LA SERENISSIMA E PERASTO (23 AGOSTO 1797)

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In un tragico momento storico un esempio di coraggio e di grande Amor Patrio dai nostri fratelli in San Marco di Perasto (ora Montenegro).
N.B.: nelle loro scuole insegnano storia Veneta per almeno dodici ore al mese.

 
"DALLA PARTE DEL LEONE"
di Luigi Tomaz
Ed. ANVGD Venezia.
Nel profondo delle Bocche di Cattaro, c'è il paese di Perasto, all'epoca piccola ma terribile Comunità molto antica, che per la fedeltà e per il valore in guerra era stata nominata dal Senato Veneto Gonfaloniera dell'Armata.
Per la stessa sua indomita impavidità, nel Medio Evo Perasto era stata la Gonfaloniera del Re di Serbia, col quale aveva mantenuto un patto di alleanza e di reciproca convenienza.
Per 377 anni (mica un giorno) i Perastini furano i custodi effettivi della bandiera della nave ammiraglia veneziana.
Pochi sanno che a Venezia – salvo occasioni molto rare – il vessillo di guerra non arrivava mai: esso rimaneva custodito a Perasto, nelle Bocche di Cattaro più interne.
Il Consiglio degli Anziani di Perasto eleggeva 12 Gonfalonieri, i quali giuravano di morire piuttosto che permettere alla bandiera il disonore di cadere in mano al nemico.
I "Gonfalonieri di Perasto" costituivano un Corpo indipendente della Milizia Veneta da Mar, sotto il diretto comando del Capitano Generale da Mar.
Nella Battaglia di Lepanto, nel 1571, morirono 8 Gonfalonieri su 12.
Il Capitano di Perasto era la massima Autorità Amministrativa e Militare locale; al tempo della caduta della Serenissima Repubblica, ricopriva questa Carica Giuseppe Viscovich, fratello dell'ardito comandante della "Bella Annetta" che il 20 aprile 1797 aveva annientato l'incrociatore napoleonico "Liberateur d'Italie" alle bocche del porto di Venezia.
Ippolito Nievo ha scritto: "In una sera di maggio moriva una gran regina di quattordici secoli, senza lacrime, senza dignità, senza funerali".
NON E' VERO.
La Gran Regina di quattordici secoli si è arresa qualche mese dopo, e ha avuto funerali dignitosissimi, accompagnati dal pianto sconsolato del suo antico Stato da Mar lungo tutta la Riviera Adriatica".
Fu Giuseppe Viscovich, Capitano di Perasto e Gonfaloniere, a pronunciare la famosa Orazione, col Gonfalone tra le mani bagnato dal pianto di tutto il Popolo in singhiozzi. Era il 23 agosto, tre mesi e mezzo dopo l'abdicazione dell'antico Governo veneziano.
La Fedeltà a Venezia: Allocuzione di Perasto
Tratto da: "Atti e Memorie della Società Dalmata di Storia Patria" presso la Scuola Dalmata dei SS. Giorgio e Trifone, Venezia, a cura del prof. Luigi Tomaz.
Caduta la Serenissima Repubblica in seguito all'avanzata napoleonica del 1797, l'Austria occupa militarmente la Dalmazia.
I Perastini sono costretti, ultimi fra tutti i Paesi della Repubblica, ad ammainare loro malgrado lo stendardo di San Marco, che con una mesta cerimonia, descrittaci dal contemporaneo mons. Vincenzo Ballovich, viene deposto nella Cattedrale del paese.
"I Perastini non che le genti del suo Territorio, ed altre ancora, si ragunarono dinanzi all'abitazione del Capitano ove le Venete Insegne si custodivano.
Ivi giunto il Luogotenente con dodici uomini, rappresentanti la guardia del Regio Gonfalone, armati di sciabola, seguiti da due Alfieri e preceduti da un Giudice, si recò nella Sala, dove stava la Bandiera di Campagna, e il vessillo del Gonfalone, che da più secoli la Veneta Repubblica per speciale e distinto privilegio aveva affidato al valore ed alla Fedeltà dei Perastini.
Dovevano essi levare quelle amate insegne; ma nel punto di eseguire un atto, che squarciava i loro cuori, perdettero le forze, e tante solamente ne conservarono, quante bastavano a versare un diluvio di pianto.
Il Popolo che affollato stava aspettando, e che non vedeva più nessuno uscire dalla Sala, non sapeva che pensarsi.
Mandossi un secondo Giudice del paese per ritrarne il motivo; ma questo rimase sì altamente commosso che con la sua presenza altro non fece, che aumentare la tristezza degli altri.
Finalmente il Capitano, vincendo per necessità sè medesimo, fà uno sforzo doloroso: distacca le insegne, le fa inalberare su due picche: le passa in mano ai due Alfieri, che scortati dai dodici Gonfalonieri e dal Luogotenente escono in ordinanza dalla Sala, e su' lor passi vengono ed il Capitano e li Giudici e tutti gli altri.
Appena fu visto comparire l'adorato Vessillo che diventò comune il lutto e universale il pianto. Uomini, Donne, Fanciulli tutti mandano singhiozzi, tutti spandono lacrime. Altro più non s'ode, che un lugubre gemito, contrassegno non dubbio dell'ereditario attaccamento di quella generosa Nazione verso la sua Repubblica.
Giunta la mesta comitiva in Piazza, il Capitano toglie dalle picche le insegne, e ad un tempo vedesi calar la bandiera di San Marco dalla Fortezza, che tira ventun colpi di Cannone.
Due vascelli armati per guardia del porto le rispondono con undici spari, e così fanno tutti i vascelli mercantili che ivi si trovano.
Fu questo l'ultimo atto che la fama posta a lutto diede al valor nazionale.
Le ossequiate insegne furono poste sopra un bacino; il Luogotenente le ricevette in presenza dei Giudici, del Capitano e del Popolo. Indi marciarono tutti con passo lento e malinconico alla volta della Chiesa principale.
Colà giunti, vennero accolti dal Clero e dal suo Capo, al quale si fece la consegna del venerato deposito, e lì lo pose sull'Altar Maggiore.
Allora il Conte Giuseppe Viscovich Capitano di Perasto proferì il seguente discorso, che fu tratto tratto interrotto da vivi singulti e da rivi di lacrime sorgenti ancor più dal cuore che dagli occhi:
IN STO AMARO MOMENTO,
IN STO ULTIMO SFOGO DE AMOR,
DE FEDE AL VENETO E SERENISIMO DOMINIO,
AL GONFALON DE LA SERENISIMA REPUBLICA,
NE SIA EL CONFORTO,
O CITADINI,
CHE LA NOSTRA CONDOTA PASADA,
E DE STI ULTIMI TEMPI
RENDE NON SOLO PIU' GIUSTO STO ATO FATAL,
MA VIRTUOXO,
MA DOVEROXO PAR NU.
SAVARA' DA NU I NOSTRI FIOI,
E LA STORIA DE EL ZORNO
FARA' SAVER A TUTA L'EUROPA
CHE PERARSTO
LA GA' DEGNAMENTE SOSTENUDO FIN A L'ULTIMO
L'ONOR DEL VENETO GONFALON,
ONORANDOLO CO STO ATO SOLENE,
E DEPONENDOLO
BAGNA' DE 'L NOSTRO UNIVERSAL AMARO PIANTO.
SFOGHEMOSE, CITADINI,
SFOGHEMOSE PUR,
E CO STI NOSTRI ULTIMI SENTIMENTI
SIGILEMO LA NOSTRA CARIERA
CORSA SOTO AL SERENISIMO VENETO GOVERNO,
RIVOLGEMOSE A STA INSEGNA
CHE LO RAPRESENTA
E SU DE ELA SFOGHEMO EL NOSTRO DOLOR.
PAR TREXETOSETANTASETE ANI
LA NOSTRA FEDE,
EL NOSTRO VALOR
LA GA SENPRE CUSTODIA PAR TERA E PAR MAR
PAR OGNI DOVE CHE NE GA CIAMA' I SO NEMICI.
CHE XE STAI PURE QUELI DE LA RELIGION.
PAR TREXETOSETANTASETE ANI
LE NOSTRE SOSTANXE
EL NOSTRO SANGUE,
LE NOSTRE VITE
LE XE SEMPRE STA PAR TI SAN MARCO;
E FEDELISIMI SENPRE SE GAVEMO REPUTA',
TI CO NU, NU CO TI
E SENPRE CO TI SUL MAR
SEMO STAI LUSTRI E VIRTUOXI.
NISUN CO TI NE GA' VISTO SCANPAR,
NISUN CO TI NE GA' VISTO VINTI E SPAUROXI !
E SE I TEMPI PRESENTI,
TANTO INFELISI
PAR INPREVIDENSA,
PAR DISENSION,
PAR ARBITRI ILEGALI,
PAR VIZI
OFENDENTI LA NATURA E EL GIUS DE LE XENTI,
NON TE GAVESE CAVA' VIA,
PAR TI IN PERPETUO
SARAVE STAE LE NOSTRE SOSTANXE,
EL NOSTRO SANGUE,
LA VITA NOSTRA.
E PIUTOSTO CHE VEDARTE VINTO
E DISONORA' DA I TOI,
EL CORAJO NOSTRO,
LA NOSTRA FEE
SE AVERAVE SEPELIO SOLO SOTO DE TI.
MA XA CHE ALTRO NO NE RESTA DA FAR PAR TI,
EL NOSTRO COR SIA L'ONORADISIMA TO TONBA,
E EL PIU' PURO E EL PIU' GRANDO ELOGIO
LE NOSTRE LAGREME.
Capitan Giuseppe Viscovich
Perasto, 23 agosto 1797

Dopo la Messa e le parole sopra riportate, mons. Ballovich conclude con grande chiarezza storica:
"Terminato questo discorso, Monsignor Abate ne pronunziò un altro sullo stesso soggetto e con sentimento di uguale commozione; indi il Capitano si levò, ed afferrato un lembo dello Stendardo vi pose su le labbra senza poternele divellere, e ciascuno a gara concorse a baciarlo tenerissimamente, lavandolo di calde lacrime.
Ma dovendosi una volta por fine alla cerimonia dolente, si chiusero quelle care insegne in una cassa che l'Abate collocò in un ripostiglio sotto l'Altar Maggiore.
Poiché fu compiuto questo atto di verace attaccamento, non che gli altri uffizi dettati dal cuore, il popolo taciturno uscì di Chiesa portando in volto l'impronta della tristezza, e dell'ambascia, contrassegni li più infallibili della procella dell'anima.


"Il gonfalone della Serenissima l'hanno cercato anche i soldati italiani durante la seconda guerra mondiale >>, dice un signore, distinto, seduto sulla bitta di un "mandracchio".
Parla un italiano perfetto, con leggera inflessione veneta."
Hanno messo a soqquadro la città, le chiese, i palazzi, gli archivi.
Non l'hanno trovato", sorride."
Il gonfalone è sepolto con il suo segreto.
C'era una vecchietta che lo sapeva, ma è morta tanti, tanti anni fa".
Le sue parole rompono il silenzio di un'atmosfera sin troppo quieta, stagnante, tagliata da un battente sole primaverile.
Sul lungomare le case, i palazzi, l'alto campanile di San Nicola si specchiano nelle acque del golfo che qui si biforca tra Risan e Cattaro.
Ma anche i riflessi paiono immobili: s'increspano appena, cambiano colore, prendono il verde del monte Sant'Elia o il bianco frettoloso delle nuvole.
Perasto s'è addormentata.
E devi fare uno sforzo d'immaginazione per veder rivivere la città marinara alleata di Venezia, la fiera Perasto, custode, costi quel che costi, della bandiera di guerra: il gonfalone della Repubblica di San Marco.
I perastini si erano guadagnati col sangue l'onore della custodia nella battaglia di Lepanto, e così ogni volta che Venezia muoveva la flotta contro gl'infedeli dodici giovani, che rappresentavano altrettante famiglie nobili, s'imbaricavano con la sacra effigie sul "capitano del mar", la nave ammiraglia.
E quella bandiera d'un pallido rosa con la croce di Cristo, la Madonna, San Giovanni e il Leone di San Marco riusciva come per miracolo ad infondere coraggio."
Dopo la caduta della repubblica veneta nel 1797 i perastini", dice Don Branko Sbutega, storico e conoscitore profondo del patrimonio artistico delle Bocche, "la nascosero.
Anch'io l'ho cercata, invano, per anni. Eppure è qui. Non lontano. Nei piccoli confini della città." Perasto non è un' isola, ma per secoli ha vissuto come se lo fosse.
Da un lato il mare, ai fianchi i domini turchi di Risan ed Orahovac e dietro le montagne.
Confini fragili quanto inespugnabili.
Ne sa qualcosa Rizvanagié pascià, che pur con diecimila otto mani contro trecento devoti di Maria qui perse l'onore e la testa.
Senza mura, ma con un sistema difensivo di torri, dette castelli e la fortezza di Santa Croce che domina dall'alto, la città affonda le radici nel mare per riaffiorare con le isole di San Giorgio e della Madonna dello Scarpello che vengon fuori dall'acqua come i piedi d'un gigante assiso sulla montagna.
"Perasto", continua don Branko, "va vista dal mare o dall'alto dei monti.
Solo così il suo profilo, i monumenti e le perpendicolari stradine acquistano senso.
Da quando i francesi agli inizi dell'Ottocento hanno costruito la litoranea ne hanno cambiato la prospettiva.
Anche la piazzetta centrale dove adesso ci troviamo, che prima era sede del Capitanato e pulsava di vita, oggi non serve più a nulla, tranne che per farci il mercato.
Ma al suo posto se Venezia non fosse caduta, insieme alle ambizioni di questa città, ci sarebbe la più grande basilica barocca delle Bocche di Cattaro, quarantasei metri, lunga sino al mare.
Del progetto di Giuseppe Beati rimane parte dell'abside dell'altare maggiore, due sagrestie ottagonali e l'altissimo campanile,opera di Giovan Battista Scarpa, rimasto solo, sproporzionato, nella sua monumentalità."
Chi erano i perastini?
"Gente ricca per i privilegi fiscali concessi da Venezia, abile nel commercio e anche colta.
Nel monastero di Sant'Antonio è nata la prima scuola dell'obbligo dei Balcani, e da noi esisteva anche una delle migliori accademie navali dell'Adriatico.
Qui c'erano più navi che abitanti."
Passeggiamo sul lungomare. In un'angolo, di fronte ad esili colonne, una gomena arrotolata come un serpente rimane la sola testimone dell'ultimo veliero che attraccò agli inizi del secolo.
Più avanti, una rete da pesca è stesa ad asciugare insieme a coloratissimi panni disposti a raggiera davanti alla chiesetta di San Giovanni Battista.
Le finestre sono chiuse. Silenzio.
"Ecco le sontuose dimore dei nobili capitani", riprende Don Branko, "palazzo Smekja, Viskovié, Bronka oppure lì in fondo quello dei Bujovié, progettato dall'architetto veneziano Giovanni Battista Fonte.
Per me uno dei più belli della costa dalmata!".
"Ma non bisogna lasciarsi incantare dal lusso; i perastini erano gente dura, senza scrupoli, spesso corsari al soldo del miglior offerente.
Venezia li aveva scelti per questo, trasformando Perasto in una specie di Hong Kong.
Qui c'era il mercato degli schiavi e si raccoglievano audaci avventurieri, pirati, ciurmaglia d'ogni genere e chiunque non avesse paura di aver turchi e corsari barbareschi dietro l'uscio di casa.
L'élite perastina non esitò a macchiarsi di un atroce delitto per affrancarsi dal controllo di Cattaro, che aveva il privilegio di nominare l'abate dell'isola di San Giorgio.
Una domenica del 1535 durante la Messa, appena le labbra del prelato si schiusero nell'''amen'' del Padre Nostro, un gruppo di congiurati piombò sull'altare, trafiggendo l'abate con sessanta coltellate.
Anatema e scomunica papale; per un periodo non si potè né battezzare né seppellire ma, con l'aiuto di Venezia, i perastini riuscirono a farla franca, e persino a liberarsi del controllo cattarino sull'abbazia benedettina.
Nel Settecento inizia il Rinascimento.
Perasto si trasforma nella capitale artistica e barocca delle Bocche di Cattaro.
Molto si deve ad un uomo, l'arcivescovo Andrea Zmajevié, che seppe valorizzare artisti locali come Tripo Kokolja, autodidatta ma geniale, uno dei più grandi pittori barocchi della costa.
Questi per il suo mecenate affrescò le volte della Madonna dello Scarpello, decorò la cappella e il salone del palazzo arcivescovile, e nella chiesa della Madonna del Rosario, che l'alto prelato destinò a proprio sepolcro, dipinse 'Il Mistero del Rosario'.
Sono quegli edifici scuri, in alto, sotto la fortezza di Santa Croce".
"Con la caduta della Serenissima", termina tirando il fiato e piegando leggermente il capo in un cenno di rassegnazione, "Perasto perde importanza, torna ad essere un pugno di case in quella baia dimenticata che si chiama Bocche di Cattaro.
Sotto gli austriaci i perastini chiesero di custodire anche il gonfalone della marina di Francesco Giuseppe, ma non ebbero risposta".
Se alcuni sapori antichi di Grecia o Albania sono ancora nei paesini sperduti delle Murge pugliesi o in Calabria, l'ultimo soffio della cultura veneta lo ritrovi qui, nella mentalità della gente, nelle parole, nei dolci di mandorle e miele, buoni, ma duri da spaccare i denti…
Nicolò Carnimeo
Giornalista