Ricevimano una e-mail da Enzo TRENTIN dell' Accademia degli Uniti che ci propone quella inviata da tale Lorenzo Matteoli, ieri sabato 26 novembre 2011.
E' condivisibile la visione e l'aspettativa di un'Europa dei Popoli e delle Nazioni dei Popoli, ma ancora una volta c'è da constatare l'erroneo e fuorviante accostamento delle forze indipendentiste Venete con quelle di una inesistente padania forgiata dalla fantasia del partito italiano Lega Nord e accoliti vari.
Vedere il filmato sulla Catalonia è sicuramente incoraggiante ed entusiasma, ma il progetto politico di un'inesistente padania nulla ha a che fare con il ripristino di una Repubblica Veneta che annovera oltre mille anni di longevità… e scusate se è poco.
Mi chiedo inoltre come possa sfuggire all'attenzione del Sig. Lorenzo Matteoli l'imponente sforzo di tutti gli indipendentisti Veneti al punto da non citarli neppure tra le realtà movimentistiche della penisola italica.
Il balbettamento padano non è certo il fragore dell'intero Popolo Veneto e di quanti amano la propria Patria e si danno da fare, in un modo o nell'altro, anche con percorsi diversi, per riprisintare la sovranità del Popolo Veneto su tutte le proprie amate Serenissime Terre.
Del movimento padano sinceramente non ce ne frega un bel niente perchè non rappresenta sicuramente un bel niente per noi.
E' evidente che la padania non può avere l'unità culturale, etnica, linguistica e storica che sono premesse indispensabili per qualsiasi ipotesi di indipendenza, ma la Repubblica Veneta, di cui sembra dimenticarsi il Sig. Lorenzo Matteoli, ha oltre tremila anni di storia di un Popolo stanziato sulle proprie terre e oltre mille anni di quella che è e rimane ancora la Repubblica più longeva al mondo.
Attenzione a non confondere le fantasie politiche dei partiti italiani con quanto si sta concretamente facendo per il ripristino della sovranità del Popolo Veneto… una cosa è reclamare autonomia o indipendenza per abbindolare ancora i Veneti e per farsi eleggere a careghe di istituzioni italiane, un'altra è lottare per liberare la propria Patria dall'occupazione straniera italiana.
Sergio Bortotto, Presidente del MLNV
ecco il contenuto dell'email:
Con il dissolversi della struttura unitaria europea si rafforzeranno i movimenti per l’autonomia e l’indipendenza di specifiche sacche etniche regionali.
Paesi Baschi, Catalogna, Fiandre, Valle d’Aosta, Sud Tirolo, Sicilia e Sardegna.
Meno probabile la Padania che manca in modo totale dell’unità culturale, etnica, linguistica, storica che sono premesse indispensabili per qualunque ipotesi di indipendenza e autonomia.
Per avere una idea di cosa voglio dire e della distanza del movimento padano da una ipotesi credibile per pretendere l’autonomia e la indipendenza guardate questo video diffuso dalla Catalogna e rendetevi conto della differenza siderale con il balbettamento padano.
Si agiteranno molto, comunque.
Meno probabile la Padania che manca in modo totale dell’unità culturale, etnica, linguistica, storica che sono premesse indispensabili per qualunque ipotesi di indipendenza e autonomia.
Per avere una idea di cosa voglio dire e della distanza del movimento padano da una ipotesi credibile per pretendere l’autonomia e la indipendenza guardate questo video diffuso dalla Catalogna e rendetevi conto della differenza siderale con il balbettamento padano.
Si agiteranno molto, comunque.
ed ecco l'articolo cui fa riferimento: tratto da qui
Il sogno era l’Unità Europea.
Un sogno/utopia molto radicato nella storia.
La forza della associazione tra la antica cultura del Celti e la “ratio” Latina dei Romani. Il sogno/utopia rinnovato da Federico II Hohenstaufen (1194-1250) di uno Stato laico, libero dai dogmi di qualunque religione, dalla Sicilia al Baltico.
Lo Svevo maledetto e scomunicato che aveva anticipato di 8 secoli, nei suoi limiti di monarca medievale, la visione di una stato multiculturale, Europeo e “moderno”.
Non per nulla patrono della Comunità Europea.
Oggi stiamo assistendo all’ultimo fallimento.
O tradimento.
Qualunque sia la soluzione di questa crisi, solo in apparenza macroeconomica e finanziaria, ma sostanzialmente culturale e politica, il sogno dell’Europa unita è finito.
Sospeso sine die.
Difficile dire cosa resterà: se la visione di Paul Henry Spaak, Altiero Spinelli, Robert Schuman, Jean Monnet, oppure il senso più profondo e radicato nella storia dei Celti e dei Romani, sancito dai milioni di morti della Seconda Guerra Mondiale.
Sulle rovine di questa ultima Europa e sugli errori dell’ultima generazione di leader politici verrà costruita la prossima Europa dalla prossima generazione di leader politici.
A tempo, a tempo.
Ma adesso dobbiamo vivere e gestire questa scadenza, i suoi significati e le sue implicazioni contingenti.
Rimpiangere non serve, non serve il piagnisteo.
Un solo commento marginale: il sogno europeo muore per mano della “economic rationality”, un sottoprodotto della devastazione concettuale de-costruttivista.
Gli atteggiamenti di riserva mentale e di pauroso isolamento della Germania di Angela Merkel e della Francia di Nicolas Sarkosy non dovrebbero lasciare dubbi: il ciclo si sta rapidamente chiudendo.
La fuga degli investimenti dalla Eurozona è praticamente inevitabile e probabilmente già iniziata a livello degli scambi di credito interbancario.
La risposta della BCE, debole per espressa volontà tedesca, e insostenibile anche sul termine breve.
La catarsi dello “shorting” sui mercati si avviterà rapidamente al suicidio.
Nessuno vuole essere l’ultimo.
Se girano le voci di governi che preparano la stampa di nuove monete nazionali, anche se al momento completamente infondate, per effetto della micidiale efficacia del ciclo dell’informazione e della reazione all’informazione, queste voci saranno vere in pochi giorni.
Prepararsi al ritorno dell’Europa delle Nazioni è come minimo prudente e, forse, allo stato attuale della crisi, l’ultimo disperato strumento per innescare un riscatto positivo finale.
Ognuno con il suo debito, ognuno con la sua garanzia di pagarlo, ognuno con la sua credibilità, la sua moneta, le sue protezioni doganali e i vincoli di mobilità di lavoro e di capitale.
Barriere severe contro l’import di manifatturiero euro-cinese (cosa succederà ai de-localizzatori?), protezione delle industrie nazionali nei confronti di concorrenza straniera.
Accesso a mercati nazionali limitati.
Per imparare come ci si muove in questa nuova “geografia politica” invece di guardare avanti dobbiamo guardare indietro: all’Europa del 1950.
Quindi revisione/abrogazione di tutti i trattati di scambio commerciale e di abbattimento delle barriere tariffarie WTO, GATT e quanti altri in essere a livello bilaterale.
In questo quadro, che sarà caratterizzato da fasi iniziali assolutamente caotiche, è difficile capire chi starà meglio e chi starà peggio.
I forti esportatori saranno penalizzati dalla drastica riduzione delle aree commerciali disponibili.
Le economie medio piccole caratterizzate da buona integrazione locale saranno meno esposte alla sberla iniziale.
Le produzioni connotate da forte specificità locale (poco sostituibili) saranno più solide.
Durante la fase di assestamento delle valute e delle ragioni del loro scambio molto traffico commerciale avverrà in termini di “scambio merci” (detto anche baratto) come avveniva negli anni 60 e ancora negli anni 70 per il commercio con paesi che non avevano una valuta bancabile sui mercati finanziari internazionali (ricordo che per molti anni questo è stato il caso dell’Algeria subito dopo l’indipendenza dalla Francia).
Non riesco a capire cosa succederà all’oro: la sua utilità come mezzo di pagamento ne aumenterà il valore, ma l’aumento della massa circolante compenserà questo aumento.
Altro elemento di moderazione della quotazione dell’oro sarà la necessità che caratterizzerà il suo impiego.
Ma è impossibile prevedere come giocheranno le diverse tendenze.
Solo nella prassi sarà possibile azzardare previsioni.
Con il dissolversi della struttura unitaria europea si rafforzeranno i movimenti per l’autonomia e l’indipendenza di specifiche sacche etniche regionali.
Paesi Baschi, Catalogna, Fiandre, Valle d’Aosta, Sud Tirolo, Sicilia e Sardegna.
Meno probabile la Padania che manca in modo totale dell’unità culturale, etnica, linguistica, storica che sono premesse indispensabili per qualunque ipotesi di indipendenza e autonomia.
Per avere una idea di cosa voglio dire e della distanza del movimento padano da una ipotesi credibile per pretendere l’autonomia e la indipendenza guardate questo video diffuso dalla Catalogna e rendetevi conto della differenza siderale con il balbettamento padano. Si agiteranno molto, comunque.
Insieme all’unità Europea si dissolveranno gli “istituti” di questa struttura unitaria: 170.000 impiegati complessivamente (difficile la valutazione, prendo il numero da un articolo del Telegraph del 26 novembre 2011).
Praticamente il crollo della regione di Bruxelles la cui economia territoriale è sostanzialmente basata sulla presenza degli Istituti e del personale della Commissione e del Parlamento Europeo.
Tutti a casa: gradualmente e in tempi logisticamente ordinati, ma questa la sostanza.
Un sogno/utopia molto radicato nella storia.
La forza della associazione tra la antica cultura del Celti e la “ratio” Latina dei Romani. Il sogno/utopia rinnovato da Federico II Hohenstaufen (1194-1250) di uno Stato laico, libero dai dogmi di qualunque religione, dalla Sicilia al Baltico.
Lo Svevo maledetto e scomunicato che aveva anticipato di 8 secoli, nei suoi limiti di monarca medievale, la visione di una stato multiculturale, Europeo e “moderno”.
Non per nulla patrono della Comunità Europea.
Oggi stiamo assistendo all’ultimo fallimento.
O tradimento.
Qualunque sia la soluzione di questa crisi, solo in apparenza macroeconomica e finanziaria, ma sostanzialmente culturale e politica, il sogno dell’Europa unita è finito.
Sospeso sine die.
Difficile dire cosa resterà: se la visione di Paul Henry Spaak, Altiero Spinelli, Robert Schuman, Jean Monnet, oppure il senso più profondo e radicato nella storia dei Celti e dei Romani, sancito dai milioni di morti della Seconda Guerra Mondiale.
Sulle rovine di questa ultima Europa e sugli errori dell’ultima generazione di leader politici verrà costruita la prossima Europa dalla prossima generazione di leader politici.
A tempo, a tempo.
Ma adesso dobbiamo vivere e gestire questa scadenza, i suoi significati e le sue implicazioni contingenti.
Rimpiangere non serve, non serve il piagnisteo.
Un solo commento marginale: il sogno europeo muore per mano della “economic rationality”, un sottoprodotto della devastazione concettuale de-costruttivista.
Gli atteggiamenti di riserva mentale e di pauroso isolamento della Germania di Angela Merkel e della Francia di Nicolas Sarkosy non dovrebbero lasciare dubbi: il ciclo si sta rapidamente chiudendo.
La fuga degli investimenti dalla Eurozona è praticamente inevitabile e probabilmente già iniziata a livello degli scambi di credito interbancario.
La risposta della BCE, debole per espressa volontà tedesca, e insostenibile anche sul termine breve.
La catarsi dello “shorting” sui mercati si avviterà rapidamente al suicidio.
Nessuno vuole essere l’ultimo.
Se girano le voci di governi che preparano la stampa di nuove monete nazionali, anche se al momento completamente infondate, per effetto della micidiale efficacia del ciclo dell’informazione e della reazione all’informazione, queste voci saranno vere in pochi giorni.
Prepararsi al ritorno dell’Europa delle Nazioni è come minimo prudente e, forse, allo stato attuale della crisi, l’ultimo disperato strumento per innescare un riscatto positivo finale.
Ognuno con il suo debito, ognuno con la sua garanzia di pagarlo, ognuno con la sua credibilità, la sua moneta, le sue protezioni doganali e i vincoli di mobilità di lavoro e di capitale.
Barriere severe contro l’import di manifatturiero euro-cinese (cosa succederà ai de-localizzatori?), protezione delle industrie nazionali nei confronti di concorrenza straniera.
Accesso a mercati nazionali limitati.
Per imparare come ci si muove in questa nuova “geografia politica” invece di guardare avanti dobbiamo guardare indietro: all’Europa del 1950.
Quindi revisione/abrogazione di tutti i trattati di scambio commerciale e di abbattimento delle barriere tariffarie WTO, GATT e quanti altri in essere a livello bilaterale.
In questo quadro, che sarà caratterizzato da fasi iniziali assolutamente caotiche, è difficile capire chi starà meglio e chi starà peggio.
I forti esportatori saranno penalizzati dalla drastica riduzione delle aree commerciali disponibili.
Le economie medio piccole caratterizzate da buona integrazione locale saranno meno esposte alla sberla iniziale.
Le produzioni connotate da forte specificità locale (poco sostituibili) saranno più solide.
Durante la fase di assestamento delle valute e delle ragioni del loro scambio molto traffico commerciale avverrà in termini di “scambio merci” (detto anche baratto) come avveniva negli anni 60 e ancora negli anni 70 per il commercio con paesi che non avevano una valuta bancabile sui mercati finanziari internazionali (ricordo che per molti anni questo è stato il caso dell’Algeria subito dopo l’indipendenza dalla Francia).
Non riesco a capire cosa succederà all’oro: la sua utilità come mezzo di pagamento ne aumenterà il valore, ma l’aumento della massa circolante compenserà questo aumento.
Altro elemento di moderazione della quotazione dell’oro sarà la necessità che caratterizzerà il suo impiego.
Ma è impossibile prevedere come giocheranno le diverse tendenze.
Solo nella prassi sarà possibile azzardare previsioni.
Con il dissolversi della struttura unitaria europea si rafforzeranno i movimenti per l’autonomia e l’indipendenza di specifiche sacche etniche regionali.
Paesi Baschi, Catalogna, Fiandre, Valle d’Aosta, Sud Tirolo, Sicilia e Sardegna.
Meno probabile la Padania che manca in modo totale dell’unità culturale, etnica, linguistica, storica che sono premesse indispensabili per qualunque ipotesi di indipendenza e autonomia.
Per avere una idea di cosa voglio dire e della distanza del movimento padano da una ipotesi credibile per pretendere l’autonomia e la indipendenza guardate questo video diffuso dalla Catalogna e rendetevi conto della differenza siderale con il balbettamento padano. Si agiteranno molto, comunque.
Insieme all’unità Europea si dissolveranno gli “istituti” di questa struttura unitaria: 170.000 impiegati complessivamente (difficile la valutazione, prendo il numero da un articolo del Telegraph del 26 novembre 2011).
Praticamente il crollo della regione di Bruxelles la cui economia territoriale è sostanzialmente basata sulla presenza degli Istituti e del personale della Commissione e del Parlamento Europeo.
Tutti a casa: gradualmente e in tempi logisticamente ordinati, ma questa la sostanza.
Con la dismissione degli organici si perderà anche il patrimonio di biblioteche, scuole, archivi, conoscenze, cultura giuridica e normativa prodotto in più di 50 anni di lavoro e di pensiero comunitario (dal Trattato di Roma del 25 Marzo 1957).
Ci sono due caratteristiche ambigue del “futuro”: la prima è che la sua previsione ne facilita l’avvento e lo svolgimento, la seconda è che la sua previsione ne impedisce l’avvento e lo svolgimento.
Propongo questa mia molto schematica riflessione, che ho intitolato con affetto alla Catalogna, nell’ottica di quella delle due caratteristiche che preferite.
Se mi devo collocare: sto decisamente dalla parte della seconda.
Che la previsione di questa catastrofica ipotesi sia la premessa per bloccarla e per vincere le forze reazionarie che la stanno promuovendo.
Auguri a noi.
Ci sono due caratteristiche ambigue del “futuro”: la prima è che la sua previsione ne facilita l’avvento e lo svolgimento, la seconda è che la sua previsione ne impedisce l’avvento e lo svolgimento.
Propongo questa mia molto schematica riflessione, che ho intitolato con affetto alla Catalogna, nell’ottica di quella delle due caratteristiche che preferite.
Se mi devo collocare: sto decisamente dalla parte della seconda.
Che la previsione di questa catastrofica ipotesi sia la premessa per bloccarla e per vincere le forze reazionarie che la stanno promuovendo.
Auguri a noi.