2011.02.08 – ABROGATA PER ERRORE DAL GOVERNO L’ANNESSIONE DEL VENETO ALL’ITALIA

Dopo il passaggio delle competenze sul Canal Grande spunta un altro caso. Nel «taglianorme» finisce anche il decreto regio del 1866
VENEZIA – Ci hanno provato raccogliendo firme per complessi referendum separatisti, ci hanno riprovato processando la Repubblica italiana in piazza – e condannandola ovviamente – e hanno perfino comprato terreni su terreni alle pendici dei monti per dichiarare indipendente un’intera vallata del bellunese.
Hanno perfino costituito bande armate e hanno sfidato la prigione arrampicandosi sulla cima del campanile di San Marco, entrando in piazza con un carro armato. Mai nessun indipendentista però avrebbe pensato che fosse proprio Roma a regalare l’indipendenza al Veneto.
Eppure è andata così: per una leggerezza di qualche tecnico romano – che verrà probabilmente santificato da una certa porzione di veneti e crocifisso dai vertici politici – nel decreto «ammazzanorme» entrato in vigore il 16 dicembre 2010 con la firma del ministro per la Semplificazione normativa Roberto Calderoli, del ministro della Giustizia Angelino Alfano e perfino del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi è finito anche il Regio Decreto 3300 del 4 novembre del 1866 con il quale «le provincie della Venezia e quelle di Mantova fanno parte integrante del Regno d’Italia».
 Insomma, con una mano Roma ha tolto il Canal Grande alla città lagunare abrogando il trasferimento delle competenze e con l’altra ha restituito alla Serenissima i confini della antica Repubblica di Venezia con tanto di dominio sulle provincie lombarde fino a Mantova. «Per un momento abbiamo avuto la fortissima tentazione di dichiararci astro-ungarici – scoppia a ridere il direttore generale del Comune di Venezia Marco Agostini – ma adesso i tecnici del ministero stanno lavorando per rimettere le cose a posto». Innanzitutto per scrivere un nuovo decreto che restituisca il Canal Grande a Venezia che, anche se Calderoli ha tranquillizzato tutti è, secondo i giuristi del Comune, effettivamente passato a Roma, poi un secondo decreto per evitare che gli indipendentisti intasino i tribunali combattendo la loro battaglia per l’indipendenza con la possibile beffa delle vie legali. D’altra parte i giuristi – dopo essersi ripresi da una lunga serie di risate incredule – concordano sul fatto che non basta abrogare un Regio Decreto del 1866 per cancellare centocinquanta anni di storia scritti a chiare lettere sulla Costituzione (la Repubblica resta «una e indivisibile ») e slegare così il Veneto dal resto d’Italia. Anche alcuni leghisti potrebbero in effetti restarci male a sapere che l’eventuale – molto eventuale – indipendenza del Veneto cancellerebbe con un colpo di spugna anche l’istituzione della Regione mettendo fuori legge lo stesso Luca Zaia e tutta la Giunta a maggioranza verde-Carroccio.  
 
E non c’è dubbio che la mossa di Calderoli abbia ben poco di volontario visto che insieme a un pezzo dell’Italia con il decreto «taglianorme » del 2009 erano sparite anche le leggi che fondavano il Comune di Follonica, di Sabaudia, di Aprilia e di Carbonia (già reintegrati con un decreto salvanorme fatto d’urgenza) e il Tribunale dei minori per cui il ministero ha dovuto emanare un decreto abrogativo del decreto abrogativo. Mal di testa giuridici a parte, la confusione generata dal taglio legislativo di Calderoli è destinata ad avere conseguenze anche sul piano economico. «Indipendenza del Veneto a parte, se il ministero non chiarirà bene la vicenda sulle competenze sul Canal Grande – ammette l’assessore veneziano ed ex cassazionista Ugo Bergamo – Il primo ricorso contro una contravvenzione avrà conseguenze spiacevoli per tutti». Basta pensare che dal 16 dicembre, i vigili non hanno teoricamente più poteri sul controllo del moto ondoso e sulla velocità delle imbarcazioni che attraversano i quattro chilometri di strada acquea più famosa delmondo. La «svista»ministeriale sul Canal Grande infatti ha messo a nudo la giungla intricata di norme che regola le competenze veneziane. Solo per fare un esempio, l’area del bacino acqueo di fronte a piazza San Marco è divisa tra quattro enti di competenza – Magistrato alle Acque, Autorità Portuale, Autorità Marittima e Comune di Venezia – che non sempre si coordinano tra loro per gli interventi. Non solo: sul bacino San Marco il Comune paga un affitto di seicentomila euro all’anno per avere il controllo degli stazi e delle rive dove sostano le gondole e i taxi acquei. «E’ obiettivo dell’amministrazione comunale – conclude il consigliere comunale Beppe Caccia che è da sempre a fianco del sindaco Giorgio Orsoni su questa battaglia – ottenere il trasferimento di tutta la sovranità e delle risorse che riguardano le acque lagunari. Speriamo che la “porcata” del ministro Calderoli sia l’occasione per farla finita con il groviglio di poteri e interessi che complicano ogni giorno la vita di chi voglia vivere, lavorare e difendere la Laguna di Venezia».
Alessio  Antonini 08 febbraio 2011