2011.09.24 – LA RESISTENZA: QUEL 30 LUGLIO 1861… MALEDETTI BERSAGLIERI ITALIANI!


30 luglio 1861
“Pattugliando da 6 ore con un forte caldo arrivammo nei campi di Casalduni e qui scorgendo un cafone nella campagna decisi di far riposo sfruttando quel momento.
Afferratolo per il collo gli intimai di dirci chi nel suo paese fosse contrario alla nuova Italia.
Guardando fisso nel basso non pronunciava alcunché bensì ansimava.
Ed allora gli ordinai di urlare viva Vittorio Emanuele.
Ma niente.
Poi afferrata la pala gli ordinai di scavarsene la fossa e questi quasi a compiacersene si diede a farlo di gran lena.
Finito il lavoro il sergente Bertacchi ridendo di cuore lo fece entrare nello sterrato ed il disgraziato eseguì e prese a pregare come se stesse per finire di li a qualche momento la sua esistenza.
Poi fu ricoperto con la terra fino al mento e con sassi e massi intorno e sopra la testa.
Solo in quel momento, con poca voce ripeteva quanto prima gli era stato comandato.
Allora il sergente gli disse di essere libero e di andarsene ma con le sue forze.
Fu un gran ridere per tutti ed il cafone starà ancora là ad invocare il nostro amatissimo sovrano ed a cercare di uscire dalla sua tomba.”
Cesare Augusto Bracci, Capitano del 36° fanteria.
 
Dal mio libro : " 1861-1871, Dieci anni di storia nascosti"
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CASALDUNI A FERRO E FUOCO
[…]
Il 25 aprile del 1861, Carlo Melegari, bersagliere di Sua Maestà Vittorio Emanuele II, fu promosso Maggiore e prese il comando del 18° battaglione di stanza a Borgo San Donnino.
Dopo due mesi di dure esercitazioni in montagna, il neo promosso maggiore ebbe ordine dal Comando della Divisione di Piacenza di partire per Napoli agli ordini del luogotenente Generale Cialdini.
Era il 3 agosto ed il caldo soffocante fiaccava le forze della truppa.
Cialdini, sapendo che l'ozio origina sempre i vizi, per mantenere in forma i suoi soldati, li spedí sulle Mainarde a conoscere il terreno e a riparare i fili del telegrafo che i partigiani sudisti avevano distrutto.
L'11 agosto il maggiore Melegari ricevette l'ordine tassativo di rientrare immediatamente in Napoli con il suo battaglione.
I giornali riportavano la notizia della rivolta contadina di Pontelandolfo e Casalduni; poiché ormai la stampa era solo filogovemativa, la notizia venne artatamente data dalle redazioni della Luogotenenza.
Il Cialdini era consapevole che bisognava ubriacare l'opinione pubblica di sdegno contro i briganti, e perché ciò si avverasse abbisognava che i quotidiani piú importanti, a tiratura locale e nazionale, parlassero continuamente delle nefandezze e delle malvagità contadine.
Le popolazioni del Sud venivano dipinte come primitive, barbare, invasate di religione, analfabete; i partigiani regi venivano fatti passare per briganti che scannavano e decapitavano i soldati piemontesi.
Il 12 agosto al maggiore Melegari fu ordinato di presentarsi dal generale Cialdini; con solerzia si recò alla luogotenenza, dove lo ricevette il generale Piola-Caselli, che lo fece accomodare e gli disse: – Maggiore, lei avrà sentito parlare di sicuro del doloroso ed infame fatto di Casalduni e Pontelandolfo; ebbene, il generale Cialdini non ordina, ma desidera che quei due paesi debbano fare la fine di Gaeta, ossia devono essere rasi al suolo ed i suoi cittadini massacrati.
Ella, Sig. Maggiore, ha carta bianca ed è autorizzata a ricorrere a qualunque mezzo, e non dimentichi che il generale desidera che siano vendicati i soldati del povero Bracci.
Infligga a quei due paesi la piú severa delle punizioni e ai suoi abitanti faccia desiderare la morte.
Ha ben capito?.
Melegari:- Signorsí, so benissimo come si devono interpretare i desideri del generale Cialdini.
Sono stato con lui in Crimea e con lui ho fatto tutta la campagna del 1859, cosa devo fare.
Cialdini in un'altra stanza stava istruendo il generale De Sonnaz che doveva dirigere le operazioni.
Melegari partí con una compagnia di quattrocento soldati e il 13 mattina giunse a Solopaca; a mezzogiorno nei pressi di Guardia.
Alle due del mattino del 14 agosto Melegari ed i suoi quattrocento eroi avevano invaso San Lupo; fece svegliare il capitano della Guardia Nazionale al quale disse: -Capitano, mi occorrono duecento uomini, devo attaccare i briganti.
Maggiore, i briganti sono tanti e bene armati.
Ci faranno a pezzi se andiamo sul loro terreno!
rispose l'ufficiale della guardia nazionale.
Melegari: – Capitano, niente di tutto questo, non sono venuto qui per combattere contro Giordano, ora è troppo forte.
Sono venuto qui per punire gli abitanti di Casalduni; a Pontelandolfo sta dirigendosi De Sonnaz.
So cosa devo fare.
Lei deve occupare il promontorio da cui si domina la valle ed aspettare miei ordini.
Qualcuno, forse qualche parente del capitano della guardia nazionale, corse ad avvertire il sindaco di Casalduni, Ursini.
Da quel momento iniziò l'esodo dei casaldunesi verso le montagne difese dai partigiani di Giordano.
Ursini, conoscendo la storia del Piemonte, conoscendo la barbarie dei suoi ufficiali e la viltà di Cialdini, conoscendo bene le idee liberali massoniche e sapendo che quelle erano idee di conquista, idee di s'opraffazione dell'uomo sull'uomo, idee di arricchimento di pochi a spese dei piú, di libertà di pochi sui piú; idee di democrazia limitata, democrazia di ladri e ladroni; libertà di imbrogliare la gente, libertà di fare brogli elettorali, libertà di ingannare il popolo; idee di conquistare un regno felice e ricco, dove per tutti c'era lavoro; idee di rubare ai Meridionali le loro ricchezze per trasferirle al Nord, fece spargere per la città la voce che i piemontesi stavano per arrivare.
Tutti, o quasi, corsero sui monti.
Rimasero in paese solo qualche malato e qualcuno che non credeva ad una dura repressione; qualche altro pensava di farla franca restando chiuso in casa.
Alle quattro del mattino il 18° battaglione, comandato dal maggiore Melegari e guidato verso Casalduni dal liberale Jacobelli e dalla spia Tommaso Lucente, ricco nobilotto di Sepino, aveva già circondato il paese.
Melegari si attenne agli ordini ricevuti dal generale Piola-Caselli e fece disporre a schiera le quattro compagnie di cento militi ciascuna.
Dovevano aprire il fuoco di fila per incutere paura ai partigiani, che, secondo le informazioni ricevute, avrebbero dovuto difendere Casalduni da attacchi esterni; e poi attaccare il paese, baionetta in canna, di corsa, concentricamente.
Le quattro compagnie ebbero il comando di carica alla baionetta dall'eroico Melegari e cominciarono la carneficina ed il saccheggio delle case e delle chiese come erano soliti fare per poi passare ad incendiarle.
La prima casa ad essere bruciata fu quella del sindaco Ursini, indicata alla truppa dal servo nonché traditore Tommaso Lucente da Sepino.
Sentendo gli spari e le grida dei bersaglieri, i pochi rimasti in paese uscirono quasi nudi; cercavano la montagna e trovarono la morte, infilzati dalle baionette dei piemontesi.
Un certo Lorenzo D'Urso commerciante, fattosi sull'uscio per salutare i soldati, fu crivellato di colpi e poi infilzato dalle baionette; e cosí moltissimi cittadini inermi.
L'eccidio fu meno feroce che a Pontelandolfo perché appunto, la gente, avvertita, era scappata.
Dopo aver messo a ferro e fuoco Casalduni ed aver sterminato gli abitanti ivi rimasti, l'azzurro ed eroico maggiore Melegari chiamò a sé il tenente Mancini e gli ordinò di andare a Pontelandolfo per ricevere istruzioni dal generale De Sonnaz.
Dopo un' ora il tenente ritornò, scese da cavallo e rivolgendosi al suo maggiore disse: – Possiamo tornarcene a San Lupo il colonnello Negri ha distrutto completamente Pontelandolfo.
Ho visto mucchi di cadaveri, forse cinquecento, forse ottocento, forse mille, una vera carneficina!
Melegari: Ci hanno fregati quelli del 36° fanteria!
Casalduni era quasi vuota, qualcuno ha avvertito la popolazione!
Dalle alture i partigiani osservavano ciò che stava accadendo nei due paesi sanniti. Vedevano tanto fumo, sentivano gli spari dei bersaglieri, si sentivano impotenti di fronte a tanto orrore.
Molti volevano attaccare i piemontesi, anche sapendo di andare incontro a morte certa, visto il divario delle forze in campo.
Giordano e i suoi scortarono oltre duemila casaldunesi fino alle porte di Benevento.
Una volta in città Ursini chiese udienza al governatore.
Fu incarcerato!
I morti furono tanti a Pontelandolfo e Casalduni, molti di piú che a Montefalcione, San Marco e Rignano, pure eccidiate ed incendiate.
A Pontelandolfo e Casalduni i morti superarono sicuramente il migliaio, ma le cifre reali non furono mai svelate dal governo piemontese, come mai è stato svelato il numero dei morti della guerra civile del 1860-70.
Il Popolo d'Italia , giornale filo governativo e quindi interessato a nascondere il piú possibile la verità sui morti, indicò in 164 le vittime di quell'eccidio, destando l'indignazione persino del giornale francese Patrie, filo unitario, e quella del mondo intero.
Ma nessuno intervenne presso il governo dei carnefici piemontesi.
L'invasione del Sud costò la vita, l'espatrio, il carcere ed il manicomio ad un milione di persone, costò la libertà e la dignità del popolo meridionale, ma, una cosa è certa, la gente del Molise, degli Abruzzi, del basso Lazio, della Terra di Lavoro, del Sannio, della Capitanata, della Basilicata ha venduto cara la propria pelle; ha dimostrato ai piemontesi ed al mondo di avere carattere e coraggio.
Francesco II e la Regina Sofia sui bastioni di Gaeta disprezzarono la morte.
Vittorio Emanuele III di Casa Savoia nel 1943 ha dimostrato di essere un codardo.
Cosí il generale Cialdini, un vero assassino e criminale di guerra, a Custoza scappò come un coniglio di fronte all'esercito austriaco.
Il colonnello Gaetano Negri (9), milanese purosangue, scrivendo al padre dopo l'eccidio di Pontelandolfo, non mostrò alcun segno di pentimento e di umanità. Questo signore fu eletto sindaco del capoluogo lombardo negli anni ottanta. Riportiamo qui di seguito uno stralcio di quella lettera:

Napoli, agosto 1861
Carissimo papà, Le notizie delle province continuano a non essere molto liete. Probilmente anche i giornali nostri avranno parlato degli orrori di Pontelandolfo.
Gli abitanti di questo villaggio commisero il piú nero tradimento e degli atti di mostruosa barbarie; ma la punizione che gli venne inflitta, quantunque meritata, non fu per questo meno barbara.
Un battaglione di bersaglieri entrò nel paese, uccise quanti vi erano rimasti, saccheggiò tutte le case, e poi mise il fuoco al villaggio intero, che venne completamente distrutto.
La stessa sorte toccò a Casalduni, i cui abitanti si erano uniti a quelli di Pontelandolfo.
Sembra che gli aizza tori della insurrezione di questi due paesi fossero i preti; in tutte, le province, e specialmente nei villaggi della montagna, i preti ci odiano a morte, e, abusando infamemente della loro posizione, spingono gli abitanti al brigantaggio e alla rivolta.
Se invece dei briganti che, per la massima parte, son mossi dalla miseria e dalla superstizione, si fucilassero tutti i curati (del Napoletano, ben inteso!), il castigo sarebbe piú giustamente inflitto, e i risultati piú sicuri e piú pronti.. (10)
Una vera bestia immonda.
Se simili personaggi hanno fatto l'Italia una, oggi non dobbiamo piangere sulle due Italie: una ricca e prospera e l'altra povera.
Questi personaggi hanno distrutto le ricchezze del Sud, hanno massacrato e fucilato gli uomini migliori, mentre hanno costretto all'emigrazione una grande moltitudine di Meridionali.
Il 15 agosto 1861 il Generalissimo Enrico Cialdini, dalla sede dell'alto Comando di Napoli, telegrafò al ministro della guerra piemontese e quindi al mondo intero: "ieri all'alba giustizia fu fatta contro Pontelandolfo e Casalduni" […].
 
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