« Noi siamo oggetti da parte di Dio di un amore intramontabile.
Sappiamo: ha sempre gli occhi aperti su di noi, anche quando sembra ci sia notte.
È papà; più ancora è madre. »
(Papa Giovanni Paolo I durante l'Angelus del 10 settembre 1978)
Papa Giovanni Paolo I (in latino: Ioannes Paulus PP. I, nato Albino Luciani; Forno di Canale, 17 ottobre 1912 – Città del Vaticano, 28 settembre 1978) è stato il 263º vescovo di Roma e papa della Chiesa cattolica, finora l'ultimo di nazionalità italiana, 5º sovrano dello Stato della Città del Vaticano, accanto agli altri titoli connessi al suo ufficio.
Fu eletto il 26 agosto 1978 e il suo pontificato fu tra i più brevi nella storia della Chiesa cattolica: la sua morte avvenne dopo soli 33 giorni dalla sua elezione al soglio di Pietro.
È servo di Dio: nel 2003 è stata aperta la causa per la sua canonizzazione.
Viene ricordato con gli affettuosi appellativi di "papa del sorriso" e "sorriso di Dio".
A lui è stato dedicato un museo, situato nella canonica del suo paese natale.
Fu eletto il 26 agosto 1978 e il suo pontificato fu tra i più brevi nella storia della Chiesa cattolica: la sua morte avvenne dopo soli 33 giorni dalla sua elezione al soglio di Pietro.
È servo di Dio: nel 2003 è stata aperta la causa per la sua canonizzazione.
Viene ricordato con gli affettuosi appellativi di "papa del sorriso" e "sorriso di Dio".
A lui è stato dedicato un museo, situato nella canonica del suo paese natale.
« È stato ricordato dai giornali, anche troppo forse, che la mia famiglia era povera.
Posso confermarvi che durante l'anno dell'invasione ho patito veramente la fame, e anche dopo; almeno sarò capace di capire i problemi di chi ha fame! »
(Papa Giovanni Paolo I nell'udienza ai Bellunesi il 3 settembre 1978)
(Papa Giovanni Paolo I nell'udienza ai Bellunesi il 3 settembre 1978)
Nato da Giovanni Luciani e Bortola Tancon, ebbe tre fratelli: Tranquillo Federico (1915-1916), Edoardo (1917-2008) e Antonia, detta Nina (1920-2009).
Il padre, di idee socialiste, emigrò in seguito in Svizzera per lavoro.
Nell'ottobre del 1923 entrò nel seminario interdiocesano minore di Feltre e in seguito, nel 1928, nel seminario interdiocesano maggiore di Belluno.
Fu ordinato diacono il 2 febbraio 1935 e sacerdote il 7 luglio dello stesso anno nella chiesa rettoriale di San Pietro apostolo a Belluno (contigua al Seminario Gregoriano).
Venne subito nominato vicario cooperatore di Canale d'Agordo, ma già in dicembre venne trasferito ad Agordo, dove insegnò anche religione all'istituto minerario.
Presso il seminario gregoriano di Belluno fu insegnante (1937-1958) e vice-rettore (1937-1947).
Il 27 febbraio 1947 si laureò in sacra teologia alla Pontificia Università Gregoriana di Roma con una tesi su L'origine dell'anima umana secondo Antonio Rosmini: quella di Luciani e dei suoi relatori fu di certo una scelta audace, poiché si trattava di un autore con due libri messi all'Indice, all'epoca non ancora del tutto riabilitato dalla Chiesa.
In novembre fu nominato da monsignor Girolamo Bortignon procancelliere vescovile della diocesi di Belluno; il mese successivo venne nominato anche cameriere segreto soprannumerario e segretario del sinodo diocesano.
A queste nomine, il 2 febbraio 1948 si aggiunsero anche quelle di provicario generale della diocesi di Belluno e di direttore dell'ufficio catechistico diocesano.
Durante le elezioni politiche italiane post-belliche del 1948 si schierò apertamente con la Democrazia Cristiana e contro i partiti di sinistra, descrivendo le idee marxiste come un "male terribile", anche se ebbe sempre una pietà paterna per gli uomini dalle idee marxiste, "nostri fratelli erranti".
Nel 1954 divenne vicario generale della diocesi di Belluno; nel frattempo (1949) aveva pubblicato il volume Catechetica in briciole; del libro verranno pubblicate sei edizioni in Italia e una anche in Colombia.
Il 30 giugno 1956 fu nominato canonico della cattedrale di Belluno.
In questi anni gli fu erroneamente diagnosticata una tubercolosi incurabile e per questo fu costretto a lasciare la parrocchia e a recarsi in sanatorio a Sondalo, in Valtellina, dove i medici si accorsero dell'errore dei colleghi, diagnosticando e curando la vera malattia: una polmonite.
Luciani fu diverse volte proposto per la nomina a vescovo, ma venne respinto per due volte a causa delle sue condizioni di salute, della sua voce flebile, della sua bassa statura e del suo aspetto dimesso.
Dopo l'ascesa al soglio di Pietro di papa Giovanni XXIII, il 15 dicembre 1958 fu finalmente promosso vescovo di Vittorio Veneto.
A tal proposito si narra che papa Giovanni XXIII, respingendo le varie perplessità riguardo ai motivi per cui fino ad allora non fosse stato promosso, legate principalmente alle sue cagionevoli condizioni di salute, sentenziò bonariamente: « …vorrà dire che morirà Vescovo. »
L'ordinazione episcopale avvenne nella basilica di San Pietro in Vaticano il 27 dicembre.
Insieme a lui fu nominato vescovo anche monsignor Charles Msaklia, originario della Tanzania: i due rimarranno amici e sarà proprio grazie a questo prelato africano che Luciani inizierà a conoscere la realtà della Chiesa cattolica in Africa.
Il padre, di idee socialiste, emigrò in seguito in Svizzera per lavoro.
Nell'ottobre del 1923 entrò nel seminario interdiocesano minore di Feltre e in seguito, nel 1928, nel seminario interdiocesano maggiore di Belluno.
Fu ordinato diacono il 2 febbraio 1935 e sacerdote il 7 luglio dello stesso anno nella chiesa rettoriale di San Pietro apostolo a Belluno (contigua al Seminario Gregoriano).
Venne subito nominato vicario cooperatore di Canale d'Agordo, ma già in dicembre venne trasferito ad Agordo, dove insegnò anche religione all'istituto minerario.
Presso il seminario gregoriano di Belluno fu insegnante (1937-1958) e vice-rettore (1937-1947).
Il 27 febbraio 1947 si laureò in sacra teologia alla Pontificia Università Gregoriana di Roma con una tesi su L'origine dell'anima umana secondo Antonio Rosmini: quella di Luciani e dei suoi relatori fu di certo una scelta audace, poiché si trattava di un autore con due libri messi all'Indice, all'epoca non ancora del tutto riabilitato dalla Chiesa.
In novembre fu nominato da monsignor Girolamo Bortignon procancelliere vescovile della diocesi di Belluno; il mese successivo venne nominato anche cameriere segreto soprannumerario e segretario del sinodo diocesano.
A queste nomine, il 2 febbraio 1948 si aggiunsero anche quelle di provicario generale della diocesi di Belluno e di direttore dell'ufficio catechistico diocesano.
Durante le elezioni politiche italiane post-belliche del 1948 si schierò apertamente con la Democrazia Cristiana e contro i partiti di sinistra, descrivendo le idee marxiste come un "male terribile", anche se ebbe sempre una pietà paterna per gli uomini dalle idee marxiste, "nostri fratelli erranti".
Nel 1954 divenne vicario generale della diocesi di Belluno; nel frattempo (1949) aveva pubblicato il volume Catechetica in briciole; del libro verranno pubblicate sei edizioni in Italia e una anche in Colombia.
Il 30 giugno 1956 fu nominato canonico della cattedrale di Belluno.
In questi anni gli fu erroneamente diagnosticata una tubercolosi incurabile e per questo fu costretto a lasciare la parrocchia e a recarsi in sanatorio a Sondalo, in Valtellina, dove i medici si accorsero dell'errore dei colleghi, diagnosticando e curando la vera malattia: una polmonite.
Luciani fu diverse volte proposto per la nomina a vescovo, ma venne respinto per due volte a causa delle sue condizioni di salute, della sua voce flebile, della sua bassa statura e del suo aspetto dimesso.
Dopo l'ascesa al soglio di Pietro di papa Giovanni XXIII, il 15 dicembre 1958 fu finalmente promosso vescovo di Vittorio Veneto.
A tal proposito si narra che papa Giovanni XXIII, respingendo le varie perplessità riguardo ai motivi per cui fino ad allora non fosse stato promosso, legate principalmente alle sue cagionevoli condizioni di salute, sentenziò bonariamente: « …vorrà dire che morirà Vescovo. »
L'ordinazione episcopale avvenne nella basilica di San Pietro in Vaticano il 27 dicembre.
Insieme a lui fu nominato vescovo anche monsignor Charles Msaklia, originario della Tanzania: i due rimarranno amici e sarà proprio grazie a questo prelato africano che Luciani inizierà a conoscere la realtà della Chiesa cattolica in Africa.
Albino Luciani vescovo di Vittorio Veneto.
Luciani prese possesso della diocesi l'11 gennaio 1959.
Il "periodo vittoriese" sarà decisivo per la sua formazione.
Iniziò subito le visite pastorali nelle parrocchie.
Luciani, che mai in vita pensò alla carriera ecclesiastica, lasciò Belluno a malincuore, prendendo le redini di una diocesi con i bilanci in grave passivo: infatti, quelli erano gli anni in cui lo IOR, meglio conosciuto come Banca Vaticana, era entrato in crisi.
Luciani non nascose di sopportare a fatica la gestione economica della Chiesa, specie negli anni in cui lo IOR fu diretto dall'arcivescovo americano Paul Marcinkus, sostenendo che la Chiesa avrebbe dovuto avere una condotta economica il più trasparente possibile e coerente agli insegnamenti del Vangelo.
Negli anni di episcopato a Vittorio Veneto mostrò innanzitutto insuperabili doti di catechista, per la sua capacità di farsi comprendere da tutti, anche dai bambini e dalle persone di poca cultura, per la sua chiarezza nell'esporre, la sua capacità di sintesi e la sua tendenza ad evitare discorsi e letture difficili, nonostante la profonda cultura che aveva.
Lo stesso raccomandò sempre ai suoi sacerdoti.
Si dimostrò insofferente al dovere di risiedere nel Castello di San Martino, residenza storica dei vescovi vittoriesi, posta in posizione arroccata e distaccata rispetto all'abitato di Vittorio Veneto: avrebbe preferito una dimora più vicina alla sua gente.
Avvertì in anticipo i nuovi venti della "contestazione", ribadendo l'importanza dell'Azione Cattolica che cominciava a sentire il peso degli anni.
Ebbe grande attenzione per la formazione dei giovani e sollecitò la partecipazione dei laici alla vita attiva della Chiesa, all'epoca ancora piuttosto risicata.
La sua indole bonaria non era però piegata alle idee correnti della moda e, ad esempio, una volta divenuto Patriarca si batté apertamente contro l'istituzione del divorzio durante il referendum del 1974, opponendosi apertamente come Vescovo ad alcune associazioni cattoliche che si rifacevano alla FUCI veneta e che invece si schieravano a favore del divorzio.
Luciani prese possesso della diocesi l'11 gennaio 1959.
Il "periodo vittoriese" sarà decisivo per la sua formazione.
Iniziò subito le visite pastorali nelle parrocchie.
Luciani, che mai in vita pensò alla carriera ecclesiastica, lasciò Belluno a malincuore, prendendo le redini di una diocesi con i bilanci in grave passivo: infatti, quelli erano gli anni in cui lo IOR, meglio conosciuto come Banca Vaticana, era entrato in crisi.
Luciani non nascose di sopportare a fatica la gestione economica della Chiesa, specie negli anni in cui lo IOR fu diretto dall'arcivescovo americano Paul Marcinkus, sostenendo che la Chiesa avrebbe dovuto avere una condotta economica il più trasparente possibile e coerente agli insegnamenti del Vangelo.
Negli anni di episcopato a Vittorio Veneto mostrò innanzitutto insuperabili doti di catechista, per la sua capacità di farsi comprendere da tutti, anche dai bambini e dalle persone di poca cultura, per la sua chiarezza nell'esporre, la sua capacità di sintesi e la sua tendenza ad evitare discorsi e letture difficili, nonostante la profonda cultura che aveva.
Lo stesso raccomandò sempre ai suoi sacerdoti.
Si dimostrò insofferente al dovere di risiedere nel Castello di San Martino, residenza storica dei vescovi vittoriesi, posta in posizione arroccata e distaccata rispetto all'abitato di Vittorio Veneto: avrebbe preferito una dimora più vicina alla sua gente.
Avvertì in anticipo i nuovi venti della "contestazione", ribadendo l'importanza dell'Azione Cattolica che cominciava a sentire il peso degli anni.
Ebbe grande attenzione per la formazione dei giovani e sollecitò la partecipazione dei laici alla vita attiva della Chiesa, all'epoca ancora piuttosto risicata.
La sua indole bonaria non era però piegata alle idee correnti della moda e, ad esempio, una volta divenuto Patriarca si batté apertamente contro l'istituzione del divorzio durante il referendum del 1974, opponendosi apertamente come Vescovo ad alcune associazioni cattoliche che si rifacevano alla FUCI veneta e che invece si schieravano a favore del divorzio.
Lo scisma di Montaner
Nel 1966-1967 il vescovo Luciani si trovò ad affrontare una spinosa questione riguardante la parrocchia di Montaner, frazione del comune di Sarmede, alle pendici del Cansiglio.
Il 13 dicembre 1966 morì l'anziano parroco don Giuseppe Faè, amatissimo dalla popolazione.
Nei giorni seguenti maturò fra la gente l'idea che il cappellano Antonio Botteon, che si occupava da tre anni del vecchio parroco, potesse essere perfetto per il paese.
Il vescovo Luciani prima ricordò che i parroci non sono eletti dal popolo e poi nominò nuovo parroco di Montaner don Giovanni Gava, il cui insediamento sarebbe dovuto avvenire il 22 gennaio 1967.
In paese, rifiutando la scelta del vescovo, si costituì allora un comitato che proponeva di far rimanere il cappellano Botteon o come nuovo parroco, o come viceparroco.
La risposta del vescovo Luciani fu negativa: non solo, come già detto, per il codice di diritto canonico non è contemplata l'elezione del parroco da parte dei parrocchiani, ma il cappellano Botteon era troppo giovane per amministrare da solo una parrocchia.
Inoltre, non si riteneva necessario un viceparroco per un paese così piccolo.
La scelta di Luciani provocò una durissima reazione della popolazione, che arrivò a murare porte e finestre della chiesa e della canonica per impedire al cappellano Botteon di andare via.
Montaner si divise allora fra i sostenitori del cappellano Botteon come nuovo parroco e una minoranza che non riteneva giusto ribellarsi al vescovo.
Tra le due fazioni scoppiò un vero e proprio odio, sfociato anche in atti di violenza.
Nei giorni seguenti la protesta si inasprì e il paese venne presidiato stabilmente dai carabinieri, anche per la notizia che a Montaner fossero state trovate delle armi; la cosa non fu smentita dalla popolazione visto che molti in casa avevano pistole e fucili dal tempo della seconda guerra mondiale.
Il 9 febbraio 1967 una delegazione di montaneresi partì per Roma con la speranza, rimasta vana, di un colloquio con Paolo VI.
La data più cruenta di questa vicenda fu il 12 settembre 1967: dopo varie mediazioni fallite nei mesi precedenti, nel pomeriggio arrivò a Montaner Albino Luciani in persona, preceduto dal vicequestore di Treviso, alcuni commissari, poliziotti e un autobus di carabinieri, chiamati per scortare il vescovo nonostante lui stesso non ne avesse richiesto l'intervento.
Per punire la disobbedienza di quei parrocchiani, Luciani entrò in chiesa, prelevò le ostie consacrate dal tabernacolo e andò via, lanciando l'interdetto contro la parrocchia: da quel momento nessun sacerdote avrebbe più potuto celebrare funzioni o amministrare i sacramenti.
I parrocchiani dissidenti, allora, compirono un vero e proprio scisma costituendo in paese una comunità ortodossa che resiste ancora al giorno d'oggi.
Nel 1966-1967 il vescovo Luciani si trovò ad affrontare una spinosa questione riguardante la parrocchia di Montaner, frazione del comune di Sarmede, alle pendici del Cansiglio.
Il 13 dicembre 1966 morì l'anziano parroco don Giuseppe Faè, amatissimo dalla popolazione.
Nei giorni seguenti maturò fra la gente l'idea che il cappellano Antonio Botteon, che si occupava da tre anni del vecchio parroco, potesse essere perfetto per il paese.
Il vescovo Luciani prima ricordò che i parroci non sono eletti dal popolo e poi nominò nuovo parroco di Montaner don Giovanni Gava, il cui insediamento sarebbe dovuto avvenire il 22 gennaio 1967.
In paese, rifiutando la scelta del vescovo, si costituì allora un comitato che proponeva di far rimanere il cappellano Botteon o come nuovo parroco, o come viceparroco.
La risposta del vescovo Luciani fu negativa: non solo, come già detto, per il codice di diritto canonico non è contemplata l'elezione del parroco da parte dei parrocchiani, ma il cappellano Botteon era troppo giovane per amministrare da solo una parrocchia.
Inoltre, non si riteneva necessario un viceparroco per un paese così piccolo.
La scelta di Luciani provocò una durissima reazione della popolazione, che arrivò a murare porte e finestre della chiesa e della canonica per impedire al cappellano Botteon di andare via.
Montaner si divise allora fra i sostenitori del cappellano Botteon come nuovo parroco e una minoranza che non riteneva giusto ribellarsi al vescovo.
Tra le due fazioni scoppiò un vero e proprio odio, sfociato anche in atti di violenza.
Nei giorni seguenti la protesta si inasprì e il paese venne presidiato stabilmente dai carabinieri, anche per la notizia che a Montaner fossero state trovate delle armi; la cosa non fu smentita dalla popolazione visto che molti in casa avevano pistole e fucili dal tempo della seconda guerra mondiale.
Il 9 febbraio 1967 una delegazione di montaneresi partì per Roma con la speranza, rimasta vana, di un colloquio con Paolo VI.
La data più cruenta di questa vicenda fu il 12 settembre 1967: dopo varie mediazioni fallite nei mesi precedenti, nel pomeriggio arrivò a Montaner Albino Luciani in persona, preceduto dal vicequestore di Treviso, alcuni commissari, poliziotti e un autobus di carabinieri, chiamati per scortare il vescovo nonostante lui stesso non ne avesse richiesto l'intervento.
Per punire la disobbedienza di quei parrocchiani, Luciani entrò in chiesa, prelevò le ostie consacrate dal tabernacolo e andò via, lanciando l'interdetto contro la parrocchia: da quel momento nessun sacerdote avrebbe più potuto celebrare funzioni o amministrare i sacramenti.
I parrocchiani dissidenti, allora, compirono un vero e proprio scisma costituendo in paese una comunità ortodossa che resiste ancora al giorno d'oggi.
Luciani Patriarca e cardinale
Patriarca nei difficili anni della contestazione, non fece mancare il suo appoggio e il dialogo diretto con gli operai di Marghera, spesso in agitazione.
Anche per questo maturò la consapevolezza del bisogno da parte della Chiesa di adeguarsi ai nuovi tempi e riavvicinarsi alla gente; questo gli fece guadagnare le simpatie dei veneziani.
Anche a Venezia si trovò a dover fare i conti con la crisi economica.
Poco amante degli sfarzi, era anche per questo favorevole alla vendita di oggetti sacri e preziosi di proprietà della Chiesa.
Tra il 12 e il 14 giugno 1971 compì un viaggio pastorale in Svizzera.
Tre giorni dopo venne nominato vicepresidente della Conferenza Episcopale Italiana, carica che manterrà fino al 2 giugno 1975. Sempre nel 1971 propose alle chiese ricche dell'Occidente di donare l'uno per cento delle loro rendite alle chiese povere del terzo mondo.
Il 16 settembre del 1972 il Patriarca Luciani ricevette Paolo VI in visita pastorale.
Al termine della Santa messa in piazza San Marco il Pontefice si tolse la stola papale, la mostrò alla folla e la mise sulle spalle del Patriarca Luciani davanti a ventimila persone, facendolo arrossire per l'imbarazzo.
Dell'episodio, assai significativo considerati gli eventi successivi, esiste un documento fotografico, ma non fu ripreso dalle telecamere, che avevano già chiuso il collegamento.
La stampa disse che Paolo VI aveva scelto il suo successore: a conferma di ciò, pochi mesi dopo Paolo VI annuncia un concistoro e Luciani è il primo della lista.
Il 5 marzo 1973 venne infatti creato cardinale del titolo di San Marco a Roma dallo stesso papa Paolo VI.
L'anno successivo, in occasione della campagna elettorale per il referendum sul divorzio, sciolse la sezione veneziana della FUCI, la Federazione degli universitari cattolici, perché si era mostrata favorevole al no, contrariamente alle indicazioni della Curia.
Tra il 27 settembre e il 26 ottobre dello stesso anno partecipò a Roma alla terza Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei vescovi sul tema: "L'evangelizzazione nel mondo moderno".
Il 1975 lo vide due volte all'estero per altrettanti viaggi pastorali, il 18 maggio in Germania e dal 6 al 21 novembre in Brasile, dove l'università statale di S. Maria a Rio Grande do Sul lo insignì di una laurea honoris causa.
Fu in Brasile che impressionò moltissimi prelati per la sua profonda umiltà e devozione.
A gennaio 1976 pubblicò Illustrissimi, una raccolta di lettere immaginarie scritte negli anni precedenti a personaggi storici o della letteratura; il libro fu un grande successo editoriale e venne tradotto in numerose lingue.
Sin dal suo insediamento a Venezia, portò sempre il classico abito scuro da sacerdote, indossando di rado la fascia cremisi da vescovo e poi rossa da cardinale e attirandosi così molte critiche dai fedeli zelanti veneziani.
Era un'altra prova del suo ricercare la semplicità.
Patriarca nei difficili anni della contestazione, non fece mancare il suo appoggio e il dialogo diretto con gli operai di Marghera, spesso in agitazione.
Anche per questo maturò la consapevolezza del bisogno da parte della Chiesa di adeguarsi ai nuovi tempi e riavvicinarsi alla gente; questo gli fece guadagnare le simpatie dei veneziani.
Anche a Venezia si trovò a dover fare i conti con la crisi economica.
Poco amante degli sfarzi, era anche per questo favorevole alla vendita di oggetti sacri e preziosi di proprietà della Chiesa.
Tra il 12 e il 14 giugno 1971 compì un viaggio pastorale in Svizzera.
Tre giorni dopo venne nominato vicepresidente della Conferenza Episcopale Italiana, carica che manterrà fino al 2 giugno 1975. Sempre nel 1971 propose alle chiese ricche dell'Occidente di donare l'uno per cento delle loro rendite alle chiese povere del terzo mondo.
Il 16 settembre del 1972 il Patriarca Luciani ricevette Paolo VI in visita pastorale.
Al termine della Santa messa in piazza San Marco il Pontefice si tolse la stola papale, la mostrò alla folla e la mise sulle spalle del Patriarca Luciani davanti a ventimila persone, facendolo arrossire per l'imbarazzo.
Dell'episodio, assai significativo considerati gli eventi successivi, esiste un documento fotografico, ma non fu ripreso dalle telecamere, che avevano già chiuso il collegamento.
La stampa disse che Paolo VI aveva scelto il suo successore: a conferma di ciò, pochi mesi dopo Paolo VI annuncia un concistoro e Luciani è il primo della lista.
Il 5 marzo 1973 venne infatti creato cardinale del titolo di San Marco a Roma dallo stesso papa Paolo VI.
L'anno successivo, in occasione della campagna elettorale per il referendum sul divorzio, sciolse la sezione veneziana della FUCI, la Federazione degli universitari cattolici, perché si era mostrata favorevole al no, contrariamente alle indicazioni della Curia.
Tra il 27 settembre e il 26 ottobre dello stesso anno partecipò a Roma alla terza Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei vescovi sul tema: "L'evangelizzazione nel mondo moderno".
Il 1975 lo vide due volte all'estero per altrettanti viaggi pastorali, il 18 maggio in Germania e dal 6 al 21 novembre in Brasile, dove l'università statale di S. Maria a Rio Grande do Sul lo insignì di una laurea honoris causa.
Fu in Brasile che impressionò moltissimi prelati per la sua profonda umiltà e devozione.
A gennaio 1976 pubblicò Illustrissimi, una raccolta di lettere immaginarie scritte negli anni precedenti a personaggi storici o della letteratura; il libro fu un grande successo editoriale e venne tradotto in numerose lingue.
Sin dal suo insediamento a Venezia, portò sempre il classico abito scuro da sacerdote, indossando di rado la fascia cremisi da vescovo e poi rossa da cardinale e attirandosi così molte critiche dai fedeli zelanti veneziani.
Era un'altra prova del suo ricercare la semplicità.
L'incontro con suor Lucia
Il 10 luglio 1977, l'allora cardinale Luciani, molto devoto alla Madonna di Fatima, accogliendo l'invito di Suor Lucia, vi si recò in pellegrinaggio (esattamente a Cova da Iria) incontrando al Carmelo di Coimbra la famosa mistica, con la quale si trattenne per due ore in conversazione.
Suor Lucia gli avrebbe rivelato il contenuto del Terzo Segreto (o, più correttamente, la III parte del Segreto o Messaggio) di Fatima. Egli ne fu sensibilmente impressionato e, una volta rientrato in Italia, descrisse così quell'incontro: "La suora è piccolina, è vispa, e abbastanza chiacchierina… parlando, rivela grande sensibilità per tutto quel che riguarda la Chiesa d'oggi con i suoi problemi acuti…; la piccola monaca insisteva con me sulla necessità di avere oggi cristiani e specialmente seminaristi, novizi e novizie, decisi sul serio ad essere di Dio, senza riserve.
Con tanta energia e convinzione m'ha parlato di suore, preti e cristiani dalla testa ferma.
Radicale come i santi: ou todo ou nada: o tutto o niente, se si vuol essere di Dio sul serio".
Si dice anche che suor Lucia abbia predetto a Luciani la sua elezione e il breve pontificato, chiamandolo "Santo Padre" tuttavia nel 2006 il Segretario di Stato Vaticano Tarcisio Bertone ha definito questa storia "tesi vecchia e priva di fondamento".
A tal proposito, si ricorda che il fratello Edoardo vide il cardinale Luciani tornare molto scosso dal viaggio a Fatima: era diventato silenzioso e spesso assorto nei pensieri e quando gli chiese cosa avesse, Albino rispose: "Penso sempre a quello che ha detto Suor Lucia".
Un altro segno della sua personale via crucis può essere una macchiolina rossa su un occhio riscontrata dopo il viaggio in Brasile, diagnosticata come un embolo.
I suoi parenti, fra cui un medico, ritennero che fu un'embolia la vera causa della sua morte.
Il 10 luglio 1977, l'allora cardinale Luciani, molto devoto alla Madonna di Fatima, accogliendo l'invito di Suor Lucia, vi si recò in pellegrinaggio (esattamente a Cova da Iria) incontrando al Carmelo di Coimbra la famosa mistica, con la quale si trattenne per due ore in conversazione.
Suor Lucia gli avrebbe rivelato il contenuto del Terzo Segreto (o, più correttamente, la III parte del Segreto o Messaggio) di Fatima. Egli ne fu sensibilmente impressionato e, una volta rientrato in Italia, descrisse così quell'incontro: "La suora è piccolina, è vispa, e abbastanza chiacchierina… parlando, rivela grande sensibilità per tutto quel che riguarda la Chiesa d'oggi con i suoi problemi acuti…; la piccola monaca insisteva con me sulla necessità di avere oggi cristiani e specialmente seminaristi, novizi e novizie, decisi sul serio ad essere di Dio, senza riserve.
Con tanta energia e convinzione m'ha parlato di suore, preti e cristiani dalla testa ferma.
Radicale come i santi: ou todo ou nada: o tutto o niente, se si vuol essere di Dio sul serio".
Si dice anche che suor Lucia abbia predetto a Luciani la sua elezione e il breve pontificato, chiamandolo "Santo Padre" tuttavia nel 2006 il Segretario di Stato Vaticano Tarcisio Bertone ha definito questa storia "tesi vecchia e priva di fondamento".
A tal proposito, si ricorda che il fratello Edoardo vide il cardinale Luciani tornare molto scosso dal viaggio a Fatima: era diventato silenzioso e spesso assorto nei pensieri e quando gli chiese cosa avesse, Albino rispose: "Penso sempre a quello che ha detto Suor Lucia".
Un altro segno della sua personale via crucis può essere una macchiolina rossa su un occhio riscontrata dopo il viaggio in Brasile, diagnosticata come un embolo.
I suoi parenti, fra cui un medico, ritennero che fu un'embolia la vera causa della sua morte.
L'addio a Venezia
Il cardinale Luciani lasciò per l'ultima volta Venezia il 10 agosto 1978 per il conclave dal quale sarebbe uscito papa il 26 agosto, al secondo giorno di votazione.
È il terzo Patriarca di Venezia del novecento, dopo Giuseppe Sarto (san Pio X) e Angelo Giuseppe Roncalli (beato Giovanni XXIII) ad essere chiamato al soglio di Pietro.
Nella sua ultima messa, celebrata nella chiesa di san Marco, invitò ripetutamente i fedeli a pregare la Madre di Dio per l'elezione del Papa, per il futuro Papa.
Il cardinale Luciani lasciò per l'ultima volta Venezia il 10 agosto 1978 per il conclave dal quale sarebbe uscito papa il 26 agosto, al secondo giorno di votazione.
È il terzo Patriarca di Venezia del novecento, dopo Giuseppe Sarto (san Pio X) e Angelo Giuseppe Roncalli (beato Giovanni XXIII) ad essere chiamato al soglio di Pietro.
Nella sua ultima messa, celebrata nella chiesa di san Marco, invitò ripetutamente i fedeli a pregare la Madre di Dio per l'elezione del Papa, per il futuro Papa.
Il pontificato
Papa Giovanni Paolo I
« Intendiamoci: io non ho né la sapientia cordis di Papa Giovanni, né la preparazione e la cultura di Papa Paolo, però sono al loro posto, devo cercare di servire la Chiesa.
Spero che mi aiuterete con le vostre preghiere. »
(Giovanni Paolo I)
La sua elezione sarebbe stata frutto di una mediazione tra diverse posizioni, tra le quali quelle più conservative della Curia, che sostenevano l'arcivescovo di Genova, cardinale Giuseppe Siri, e la parte sostenitrice delle riforme del Concilio Vaticano II, che sostenevano l'arcivescovo di Firenze, cardinale Giovanni Benelli.
Ricevette alcuni voti anche il cardinale Karol Wojtyla, poi papa Giovanni Paolo II, la cui candidatura fu presentata da quei cardinali che auspicavano un'apertura internazionalista del Vaticano.
Luciani, tuttavia, chiese sempre di non essere preso in considerazione e, anzi, fu proprio lui a parlare per primo di un papa straniero. Egli infatti aveva sempre votato per il cardinale Aloisio Lorscheider, un francescano che aveva conosciuto in Brasile e che invece fu tra i più accesi sostenitori di Luciani, soprattutto perché non dimenticò mai quella visita in Brasile.
Ad ogni modo, il conclave fu rapidissimo e si concluse dopo sole quattro votazioni, avvenute nella stessa giornata: alle 19:18 del 26 agosto 1978 si aprirono le vetrate della loggia centrale delle Basilica Vaticana, passarono solo ventisei ore e mezzo dalla chiusura delle porte del Conclave e già il nuovo papa era stato eletto.
Subito dopo comparve il grande drappo rosso con lo stemma papale e poi il cardinale Pericle Felici, protodiacono, annunciò l'Habemus Papam.
Luciani fu eletto 263º successore di Pietro con un'amplissima maggioranza (101 voti tra i 111 cardinali, il quorum più alto nei conclavi del Novecento).
Lo stupore della folla in piazza fu grandissimo poiché la fumata, probabilmente per un errore del cardinale fuochista, fu inizialmente grigio chiara per poi diventare nera.
La situazione di incertezza durò fino all'annuncio di Radio Vaticana e alla contemporanea apertura della loggia (solo nel conclave del 2005 verranno introdotte, dopo la fumata, le campane a festa).
Appena eletto avrebbe voluto parlare alla folla, ma il cerimoniere glielo impedì, obiettando che non era nella tradizione.
Papa Giovanni Paolo II, cinquanta giorni dopo, avrebbe invece infranto il cerimoniale e rivolto un saluto alla folla, oltre alla tradizionale benedizione Urbi et Orbi.
Fu questo il primo segnale di cambiamento che Luciani, seppur per breve tempo, avrebbe cominciato nella Chiesa.
Inoltre, al momento della sua elezione, L'Osservatore Romano mandò in stampa l'edizione straordinaria dell'elezione del nuovo papa con un piccolo errore non facile da notare (Albinum Luciani qui sibi "nominem" imposuit Ioannem Paulum I), che resero le copie di quel giornale un pezzo molto raro, equiparabile al famoso francobollo Gronchi rosa, nelle poche ore successive, infatti, corressero immediatamente l'errore ritirando il precedente quotidiano e rimettendo in emissione la seconda edizione con il titolo corretto da "nominem" a "nomen".
Si disse che Luciani fu eletto più per "ciò che non era" che per "ciò che era": non era un professionista della Curia che avrebbe potuto assumere un comando autocratico accentrato, nonostante la sua profonda cultura non era un altero intellettuale potenzialmente capace di mettere in difficoltà i porporati, non era nemmeno uno straniero, ciò che per i cardinali italiani era un indubbio valore di continuità.
Il Patriarca non si aspettava minimamente la sua elezione al soglio di Pietro.
Il giorno stesso dell'entrata in conclave, andò a sollecitare il meccanico perché aggiustasse in fretta la sua vecchia auto, rottasi alle porte di Roma: “Mi raccomando, fate il più presto possibile.
Dovrò ritornare a Venezia tra pochi giorni e non saprei come fare a recuperare la vettura se dovessi lasciarla qui…” disse Luciani.
A una sorella disse anche: "Per fortuna io sono fuori pericolo"
Per la prima volta nella bimillenaria storia della Chiesa, Luciani scelse un doppio nome, in ossequio ai due pontefici che lo avevano preceduto: papa Giovanni XXIII, che lo aveva consacrato vescovo, e papa Paolo VI, che lo aveva creato cardinale.
Annunciando l'elezione con il tradizionale Habemus papam, il cardinale protodiacono Pericle Felici commise l'errore di aggiungere il numero ordinale dopo il nome: «qui sibi nomen imposuit Ioannis Pauli Primi».
È uso che il pontefice che scelga un nome pontificale mai usato da un suo predecessore assuma l'ordinale postumo, solo nel caso in cui un suo successore scelga lo stesso nome.
Luciani, in effetti, per tutto il suo breve pontificato, fu sempre chiamato Giovanni Paolo I o Giovanpaolo I (caduto in disuso subito dopo la sua morte), ma mai solo Giovanni Paolo, a differenza di quanto accaduto con papa Francesco a cui non è stato aggiunto ufficialmente alcun numero ordinale (eccezion fatta nei paesi stranieri dove viene aggiunto l'ordinale).
All'indomani dell'elezione, Luciani avrebbe confidato al fratello Edoardo che il suo primo pensiero era stato di farsi chiamare Pio XIII, ma aveva desistito pensando ai settori della Chiesa che avrebbero strumentalizzato questa scelta.
Giovanni Paolo I fu il primo nome inedito scelto da un papa dai tempi di papa Lando (morto nel 914).
Da allora, per oltre mille anni, tutti i papi si erano dati o comunque ebbero nomi già appartenuti a un loro predecessore.
Anche il successore di Luciani, Karol Wojtyła, aveva inizialmente pensato a Stanislao, patrono della Polonia, ma avrebbe poi scelto Giovanni Paolo II in memoria di Albino Luciani.
La novità sul nome pontificale introdotta da Luciani viene ripetuta nel 2013 da Bergoglio che sceglie un nome inedito nella storia dei papi: Francesco.
Papa Giovanni Paolo I
« Intendiamoci: io non ho né la sapientia cordis di Papa Giovanni, né la preparazione e la cultura di Papa Paolo, però sono al loro posto, devo cercare di servire la Chiesa.
Spero che mi aiuterete con le vostre preghiere. »
(Giovanni Paolo I)
La sua elezione sarebbe stata frutto di una mediazione tra diverse posizioni, tra le quali quelle più conservative della Curia, che sostenevano l'arcivescovo di Genova, cardinale Giuseppe Siri, e la parte sostenitrice delle riforme del Concilio Vaticano II, che sostenevano l'arcivescovo di Firenze, cardinale Giovanni Benelli.
Ricevette alcuni voti anche il cardinale Karol Wojtyla, poi papa Giovanni Paolo II, la cui candidatura fu presentata da quei cardinali che auspicavano un'apertura internazionalista del Vaticano.
Luciani, tuttavia, chiese sempre di non essere preso in considerazione e, anzi, fu proprio lui a parlare per primo di un papa straniero. Egli infatti aveva sempre votato per il cardinale Aloisio Lorscheider, un francescano che aveva conosciuto in Brasile e che invece fu tra i più accesi sostenitori di Luciani, soprattutto perché non dimenticò mai quella visita in Brasile.
Ad ogni modo, il conclave fu rapidissimo e si concluse dopo sole quattro votazioni, avvenute nella stessa giornata: alle 19:18 del 26 agosto 1978 si aprirono le vetrate della loggia centrale delle Basilica Vaticana, passarono solo ventisei ore e mezzo dalla chiusura delle porte del Conclave e già il nuovo papa era stato eletto.
Subito dopo comparve il grande drappo rosso con lo stemma papale e poi il cardinale Pericle Felici, protodiacono, annunciò l'Habemus Papam.
Luciani fu eletto 263º successore di Pietro con un'amplissima maggioranza (101 voti tra i 111 cardinali, il quorum più alto nei conclavi del Novecento).
Lo stupore della folla in piazza fu grandissimo poiché la fumata, probabilmente per un errore del cardinale fuochista, fu inizialmente grigio chiara per poi diventare nera.
La situazione di incertezza durò fino all'annuncio di Radio Vaticana e alla contemporanea apertura della loggia (solo nel conclave del 2005 verranno introdotte, dopo la fumata, le campane a festa).
Appena eletto avrebbe voluto parlare alla folla, ma il cerimoniere glielo impedì, obiettando che non era nella tradizione.
Papa Giovanni Paolo II, cinquanta giorni dopo, avrebbe invece infranto il cerimoniale e rivolto un saluto alla folla, oltre alla tradizionale benedizione Urbi et Orbi.
Fu questo il primo segnale di cambiamento che Luciani, seppur per breve tempo, avrebbe cominciato nella Chiesa.
Inoltre, al momento della sua elezione, L'Osservatore Romano mandò in stampa l'edizione straordinaria dell'elezione del nuovo papa con un piccolo errore non facile da notare (Albinum Luciani qui sibi "nominem" imposuit Ioannem Paulum I), che resero le copie di quel giornale un pezzo molto raro, equiparabile al famoso francobollo Gronchi rosa, nelle poche ore successive, infatti, corressero immediatamente l'errore ritirando il precedente quotidiano e rimettendo in emissione la seconda edizione con il titolo corretto da "nominem" a "nomen".
Si disse che Luciani fu eletto più per "ciò che non era" che per "ciò che era": non era un professionista della Curia che avrebbe potuto assumere un comando autocratico accentrato, nonostante la sua profonda cultura non era un altero intellettuale potenzialmente capace di mettere in difficoltà i porporati, non era nemmeno uno straniero, ciò che per i cardinali italiani era un indubbio valore di continuità.
Il Patriarca non si aspettava minimamente la sua elezione al soglio di Pietro.
Il giorno stesso dell'entrata in conclave, andò a sollecitare il meccanico perché aggiustasse in fretta la sua vecchia auto, rottasi alle porte di Roma: “Mi raccomando, fate il più presto possibile.
Dovrò ritornare a Venezia tra pochi giorni e non saprei come fare a recuperare la vettura se dovessi lasciarla qui…” disse Luciani.
A una sorella disse anche: "Per fortuna io sono fuori pericolo"
Per la prima volta nella bimillenaria storia della Chiesa, Luciani scelse un doppio nome, in ossequio ai due pontefici che lo avevano preceduto: papa Giovanni XXIII, che lo aveva consacrato vescovo, e papa Paolo VI, che lo aveva creato cardinale.
Annunciando l'elezione con il tradizionale Habemus papam, il cardinale protodiacono Pericle Felici commise l'errore di aggiungere il numero ordinale dopo il nome: «qui sibi nomen imposuit Ioannis Pauli Primi».
È uso che il pontefice che scelga un nome pontificale mai usato da un suo predecessore assuma l'ordinale postumo, solo nel caso in cui un suo successore scelga lo stesso nome.
Luciani, in effetti, per tutto il suo breve pontificato, fu sempre chiamato Giovanni Paolo I o Giovanpaolo I (caduto in disuso subito dopo la sua morte), ma mai solo Giovanni Paolo, a differenza di quanto accaduto con papa Francesco a cui non è stato aggiunto ufficialmente alcun numero ordinale (eccezion fatta nei paesi stranieri dove viene aggiunto l'ordinale).
All'indomani dell'elezione, Luciani avrebbe confidato al fratello Edoardo che il suo primo pensiero era stato di farsi chiamare Pio XIII, ma aveva desistito pensando ai settori della Chiesa che avrebbero strumentalizzato questa scelta.
Giovanni Paolo I fu il primo nome inedito scelto da un papa dai tempi di papa Lando (morto nel 914).
Da allora, per oltre mille anni, tutti i papi si erano dati o comunque ebbero nomi già appartenuti a un loro predecessore.
Anche il successore di Luciani, Karol Wojtyła, aveva inizialmente pensato a Stanislao, patrono della Polonia, ma avrebbe poi scelto Giovanni Paolo II in memoria di Albino Luciani.
La novità sul nome pontificale introdotta da Luciani viene ripetuta nel 2013 da Bergoglio che sceglie un nome inedito nella storia dei papi: Francesco.
Le innovazioni introdotte da Luciani
Fu il primo pontefice a voler parlare alla folla dopo l'elezione ma, poiché non era consuetudine, dovette rinunciare.
Fu il primo ad abbandonare il plurale maiestatis, reintrodotto da Paolo VI dopo il pontificato di Giovanni XXIII, rivolgendosi in prima persona ai fedeli, nonostante zelanti custodi del protocollo prontamente riconvertissero i suoi discorsi per la pubblicazione su L'Osservatore Romano e in altri atti ufficiali, nei quali sono mancanti alcune altre espressioni estemporanee usate da Luciani.
Il suo ministero iniziò il 3 settembre con una messa celebrata nella Piazza antistante la Basilica.
Per la prima volta nella storia un Papa non sarebbe più stato incoronato: Luciani si impose anche per il cambiamento del termine "incoronazione" che da allora mutò in "solenne cerimonia per l'inizio del ministero petrino". Rifiutò inoltre la tiara, e fu anche il primo pontefice a respingere l'impiego della sedia gestatoria, in seguito ripristinata, per esigenze di visibilità, in occasione delle udienze generali.
Rifiutò anche il trono al momento della messa, detta di "intronizzazione".
Fu il primo papa a parlare di sé in termini umani: tenendo da un canto i consolidati effetti del dogma che vuole il papa Vicario di Cristo in terra, non ebbe remore nel presentarsi con il complesso della sua personalità, ammettendo, ad esempio, di essere diventato completamente rosso dalla vergogna quando, ai tempi in cui era ancora patriarca di Venezia, Paolo VI gli aveva messo sulle spalle la stola papale.
Fu inoltre il primo ad ammettere la paura che lo colse quando si rese conto di essere stato eletto papa: "Tempestas magna est super me".
Così come non altri prima, espresse umilmente una sensazione d'inadeguatezza al ruolo.
« Signore, prendimi come sono, con i miei difetti, con le mie mancanze, ma fammi diventare come tu mi desideri. »
(Preghiera particolare di papa Giovanni Paolo I)
Colto teologo, era considerato per certi versi un conservatore, pubblico difensore dell'Humanae Vitae, che si apprestava a ratificare con una sua enciclica che però mai vide la luce. D'altro canto, però, in una lettera ai suoi diocesiani all'indomani della promulgazione dell'Humanae Vitae, scrisse: «Confesso che […] privatamente avevo sperato che le gravissime difficoltà che esistono sarebbero state superate e che la risposta del Maestro, che parla con uno speciale carisma e nel nome del Signore, avesse coinciso, almeno in parte, con le speranze delle molte coppie sposate dopo che era stata costituita un'apposita Commissione pontificia per esaminare la questione».
Una certa morbidezza nei confronti della questione degli anticoncezionali e della contraccezione, anzi una qualche apertura per l'argomento dopo un convegno delle Nazioni Unite sul tema della sovrappopolazione, furono oggetto di una censura da parte dell'Osservatore Romano, che non pubblicò i commenti papali.
Già dai tempi del Concilio Vaticano II (al quale partecipò come membro della commissione allargata sui problemi della famiglia e del controllo delle nascite), infatti, Luciani aveva mostrato idee piuttosto progressiste, parlando di “maternità responsabile” e appoggiando a determinate condizioni l'uso degli anticoncezionali.
Giovanni Paolo I, inoltre (come si capisce dal titolo dell'enciclica che avrebbe voluto scrivere: "I poveri e la povertà nel mondo"), si dimostrò molto sensibile al tema della povertà del Sud del mondo, sottolineando l'inutile opulenza del mondo occidentale, senza risparmiare la stessa Chiesa, la quale avrebbe voluto più vicina al suo motto, "humilitas".
Parlò anche della questione sociale, dell'importanza di dare "la giusta mercede" ai lavoratori.
Le sue uniche quattro udienze generali hanno tutte riunite un messaggio di senso compiuto.
La prima dedicata all'umiltà dove il Papa chiama a sé un chierichetto per far capire il senso dell'umiltà.
La seconda è dedicata alla fede e in quella speciale occasione Giovanni Paolo I recita una poesia di Trilussa.
La terza è dedicata alla speranza.
Il Papa parla della iucunditas e cita San Tommaso d'Aquino.
Nella quarta e ultima udienza generale il Papa parla della carità, cita alcuni passaggi della Populorum progressio l'enciclica di Paolo VI e invita a dare un aiuto al Papa un bambino frequentante la quinta elementare.
Curiosità, durante questa ultima udienza una persona dalla folla augura al Papa lunga vita.
In queste poche udienze Luciani parve un semplice catechista qualsiasi.
E catechista nel profondo del cuore egli era sempre stato: da parroco, prima, poi da vescovo, da patriarca, infine da papa.
"Dio è papà, più ancora è madre"
Durante l'Angelus della settimana successiva, il 10 settembre 1978, Giovanni Paolo I disse:
« Noi siamo oggetto, da parte di Dio, di un amore intramontabile: (Dio) è papà, più ancora è madre»
Questa frase è una citazione di un passo dell'Antico Testamento, nonché semplice interpretazione di alcuni passi del Vangelo.
Il concetto fu ribadito più volte anche dal suo successore Giovanni Paolo II, per esempio nell'udienza di mercoledì 20 gennaio 1999.
Fu il primo pontefice a voler parlare alla folla dopo l'elezione ma, poiché non era consuetudine, dovette rinunciare.
Fu il primo ad abbandonare il plurale maiestatis, reintrodotto da Paolo VI dopo il pontificato di Giovanni XXIII, rivolgendosi in prima persona ai fedeli, nonostante zelanti custodi del protocollo prontamente riconvertissero i suoi discorsi per la pubblicazione su L'Osservatore Romano e in altri atti ufficiali, nei quali sono mancanti alcune altre espressioni estemporanee usate da Luciani.
Il suo ministero iniziò il 3 settembre con una messa celebrata nella Piazza antistante la Basilica.
Per la prima volta nella storia un Papa non sarebbe più stato incoronato: Luciani si impose anche per il cambiamento del termine "incoronazione" che da allora mutò in "solenne cerimonia per l'inizio del ministero petrino". Rifiutò inoltre la tiara, e fu anche il primo pontefice a respingere l'impiego della sedia gestatoria, in seguito ripristinata, per esigenze di visibilità, in occasione delle udienze generali.
Rifiutò anche il trono al momento della messa, detta di "intronizzazione".
Fu il primo papa a parlare di sé in termini umani: tenendo da un canto i consolidati effetti del dogma che vuole il papa Vicario di Cristo in terra, non ebbe remore nel presentarsi con il complesso della sua personalità, ammettendo, ad esempio, di essere diventato completamente rosso dalla vergogna quando, ai tempi in cui era ancora patriarca di Venezia, Paolo VI gli aveva messo sulle spalle la stola papale.
Fu inoltre il primo ad ammettere la paura che lo colse quando si rese conto di essere stato eletto papa: "Tempestas magna est super me".
Così come non altri prima, espresse umilmente una sensazione d'inadeguatezza al ruolo.
« Signore, prendimi come sono, con i miei difetti, con le mie mancanze, ma fammi diventare come tu mi desideri. »
(Preghiera particolare di papa Giovanni Paolo I)
Colto teologo, era considerato per certi versi un conservatore, pubblico difensore dell'Humanae Vitae, che si apprestava a ratificare con una sua enciclica che però mai vide la luce. D'altro canto, però, in una lettera ai suoi diocesiani all'indomani della promulgazione dell'Humanae Vitae, scrisse: «Confesso che […] privatamente avevo sperato che le gravissime difficoltà che esistono sarebbero state superate e che la risposta del Maestro, che parla con uno speciale carisma e nel nome del Signore, avesse coinciso, almeno in parte, con le speranze delle molte coppie sposate dopo che era stata costituita un'apposita Commissione pontificia per esaminare la questione».
Una certa morbidezza nei confronti della questione degli anticoncezionali e della contraccezione, anzi una qualche apertura per l'argomento dopo un convegno delle Nazioni Unite sul tema della sovrappopolazione, furono oggetto di una censura da parte dell'Osservatore Romano, che non pubblicò i commenti papali.
Già dai tempi del Concilio Vaticano II (al quale partecipò come membro della commissione allargata sui problemi della famiglia e del controllo delle nascite), infatti, Luciani aveva mostrato idee piuttosto progressiste, parlando di “maternità responsabile” e appoggiando a determinate condizioni l'uso degli anticoncezionali.
Giovanni Paolo I, inoltre (come si capisce dal titolo dell'enciclica che avrebbe voluto scrivere: "I poveri e la povertà nel mondo"), si dimostrò molto sensibile al tema della povertà del Sud del mondo, sottolineando l'inutile opulenza del mondo occidentale, senza risparmiare la stessa Chiesa, la quale avrebbe voluto più vicina al suo motto, "humilitas".
Parlò anche della questione sociale, dell'importanza di dare "la giusta mercede" ai lavoratori.
Le sue uniche quattro udienze generali hanno tutte riunite un messaggio di senso compiuto.
La prima dedicata all'umiltà dove il Papa chiama a sé un chierichetto per far capire il senso dell'umiltà.
La seconda è dedicata alla fede e in quella speciale occasione Giovanni Paolo I recita una poesia di Trilussa.
La terza è dedicata alla speranza.
Il Papa parla della iucunditas e cita San Tommaso d'Aquino.
Nella quarta e ultima udienza generale il Papa parla della carità, cita alcuni passaggi della Populorum progressio l'enciclica di Paolo VI e invita a dare un aiuto al Papa un bambino frequentante la quinta elementare.
Curiosità, durante questa ultima udienza una persona dalla folla augura al Papa lunga vita.
In queste poche udienze Luciani parve un semplice catechista qualsiasi.
E catechista nel profondo del cuore egli era sempre stato: da parroco, prima, poi da vescovo, da patriarca, infine da papa.
"Dio è papà, più ancora è madre"
Durante l'Angelus della settimana successiva, il 10 settembre 1978, Giovanni Paolo I disse:
« Noi siamo oggetto, da parte di Dio, di un amore intramontabile: (Dio) è papà, più ancora è madre»
Questa frase è una citazione di un passo dell'Antico Testamento, nonché semplice interpretazione di alcuni passi del Vangelo.
Il concetto fu ribadito più volte anche dal suo successore Giovanni Paolo II, per esempio nell'udienza di mercoledì 20 gennaio 1999.
La morte
Papa Luciani si spense presumibilmente tra le ore 23:00 del 28 settembre 1978 e le ore 5:00 del giorno successivo, nel suo appartamento privato a causa di un infarto miocardico.
Secondo un comunicato ufficiale della Santa Sede,poco prima di morire, il Papa era sbiancato in volto, quando aveva saputo del giovane Ivo Zini assassinato a Roma.
Per molte ore, il giorno dopo la sua morte, una gran folla di fedeli continuò a sfilare davanti alla sua salma, sotto gli affreschi della sala Clementina, nonostante il brutto tempo.
Nei giorni immediatamente successivi alla morte, venne chiesto invano da una parte della stampa di effettuare l'autopsia sul corpo del papa, richiesta respinta dal collegio cardinalizio in quanto non prevista dal protocollo.
Papa Luciani riposa nelle Grotte Vaticane dal 4 ottobre 1978.
In appena trentatré giorni di pontificato non riuscirono a preparare l'Anello del Pescatore per papa Luciani.
Lui utilizzò l'"Anello del Concilio" (fatto fare da papa Paolo VI per tutti i padri conciliari che parteciparono al Concilio Vaticano II) e fu sepolto con lo stesso anello.
Papa Luciani si spense presumibilmente tra le ore 23:00 del 28 settembre 1978 e le ore 5:00 del giorno successivo, nel suo appartamento privato a causa di un infarto miocardico.
Secondo un comunicato ufficiale della Santa Sede,poco prima di morire, il Papa era sbiancato in volto, quando aveva saputo del giovane Ivo Zini assassinato a Roma.
Per molte ore, il giorno dopo la sua morte, una gran folla di fedeli continuò a sfilare davanti alla sua salma, sotto gli affreschi della sala Clementina, nonostante il brutto tempo.
Nei giorni immediatamente successivi alla morte, venne chiesto invano da una parte della stampa di effettuare l'autopsia sul corpo del papa, richiesta respinta dal collegio cardinalizio in quanto non prevista dal protocollo.
Papa Luciani riposa nelle Grotte Vaticane dal 4 ottobre 1978.
In appena trentatré giorni di pontificato non riuscirono a preparare l'Anello del Pescatore per papa Luciani.
Lui utilizzò l'"Anello del Concilio" (fatto fare da papa Paolo VI per tutti i padri conciliari che parteciparono al Concilio Vaticano II) e fu sepolto con lo stesso anello.
Teorie alternative sulla morte
Alcuni mesi dopo iniziarono a circolare alcune ipotesi alternative su cosa effettivamente fosse accaduto la notte del 28 settembre.
A fare scalpore fu soprattutto la teoria sviluppata dal giornalista investigativo britannico David Yallop sei anni dopo, nel best seller In nome di Dio, in cui l'autore ipotizza un omicidio a sfondo politico ad opera di alcuni cardinali che si opponevano agli interventi di riforma programmati da Papa Luciani (in particolare quella dello I.O.R. – Istituto Opere Religiose – allora gestito da Paul Marcinkus) e all'apertura verso la contraccezione.
Questa tesi è in parte confermata dal memoriale di Vincenzo Calcara, pentito di Cosa Nostra, secondo il quale l'assassinio scongiurò la rimozione di alcuni cardinali e alti prelati a capo dello I.O.R., tra i quali monsignor Paul Marcinkus, a capo della banca, e Jean-Marie Villot, segretario di Stato, bloccando così l'avvio di una politica di redistribuzione dei beni e degli averi della Chiesa cattolica italiana, intrapresa da Giovanni Paolo I con il supporto di alcuni esponenti curiali.
Una risposta alle tesi di Yallop si trova in un libro di Michael Hesemann titolato Contro la Chiesa.
Al di là di queste ipotesi editoriali, Giovanni Paolo I non godeva di buona salute: un embolo durante un viaggio in aereo lo aveva privato della vista in un occhio per qualche tempo e lui stesso, durante l'ultima udienza generale da lui tenuta, confessò, rivolgendosi agli ammalati presenti, di essere stato otto volte in ospedale e di essersi sottoposto a quattro operazioni.
Questa parte del discorso non appare nel sito ufficiale del Vaticano.
Alcuni mesi dopo iniziarono a circolare alcune ipotesi alternative su cosa effettivamente fosse accaduto la notte del 28 settembre.
A fare scalpore fu soprattutto la teoria sviluppata dal giornalista investigativo britannico David Yallop sei anni dopo, nel best seller In nome di Dio, in cui l'autore ipotizza un omicidio a sfondo politico ad opera di alcuni cardinali che si opponevano agli interventi di riforma programmati da Papa Luciani (in particolare quella dello I.O.R. – Istituto Opere Religiose – allora gestito da Paul Marcinkus) e all'apertura verso la contraccezione.
Questa tesi è in parte confermata dal memoriale di Vincenzo Calcara, pentito di Cosa Nostra, secondo il quale l'assassinio scongiurò la rimozione di alcuni cardinali e alti prelati a capo dello I.O.R., tra i quali monsignor Paul Marcinkus, a capo della banca, e Jean-Marie Villot, segretario di Stato, bloccando così l'avvio di una politica di redistribuzione dei beni e degli averi della Chiesa cattolica italiana, intrapresa da Giovanni Paolo I con il supporto di alcuni esponenti curiali.
Una risposta alle tesi di Yallop si trova in un libro di Michael Hesemann titolato Contro la Chiesa.
Al di là di queste ipotesi editoriali, Giovanni Paolo I non godeva di buona salute: un embolo durante un viaggio in aereo lo aveva privato della vista in un occhio per qualche tempo e lui stesso, durante l'ultima udienza generale da lui tenuta, confessò, rivolgendosi agli ammalati presenti, di essere stato otto volte in ospedale e di essersi sottoposto a quattro operazioni.
Questa parte del discorso non appare nel sito ufficiale del Vaticano.
La canonizzazione
Poco dopo la sua morte da più parti del mondo cattolico vennero le richieste per l'apertura del processo di beatificazione.
La richiesta fu formalizzata nel 1990 con la firma di 226 vescovi brasiliani, tra cui quattro cardinali.
Il 26 agosto 2002 il vescovo di Belluno-Feltre Vincenzo Savio, al termine della messa celebrata a Canale d'Agordo in ricordo del XXIV anniversario dell'elezione al soglio pontificio di Albino Luciani, annunciò l'avvio della fase preliminare di raccolta dei documenti e delle testimonianze necessarie per avviare il processo di beatificazione.
L'8 giugno 2003, al termine dell'assemblea sinodale svoltasi in cattedrale a Belluno, il vescovo Savio annunciò che la Congregazione delle Cause dei Santi ha espresso "parere positivo" circa la "possibilità che si proceda, con i passaggi stabiliti, nella causa di beatificazione e canonizzazione del servo di Dio Giovanni Paolo I" e che "ben volentieri concede che, a livello diocesano, l'indagine circa la vita e le virtù del servo di Dio Giovanni Paolo I, nonché sulla sua fama di santità, si svolga presso la curia diocesana della diocesi di Belluno-Feltre".
Il 23 novembre 2003, alle ore 15, si tenne nella Basilica Cattedrale di San Martino la sessione inaugurale dell'inchiesta diocesana del processo di beatificazione presieduta dal vescovo Savio alla presenza del prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi cardinale José Saraiva Martins.
Il 10 novembre 2006 si tenne sempre in cattedrale a Belluno la sessione di chiusura dell'inchiesta diocesana del processo di beatificazione.
Il 27 giugno 2008 la Congregazione per le Cause dei Santi firmò il decreto di validità sugli atti dell'inchiesta diocesana sulla beatificazione. Il 30 maggio 2009 si concluse ad Altamura il processo sulla presunta guarigione miracolosa, attribuita all'intercessione del servo di Dio Giovanni Paolo I, di Giuseppe Denora, un fedele pugliese della diocesi di Altamura-Gravina-Acquaviva delle Fonti; gli atti furono trasmessi alla Congregazione per le Cause dei Santi in attesa che la consulta medica e la consulta teologica si esprimano in merito.
Il 25 marzo 2010 la Congregazione per le Cause dei Santi ha sancito la validità del processo diocesano sulla guarigione di Giuseppe Denora.
Il miracolo deve essere ora investigato nel merito attraverso un supplemento d'indagine condotto dalla consulta medica di laici.
Il 17 ottobre 2012 (il giorno del centenario della sua nascita) viene consegnato nelle mani del Cardinale Angelo Amato Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, la Summarium testium il primo dei quattro documenti che contribuiranno a preparare la Positio sulle virtù eroiche del Servo di Dio, Giovanni Paolo I.
Poco dopo la sua morte da più parti del mondo cattolico vennero le richieste per l'apertura del processo di beatificazione.
La richiesta fu formalizzata nel 1990 con la firma di 226 vescovi brasiliani, tra cui quattro cardinali.
Il 26 agosto 2002 il vescovo di Belluno-Feltre Vincenzo Savio, al termine della messa celebrata a Canale d'Agordo in ricordo del XXIV anniversario dell'elezione al soglio pontificio di Albino Luciani, annunciò l'avvio della fase preliminare di raccolta dei documenti e delle testimonianze necessarie per avviare il processo di beatificazione.
L'8 giugno 2003, al termine dell'assemblea sinodale svoltasi in cattedrale a Belluno, il vescovo Savio annunciò che la Congregazione delle Cause dei Santi ha espresso "parere positivo" circa la "possibilità che si proceda, con i passaggi stabiliti, nella causa di beatificazione e canonizzazione del servo di Dio Giovanni Paolo I" e che "ben volentieri concede che, a livello diocesano, l'indagine circa la vita e le virtù del servo di Dio Giovanni Paolo I, nonché sulla sua fama di santità, si svolga presso la curia diocesana della diocesi di Belluno-Feltre".
Il 23 novembre 2003, alle ore 15, si tenne nella Basilica Cattedrale di San Martino la sessione inaugurale dell'inchiesta diocesana del processo di beatificazione presieduta dal vescovo Savio alla presenza del prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi cardinale José Saraiva Martins.
Il 10 novembre 2006 si tenne sempre in cattedrale a Belluno la sessione di chiusura dell'inchiesta diocesana del processo di beatificazione.
Il 27 giugno 2008 la Congregazione per le Cause dei Santi firmò il decreto di validità sugli atti dell'inchiesta diocesana sulla beatificazione. Il 30 maggio 2009 si concluse ad Altamura il processo sulla presunta guarigione miracolosa, attribuita all'intercessione del servo di Dio Giovanni Paolo I, di Giuseppe Denora, un fedele pugliese della diocesi di Altamura-Gravina-Acquaviva delle Fonti; gli atti furono trasmessi alla Congregazione per le Cause dei Santi in attesa che la consulta medica e la consulta teologica si esprimano in merito.
Il 25 marzo 2010 la Congregazione per le Cause dei Santi ha sancito la validità del processo diocesano sulla guarigione di Giuseppe Denora.
Il miracolo deve essere ora investigato nel merito attraverso un supplemento d'indagine condotto dalla consulta medica di laici.
Il 17 ottobre 2012 (il giorno del centenario della sua nascita) viene consegnato nelle mani del Cardinale Angelo Amato Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, la Summarium testium il primo dei quattro documenti che contribuiranno a preparare la Positio sulle virtù eroiche del Servo di Dio, Giovanni Paolo I.
Tratto da (CLICCA QUI)