Storia del Palazzo
Nel suo scritto “Un angolo di Napoli”, il filosofo Benedetto Croce, parlando di Palazzo Filomarino, ove egli abitava, fa ripetutamente cenno all’edificio confinante, chiamandolo “il napoletano palazzo di Venezia”.
Nonostante il richiamo crociano però l’esistenza di una sede veneziana a Napoli, è quasi del tutto sconosciuta offuscata com’è dalla notorietà del più famoso Palazzo Venezia di Roma.
Soltanto pochi mesi fa, nell’ ambito dell’importante manifestazione di “Maggio dei monumenti”, quella che era stata per circa quattrocento anni la sede dell’ambasciata veneta nel regno di Napoli è stata riaperta al pubblico.
Da molti anni, infatti, Palazzo Venezia, detto anche Palazzo di San Marco, era caduto in una sorta di oblio dovuto, per lo più, ai compilatori delle varie guide di Napoli che, probabilmente, avevano sottovalutato la rilevanza del sito; una paradossale “congiura del silenzio”, sorta spontaneamente ai danni di una costruzione dal passato tanto illustre.
Grazie però ad un gruppo di professionisti e studiosi napoletani, la prestigiosa sede dell’ambasciata veneta è ritornata a far sentire la sua voce.
Un impegno notevole, quindi, sia dal punto di vista organizzativo che finanziario; ma soprattutto un impegno a carattere totalmente privato.
Sicché due parole vanno senz’altro spese per ringraziare Gennaro Buccino e il suo staff che hanno reso possibile la ripresa e la rinascita della prestigiosa ambasciata veneta posta nel cuore di Napoli.
Gennaro Buccino, attualmente, è Presidente de l’INCANTO, la società che ha in gestione le attività di Palazzo Venezia; ma è anche un rappresentante delle migliori energie di questa città che tanto fatica a recuperare il suo prestigio.
Un uomo che, avendo nel cuore un sogno e in testa un progetto, in piena autonomia, ha scelto di impegnarsi per restituire alla città un gioiello storico da troppo tempo sottaciuto.
Uno spirito dinamico, dunque, autonomo e libero; una figura che sarebbe piaciuta a Benedetto Croce quando in Etica e Politica scriveva che la libertà : “non è fatta pei timidi e pei pigri, ma vuole interpretare le aspirazioni e le opere degli spiriti coraggiosi e pazienti, pungnaci e generosi, solleciti dell’avanzamento dell’umanità, consapevoli dei suoi travagli e della sua storia “.
Dunque, l’uomo e la cosa in un tutt’uno per una rinascita meritata.
Intanto perché il napoletano palazzo di Venezia è di almeno mezzo secolo più antico di quello romano – Il Palazzo Venezia di Roma fu costruito nel 1455 e fu ceduto dalla Chiesa alla Repubblica di Venezia nel 1564 -, poi perché attraverso di esso si possono ricostruire le vicende che, sin dal XII secolo, caratterizzarono la posizione politica e commerciale della Serenissima nell’Italia meridionale.
A ulteriore conferma dell’ importanza del sito, sta poi l’interesse per la sua storia che non era sfuggita a studiosi del calibro di Croce e di Fausto e Nicola Nicolini, i quali vi hanno dedicato più di uno scritto apparso sulla prestigiosa rivista di storia dell’architettura Napoli Nobilissima.
E ancora negli anni settanta, un importante gruppo di studiosi, collocò urbanisticamente Palazzo Venezia in un “blocco” definito come:” uno degli insiemi di fabbriche più importanti di tutto il centro antico per la peculiarità di forme artistiche e complessità di stratificazione storica”. ( AA.VV. Il centro antico di Napoli, 3 voll. Napoli, 1971 vol.II, cit.p. 215)
Dunque, in epoca angioina, lungo il napoletano decumanus inferior, oltre agli edifici religiosi sorsero importanti edifici patrizi.
Di origine trecentesca è, appunto, Palazzo Venezia che, nel 1412, fu donato alla Serenissima Repubblica di Venezia dal re Ladislao D’Angiò Durazzo interessato a concludere, con la potenza marinara, una lega contro l’Imperatore Sigismondo d’Ungheria.
L’edificio, già proprietà dei Sanseverino di Matera, fu a questi confiscato verosimilmente per la loro dichiarata fedeltà al pretendente francese.
L’intera area, facente parte del sedile di Nido, era in gran parte abitata dalle famiglie Brancaccio e Sanseverino ed ha sempre avuto una importanza capitale nella vita di Napoli, sia dal punto di vista urbanistico che dal punto di vista storico.
Ciò che oggi resta di Palazzo Venezia certo non rende giustizia al suo prestigioso passato, ma è opinione comune degli studiosi che questo edificio sia di grande rilievo e meriti ben altra attenzione, in quanto testimonianza di rapporti politici ed economici, in cui, in pieno rinascimento, la repubblica veneta e la stessa città di Napoli recitarono un ruolo di prim’ordine.
Sicché, pur privo di particolare rilievo architettonico, Palazzo Venezia ha sempre contato molto sul piano storico-politico in quanto testimonianza privilegiata ed esclusiva dei passati rapporti intercorsi tra il Regno Napoli e la Repubblica di Venezia in periodo rinascimentale.
Storicamente, infatti, è sempre stato vigoroso l’interesse di Venezia per il Mezzogiorno d’Italia e per Napoli in particolare.
Va detto subito però che tali premure furono ben lontane dal configurarsi soltanto in chiave economica e commerciale; su questo versante, infatti, Venezia era per lo più attenta ai noli e alle assicurazioni nonché alla gestione di alcuni settori merceologici come l’olio della terra d’Otranto e di terra di Bari.
I motivi fondanti che invece indussero la Repubblica veneta, intorno al 1565, a riaprire una sua rappresentanza diplomatica a Napoli, dopo l’interruzione seguita alla caduta della dinastia locale nel 1501, furono essenzialmente politici.
Il Regno di Napoli, invero, controllava la sponda cristiana all’uscita dall’Adriatico ed in più costituiva un valido baluardo contro i turchi, la cui latente ostilità con Venezia spingeva la Serenissima ad avvalersi di tutti i rapporti che potevano favorire la difesa della repubblica.
Inoltre Venezia si trovò a condividere con Napoli lo spinoso problema della pirateria barbaresca che affliggeva entrambi gli stati.
Se da un lato, dunque, la vicenda di Palazzo Venezia rappresenta la testimonianza più evidente della collaborazione politica tra la Repubblica di Venezia e il Regno di Napoli, dall’altro essa rientra in un più generale contesto di innovazione delle relazioni internazionali, anticipando quella che, in maniera piuttosto rapida, sarebbe diventata una regola generale nei rapporti fra paesi sovrani.
Nel corso del XV secolo, infatti, le relazioni internazionali furono sempre più caratterizzate da stabilità e continuità; condizioni necessarie a sostenere e favorire la sorprendente vitalità di rapporti economici, culturali e commerciali che si andavano diffondendo velocemente in Europa.
Sicché la tradizione degli ambasciatori in sede straniera, inizialmente guardata con sospetto da molti sovrani europei per i pericoli connessi agli intrighi di potere che ne sarebbero potuti derivare, era invece praticata in Germania e in Italia, paesi caratterizzati dal frazionamento della struttura politica e da un elevato tasso di particolarismo ma con la necessità di avere costanti rapporti fra le loro rispettive diplomazie.
Infatti nel 1455 rappresentanze stabili erano già a Milano, Firenze, Venezia e Napoli; tale sistema indusse a coniare l’appellativo di “residente” per indicare la figura del diplomatico.
E tale fu il titolo che ebbe il rappresentante di Venezia a Napoli all’incirca a partire dal 1565, quando la Serenissima cominciò a tenervi stabilmente suoi diplomatici.