e ancora le autorità d’occupazione straniere italiane vengono a pontificare in casa nostra:
In occasione dell’anniversario della tragedia, il presidente dello stato straniero occupante i nostri territori e cioè il presidente della Repubblica italiana, ha partecipato alla cerimonia di commemorazione del disastro che fece 1.910 vittime.
Il capo dello Stato straniero italiano ha parlato di “pesanti responsabilità umane” … ma va!
(TRATTO DA QUI)
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“Cassandra del Vajont”.
“Sciacalla”.
Così la definirono Giorgio Bocca e Indro Montanelli.
Ma Tina Merlin fu l’unica che ebbe il coraggio di denunciare fin da subito le responsabilità della SADE in quella che sarebbe poi stata una fra le più grandi catastrofi naturali causate dall’uomo…
(TRATTO DA QUI)
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così ce lo racconta vikpedia:
Il disastro del Vajont si verificò la sera del 9 ottobre 1963, nel neo-bacino idroelettrico artificiale del torrente Vajont nell’omonima valle (al confine tra Friuli-Venezia Giulia e Veneto), quando una frana precipitò dal soprastante pendio del Monte Toc nelle acque del bacino alpino realizzato con l’omonima diga; la conseguente tracimazione dell’acqua contenuta nell’invaso, con effetto di dilavamento delle sponde del lago, coinvolse prima Erto e Casso, paesi vicini alla riva del lago dopo la costruzione della diga, mentre il superamento della diga da parte dell’onda generata provocò l’inondazione e distruzione degli abitati del fondovalle veneto, tra
cui Longarone, e la morte di 1.910 persone, tra cui 487 minorenni[2].
Le cause della tragedia, dopo numerosi dibattiti, processi e opere di letteratura, furono ricondotte ai progettisti e dirigenti della SADE, ente gestore dell’opera fino alla nazionalizzazione, i quali occultarono la non idoneità dei versanti del bacino, a rischio idrogeologico. Dopo la costruzione della diga si scoprì infatti che i versanti avevano caratteristiche morfologiche (incoerenza e fragilità) tali da non renderli adatti ad essere lambiti da un serbatoio idroelettrico.
Nel corso degli anni l’ente gestore e i suoi dirigenti, pur essendo a conoscenza della pericolosità, anche se supposta inferiore a quella effettivamente rivelatasi, coprirono con dolo i dati a loro disposizione, con il beneplacito di vari enti a carattere locale e nazionale, dai piccoli comuni interessati fino al Ministero dei lavori pubblici…
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Alle 22:39 del 9 ottobre 1963, circa 270 milioni di m³ di roccia[2][3][4] (un volume più che doppio rispetto a quello dell’acqua contenuta nell’invaso) scivolarono, alla velocità di 30 m/s (110 km/h), nel bacino artificiale sottostante (che conteneva circa 115 milioni di m³ d’acqua al momento del disastro) creato dalla diga del Vajont, provocando un’onda di piena tricuspide che superò di 250 m in altezza il coronamento della diga e che in parte risalì il versante opposto distruggendo tutti gli abitati lungo le sponde del lago nel comune di Erto e Casso, in parte (circa 25-30 milioni di m³) scavalcò il manufatto (che rimase sostanzialmente intatto, pur avendo subito forze 20 volte superiori a quelle per cui era stato progettato, seppur privato della strada carrozzabile posta nella parte sommitale) e si riversò nella valle del Piave, distruggendo quasi completamente il paese di Longarone e i comuni limitrofi, e in parte ricadde sulla frana stessa (creando un laghetto).[4] Vi furono 1910 vittime di cui[5] 1 450 a Longarone, 109 a Codissago e Castellavazzo, 158 a Erto e Casso e 200 originarie di altri comuni[6].
Lungo le sponde del lago del Vajont vennero distrutti i borghi di Frasègn, Le Spesse, Il Cristo, Pineda, Ceva, Prada, Marzana, San Martino, e la parte bassa dell’abitato di Erto[7]. Nella valle del Piave vennero rasi al suolo i paesi di Longarone, Pirago, Faè, Villanova, Rivalta, e risultarono profondamente danneggiati gli abitati di Codissago, Castellavazzo, Fortogna, Dogna e Provagna.
Vi furono danni anche nei comuni di Soverzene, Ponte nelle Alpi, nella città di Belluno a Borgo Piave, nel comune di Quero Vas, e nella borgata di Caorera dove il Piave, ingrossato dall’onda, allagò il paese e raggiunse il presbiterio della chiesa.
(TRATTO DA QUI)