezza dei fatti», è il mallevadore del passaggio dalla democrazia borghese “dei partiti” strutturata attorno all’egemonia culturale democristiana alla democrazia postborghese (dis)articolata attorno all’egemonia della tv commerciale.
Il talk show infatti, nelle sue forme evolutive («puro, impuro e ibrido»), ha il chiaro scopo (esattamente come la pubblicità) di vendere un prodotto a un’utenza diversificata a seconda del format in questione.
Sostanzialmente, il prodotto venduto dal talk show al pubblico è la democrazia contemporanea (o postdemocrazia) come “migliore dei mondi possibili” o comunque come “impero del meno peggio” (per citare Jean-Claude Michéa).
Utilizzando ilformat del talk show infatti, il “circo mediatico” persegue l’obiettivo dell’americanizzazione del pubblico attraverso l’apologia, diretta o indiretta, del capitalismo contemporaneo, della postsocietà liquida e della free market democracy. Il talk show è il veicolo di legittimazione dell’esistente attraverso la costante riproposizione (e attualizzazione) politico-pubblicitaria della dicotomia sinistra/destra.
Il talk show ha la funzione di legittimare l’esistente attraverso la demonizzazione di qualsivoglia antagonismo allo stato di cose presenti. Inoltre, il talk show è propedeutico a «scandalizzare i borghesi» costruendo il nemico di turno dell’odierna società liberale e il conflitto tra commedianti della politica, del giornalismo e della “società civile” reclutati ad hoc, attorno a tematiche sensazionalistiche adatte più che altro a “catturare” e fidelizzare l’audience di un pubblico generalista abituato a intendere la politica come una sorta di rovesciamento, nel salotto televisivo del momento, del tifo calcistico da stadio.
Ne L’immagine sinistra della globalizzazione ho infatti scritto, quale sorta di esempio paradigmatico della «politica pop» legittimata e veicolata attraverso il salotto televisivo postmoderno del talk show: «Anche il cosiddetto, e pur sempre indimostrabile perché inesistente, “razzismo antimmigrati” della Lega, rientrava a pieno titolo nel discorso spettacolistico e televisivo del Carroccio, quale populistico collettore identitario teso a riaffermare una non meglio precisata purezza ideologica e programmatica di un movimento da sempre autorappresentatosi come “anti-sistemico” nonostante la propria collocazione per anni a pieno titolo fermamente interna alle logiche di compatibilità euroatlantiche e al Politicamente Corretto declinato a destra.
Naturalmente, il “razzismo antimmigrati” della Lega era un validissimo siero politico che, laddove inoculato con attenzione e nelle sedi televisive opportune, poteva suscitare l’effetto di “scandalizzare i borghesi” (épater le bourgeois) spettatori dei talk show patinati di Santoro, Floris, Giannini, Giulia Innocenzi e compagnia cantante.
I detti borghesi semicolti, indignati dalle “tirate” populistiche della Lega in tema di immigrazione e “diritti civili” dovevano pertanto essere “rassicurati” da qualcuno…
Questo “qualcuno” non poteva che essere il gruppo sociale degli intellettuali di sinistra (dagli editorialisti de la Repubblica a Vauro de il manifesto) pronti a tacciare di “fascismo” e “razzismo” il Salvini di turno.
Va da sé che il circo italiota della politica spettacolo, di cui la Lega e il manifesto erano entrambi soggetti parte integrante (l’una nella versione del “poliziotto cattivo”, ossia il partito “populista e razzista”, l’altro in quella del “poliziotto buono”, ossia il quotidiano “comunista/cosmopolita”), si apre e si chiude attorno a una chiacchiera televisiva (round table) utile soltanto a procrastinare a tempo indeterminato l’internità della Lega al ceto politico sistemico (un’internità assai vantaggiosa per i suoi dirigenti) e il processo di autolegittimazione e di autoapologia degli intellettuali di sinistra (il gruppo sociale più conformista del mondo, un gruppo sociale talmente dominato, cooptato e incorporato che al cui confronto «i tassisti, le prostitute, i gangster sono degli originali, […] degli avanguardisti». C. Preve, Presentazione di Minima mercatalia [Bompiani] di Diego Fusaro: intervento di Costanzo Preve, inhttps://www.youtube.com/watch?v=2C0AC-ZEboA, 16 aprile 2012) quali “baluardo democratico” e “coscienza antifascista” del Paese contro qualsivoglia tentazione “autoritaria”, “populistica”, “anti-Ue”, “anti-euro”, “anti-Nato” e così via».
Preso atto di queste considerazioni, occorre affermare, senza reticenze, che il “circo mediatico” politically correct e femminilizzato rappresenta, attraverso la perpetuazione a oltranza della simulazione politica sinistra/destra e mediante l’operazione di autoapologia posta in essere dagli intellettuali che ne formano gli agenti culturali di riferimento, il principale vettore di legittimazione sistemica dell’odierno modello di alienazione sentimentalistica, sfruttamento neocoloniale e depsicologizzazione conformistica di massa incarnato dal capitalismo americano contemporaneo.
E’ dunque oltremodo chiaro che il “circo mediatico” politically correct ha utilizzato, utilizza e utilizzerà ogni mezzo a sua disposizione per demonizzare, attraverso la sistematica reductio ad hitlerum, qualsivoglia antagonismo effettivamente pericoloso per le sorti del progetto coloniale transatlantico altresì detto Unione europea.
Per il “circo mediatico” liberal infatti, l’idea stessa di “nazione”, di comunità storica tradizionale, di “patria reale” rappresenta il nemico principale in quantotout court identificata con «un concetto che […] sconfisse l’internazionalismo proletario e le aspirazioni cosmopolitiche della borghesia e generò il fascismo».
 
Considerazioni conclusive
Ovviamente, come il lettore avrà certamente intuito una volta arrivato a questo punto, la FPӦ e i partiti “populisti” euroscettici non incarnano il “diavolo postmoderno” così come il “circo mediatico” liberal è tutto fuorché lo “spirito santo” dei giorni nostri.
La FPӦ è il partito di riferimento di parecchi «marginali» (operai tradizionali, disoccupati, piccolo-borghesi in via di proletarizzazione incipiente, valligiani carinziani, ecc.) e di non pochi «vincenti» (yuppie, liberi professionisti viennesi, imprenditori “rampanti”, ecc.) dei processi di globalizzazione, postisi in singolare alleanza contro le politiche open mind e open frontiers della sinistra e dei democristiani.
La FPӦ è inoltre un partito nazional-populista (e liberal-nazionale) che tende ad attribuire rilevanza ai valori tradizionali della cultura cattolica declinata in chiave popolare e identitaria, e per questa ragione è stigmatizzata quale possibile katechon da rimuovere a ogni costo e con ogni mezzo dagli aedi del cosmopolitismo individualistico come orizzonte destinalistico della futura umanità unificata all’insegna del libero desiderio consumistico.
La FPӦ è il partito in testa a tutti i sondaggi per le prossime elezioni parlamentari austriache.
Stando ai risultati di un rilevamento demoscopico del 9 aprile 2016, la FPӦ vincerebbe le elezioni in Austria con il 32 per cento dei voti, davanti ai democristiani e ai socialdemocratici, fermi al 22 per cento a testa.
Tuttavia, l’avanzamento elettorale della FPӦ in Austria e dei partiti nazional-patriottici in Serbia (alle elezioni del 24 aprile 2016 infatti, il Partito Radicale Serbo, SRS, l’unica forza politica nazionale che all’epoca della guerra della Nato contro la Libia scese nelle strade per protesta contro l’intervento armato occidentale mostrando striscioni con la scritta People of Serbia against Globalization, ottenne l’8,1 per cento dei consensi e la coalizione Blocco patriottico DSS-DVERI, altrettanto ostile alla Nato e alla Ue, raccolse il 5 per cento) non è sufficiente per costruire un vero e proprio movimento di liberazione anticoloniale a livello europeo. Infatti, per giungere alla definitiva liberazione dell’Europa dall’americanizzazione che la rende schiava, quella offerta dai nazional-populismi non è una soluzione praticabile.
Per liberare l’Europa dalle catene del colonialismo americanocentrico è necessario muoversi nella direzione per eccellenza e all’unanimità aborrita dall’intellighenzia di sinistra, ovvero quella di un «patriottismo paneuropeo» antisciovinistico ed eurasiatista, tradizionalista nella cultura, popolar-conservatore nella politica e socialista delle origini in economia, che sappia dare concretezza alla «visione di un’Europa imperiale come unica via contro l’omologazione mercantile, spiegando come “solo l’appartenenza posta come principio consente di difendere la causa dei popoli” e di proteggere “le nostre rispettive identità contro il sistema globale”».

VITTO E ALLOGGIO SENZA LAVORARE NE’ STUDIARE: IN ITALIA NEI CENTRI DI ACCOGLIENZA

SCUOLA DI FANCAZZISMO – VITTO E ALLOGGIO SENZA LAVORARE NE’ STUDIARE: IN ITALIA NEI CENTRI DI ACCOGLIENZA
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Quasi nessuno di loro viene da guerre o persecuzioni, tutti hanno presentato domanda d’ asilo politico – con ricorsi e controricorsi – per guadagnare tempo e intanto restare qui. La lentezza della giustizia italiana è il loro più grande alleato…
Dagospia, 26 aprile
Dice di avere diciannove anni, ma ne dimostra dieci di più.
Dice che di solito si sveglia alle nove e trascorre le sue giornate in modo semplice: « Manger , dormir , Facebook, un film».
Qualche volta, una partita di calcio.
Tiene pulita la sua stanza?
No: ci pensa la signora Antonella, la donna delle pulizie.
Si prepara da mangiare?
«No. Vedo il cibo quando è pronto. Io non cucino».
Fofana Samba, che si dichiara cittadino del Mali, conduce precisamente questo stile di vita da quando è sbarcato senza documenti dalla Libia a Vibo Valentia nel giugno di due anni fa.
Appena riemerso dal riposo del dopopranzo porge una debole stretta di mano, il tablet sottobraccio, attorno a lui tanti altri ragazzi sub-sahariani assorti nei loro smartphone all’ ombra dei pini dell’ hotel sul mare che oggi li accoglie.
Quasi nessuno di loro viene da guerre o persecuzioni, tutti hanno presentato domanda d’ asilo politico – con ricorsi e controricorsi – per guadagnare tempo e intanto restare qui.
La lentezza della giustizia italiana è il loro più grande alleato.
Fofana sorride con indolenza.
«Voglio essere un rifugiato», è la sua posizione.
In due anni un piccolo avvocato locale – Vibo Valentia è prossima al record europeo per densità di legali nella popolazione – ha presentato per lui una serie di domande di asilo.
Cento euro l’ una, pagate con l’ argent de poche dell’ accoglienza.
Tutte respinte fino al ricorso attuale, pendente da mesi, ma Fofana non ha mai fatto lo sforzo di imparare una parola d’ italiano.
Ha capito anche lui che questo Paese, per inerzia, sta riproducendo con i migranti le peggiori tare dell’ assistenzialismo degli anni 70 e 80 del secolo scorso.
Forse è la sola risposta che la macchina amministrativa sia in grado di fornire nell’ emergenza, se non altro perché è quella che conosce già.
Questo è il welfare che dà qualcosa in cambio di niente.
È un sistema che distribuisce vitalizi e protezione senza pretendere dai beneficiari lo sforzo di imparare un mestiere, né le leggi o la lingua del Paese ospitante, o anche solo senza chiedere loro una mano a tenere pulita la strada comunale qui fuori.
Una perla del Mediterraneo come Briatico ne avrebbe un gran bisogno, ora che ha di nuovo un sindaco accusato di concorso in associazione mafiosa
Non deve per forza finire così, neanche nei Paesi più aperti agli stranieri.
Perché il problema non è se accogliere o no, ma come farlo.
Il 14 aprile scorso i leader della grande coalizione al governo in Germania sono riemersi da sette ore di negoziati fra loro con un annuncio che, visto dall’ Italia, suona lunare: ci sarà una nuova legge sull’ integrazione degli stranieri.
La cancelliera ha spiegato che l’ obiettivo è rendere più facile per chi richiede asilo accedere al mondo del lavoro.
Non renderli alienati, passivi e depressi, con un futuro da accattoni o da manovalanza criminale.
Il modo per farlo è superare il welfare paternalista e chiedere ai migranti qualcosa in cambio di qualcos’ altro.
Lo Stato federale tedesco li nutre e alloggia, proprio come lo Stato italiano versa anche una piccola diaria a chi arriva senza documenti chiedendo asilo politico.
In contropartita però la Germania pretende dagli stranieri alcuni impegni specifici:
– obbligo di frequenza a corsi di lingua,
– cultura e legislazione tedesca, con regolari verifiche dell’ apprendimento;
per chi non adempie c’ è il ritiro progressivo dei benefici.
La grande coalizione di Merkel prevede anche ciò di cui avrebbero tanto bisogno Briatico e molte altre municipalità italiane che ospitano i migranti: piccole somme in più, magari un euro l’ ora, a chi svolge lavoretti per la comunità locale.
Vista dal fondo della Calabria, la Germania è lontana.
Qui di recente l’ Associazione Monteleone, una delle centinaia che gestiscono l’ accoglienza per conto delle Prefetture, si è vista costretta ad andare all’ estremo opposto.
Nella gara vinta per la gestione dei migranti deve impegnare un bilancio che vale oltre 1.100 euro al mese per ciascuno di essi.
Ha investito 85 mila euro in un centro computer nell’ hotel dell’ accoglienza, ha organizzato corsi di italiano e da elettricista, fabbro, pizzaiolo, cartongesso, guida macchine agricole, salvataggio e primo soccorso in spiaggia, teatro.
Non si è presentato quasi nessuno.
I 219 richiedenti asilo sono rimasti tutti in camera a sonnecchiare e guardare la tivù, semplicemente perché potevano. 
Alla fine, spiega la direttrice dell’ associazione Lelia Pazienza, il solo argomento per stanarne alcuni – pochi – è stato un piccolo zuccherino: 50 euro in cambio della frequenza dei corsi.
Neanche in Italia, dove i migranti in strutture «temporanee» di questo tipo sono oggi ufficialmente 82 mila, deve finire per forza così.
Non è scritto nelle leggi che debba continuare a riprodursi con gli stranieri l’ assistenzialismo responsabile del debito pubblico.
Federico Fubini per il “Corriere della Sera”
A novembre scorso il prefetto Mario Morcone, capo dipartimento per l’ immigrazione al ministero dell’ Interno, ha scritto ai sindaci invitandoli a far fare ai richiedenti asilo piccoli lavori per i Comuni.
Non è successo quasi nulla.
Da settimane esiste poi al ministero della Giustizia una bozza di decreto per velocizzare nei tribunali le pratiche sui ricorsi degli stranieri.
Eppure non approda in Consiglio dei ministri.
A Vibo Valentia intanto l’ associazione Monteleone ha fatto incetta di tic tac.
Da quando i migranti hanno scoperto che qui le medicine sono gratis, lamentano ogni giorno mal di testa, mal di pancia e giradito come nell’ Italia di prima del ticket.
Ma almeno gli stranieri, per ora, non distinguono fra un farmaco e una caramella alla menta.
 

IL TEMPO DELLA FRODE

Pubblicato da redazione in Geopolitica 5 maggio 2016
Gli americani (e quindi gli europei)frodati dall’élite che mette in pericolo il mondo
di Paul Craig Roberts
Negli ultimi anni del XXesimo secolo, la frode diventò un elemento stabile della politica estera Usa sotto una nuova forma.
Sotto falsi pretesti Washington smantellò la Jugoslavia, poi la Serbia, tutto allo scopo di portare avanti una agenda mai dichiarata.
paulcraigroberts2Nel XXIesimo secolo la stessa frode si è replicata molteplici volte: Afghanistan, Iraq, Somalia e Libia sono state distrutte; l’Iran e la Siria avrebbero fatto certamente la stessa fine se il presidente russo non avesse preso misure preventive affinché ciò accadesse.
Washington è inoltre dietro alla distruzione dello Yemen in corso, senza dimenticare che ha consentito ed attivamente finanziato la distruzione della Palestina per mano israeliana. In aggiunta si è consentito frequenti operazioni militari in Pakistan senza che alcuna guerra fosse stata dichiarata, uccidendo donne, bambini e anziani sotto la sigla di “lotta al terrorismo”.
I crimini di Washington possono rivaleggiare con quelli di qualsiasi nazione in qualsiasi momento storico.
Personalmente ho sempre lavorato a documentare questi crimini nei miei articoli e nei miei libri (pubblicati da Clarity Press).
Chiunque creda ancora nella purezza delle intenzioni della politica estera di Washington è semplicemente un caso perso.
Russia e Cina adesso hanno forgiato una alleanza che è semplicemente troppo forte per Washington. Russia e Cina insieme non consentiranno a Washington nessun ulteriore ingerenza nella loro sicurezza e nei loro interessi nazionali. I paesi che essi ritengono strategicamente importanti saranno protetti dall’alleanza.
Mentre il mondo pian piano si sveglia e comprende il male che l’Occidente oggi rappresenta, sempre più paesi cercheranno la protezione di Russia e Cina.
L’America, inoltre, sta fallendo sotto il fronte economico.
Nei miei articoli ed il mio libro “Il fallimento del capitalismo lassez­faire”, che è stato pubblicato in inglese, cinese, coreano, ceco e tedesco, ho dimostrato come Washington abbia sempre promosso e incoraggiato un processo nel corso del quale i profitti a breve termine di manager e grandi investitori, e Wall Street in senso ampio, svisceravano l’ economia reale Usa, delocalizzando la vera produzione, le conoscenze manifatturiere, le tecnologie e annesse posizioni di lavoro qualificato, verso Cina, India ed altri paesi, lasciando l’America con una economia ormai talmente spolpata che la media dei redditi delle famiglie è in costante caduta da anni.
Ad oggi il 50% degli americani di 25 anni vivono con genitori o nonni in quanto non riescono a trovare impieghi sufficienti a permettersi una esistenza indipendente.
La dura realtà è puntualmente coperta dai media prostituiti Usa, fonte di storielle fantasiose su una fantomatica ripresa economica americana. I fatti reali dell’esistenza sono talmente dissimili da ciò che i media vorrebbero far apparire che non posso che restare perplesso.
Avendo insegnato economia, essendo stato editore del “Wall Street Journal” e assistente del segretario per la politica economica del ministero del Tesoro Usa, non posso che essere perplesso dalla corruzione sistematica che governa il settore finanziario, il Tesoro, le agenzie preposte alla regolamentazione finanziaria e la Federal Reserve. Ai miei tempi sarebbero fioccati avvisi di garanzia e sentenze di tribunale contro banchieri e burocrati di alto rango.
Nell’America di oggi non esistono mercati finanziari liberi. Tutti i mercati sono manipolati dalla Federal Reserve e dal Tesoro in concerto.
Le agenzie di regolamentazione, controllate dalle stesse persone ed entità sulle quali dovrebbero teoricamente vigilare, chiudono un occhio su qualunque cosa, e anche nei rari casi in cui non lo fanno è tutto ugualmente inutile poichè non hanno alcun potere di far rispettare la legge dal momento che gli interessi privati sono sempre, immensamente, più forti delle leggi. Anche le agenzie statistiche del governo sono state corrotte. Manipolazioni sono state messe in atto allo scopo di sottostimare il tasso di inflazione.
La bugia non soltanto risparmia a Washington l’onere di reindicizzare i sussidi adeguandoli al costo della vita reale, liberando altri soldi per le infinite guerre, ma specialmente, sottostimando l’inflazione il governo fa apparire dal nulla incrementi del Pil spacciati come reali, contando l’inflazione come crescita reale, allo stesso modo, d’altronde, in cui il governo fa figurare un 5% di disoccupazione escludendo dal computo tutti gli scoraggiati che hanno cercato troppo a lungo e per i quali continuare a cercare rappresenta ormai solo una perdita di tempo. Come mai la quota di disoccupati ufficiale è del 5% ma nessuno riesce a trovare un lavoro? Come fa ad essere del 5% quando la metà delle persone di 25 anni sono costrette a vivere in casa dei parenti perché non riescono a permettersi una vita indipendente?
Come riferisce John Williams di “Shadowfacts”, se il tasso di disoccupazione includesse i cosiddetti “scoraggiati” che non cercano più attivamente impiego (perché non ci sono lavori da trovare) il tasso di disoccupazione sarebbe al 23%. La Federal Reserve, strumento privato nelle mani di un gruppetto di grosse banche, è riuscita a creare l’illusione di una ripresa economica almeno da giugno 2009 ad oggi, semplicemente stampando migliaia di miliardi di dollari dei quali non un centesimo è confluito ad alimentare l’economia, ma tutti a gonfiare i prezzi delle azioni delle multinazionali. Le gonfiature artificiali dei prezzi di azioni e obbligazioni sono le “prove” di una economia rigogliosa che la stampa finanziaria prostituita continua senza sosta a sciorinare.
Quelle pochissime persone di cultura e buon senso rimaste in America, e dico per esperienza diretta che parliamo davvero di pochissime persone, capiscono benissimo che non è mai esistita una ripresa dall’ultimarecessione e che, al contrario, una ulteriore recessione è alle porte. John Williams ha evidenziato come la produzione industriale Usa, debitamente parametrata all’inflazione, non ha mai recuperato i livelli del 2008 ed è ben lontana dal picco del 2000, ed è in costante calo. Il consumatore americano è esausto, schiacciato da debiti contratti e impossibilità a guadagnare di più.
L’intera politica economica americana è concentrata sulla tutela costante di qualche banca a New York, non nel salvataggio dell’ economia americana. Economisti blasonati e compari di Wall Street liquiderebbero il problema del declino della produzione industriale con il fatto che “l’America ormai è una economia dei servizi”. Gli economisti pretendono che tali servizi siano servizi altamente tecnologici della New Economy, ma la realtà è che camerieri, baristi, commessi part­time e servizi sanitario-inferimieristici hanno rimpiazzato gli impieghi manufatturieri ed ingegneristici e pagano una frazione rispetto a quest’ultimi, cosa che provoca un collasso della domanda aggregata in tutti gli Usa.
Se gli economisti neoliberali (cosa che non accade quasi mai pubblicamente) vengono messi spalle al muro e costretti ad ammettere i problemi, si arrampicano sugli specchi cercando il colpevole nella Cina. Non è chiaro se a questo stadio esistano possibilità di rivitalizzare l’ economia americana. Rivitalizzarla richiederebbe una ri-regolamentazione del settore finanziario e fare di tutto per riportare a casa i posti di lavoro e la produzione che sono state svendute a paesi d’oltremare. Richiederebbe, come Michael Hudson sa dimostrare nel suo ultimo libro “Killing the Host”, una rivoluzione nelle politiche fiscali che impedirebbe al settore finanziario di appropiarsi in maniera parassitaria dei surplus generati dall’attività economica reale, poi capitalizzandoli in obbligazione debitorie che garantiscono la perpetua percezione di interessi per il settore finanziario.
Il governo Usa, controllato com’è da interessi economici tra i più sporchi e immorali, non permetterebbe mai politiche che anche soltanto si azzardino a sfiorare i bonus faraonici dei managers e i profitti di Wall Street.
Il capitalismo Usa di oggi basa i suoi profitti sulla vendita dell’ economia americana e con essa tutta la gente che ne dipende per il proprio sostentamento.
Nell’America della “libertà e democrazia” il governo e i poteri economici servono interessi che non hanno assolutamente nessun punto di contatto con gli interessi del popolo americano. La svendita in corso è protetta e mascherata da un panopticon propagandistico fornito dagli economisti neoliberali, prostituti finanziari ed editoriali che si guadagnano da vivere solo e soltanto mentendo dalla mattina alla sera.
Quando l’America fallirà, a ruota la seguiranno i vassalli di Washington in Europa, Canada, Australia e Giappone.
A meno che nella peggiore delle ipotesi Washington non distrugga il mondo con un conflitto nucleare, a quel punto i rapporti mondiali di forza saranno interamente ridefiniti, e l’Occidente corrotto e dissoluto non sarà nient’altro che la parte più insignificante di questo nuovo mondo.
(Paul Craig Roberts, “Ventunesimo secolo, un’epoca di frodi”, dal blog di Craig Roberts del 18 gennaio 2016, tradotto da “Come Don Chisciotte”).
Tratto da: (CLICCA QUI)
 

LA REALE SITUAZIONE di Corrado Malanga

massoni e alieniIL SIMBOLO DELLA PENTAFALA 
frase attribuita ad un noto generale di Torino arteficie e fondatore dell'esercito italiano: "… Oggi noi fondiamo l'esercito italiano e sulle giubbe dell'esercito italiano ci sarà il nostro simbolo e simbolo della nostra massoneria, la stella a cinque punte…"
E' stato il tristemente noto garibaldi, grande massone, a portare in Sud America la stella a cinque punte, simbolo della massoneria, regalandolo ai guerriglieri Tupammaros.
Poi in italia arrivano le "brigate rosse" e il loro simbolo … la stella a cinque punte.
 

 

LA CINA RISPONDE A OBAMA SU CHI DEVE SCRIVERE LE REGOLE DEL COMMERCIO

Bandiere degli USA e CinaLe regole del commercio internazionale devono essere stabilite insieme con tutti i Paesi del mondo, non possono essere dettate da uno singolo, ha dichiarato il portavoce ufficiale del ministero degli Esteri cinese Hong Lei, commentando la tesi del presidente degli Stati Uniti Barack Obama.
In precedenza Obama aveva pubblicato un articolo sul "Washington Post" in cui aveva sostenuto che l'accordo sul Partenariato Trans-Pacifico (TPP) avrebbe permesso agli Stati Uniti di determinare le regole del commercio mondiale a cui devono attenersi tutti gli altri Paesi. Obama ha scritto teestuale: "gli Stati Uniti devono scrivere le regole del commercio, non Paesi come la Cina."
"Gli Stati Uniti sono molto ambiziosi facendo tali dichiarazioni, ma temo che non tengano conto delle prospettive di lungo termine," — ha rilevato Hong Lei.
Ha aggiunto che la Cina è aperta al dialogo sul TPP e si basa sul fatto che questo accordo possa coesistere e cooperare proficuamente col partenariato economico globale regionale (che Obama ha criticato nel suo articolo) nel processo di creazione di una zona di libero scambio nella regione Asia-Pacifico.
Il presidente degli Stati Uniti aveva annunciato l'intesa sull'accordo TPP nell'ottobre 2015. Interessa 12 Paesi della regione Asia-Pacifico, con una popolazione totale di circa un miliardo di persone.
Lo scorso febbraio i ministri del Commercio di 12 Paesi hanno firmato l'accordo sul TPP, in base a cui verrà creata una zona di libero scambio nella regione Asia-Pacifico.
 
(Tratto da: CLICCA QUI)
 

LA MISSIONE RUSSA IN SIRIA E LA CRISI UCRAINA

MARZO 20, 2016
Dmitrij Sedov Strategic Culture Foundation 18/03/2016
 
Il buon esito della missione militare russa in Siria ha causato, oltre a una straordinaria quantità di commenti positivi, alcune speculazioni sulla possibile esistenza di un accordo tra Russia e Stati Uniti, probabilmente qualcosa del genere: ritiro dalla Siria e imposizione a Kiev dell’accordo Minsk II. Sembrerebbe che l’esistenza di tale disposizione sia possibile.
Tuttavia, non è affatto così.
Ed ecco perché: agli occhi degli interessati l’attuazione dell’accordo Minsk II da parte di Kiev cesserebbe di svolgere un ruolo fondamentale.
Il regime di Kiev sta crollando e neanche Minsk II lo salverà.
Oggi la preoccupazione principale dei protettori esteri di Kiev è trovare i modi per preservare il regime anti-russo in Ucraina.
E’ da tale punto di vista va considerato il ritorno delle Forze di Difesa Aerospaziale russe in Patria.
Il riuscito test nei combattimenti dei militari russi significa portare un nuovo dato nel gioco politico internazionale.
E Vladimir Putin l’ha introdotto tenendo conto dell’analisi di breve e medio termine degli sviluppi sulla scena globale.
Prima di tutto, l’arrivo del “nuovo dato” è legato alla crisi ucraina.
Che tipo di rapporti di forza in questa crisi s’erano visti fino ad oggi?
Le azioni del regime Poroshenko e dei suoi burattinai statunitensi potrebbero essere spiegate interamente citando Carl von Clausewitz, “la guerra è la continuazione della politica con altri mezzi”. Nelle loro menti, una nuova guerra è l’unico modo per salvare il regime.
Con l’inizio della fase acuta della crisi socio-economica in Ucraina, le autorità non avrebbero altra scelta che entrare in guerra con il Donbas, chiedendo la coscrizione obbligatoria totale e l’instaurazione dello stato di polizia.
L’obiettivo di ciò, però, non è sconfiggere le repubbliche ribelli.
Le nuove ostilità verrebbero avviate per scopi diversi, cioè accusare la Russia di aggressione e sollevare la questione d’inviare i “caschi blu” nel Paese.
La logica di tale l’idea è che l’accordo di Minsk II sarà gettato nella pattumiera, e quindi sarà necessario un nuovo approccio per la soluzione della crisi.
Il nucleo di tale “nuovo approccio” è l’internazionalizzazione del conflitto che, secondo gli strateghi di Washington, dovrebbe finalmente eliminare l’influenza russa in Ucraina.
Naturalmente, nella NATO gli accordi sull’“internazionalizzazione” saranno raggiunti senza una risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e senza l’approvazione russa, similmente al caso dei bombardamenti della Jugoslavia.
I partner possono essere in disaccordo, ma ricordando le competenze statunitensi sul “braccio di ferro”, gli Stati Uniti inevitabilmente raggiungeranno il loro obiettivo.
Inoltre, i calcoli si basano sul fatto che l’immagine russa è già tanto “demonizzata” che alcun argomento particolare seguirà e le “forze di pace” entrerebbero in Ucraina “su richiesta del governo legittimo”.
Dopo di che, le Repubbliche Popolari di Donetsk e Lugansk potrebbero essere attaccate, la dittatura militar-fascista insediata e il regime esistente a Kiev permanenrre.
Non ci sono altre opzioni per Kiev e Washington.
O finire di sostenere il regime o avviare una provocazione militare, con la prima opzione che porta a conseguenze incerte per i responsabili della crisi.
E a giudicare dai preparativi militari di Kiev, fino ad oggi la seconda opzione è stata presa seriamente in considerazione.
È significativo che tutti parlino di guerra con la Russia, non col Donbas.
Le richieste per riprendersi la Crimea con la forza si sentono.
Il tutto può sembrare un mucchio di sciocchezze militariste, ma Pentagono e NATO favoriscono sempre la guerra, che gli porta soldi.
Tutto il resto sono “effetti e danni collaterali”.
Ma, ripetiamo, sembrava così prima che Vladimir Putin presentasse la sua “nuova carta” nel gioco.
Dopo di che, le cose sono cambiate drasticamente.
Mosca sa che, anche se la Russia avesse un volto angelico verrebbe sempre demonizzata.
All’improvviso, la Russia affronta il compito d’impedire lo scenario bellico occidentale in Ucraina.
Ed è possibile solo impedendo all’esercito ucraino di passare dall’offensiva a una vasta operazione sul fronte.
I piloti russi dall’esperienza siriana possono agire nel più breve tempo possibile.
La loro esperienza su attacchi mirati, ricognizione e attacchi chirurgici è inestimabile.
cdmucwmxeaadvuxLa “Grande Guerra” farebbe crollare il regime.
Il diritto internazionale supporterebbe tale azione?
La risposta è chiara se si considerano le seguenti circostanze:
– Il 16 marzo, la Repubblica Popolare di Donetsk iniziava a rilasciare passaporti ai propri cittadini,
– Un attacco alla Crimea sarà considerato aggressione militare non provocata e necessitante una risposta adeguata,
– L’aggressione al Donbas richiederebbe un’operazione di mantenimento della pace di emergenza.
Dopo che le Forze Aerospaziale russe avranno adempiuto al compito di fermare l’aggressione al Donbas, gli ulteriori sviluppi varierebbero.
In particolare, vi è la possibilità di un’offensiva strategica del Donbas su Kiev, comportando l’ascesa al potere di nuove forze politiche pronte a cooperare con Mosca.
Altri scenari sono possibili, ma alcuno a vantaggio di Kiev.
La Russia, naturalmente, sarà dichiarata ancora come aggressore, ma Mosca conosce bene il vero valore dell’informazione oggi. Garantire la sicurezza del Paese è molto più importante.
In breve, le Forze Aerospaziali russe dall’esperienza siriana sono il dato che cambia di molto i rapporti di forza nella crisi ucraina.
Le menti dietro la crisi dovranno pensarci due volte prima d’istigare un nuovo bagno di sangue. Possiamo solo sperare che ci pensino bene.La ripubblicazione è gradita un riferimento alla rivista on-line della Strategic Culture Foundation.

Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora

(Tratto da: CICCA QUI)

FRANCIA GERMANIA AUSTRIA BELGIO DANIMARCA E SVEZIA … UN MURO CONTRO L’ITALIA

ar_image_4829_lFRANCIA GERMANIA AUSTRIA BELGIO DANIMARCA SVEZIA ALZANO MURI ALLE LORO FRONTIERE CONTRO L'ARRIVO DI MIGRANTI DALL'ITALIA
domenica 1 maggio 2016
BERLINO
Austria e Germania confermano l'asse sulla questione dei controlli delle frontiere e orchestrano una 'iniziativa a Sei Paesi' per ottenere da Bruxelles l'estensione della "clausola straordinaria" in vigore per ora fino al 13 maggio.
Gli Stati membri devono "poter continuare a realizzare, in funzione della situazione e in modo flessibile, controlli alle loro frontiere interne", ha dichiarato oggi il ministro dell'Interno tedesco Thomas de Maizière, in una dichiarazione rilanciata anche da France Presse.
Secondo il suo portavoce, il responsabile dell'Interno intende partecipare "a una iniziativa comune con altri Stati membri" affinchè la Commissione europea dia il via libera a una proroga di almeno sei mesi dei controlli autorizzati l'estate scorsa sulla scia dell'emergenza migratoria.
Ora la rotta balcanica, quella che ha portato decine di migliaia di profughi in Germania via Austria e Paesi dell'ex Jugoslavia, è stata chiusa, ma Vienna si dice allarmata per un possibile aumento di arrivi dall'Italia, da cui la costruzione di barriere in Austria di controllo al Brennero.
E de Maizière ha confermato, senza citare direttamente l'Italia, che la richiesta di estensione dei controlli è motivata proprio con "l'evoluzione della situazione a livello di frontiere esterne dell'Ue". Perchè, ha detto il ministro tedesco, "anche se la situazione lungo la rotta dei Balcani per il momento è calma, osserviamo con inquietudine" altri sviluppi.
"Confermo – ha concluso – che stiamo discutendo con la Commissione europea e i nostri partner europei a tale riguardo".
In mattinata, ieri, era stata Vienna a rivelare l'avvio di un confronto con l'Ue sull'argomento.
Poi le indiscrezioni sull'iniziativa a Sei.
In pratica, Austria, Germania, Francia, Belgio, Danimarca e Svezia hanno deciso di chiedere a Bruxelles di prolungare per altri sei mesi – portandoli quindi a un anno – i controlli alle loro frontiere dal 13 maggio, termine per ora previsto dalla clausola speciale degli accordi di Schengen che permette l'introduzione di controlli provvisori in caso di particolare emergenza.
I sei Stati membri invieranno domani, lunedì, una richiesta, sulla base di una perdurante emergenza in termini migratori.
"Chiediamo che facciate una proposta per permettere agli Stati membri che reputano necessaria questa proroga di estenderla oltre il 13 maggio", scrivono i sei Paesi membri Ue e membri dello spazio di libera circolazione Schengen, secondo le indiscrezioni del quotidiano tedesco Die Welt.
La Commissione europea, che per ora non si è espressa sulla questione, deve, il 12 maggio, fare il bilancio riguardo la Grecia in materia di protezione delle frontiere esterne dell'Ue. In caso di bilancio negativo, l'esecutivo europeo potrebbe effettivamente autorizzare una estensione dei controlli alle frontiere.
Resta il fatto che queste sei nazioni, che formano tutta l'Europa continentale, hanno deciso di innalzare un muro di controlli severissimi a tutte le frontiere con l'Italia, considerata in tutta evidenza una nazione appestata.
Il governo Renzi con la sua politica dell'immigrazione di massa senza freni dall'Africa è riuscito a isolare l'Italia e distruggere il fondamento della Ue, la libera circolazione.
Bravo.
Redazione Milano
 
(Tratto da: CLICCA QUI)
 

L’AUSTRIA E LA NUOVA SEVERA ”LEGGE MIGRANTI”.

ar_image_4830_lL'AUSTRIA HA VARATO UNA NUOVA SEVERA ''LEGGE MIGRANTI'' CHE ALZA UNA BARRIERA INVALICABILE CONTRO L'INVASIONE DALL'ITALIA
lunedì 2 maggio 2016
LONDRA – Sono passati pochi giorni da quando il candidato del Freedom Party Norbert Hofer e' arrivato primo al primo turno delle elezioni presidenziali e sembra che la sua vittoria stia gia' influenzando la politica austriaca.
Infatti pochi giorni fa il parlamento austriaco ha approvato una legge che dà al governo il potere di dichiarare lo stato di emergenza qualora il numero di rifugiati diventasse una minaccia all'interesse nazionale.
Questa legge, approvata con una maggioranza di 98 su 167 deputati permette al governo austriaco di dichiarare lo stato di emergenza qualora il numero dei richiedenti asilo aumentasse improvvisamente e tale stato durerebbe sei mesi e potrebbe essere estero tre volte per un massimo di 18 mesi.
Questa legge inoltre consente alla polizia di frontiera di bloccare l'ingresso di tutti gli immigrati ad eccezione di coloro che hanno già parenti in Austria o rischiano la vita nei paesi di transito, ed evidentemente arrivando dall'Italia questa condizione decade, nonche' ai minori non accompagnati e alle donne in stato interessante.
I richiedenti asilo dovranno fare richiesta in appositi centri che verranno costruiti ai confini, nel caso anche al Brennero, e non potranno entrare liberamente in territorio austriaco. Coloro – precisa la legge – che hanno gia' visto riconosciuto il loro status di rifugiati da un'altra nazione della Ue potranno rimanere in Austria per un numero di anni il cui limite verra' abbassato, e comunque il loro stato non dà loro diritto a ricevere assistenza economica o di altro genere da parte dello stato austriaco.
Queste misure draconiane si aggiungono alle decisioni prese di recente di costruire barriere ai confini al fine di bloccare l'afflusso di immigrati e dimostrano che l'Austria non ha alcun interesse ad essere invasa.
Certo le elezioni del 24 Aprile hanno influito su queste decisioni ma e' probabile che i legislatori austriaci siano spaventati dalla decisione del governo italiano di far entrare chiunque senza tenere conto delle conseguenze negative di tale invasione.
Questa notizia ha avuto una discreta copertura da parte della stampa britannica ma e' stata censurata in Italia perche' evidentemente non conviene far conoscere agli italiani la verita'. Va poi aggiunto che l'Austria non è la sola ad opporsi alle "frontiere spalancate": altre cinque nazioni oltre l'Austria, e cioè la Germania, la Francia, il Belgio (dove ha sede il quartier generale della Ue) la Svezia e la Danimarca si sono unite nel chiedere – nel senso di comunicare, perchè la Commissione Ue non si può opporre – la continuazione per altri sei mesi del blocco della libera circolazione, sospendendo quindi il Trattato di Schengen per un anno di fila. 
Le conseguenze della nuova legge austriaca sui "migranti" e del blocco delle frontiere ai "migranti" ormai in tutta l'Europa continentale producono – assieme – il totale isolamento in Italia di chiunque arrivi dall'Africa, dato che di profughi sui barconi dalla Libia non ce ne sono. Neppure Uno.
Un aspetto – infatti – di questa invasione dalle coste libiche verso l'Italia che nessun mezzo d'informazione italiano ha voluto mettere in luce è che di libici – che avrebbero davvero un motivo per fuggire chiedendo giustamente lo status di profughi – non ce ne sono, sui barconi. E così pure di veri profughi in fuga dal Medio Oriente.
 
GIUSEPPE DE SANTIS – Londra.
 
(Tratto da: CLICCA QUI)
 
 

OLANDA RIVELA I TESTI SEGRETI DEL TTIP

ChcQzPOWMAER_voGreenpeace Olanda pubblica oggi su www.ttip-leaks.org parte dei testi negoziali del TTIP per garantire la necessaria trasparenza e promuovere un dibattito informato su un trattato che interessa quasi un miliardo di persone, nell’Unione Europea e negli USA.
È la prima volta che i cittadini europei possono confrontare le posizioni negoziali dell’UE e degli USA.
Dal punto di vista della protezione dell’ambiente e dei consumatori, quattro gli aspetti seriamente preoccupanti:
 
Tutele ambientali acquisite da tempo sembra siano sparite
Nessuno dei capitoli che abbiamo visto fa alcun riferimento alla regola delle Eccezioni Generali (General Exceptions).
Questa regola, stabilita quasi 70 anni fa, compresa negli accordi GATT (General Agreement on Tariffs and Trade) della World Trade Organisation (WTO – in italiano anche Organizzazione Mondiale per il Commercio, OMC) permette agli stati di regolare il commercio “per proteggere la vita o la salute umana, animale o delle piante” o per “la conservazione delle risorse naturali esauribili”.
L’omissione di questa regola suggerisce che entrambe le parti stiano creando un regime che antepone il profitto alla vita e alla salute umana, degli animali e delle piante.
 
La protezione del clima sarà più difficile con il TTIP
Gli Accordi sul Clima di Parigi chiariscono un punto: dobbiamo mantenere l’aumento delle temperature sotto 1,5 gradi centigradi per evitare una crisi climatica che colpirà milioni di persone in tutto il mondo.
Il commercio non dovrebbe essere escluso dalle azioni sul clima. Ma non c’è alcun riferimento alla protezione del clima nei testi ottenuti.
 
La fine del principio di precauzione
Il principio di precauzione, inglobato nel Trattato UE, non è menzionato nei capitoli sulla “Cooperazione Regolatoria”, né in nessuno degli altri 12 capitoli ottenuti.
D’altra parte, la richiesta USA per un approccio “basato sui rischi” che si propone di gestire le sostanze pericolose piuttosto che evitarle, è evidente in vari capitoli.
Questo approccio mina le capacità del legislatore di definire misure preventive, per esempio rispetto a sostanze controverse come le sostanze chimiche note quali interferenti endocrine (c.d. hormone disruptors).
 
Porte aperte all’ingerenza dell’industria e delle multinazionali
Mentre le proposte contenute nei documenti pubblicati minacciano la protezione dell’ambiente e dei consumatori, il grande business ha quello che vuole.
Le grandi aziende ottengono garanzie sulla possibilità di partecipare ai processi decisionali, fin dalle prime fasi.
 
I documenti mostrano chiaramente che mentre la società civile ha avuto ben poco accesso ai negoziati, l’industria ha avuto invece una voce privilegiata su decisioni importanti.
Il rapporto pubblico reso noto di recente dall’UE ha solo un piccolo riferimento al contributo delle imprese, mentre i documenti citano ripetutamente il bisogno di ulteriori consultazioni con le aziende e menzionano in modo esplicito come siano stati raccolti i pareri delle medesime.
I documenti pubblicati da Greenpeace Olanda constano di 248 pagine in un linguaggio legale tecnicamente complesso: 13 capitoli di “testo consolidato” del TTIP più una nota interna dell’UE sullo stato del negoziato (Tactical State of Play of TTIP Negotiations – March 2016).
Greenpeace Olanda ha lavorato assieme al rinomato network di ricerca tedesco di NDR, WDR and Süddeutscher Zeitung.
Fino ad ora i rappresentanti eletti avevano potuto vedere parte di questi documenti in stanze di sicurezza, con guardie, senza consulenti esperti e senza poterne discutere con nessuno.
Con questa pubblicazione, milioni di cittadini hanno la possibilità di verificare l’operato dei propri governi e discuterne con i loro rappresentanti.
Chi ha cura delle questioni ambientali, del benessere degli animali, dei diritti dei lavoratori o della privacy su internet dovrebbe essere preoccupato per quel che c’è in questi documenti.
Il TTIP, si svela per ciò che davvero è: un grande trasferimento di poteri democratici dai cittadini al grande business.
 
(Tratto da: CLICCA QUI)

IL MLNV E’ CON L’AUSTRIA … NON CON L’ITALIA.

AUSTRIA - BANDIERALa nostra posizione è di totale sostegno all'Austria che dimostra ogni giorno di più di essere un Paese degno di essere costituito come Nazione e di avere a cuore, prima di tutto, i naturali e legittimi interessi del proprio Popolo.
Nell'ambito dell'attuazione del programma di ripristino della sovranità della Nazione il Governo Veneto Provvisorio è al lavoro per disporre appena possibile il reclutamento di un contingente iniziale di uomini e donne Venete nell'ambito della Polisia Nasionale.
Subito deve essere ripristinato il servizio di polizia di frontiera con capillari controlli ai valichi terrestri, agli scali marittimi, lacustri, fluviali e aereoportuali e su tutti i tratti di confine.
Questa è solo la prima di una serie di fasi da attuare tramite il protocollo di sicurezza nazionale predisposto dal Dipartimento dell'Interno e la messa in sicurezza del territorio della Serenissima Repubblica Veneta.
WSM
Venetia, 28 aprile 2016
Sergio Bortotto, Presidente del MLNV e del Governo Veneto Provvisorio
 

SCACCO MATTO ALLA NATO: ASSE TRA MOSCA E AUSTRIA.

1459945151-angelobung-garde-22.8.2012-11"Mosca è molto più vicina a Vienna delle altre grandi potenze del mondo"
Le forze armate austriache sono pronte a cooperare militarmente con la Russia, nonostante gli avvertimenti delle altre potenze mondiali”.
E’ quanto ha dichiarato il capo di Stato Maggiore dell’Austria, il generale Othmar Commenda, a margine di una riunione a Mosca con il corrispettivo russo e vice ministro della Difesa, Valery Gerasimov.
"Austria e Russia hanno una lunga storia di relazioni reciproche. Purtroppo, a causa degli sviluppi in Europa negli ultimi anni, non abbiamo avuto alcuna possibilità di invitare i nostri amici russi: di questo ce ne scusiamo”.
Particolare un passaggio di Commenda.
“Non ho intenzione di seguire i diktat di nessun paese ne di obbedire agli ordini di nessuno. Io non devo in alcun modo comunicare i miei spostamenti, chi incontro e perché. Solo grazie allo sforzo congiunto i paesi possono risolvere i problemi globali. La Russia è molto più vicina all’Austria delle altre grandi potenze del mondo. Siamo pronti, in base alle nostre possibilità, a lavorare insieme ovunque sia possibile e ragionevole".
Tratto da: (CLICCA QUI)

L’AUSTRIA BLINDA 12 VALICHI LUNGO L’INTERO FRONTE MERIDIONALE

AUSTRIAQuesta volta non sono soltanto voci o illazioni, questa volta la notizia è ufficiale: l’Austria mette nel cassetto il trattato di Schengen e ripristina i controlli ai valichi di frontiera lungo tutto il suo fronte meridionale, dal Burgenland al Tirolo occidentale.
L’annuncio è stato dato ieri pomeriggio dalla ministra degli Interni Johanna Mikl-Leitner e dal suo collega della Difesa Hans Peter Doskozil, nel corso di un’ispezione effettuata insieme al valico di Spielfeld, tra la Stiria e la Slovenia, che nei mesi scorsi era stato (e lo sarà anche in futuro) la principale porta d’ingresso dei profughi in Austria.
Nelle prossime settimane la polizia tornerà a presidiare dodici valichi di frontiera, tra cui anche quello di Tarvisio.
Chi vorrà andare in Carinzia, in auto o in treno, dovrà prepararsi a esibire il passaporto o la carta di identità, come ai vecchi tempi, e dovrà rassegnarsi alle code, a cui ormai si era disabituato. Andare in Austria per turismo o per lavoro richiederà più tempo, perché nel programmare il viaggio si dovrà mettere in conto anche l’incognita delle attese in prossimità della frontiera.
Ne risentirà molto soprattutto il traffico delle merci, perché tempi più lunghi significano costi maggiori, ritardi nelle consegne, necessità per le aziende di aumentare lo stoccaggio nei magazzini.
La Wirtschaftskammer (la Camera dell’economia di Vienna) ha stimato un maggior onere annuo di due miliardi di euro.
Il calcolo si limita alle sole aziende austriache, ma è evidente che ne saranno colpite anche quelle italiane.
La mappa dei nuovi varchi presidiati dalla polizia si estende lungo tutto il confine sud dell’Austria: sono quelli di Nickelsdorf e di Heiligenkreuz al confine con l’Ungheria (dove, peraltro, non c’è più alcun passaggio di profughi, da quando lo scorso anno il governo di Budapest decise di sigillare a sua volta la frontiera con la Serbia); in Stiria troviamo, oltre al valico principale di Spielfeld, quelli meno frequentati di Bad Radkersburg a est e di Langegg a ovest; al confine tra Carinzia e Slovenia i valichi presi in considerazione sono quelli di Lavamünd, di Bleiburg e delle Caravanche (il più importante in questa zona, per la presenza del tunnel autostradale).
Sul fronte italiano, oltre al valico di Tarvisio (che sul versante austriaco si chiama Thörl-Maglern, dal nome della località a ridosso del confine), i controlli saranno ripristinati a Sillian (lungo la direttrice tra Lienz, nel Tirolo orientale, e San Candido, in val Pusteria), al passo del Brennero (sia sulla strada statale che sull’autostrada) e al passo Resia.
Non si sa ancora quando le misure annunciate ieri diventeranno operative, ma si presume che l’allestimento delle strutture necessarie sarà avviato immediatamente.
“Se saranno necessarie nuove recinzioni – ha dichiarato la ministra Mikl-Leitner, quasi a voler ribadire la fermezza dei suoi propositi – saranno costruite nuove recinzioni”.
L’obiettivo è di impedire che il confine sia attraversato da una marea incontrollata di migranti.
A questo scopo la ministra ha indicato quattro linee di azione: la vigilanza classica nelle aree confinarie, il controllo dei veicoli e dei passeggeri (anche sui treni) ai valichi, il rapido impiego di forze di polizia per impedire “anche con l’uso della forza” il passaggio di persone o gruppi, infine controlli “adeguati alle circostanze” nell’hinterland.
La reintroduzione dei controlli alle frontiere non implica automaticamente che i profughi in arrivo lungo la rotta balcanica saranno respinti, come ha fatto l’Ungheria.
L’obiettivo è di limitarne il numero entro il tetto massimo indicato nei giorni scorsi per il 2016 di 35.700 unità (lo scorso anno i profughi entrati in Austria erano stati oltre 700.000, di cui 90.000 avevano chiesto asilo).
Si era parlato anche di un tetto giornaliero da non superare, che per il momento però non è stato ancora stabilito, anche perché attualmente il flusso è piuttosto contenuto: intorno alle 1.200 persone al giorno a Spielfeld e circa altrettante al valico delle Caravanche.
Il piano della Mikl-Leitner sarà messo alla prova quando, com’è probabile, aumenterà il numero dei profughi che chiederanno di entrare in Austria e sarà necessario ricorrere alla forza per fermarli. Chi verrà respinto tenterà di passare ugualmente, aggirando la recinzione.
Si renderà necessaria, di conseguenza, una capillare e onerosa vigilanza dell’intera frontiera.
Già ieri è stato deciso il raddoppio da 200 a 400 del numero dei poliziotti in servizio a Spielfeld.
Un analogo rafforzamento avverrà anche per gli uomini dell’esercito, che passeranno dagli attuali 250 a 400, mentre altri 200 si terranno pronti a intervenire in caso di necessità.
Complessivamente il contingente militare impegnato nella sorveglianza ai confini sarà portato da 1.000 a 1.600 uomini e questa volta, date le scarse risorse delle forze armate austriache, saranno impiegati anche soldati di leva, a cui sarà proposto di prolungare volontariamente la durata della ferma.
IN APERTURA, la mappa dell'Austria diffusa ieri dall'agenzia di stampa Apa, con l'indicazione dei valichi di confine sul fronte meridionale, dove saranno ripristinati i controlli di polizia, come prima che entrasse in vigore il trattato di Schengen.
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PADANI DEL DONECK ??? (di Matteo Montanari)

Com'é consuetudine nella politica italiana, si muove l'interesse (possibilmente economico…) prima di ogni cosa.
L'incontro avvenuto tra i "padani" e i rappresentanti del DNR non sono del tutto cristallini… la fame della bestia leghista non si limita a poltrone in Regione ..e non, ma va ben oltre l'immaginabile.
Da quando il Movimento di Liberazione Nazionale del Popolo Veneto ha intrapreso la via diplomatica le esperienze d'imitazione sono state molteplici ma questa nuova linea della politica italiana rasenta il ridicolo; parlare di autodeterminazione dei popoli…..proprio un ente italiano??
Proprio la rappresentazione del colonialismo romano sul territorio veneto si esprime a favore di tale diritto?
Perché non lo dimostra attuando le dovute procedure che passano per mezzo degli MLN e la finiscono con i voti di scambio, careghe e premi vari?
Non sarà che tali attenzioni alla fine abbiano un mero scopo economico legato solo alla ricostruzione post-bellica?
Inoltre, di che guerra civile si parla?
Là vediamo solo Guerra e basta.
Un esercito regolare che spara ad un gruppo di persone innocenti non è guerra civile ma vile occupazione militare, la stessa che da 150 anni si protrae sul nostro territorio.
Non sappiamo che proposte sono emerse in Doneck ma siamo certi che dietro a tutto questo non c'e nulla di positivo, soprattutto perché trovate sempre un modo per fare pubblicitá ingannevole con le vostre "gesta" sconnesse e prive di senso logico oltre che giuridico.
Non si capisce il nesso tra il leader del Doneck, che durante un intervista sul Telegraph abbraccia l'ideologia indipendentista Texana "senza guerra ne spargimenti di sangue", con un partito italiano che ha inneggiato lo scontro armato in passato , con le fantasie di un urlatore che ha spinto le sue "guardie padane" ad invadere Roma con i fucili.
Anche in quel frangente il ministero dell'interno straniero italiano non ha espresso nessun parere ma ha trovato subito motivo d'attaccare questo Movimento di Liberazione Nazionale nell'attimo in cui si é formato ufficialmente senza slogan violenti e guerrafondai.
I media non danno spazio a tali attrocitá ma voi come intendete dare voce a queste violenze?
Questo é stato uno dei motivi per cui il ministro degli esteri del Doneck ,con una nota diplomatica, ha richiesto il nostro aiuto nel combattere il silenzio assordante dei media occidentali, che sorvolano sulle reali motivazioni scatenanti e i metodi utilizzati in questo conflitto.
 
2015.08.25 - DONECK - MINISTERO ESTERI - NOTA DIPLOMATICA A GVP2015.08.25 - DONECK - MINISTERO ESTERI - NOTA DIPLOMATICA A GVP - TRADUZIONE UFFICIOSA
 

ASSAD: “L’EUROPA HA VENDUTO I SUOI PRINCIPI IN CAMBIO DI PETRODOLLARI”

Assad-Europa-ha-venduto-i-suoi-principiParole durissime di Assad verso l’occidente in un’intervista rilasciata al giornale austriaco Die Presse:”L’Europa ha venduto i suoi principi  in cambio dei petrodollari”.
Il presidente siriano considera essenziale l’impegno da parte dell’Europa nel conflitto che sta dissanguando il paese per evitare l’ulteriore diffusione del terrorismo proveniente da paesi che ancora lo finanziano.
In un’intervista rilasciata al giornale austriaco Die Presse, il presidente siriano Bashar al-Assad ha espresso il suo disaccordo con la posizione dell’Occidente in materia di lotta al terrorismo, che ha descritto come “inutile e irrealistica”.
Inoltre, ha assicurato che la lotta non dovrebbe essere diretta soltanto contro l’Isis, ma dovrebbe colpire altri gruppi di questo tipo.
«Abbiamo combattuto il terrorismo sin dall’inizio.
Prima che ci fosse il Fronte Al Nusra e molti altri terroristi, che l’Occidente non ha combattuto.
Voi sapete che la lotta al terrorismo deve essere ferma e permanente fin dall’inizio.
È il solo modo per poter essere alleati.
La politica occidentale nei confronti di questo problema non è oggettiva, non è realistico e al momento non è molto produttivo, al contrario, è controproducente», ha spiegato Assad.
Il presidente ha anche respinto l’ipotesi di chi sostiene che il suo paese esporta il terrorismo e ha replicato che paesi come la Turchia, Qatar, Arabia Saudita anche l’Europa, sono diventati un covo di terroristi: «Gli europei hanno venduto i loro principi in cambio dei petrodollari consentendo la diffusione delle ideologie wahhabite e ai cittadini stranieri di entrare in Siria per poi tornare a casa loro e commettere atti come quelli di Parigi», ha aggiunto.
Inoltre, il leader siriano ritiene che se i paesi coinvolti si impegnassero a intraprendere azioni concrete, la crisi potrebbe essere risolta entro un anno, dal momento che, secondo lui, la situazione continuerà a peggiorare se si continua a sostenere i terroristi. «I paesi coinvolti considerano una decisione politica, solo quando si tratta di rovesciare il governo e il suo presidente, di conseguenza, tutto rimarrà lo stesso», ha concluso.
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IN SIRIA I CIVILI SONO USATI COME SCUDI UMANI DAI “RIBELLI MODERATI” CONTRO ASSAD.

Usati-come-scudi-umani-dai-ribelli-di-AssadSiria:Civili usati come scudi umani in gabbie dagli “amici di Obama”.
I ribelli”moderati” contro Assad.
VIDEO SHOCK
Ciò che mostra questo video è agghiacciante.
Interviste a Civili usati come scudi umani dai ribelli “moderati” anti Assad sostenuti da Obama.
Meditate gente…meditate…
Il video che vi mostriamo di seguito non è stato girato  nei territori dell’isis, ma in una zona controllata dai cosiddetti ribelli “moderati” alleati di Obama e della UE.
Le immagini parlano da sole.

 
Immagini sconvolgenti che ci lasciano senza parole: prigionieri civili catturati dai gruppi ribelli usati come scudi umani, “parcheggiati” in gabbie di ferro attorno alle piazzeforti e ai punti strategici dei comandi ribelli oppure utilizzati per coprire le riunioni dei capi terroristi in Siria, fatti sfilare per al Goutha, sobborgo a est di Damasco.
Alcune gabbie vengono addirittura piazzate sui tetti delle case obiettivo di bombardamenti.
«Magari adesso qualche gruppo che si batte per i diritti umani ci chiederà di rilasciarli».
Parla con sarcasmo uno dei ribelli siriani appartenenti al gruppo Esercito dell’islam, la milizia che riunisce 50 gruppi armati e migliaia di combattenti ed è finanziata anche dall’Arabia Saudita.
I terroristi hanno diffuso l’1 novembre un filmato nel quale vengono ripresi centinaia di civili chiusi in gabbie di ferro.

L’obiettivo è portarli nelle città controllate dai ribelli, e bombardate dal regime di Bashar al-Assad e dai russi, per usarli come scudi umani: «A Douma e Ghouta est la maggior parte dei civili era d’accordo. Questi cittadini sono alawiti e ufficiali dell’esercito. Li abbiamo messi nelle gabbie in modo tale che possano provare anche loro la nostra sofferenza ed essere come noi bombardati e uccisi dall’aviazione», spiega un ribelle nel filmato secondo la traduzione di Memri.
Tra i prigionieri ci sono anche donne e bambini: «Forse adesso qualche organizzazione che si batte per i diritti umani chiederà a noi di rilasciarli anche si sono macchiati di crimini contro l’umanità. Ma questi gruppi non hanno cercato di salvare noi a Ghouta est e Douma».
Nel video vengono anche intervistati alcuni prigionieri, che dalle loro gabbie chiedono al regime di non bombardare più le città perché altrimenti «anche noi moriremo con loro».
Un detenuto, riferendosi ai recenti bombardamenti ordinati dal presidente Vladimir Putin, intima la cessazione delle attività.

In parole povere questi civili possono finire sia sotto le bombe di Assad che sotto quelle russe, hanno la sfortuna di essere gli scudi umani dei terroristi, la sfortuna di essere oscurati dall’abominevole silenzio dei media internazionali….
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1797 METRI DI IGNORANZA O PROVOCAZIONE?

tricolore1797Leggo sul giornale di oggi che 1797 metri di tricolore verranno sventolati il 29 maggio 2016 nella città di Bassano del Grappa.
Il 2016 ricorre il 150° anniversario dell’annessione forzata del Veneto al Regno d’Italia, ma lamotivazione ufficiale è: commemorare i caduti nelcentesimo anniversario del secondo anno dellaprima guerra mondiale.
Suona alle orecchie come una filastrocca per insegnare i numeri ordinali.
Ma è la spiegazione del Sindaco.
Incredibili coincidenze!
Perché invece a me puzza un po’ quel numero preciso preciso (1797 metri…avete finito la stoffa bianca rossa verde?! 😀 ) e quel numero tondo (150, miiiiiii che coincidenza! 😮 ) e la mia domanda è: ma siete ignoranti o provocatori?
Se 1797 e 150 sono numeri che non vi dicono niente tranquilli, non vi preoccupate!
Siete parte della grandissima platea di persone che hanno studiato, diligentemente o meno, la storia sui libri di scuola italiani.
Certamente in quelle occasioni, ben pochi professori avranno messo l’accento sul fatto che nel 1797 la Repubblica veneta, che si era pubblicamente dichiarata neutrale (!!), veniva invasa da Napoleone e cessava di esistere per mano violenta di quest’ultimo.
Un po’ come la Polonia che venne contesa tra Germania e Russia e poi smembrata.
Insomma, accadesse oggi sarebbe roba da intervento NATO.
Invece oggi Napoleone è ancora portato in palmo di mano sui libri dei vostri bambini e citato come grande stratega.
Era solo un astuto e violento usurpatore.
manipolazione1866Per quanto riguarda il secondo numero, siamo invece nel 1866 anno in cui si svolse il referendum con le baionette, per chiedere ai veneti se volevano entrare in Italia.
Anche qui i maestri di scuola vi avranno fatto notare come“tutto si svolse con mirabile ordine e fra universali manifestazioni di gioia” (1)
Tralasciamo pure le modalità antidemocratiche con cui venne condotta la votazione, alla presenza di gendarmi armati, con la buca dei SI ben distinta dai NO (alla faccia del voto segreto!!) e una campagna colossale di manipolazione con cui cercavano di orientare il voto di quei poveri contadini.
E sorvoliamo sui risultati alquanto bizzarri (2): 641.758 Si e 69 no.
Anzi…641.000 si e 69 no.
Ops…aspetta…647.246 Si e 69 no… be’ insomma…abbiamo capito. 
69 no e “on stramaro” de SI, percentuali che neanche Hitler si sognava!
Ma possiamo, appunto, sorvolare su tutto ciò: perché la verità è che si votò il 21 e 22 ottobre, ma proprio due giorni prima il Veneto era già stato ceduto dai francesi ai Savoia in una stanzetta del’Hotel Europa a Venezia, come riporta ingenuamente la Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia stampata a Firenze il 19 ottobre del 1866.
Il referendum era quindi una bufala colossale, una presa in giro bella e buona dei veneti.
Persino di quelli che volevano dire sì, a dirla tutta!
Ricapitolando:
  • 1797 è l’anno in cui i Veneti persero la loro indipendenza
  • 2016 è invece il 150-mo anniversario del referendum burla, in cui i Veneti furono presi in giro
  • E il 29 maggio del 2016 a Bassano sventoleranno 1797 metri di tricolore, in spregio alla storia della nostra terra
Capite quindi che una figura istituzionale, che celebra una grande iniziativa come quella di cui sopra, non può non rispondere alla domanda:
Sindaco Poletto, ci fa o ci è? 
Ma noi aggiungiamo … TE SI PROPRIO TAJAN!
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SCOPA CHE SPAZZA VIAasino ignorante
 

IL SUICIDIO EUROPEO … ALTRI SEI MESI DI SANZIONI CONTRO LA RUSSIA.

PUTINGli ambasciatori dei Paesi membri dell’Unione europea, riuniti nel Coreper, hanno concordato un prolungamento di sei mesi delle sanzioni economiche contro la Russia, decidendo un’estensione delle misure già adottate nei settori dell’energia, bancario e della difesa.
Lo riferiscono fonti diplomatiche, aggiungendo che la decisione diventerà definitiva lunedì a mezzogiorno, a meno che qualche Stato membro cambi la sua posizione o sollevi obiezioni.
Proseguirà dunque, almeno fino a giugno, la politica di ostracismo dell'Ue nei confronti di Putin, che già tanti danni ha prodotto alle economie dei Paesi membri.
 

STORIA VENEZIANA: NON PIU’ SERENISSIMA, MA ORGOGLIOSAMENTE ITALIANA … E CHI LO DICE?

ISSARE IL GONFALONE 2di ETTORE BEGGIATO
E’ in corso nella prestigiosa sede dell’Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti di Venezia, a Palazzo Franchetti all’Accademia, una mostra che celebra  il secondo centenario dalla fondazione dell’Archivio di Stato di Venezia, istituito con il nome di Archivio Generale Veneto dall’imperatore d’Austria Francesco I con sovrano rescritto del 13 dicembre 1815.
Da allora, ininterrottamente, l’Archivio svolge la funzione di conservare il patrimonio documentario della Serenissima Repubblica Veneta, dei monasteri e dei conventi soppressi in età napoleonica, delle corporazioni d’arte e mestiere e delle scuole di devozione, cui si sono via via aggiunte le carte dei governi che si sono succeduti nel Veneto fino ad oggi. 
Nella sede originaria nell’ex convento francescano di Santa Maria dei Frari, scelto fin dall’origine proprio per le sue cospicue dimensioni – cui si sono in seguito affiancate le sedi sussidiarie della Giudecca e di Mestre – si snodano circa 70 chilometri di scaffali dove trovano posto più di 800 fondi archivistici, ancora in larga misura disposti secondo il progetto ideato dal primo direttore dell’Archivio, Giacomo Chiodo, inteso a riproporre la struttura statuale della Serenissima. 
Per celebrare questo anniversario l’Archivio ha organizzato una mostra documentaria in cui proporre al pubblico una significativa selezione del suo vastissimo e prezioso patrimonio. Attraverso documenti rappresentativi per la loro rilevanza, si ripercorrono  i filoni principali della millenaria storia veneziana, dalle origini fino alla prima guerra mondiale.
Inquadrati in una griglia tematica, vengono  ripercorsi  diacronicamente, per momenti emblematici, la struttura istituzionale dello Stato Veneto,  le relazioni diplomatiche con l’Oriente e l’Occidente, la gestione del territorio, le reti commerciali, il tessuto economico e produttivo, il mondo artistico, l’ambito religioso e assistenziale, le trasformazioni della città e i riflessi della politica nell’Otto e Novecento. 
Tutto bene, si potrebbe pensare leggendo la nota dell’Istituto e anche visitando la mostra dove si trovano splendidi documenti di grande interesse…Peccato che sull’ultima tavola illustrativa, posta quasi alla fine della mostra, si legga nelle ultime righe: “Fino a quando, dopo il 1866, la storia veneziana non sarà più -serenissima- ma orgogliosamente, definitivamente, italiana e cittadina.”
La storia veneziana non più Serenissima ma orgogliosamente e definitivamente italiana? Ma ci rendiamo conto? E questa è l’istituzione  che dovrebbe  tutelare e valorizzare l’archivio  della Repubblica Veneta?!? 
Non più Serenissima?
E perché  mai? 
E questi sono coloro che dovrebbero conservare un patrimonio di storia, di cultura e di civiltà che ci viene invidiato dal mondo intero???
Orgogliosamente e definitivamente italiana?
Sull’orgoglio italiano è meglio stendere un velo pietoso, sul definitivo  poi, cosa sono quasi centocinquant’anni di parentesi italiana nel Veneto di fronte a oltre tremila anni di storia veneta?
Una parentesi, appunto, una delle più negative parentesi nella nostra storia veneta… una parentesi che si è aperta nel 1866 con un vergognoso plebiscito-truffae che prima o poi è destinata a chiudersi…
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