di EVA KLOTZ – ETTORE BEGGIATO
Una lettura insolita della battaglia di Lissa, svoltasi nel Mare Adriatico il 20 luglio 1866, nelle ultime battute della terza guerra d’indipendenza e che vide l’inaspettato tracollo della flotta tricolore di fronte a quella asburgica, ora è possibile grazie all’uscita – oggi – del libro : “LISSA, l’ultima vittoria della Serenissima (20 luglio 1866)”, edito da “Il Cerchio” di Rimini.
La storia di una sconfitta che viene vissuta ancor oggi dalla marina italiana come una tragedia, come un’onta impossibile da cancellare.
L’Autore la ricostruisce con un’ottica del tutto particolare, basandosi su documenti ed elenchi praticamente inediti e sui resoconti della stampa dell’epoca, una ricostruzione vista dalla parte dei veneti, o meglio, dalla parte di quei popoli che si riconoscevano nella Serenissima e che costituirono l’ossatura degli equipaggi della marina austriaca, “L’Imperial Regia Veneta Marina” come era ufficialmente chiamata fino a pochi anni prima.
Nel momento decisivo, all’affondamento dell’ammiraglia “Re d’Italia”, esplose fra i “nostri” marinai un “Viva San Marco” inequivocabile, quel “Viva San Marco” che testimonia ancor oggi la volontà del popolo veneto di valorizzare la propria identità, di riacquistare la propria sovranità culturale e politica.
Di seguito, vi proponiamo la prefazione e l’introduzione al libro. (Redazione)
PREFAZIONE di Eva Klotz
“La storia è un grande obitorio, dove ciascuno viene a cercare i propri morti” (Heinrich Heine)
Questo lavoro di Ettore Beggiato è un ardente riconoscimento per la sua patria veneta, un apprezzamento per la marineria veneziana e un entusiastico incitamento a scoprire e risvegliare la storia della “Serenissima”.
“Per San Marco!” era il grido di battaglia dei combattenti veneti agli ordini del celebre Contrammiraglio austriaco Wilhelm von Tegetthof durante lo scontro navale nelle acque di Lissa. “E’ vero che i marinai della Ferdinand Max (una delle navi corazzate austriache della battaglia) salutarono l’affondamento del Re d’Italia (nave italiana) gridando – Viva San Marco ! -.
E’ vero che a bordo delle navi si parlava veneto, ma questo accadeva perché il veneto era la lingua franca della marineria adriatica e perché la Marina asburgica era l’erede della Marina della Serenissima”.
Siffatte testimonianze di fedeltà e di autocoscienza risvegliano grande interesse e si legge con grande tensione e curiosità ciò che Ettore Beggiato racconta sullo svolgimento della battaglia navale di Lissa.
Gli scontri navali hanno spesso segnato il destino dell’umanità e contribuito a determinare risultati lontani nel tempo e nello spazio, apparentemente estranei agli eventi stessi.
Basti solo pensare a Salamina (480 a.C.), Farsalo (48 a.C.), Azio (31 a.C.) e Lepanto (1571 d.C.).-
Il fatto d’armi di Lissa è tuttavia particolarmente rilevante per la contiguità con sviluppi più recenti.
Dal punto di vista storico il libro di Beggiato è bene documentato e rappresenta un vero gioiello. Nelle sue pagine si riscontra un doveroso accenno ai caduti e ai feriti nel memorabile combattimento, anche se è ormai trascorso parecchio tempo.
Ad essi viene attribuito il meritato onore.
Anche i grandi protagonisti come Wilhelm von Tegetthof e Nicolò Karcovich vengono presentati nel loro rispettivo valore.
A proposito di valori sarebbe doveroso citare il comportamento di Tegetthof. Nell’euforia della vittoria il Contrammiraglio volle brindare con i suoi marinai.
Alquante bottiglie di vino furono pertanto prelevate dalla cambusa della nave ammiraglia.
Nulla di strano, sembrava.
L’alto ufficiale avrebbe invece subito una ritenuta sulla propria retribuzione equivalente al costo delle bevande mancanti senza giustificato motivo.
Ma egli non reclamò.
Sarebbe il caso di riflettere su questo poco noto particolare specialmente nei nostri tempi.
Le varie fasi della battaglia si leggono come un avvincente romanzo, anche se si tratta invece di storia, di autentica storia.
Da parte loro i lettori potrebbero soltanto aggiungere un pensiero per associazione di idee.
Se la Contessa di Castiglione non avesse agito a tempo debito nella lontana Parigi, come è ben noto, non sarebbe nemmeno scoppiata quella guerra d’indipendenza italiana, conclusa con il grazioso dono del Veneto da parte della Prussia al neonato Regno con capitale Firenze.
In tutta sincerità raccomanderei la lettura di questo libro.
Si tratta di un vantaggio e di un arricchimento perché soltanto dal passato, se si riesce a interpretarlo criticamente, ci giunge infatti la dimensione di ciò che è storicamente giusto o ingiusto.
“Chi controlla il presente controlla il passato, chi controlla il passato controlla il futuro”. (George Orwell)
Credo che poche volte come quest’anno, 2011, centocinquantesimo della cosiddetta unità d’Italia, il teorema-denuncia di G. Orwell abbia dimostrato la sua drammatica validità confermando la straordinaria capacità dell’intellettuale inglese di leggere il futuro, di descrivere quei fenomeni che poi avrebbero contraddistinto i rapporti fra i singoli e fra i popoli.
Siamo stati spettatori involontari e allibiti di una infernale (e costosa) messinscena che ha preteso di imporre una sola lettura, una sola impostazione, un solo teorema di quanto è successo durante il cosiddetto risorgimento, falsando la storia, ignorando sistematicamente le voci critiche (da Gramsci a Cattaneo), cercando di imporre logiche devastanti, come quella di “uno stato, una bandiera, un popolo, una lingua, una storia, una identità” degna erede delle impostazioni del Ministero della Cultura Popolare del ventennio.
Siamo lontani da una simile “soluzione finale”; proprio per reazione a quanto è successo quest’anno, aumentano gli “spiriti liberi” convinti che, all’interno dello stato italiano, ci siano decine di popoli, decine di bandiere, di lingue, di identità e lottano per riaffermare la loro identità, tirolese, sarda, siciliana o veneta che sia.
Ecco allora questa ricerca, questa “provocazione” per riaffermare con forza la specificità veneta, quell’essere veneti e basta, quell’appartenere a una nazione storica d’Europa che tale è almeno dal 1.200 a.C. da quando in questa terra si insediarono i primi Veneti, gli antichi Veneti o Paleoveneti che dir si voglia.
Quella nazione storica d’Europa nobilitata da millecento anni di indipendenza, che ha sempre saputo meritarsi l’ammirazione e il rispetto in tutto il mondo e che anche nel 1866 trova la forza, nella drammatica battaglia navale di Lissa, di gridare “Viva San Marco!”
Quel “Viva San Marco!” che ha caratterizzato i momenti più significativi della nostra storia veneta. E penso alla guerra di Cambray, a Famagosta, a Lepanto, alle Pasque Veronesi, a Perasto, alla resistenza antigiacobina delle valli bresciane, all’insorgenza veneta del 1809, alla rinata Repubblica Veneta del 1848-49 fino, appunto, al 1866.
Ed è significativo che quel “Viva San Marco!” emerga da una battaglia navale che vede gli “italiani” avversari dei nostri veneti e che venga gridato il 20 luglio 1866, cinque anni dopo quel 17 marzo 1861 che la propaganda nazionaltricolore ha disperatamente cercato di far passare come l’anniversario dell’unità d’Italia: una fantomatica unità, che fu, nei fatti, una guerra di espansione di casa Savoja.
Ma noi veneti, ripeto e sottolineo, nel 1861 non facevamo parte del Regno d’Italia.
Ma tutto questo è stato rimosso dalla storia ufficiale: i Veneti non hanno e non possono avere una “loro” storia.
E’ quanto emerge dai libri della scuola italiana e da quanto viene “insegnato” nelle università venete, o meglio, nelle università italiane del Veneto.
E allora mi viene in mente quanto scriveva una poeta catalano, Raimon Sanchis:
“Ti rendi conto, amico
da molti anni ormai,
ci nascondono la nostra storia,
dicono che noi non ne abbiamo;
che la nostra storia è la loro storia,
ti rendi conto amico …”
Ti rendi conto, amico, che noi veneti dobbiamo ritrovare la forza di gridare “Viva San Marco!”, di far sventolare la nostra bandiera veneta, di riappropriarci della nostra storia, della nostra identità, della nostra lingua, del nostro futuro?
In realtà la flotta Austriaca era composta quasi completamente da equipaggi provenienti dalle terre una volta soggette alla Repubblica di Venezia: dal Veneto, dal Friuli, dall’Istria, dalla Dalmazia, oltre che da Trieste e da Oltremare, e TUTTI gli ufficiali avevano studiato presso la I.R. Scuola del Collegio Navale di Venezia.
Prima del 1797 non esisteva nemmeno una marina Austriaca ed è dopo quella data che nasce col nome di “OSTERREICH – VENEZIANISCHE MARINE” (Marina Austro-Veneta), composta da ufficiali e marinai provenienti dalle terre della ex Repubblica di Venezia, i quali avevano ben recepite le sue millenarie tradizioni marinare, militari, culturali e storiche.
Nel 1849, dopo la rivoluzione Veneta capitanata da Daniele Manin, vi era stata una “austriacizzazione” nella denominazione ufficiale e l’espressione “Veneta” venne tolta; inoltre fra gli ufficiali vi era stato un certo ricambio ed il tedesco era sì diventato la lingua primaria, ma non fra gli equipaggi. Infatti questo cambiamento non poteva essere fatto in così breve tempo. I nuovi marinai continuavano ad essere reclutati nelle terre Venete dell’impero asburgico, e non certamente nelle regioni Alpine o Austriache.
NOTA In realtà potevano anche essere arruolati nell’I.R. Marina coloro che abitavano in località situate sui fiumi che sfociano in mare; così potevano essere arruolati giovani di Trento e Merano, bagnate dall’Adige, ma non di Bolzano.
Il contesto storico è quello della terza guerra d’indipendenza.
L’Italia scende ancora una volta in campo contro l’Austria-Ungheria, a fianco della Prussia.
La guerra è stata dichiarata il 20 giugno e solo 4 giorni dopo, il 24, l’esercito italiano viene sconfitto a Custoza, nei pressi di Verona, in una strana battaglia dove il numero delle perdite risulterà pesante e dove più che gli austriaci a considerarsi vittoriosi saranno gli stessi italiani a ritenersi sconfitti.
Lo smacco di Custoza non era grave militarmente ma lo era politicamente, perché il giovane regno d’Italia mostrava la sua inconsistenza nazionale di fronte all’Europa.
A questo punto bisognava ottenere una rivincita immediata di Custoza: occorreva una vittoria pronta e convincente e poiché questa vittoria non era in grado di darla l’Esercito, toccava alla Marina.
Una vittoria navale, anziché terrestre, era il riscatto.
In quell’anno il Presidente del Consiglio è il barone Bettino Ricasoli, il ministro della Marina Agostino Depretis, il comandante della flotta l’ammiraglio conte Carlo Pellion di Persano.
Poiché il governo vuole lavare l’onta di Custoza, e vuole lavarla sul mare, tocca a Persano di eseguire.
All’Ammiraglio gli è stato ordinato di “sbarazzare l’Adriatico dalle forze nemiche, attaccandole e bloccandole in qualunque posto dove si troveranno”.
In che modo, non glielo dicono.
Dovrà essere affar suo.
La flotta al comando di Persano, che è sulla nave ammiraglia “Re d’Italia”, è composta dalla squadra sussidiaria, o seconda squadra, comandata dal viceammiraglio Albini, composta da fregate e corvette di legno, e la squadra d’assedio, o terza squadra, agli ordini del contrammiraglio Vacca, con le unità minori corazzate.
La squadra da battaglia, o prima squadra, formata dalle fregate corazzate più efficienti, dipende direttamente da lui.
Il 25 giugno, il giorno dopo la sconfitta di Custoza, Persano trasferisce la flotta italiana ad Ancona ai primi di luglio azzarda una crocerina nel mezzo dell’Adriatico, rientrando in porto il 13 senza aver visto nemmeno l’ombra d’un nemico.
Il 15 luglio il ministro della Marina Depretis si presenta ad Ancona con un piano di guerra: Persano deve prendere l’isola di Lissa, previo bombardamento, e sbarcarvi un corpo di occupazione.
Lissa è una piccola isola situata di fronte alla costa Dalmata, conosciuta fin dall’antichità come Issa e più volte nominata dai Greci.
E’stata base navale della Repubblica di Venezia dal XI secolo fino alla sua “caduta”, il 12 maggio 1797, ad opera del nefando Napoleone.
Fu ceduta, dopo il trattato di Campoformido, all’Austria nell’agosto dello stesso anno, assieme agli altri possedimenti d’oltre mare di Venezia, e diventò una base navale fortificata dell’impero austro-ungarico, al comando del colonnello Urs de Margina, romeno di Transilvania.
Il 16 luglio l’ammiraglio Persano lascia Ancona con la flotta.
Sono trentatrè navi divise in tre squadre, tra corazzate (undici), unità in legno (sette), cannoniere (tre), piroscafi (sette) e carboniere.
Da un momento all’altro si attende l’arrivo della nave più potente e moderna, L “Affondatore”, una corazzata con torri mobili e uno sperone di otto metri di lunghezza.
Un ariete che è stato costruito in Inghilterra ma è in navigazione per raggiungere l’Adriatico: ed è la nave su cui la flotta italiana conta per diventare invincibile
(Ma non l’aspetta! Parte comunque).
Per prima cosa Persano manda avanti in ricognizione il suo capo di Stato Maggiore D’Amico sul “Messaggierie”, perché compia una ricognizione intorno a Lissa e riferisca sulla natura dei luoghi e sulla consistenza delle difese.
La sua relazione costituisce tutto quanto gli italiani riusciranno ad avere a disposizione, quanto a informazioni militari e all’incirca il loro obiettivo.
Su così esili basi, Persano vuole o “deve” muoversi.
Lissa sarà investita da tre gruppi di navi che attaccheranno i tre principali ancoraggi: Vacca, con tre corazzate della squadra sussidiaria, contro Porto Comisa; Albini, con la squadra d’assedio delle unità di legno, contro Porto Manego, dove sbarcherà; Persano, con la squadra dà battaglia, contro Porto San Giorgio.
Le navi “Esploratore” e “Stelle d’Italia” sono dislocate a nord e a sud dell’isola, in funzione di avvistamento.
Dunque una flotta sparpagliata un po’ qua e un po’ là, con l’unica direttiva comune di bombardare i forti del nemico e di distruggerli.
Le operazioni iniziano all’alba del 18 luglio.
Le tre squadre si mettono in movimento ed entrano in azione, ma i risultati, a sera, sono molto modesti.
Persano ha ridotto al silenzio alcune delle fortificazioni di Porto San Giorgio, mentre Albini decide di interrompere il bombardamento dopo un paio di bordate contro Porto Manego.
Anche Vacca non si comporta meglio del collega.
Apre il fuoco contro porto Comisa, ma subito anche lui ritiene di averne abbastanza e dà ordine di smettere.
A questo punto Persano convoca Albini e Vacca per un consiglio di guerra.
Invece di spiegarsi e di trovare un accordo, cominciano a litigare e si lasciano furibondi, senza avere concluso niente.
Quale contraltare a questo, la allora marina Italiana era in netto contrasto nel suo interno e la rivalità fra le sue tre componenti (la Siciliana o Garibaldina, la Napoletana e la Sardo-Ligure) era assai grande e notevole.
Inoltre fra i comandanti delle tre squadre vi era non solo divisione, ma anche rancore: infatti tra l’ammiraglio Persano, l’ammiraglio Albini e l’ammiraglio Vacca vi addirittura odio!
Gli ordini, poi, venivano dati nelle rispettive lingue, o dialetti, ed in tale modo era del tutto evidente che fra gli equipaggi Italiani regnasse il caos più grande!
Il giorno dopo riprende l’attacco ai forti ma alla fine l’esito sarà ancora quello del giorno prima, cioè molto modesto.
Verso sera arriva il tanto atteso “Affondatore”, con due pirofregate e una corvetta, a bordo delle quali vi sono centoventicinque fanti di marina.
Tegetthoff ha sette corazzate di ferro, più vecchie e meno veloci di quelle italiane anche se bene armate.
In tutto dispone di ventisette navi e di 178 cannoni a canna liscia, contro i 252 cannoni italiani a canna rigata.
Si trova quindi in condizioni di inferiorità.
Divide le sue forze in tre squadre, prende il comando della prima e affida le altre due al capitano di vascello Petz e al capitano di fregata Eberle.
Egli è imbarcato sulla corazzata “Ferdinand Max”, l’ammiraglia che è al comando del capitano di fregata Sternack, e dirige verso Lissa.
Nella notte tra il 19 e il 20 luglio Persano è stato raggiunto dalla nave di trasporto “Piemonte” con altri cinquecento uomini di fanteria di marina, perché questo è il giorno in cui lo sbarco deve aver luogo a ogni costo.
Alle 7.50 del mattino del 20 luglio 1866 la nave “Esploratore” avvista la flotta austriaca in navigazione e avvisa l’ammiraglio italiano.
Alle 8.10 Persano ordina ad Albini di sospendere le operazioni di sbarco.
Non è più tempo di pensare all’occupazione dell’isola.
Ora si tratta di affrontare in battaglia gli austriaci.
Raduna frettolosamente le sue navi disperse per così contrastare in forze il nemico che sta avanzando in triplice formazione a cuneo.
Persano divide le navi in tre gruppi: in testa, la “Principe di Carignano”, la “Castelfidardo” e l”‘Ancona” al comando di Vacca; al centro la “Re d’Italia”, la “Palestro” e la “San Martino” ai suoi ordini; infine la “Re di Portogallo”, la “Terribile”, la “Varese” e la “Maria Pia” affidate al capitano di vascello Riboty.
Alle 11.15 la battaglia incomincia con il primo colpo di cannone, sparato dalla “Principe di Carignano”, al quale gli austriaci rispondono furiosamente.
Le prime navi di Tegetthoff passano arditamente nel varco tra L “Ancona” e la “Re d’Italia”.
Vacca accosta sulla sinistra, con il proposito di concentrare insieme con Riboty il fuoco delle sue corazzate sulle navi di legno austriache, ma le sue unità sono ormai distanziate tra loro.
Mentre Vacca ne ha abbastanza e si allontana, Tegetthoff punta alI’attacco della squadra italiana di centro, quella di Persano, con il grosso delle sue forze.
La “Ferdinand Max” piomba tra le navi di Persano, che nel frattempo era trasbordato sull “Affondatore”, e in questo preciso istante Tegetthoff si accorge che la “Re d’Italia” è ferma per un colpo che le ha bloccato il timone.
L’ammiraglia austriaca la sperona cogliendola in pieno al centro, sfasciandole la fiancata.
Mentre Albini resta inattivo, sotto costa, sulla “Maria Adelaide”, senza che le sue navi di legno sparino un solo colpo di cannone, e Vacca si allontana, una cannonata austriaca centra la “Palestro” che sta tentando di correre in soccorso della “Re d’Italia”.
Purtroppo il colpo di cannone va a finire sul deposito di carbone provocando l’esplosione della santabarbara e quindi l’affondamento della nave con duecentocinquanta fra ufficiali e marinai.
Resta ora per Tegetthoff il terzo gruppo di navi italiane e infatti la “Kaiser” di Petz muove all’attacco della “Re di Portogallo” di Riboty.
Questi accosta violentemente e le due navi strusciano l’una contro l’altra.
E la “Kaiser” a riportare i danni più gravi, sbandando in fiamme.
Persano se ne rende conto e vorrebbe finirla, speronandola con l’ariete del suo “Affondatore”.
Ma non sa bene come manovrare la nuovissima unità e va a finire che I “Affondatore” manca il bersaglio e la “Kaiser” può scamparla.
Vacca, vista colare a picco la “Re d’Italia, su cui crede imbarcato Persano, immagina che l’ammiraglio sia morto e che tocchi a lui prendere il comando.
Nessuno gli ha riferito che Persano si era invece trasferito sull’Affondatore.
Tenta allora di raccogliere intorno a sé quanto gli è possibile di corazzate italiane.
Ma Tegetthoff ha dato il segnale di radunata.
Sono le 11.45 e il combattimento è finito.
Gli italiani hanno avuto due navi affondate e seicentoquaranta marinai annegati con esse, oltre a otto morti e quaranta feriti in combattimento.
Gli austriaci trentotto morti e centotrentotto feriti.
L’ammiraglio italiano, scombussolato e fuori di sé, esitò nell’inseguire il nemico, così gli austriaci se ne andarono indisturbati e Persano non approfittò delle otto ore di luce a sua disposizione prima del tramonto, per mettersi a caccia di Tegetthoff e attaccarlo.
L’infausta giornata si concluse con il ritorno, alle 22.30, di alcune navi italiane nelle acque della battaglia per raccogliere quei naufraghi di cui fosse stato possibile ancora il salvataggio.
Nella primavera del 1867 l’ammiraglio Persano venne messo sotto processo per la sconfitta di Lissa.
Guido Piovene, il grande scrittore ed intellettuale Veneto del ‘900, disse che “la battaglia di Lissa fu l’ultima grande vittoria della Marina Veneziana”.
In poco più di una sola ora l’abilità di Tegetthoff e il valore dei marinai Veneti ha consentito alla marina Austro-Veneta (come la chiamano ancora gli storici austriaci) di riportare una vittoria meritata.
Le perdite sono state complessivamente di 620 mori e 40 feriti fra gli equipaggi Italiani, e di 38 morti e 138 feriti fra quelli austro-veneti.
1) – L’ammiraglio comandante Willhelm von Tegettoff, benchè fosse in tutto e per tutto un Deutschosterreicher, era registrato a chiare lettere nell’apposito registro come Guglielmo Tegetthoff – e questo lo si può ancora vedere presso l’archivio dell’attuale Collegio Navale Francesco Morosini di Venezia.
2) – Tutti gli ufficiali erano a perfetta conoscenza della lingua Veneta, al punto che gli ordini venivano in lingua Veneta! NOTA. Nell’I.R. Marina Austro-Ungarica la lingua d’uso dagli ufficiali ai marinai fu sempre, fino al 1918, la lingua Veneta, nonostante i vani tentativi dell’ammiraglio Horty di introdurre la lingua ungherese.
3) – Il Nocchiero che era al timone della ammiraglia Austriaca, la “Ferdinand Maximilian”, e che speronò affondandola l’ammiraglia Sardo-Ligure-Siculo-Napoletana, la “Re d’Italia”, si chiamava Vincenzo Vianello, da Pellestrina, detto el Graton e fu decorato con la medaglia d’oro al valor militare da Francesco Giuseppe: fu una delle tre medaglie d’oro e delle cento quaranta d’argento elargite in quel giorno ai marinai Veneti ( su un totale di 14 d’oro e di 240 d’argento: le altre furono concesse agli ufficiali austriaci!)
4) – Al momento dello speronamento, Tegetthoff disse in Veneto al Vianello daghe dentro, Nino, che i butemo a fondi!
5) – Al momento dell’affondamento della nave Italiana, da quelle Austriache si levò un solo grido VIVA S. MARCO
Artefice della vittoria della flotta austriaca nella battaglia di Lissa.
Secondo di cinque figli, Wilhelm von Tegetthoff nacque nell’allora Impero austriaco il 23 dicembre 1827 a Marburgo, in Stiria (attualmente Maribor, in Slovenia), da una nobile famiglia originaria della Vestfalia.
Suo bisnonno servì il Sacro Romano Impero come capitano di cavalleria durante la guerra dei sette anni (1756-1763) ed elevato alla nobiltà ereditaria da Maria Teresa, un suo prozio, Joseph von Tegetthoff, fu cavaliere dell’Ordine militare di Maria Teresa.
Suo padre, Karl von Tegetthoff, entrò nell’Esercito imperiale nel 1805, l’anno prima che Napoleone Bonaparte dichiarasse di non riconoscere più l’esistenza del S.R.I. della nazione germanica, la cui terra governata dalla Casa d’Asburgo divenne quindi nota come Impero austriaco.
Karl von Tegethoff combatté la guerra di liberazione contro Napoleone (1813-1815) ed in seguito trasferito alla guarnigione di Marburgo.
Sua madre invece era figlia di un impiegato civile di Praga.
Il 28 novembre 1840, allora tredicenne, Guglielmo di Tegetthoff entrò nella Imperial e regia scuola dei cadetti di marina alloggiato negli stabili dell’antico monastero di Sant’Anna, a Castello, Venezia.
All’epoca l’Imperial Regia marina austriaca subiva ancora l’influenza della componente veneta, la base navale e l’arsenale erano anch’essi basati nella città del leone di San Marco e Tegetthoff venne preparato alla carriera imparando il veneto, lingua di comando della Marina.
Il 21 luglio 1845 Tegetthoff completò il ciclo di studi, di tredici membri della sua classe solo due completarono il corso.
Alla campagna del 1848 non prese parte in mare, ma come aiutante di campo del viceammiraglio Anton Stephan Ritter von Martini e del feldmaresciallo-luogotenente Ferencz Gyulai; nel 1849 fu sull’ Adria al blocco di Venezia.
L’anno 1854 ebbe il primo comando, quello della scuna Elisabetta, d’onde passò sul Taurus.
Le stazioni del Levante e del Mar Nero gli procacciarono distinzione e presto anche il favore dell’arciduca Massimiliano.
Una campagna scientifica nel Mar Rosso, ed il comando del Friedrich al Marocco, una campagna al Brasile in qualità di aiutante dell’arciduca riempiono il periodo 1857-1860; l’autunno del quale ultimo anno fu comandante il Radetsky nei mari di Siria.
Si distinse durante la guerra dei Ducati affrontando, il 9 maggio 1864, al comando di una formazione austro-prussiana al largo di Helgoland, forze navali danesi.
Conquistò fama quale artefice della clamorosa e bruciante sconfitta italiana nella battaglia di Lissa del 20 luglio 1866, quando la flotta austro-veneta, formata in prevalenza da vascelli obsoleti, sbaragliò quella italiana, affondando due corazzate e causando la perdita di 640 uomini.
Va ricordato che la flotta italiana contava un numero superiore di navi, per giunta di fattura moderna.
Una, l’Affondatore, era stata costruita addirittura in Inghilterra e dotata di un rostro di otto metri.
All’ammiraglio Tegetthoff viene anche attribuita una celebre frase di scherno nei confronti dei nemici: «Navi di legno comandate da uomini con la testa di ferro hanno sconfitto navi di ferro comandate da uomini con la testa di legno», con la quale voleva forse attribuire la responsabilità della sconfitta ai comandi italiani, in particolare a Carlo Pellion di Persano.
Il 25 febbraio 1868 Francesco Giuseppe I nominò infine Tegetthoff comandante della marina e capo della Marinesektion.
Negli anni successivi venne dato avvio al programma di sviluppo della marina concepito dall’ammiraglio, con l’istituzione di scuole di addestramento e corsi di formazione, nonché con l’inizio di spedizioni all’estero per temprare gli equipaggi, allacciare rapporti commerciali e diffondere il prestigio della k.u.k. Kriegsmarine.
Quando l’ammiraglio Tegetthoff morì a Trieste di polmonite, il 7 aprile 1871, all’eroe di Lissa vennero tributati grandi onori militari a Vienna.
Alla morte di Tegetthoff, monumenti in suo onore vennero innalzati a Vienna, Marburgo e Pola, porto militare principale dell’impero.
In quella che viene ricordata come l’ultima vittoria della Serenissima, dopo la precedente disfatta italiana a Custoza, particolarmente significativa perché combattuta sul campo di battaglia preferito di Venezia, il mare, molti Veneti persero la vita forse con la consapevolezza che l’italia non avrebbe portato nulla di quanto promesso, come libertà e uguaglianza, ma solo miseria e sottomissione.
Si dice che la storia è scritta dai vincitori, ma non lo fu in questo caso, con gli italiani battuti su entrambi i fronti, tanto da far sbottare l’allora imperatore francese, Napoleone III, con la celebre frase “Un’altra sconfitta e mi chiederanno Parigi”, indirizzata alle questuanti armate italiane, scevre di successi, ma provvide di richieste.
Altrettanto ignobile fu il comportamento dell’italia alla fine delle ostilità, per legittimare infatti quel vero e proprio genocidio perpetrato contro i Veneti, contro la loro storia e cultura, l’italia semplicemente cancellò con un colpo di spugna tutto ciò che esisteva prima di quel famigerato 1866.
Dai libri di “storia” spariscono allora Lissa e Custoza e soprattutto viene negato ai valorosi eroi Veneti che combatterono contro l’invasione delle nostre terre, probabilmente considerati nemici da parte del regime italiano e soprattutto pericolosi, in quanto alle generazioni future avrebbero instillato il dubbio, la curiosità di scoprire da che motivazioni furono spinti quegli uomini di ferro su navi di legno, che sconfissero gli uomini di legno su navi di ferro, che ora indottrinano e mercificano i nostri giovani.
Riportiamo quindi, col capo chino in segno di rispetto, alcuni nomi di valorosi che caddero quel giorno, in cuor loro convinti di aver difeso la propria Patria, ultimi vittoriosi caduti per Venezia.
Medaglie d’oro:
PENSO TOMMASO Chioggia
VIANELLO VINCENZO detto GRATAN Pellestrina – Venezia
Medaglie d’argento di prima classe:
ANDREATINI ANTONIO Venezia
PENZO TOMMASO detto OCCHIAI Chioggia
MODERASSO ANTONIO Padova
PREGNOLATO PAOLO Loreo – Rovigo
GHEZZO PIETRO Malamocco – Venezia
DALPRA’ MARCO Venezia
FILIPUTTI ANGELO Palmanova – Udine
DINON GIROLAMO Maniago – Udine
VARAGNOLO ROMA PIETRO FERDINANDO Chioggia
FILIPPO GIUSEPPE Palmanova – Udine
VIDAL BORTOLO detto STROZZA Burano – Venezia
Medaglie d’argento di seconda classe:
GAMBA FRANCESCO Chioggia
ROSSINELLI FEDERICO Venezia
CAVENAGO GIOACCHINO Padova
SCARPA ANGELO ZEMELLO Pellestrina – Venezia
BOUTZEK IGNAZIO Venezia
BUSETTO GIOVANNI ANTONIO Pellestrina – Venezia
PITTERI LUIGI Venezia
GIANNI GIUSEPPE Chioggia
CEROLDI LUIGI GIOVANNI Venezia
MOLIN LUIGI Burano – Venezia
RAVAGNAN GAETANO Donada – Rovigo
SCARPA TOMMASO Chioggia
BORTOLUZZI FERDINANDO Venezia
PREGNOLATTO DOMENICO Contarina – Rovigo
GALLO EUGENIO PAOLO Adria – Rovigo
BOSCOLO LUDOVICO Chioggia
FERLE REDENTORE Venezia
GRASSO LUIGI ANTONIO Chioggia
MARELLA LUIGI ANTONIO Chioggia
NARDETTO DOMENICO Padova
LAZZARI FRANCESCO Venezia
GARBISSI PIETRO Venezia
AMBROSIO ANSELMO Latisana – Udine
FANUTO DOMENICO Venezia
SALVAZZAN ANTONIO Padova
ALLEGRETTO LUIGI Burano – Venezia
VIDALI MASSIMILIANO Maniago – Udine
MARCOLINA ANTONIO Maniago – Udine
VARISCO FRANCESCO Chioggia
BENETTI PASQUALE Padova
BUSETTO CARLO Pellestrina – Venezia
PENSO LUIGI detto MUNEGA Chioggia
NOVELLO RINALDO Venezia
SCOLZ PASQUALE Palmanova – Udine
BOSCOLO CASIMIRO Chioggia
VENTURINI ANGELO detto CIOCOLIN Chioggia
DONAGGIO FRANCESCO Chioggia
NORDIO LUIGI Venezia
MELOCCO detto MEOCCO GIOVANNI Venezia
BOSCOLO VINCENZO Chioggia
SFRIZO AUGUSTO Chioggia
ALLEGRETTO (NEGRETTO) AUGUSTO Burano-Venezia
GALIMBERTI GIOVANN Chioggia
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