LA FALSA UNITA’ D’ITALIA

2023.12.05 – COME I ROTHSCHILD FINANZIARONO L’UNITA’ D’ITALIA.

La storia tradizionale ci descrive l’Unità d’Italia e il risorgimento come una concomitanza di plebisciti, moti spontanei.
Fu davvero così l’unificazione?

La realtà delle cose è alquanto diversa.
A dare forza e contributo all’espansione sabauda nella penisola italiana furono massicci finanziamenti (a debito) della famiglia Rothschild; il motore del Risorgimento fu in sostanza il denaro.
Il Regno di Sardegna diventò fortemente indebitato, al punto tale da dover trovare un modo per coprire il buco di bilancio causato dai prestiti dei Rothschild. Cavour aveva attuato grandi riforme nel paese, da strade a industrie e ferrovie.
Ma questo non bastò.
Serviva un conflitto per espandere i confini e aumentare gli introiti con cui ripagarsi i debiti finanziari: l’Unità d’Italia sarebbe stato il pretesto perfetto.

Il mio Podcast “Storie di Geopolitica” (sulle principali piattaforme di podcasting): https://open.spotify.com/show/3UiVY0f… SUPPORTA IL CANALE:   / novalectio   La community Nova Lectio: Instagram: https://www.instagram.com/novalectio/… Discord (Circolo di Mecenate): https://discordapp.com/invite/aP83NYK Fonti utilizzate: 1) Barbagallo (2001), The Rothschilds in Naples. 2) Bixio, Epistolario di Nino Bixio (1871-1873) 3) Bua (2013), Filippo Curletti. Un criminale al servizio di Cavour 4) Cameron (1957), French Finance and Italian Unity: The Cavourian Decade. 5) Romeo (2012), Cavour e il suo tempo 6) Schneid, The Second War of Italian Unification 1859–61

FINAL FANTASY XV

VENEZIA NON HA NULLA A CHE FARE CON L'ITALIA.
Ed ecco un videogioco del genere fantasy che ci racconta di una Venezia del futuro.
Final Fantasy è una delle leggende di lunga vita dello storia dei videogiochi e siamo arrivati alla versione XV.
Nel videogioco la città di Altissia è presentata come una Venezia del futuro e non solo perché viene definita la "città sull'acqua" ma perché rispecchia i suoi canali, le gondole, i suoi ponti, le caratteristiche architetture veneziane e la sua cattedrale è sagomata con la Basilica di San Marco.
La trama di FINAL FANTASY XV è un lungo viaggio tra amici per riuscire a riconquistare un reame rubato …
proprio come il regno d'italia ha rubato Venezia e la sua Serenissima Repubblica con la frode e l'inganno.
In alcuni articoli viene riferito che Hajime Tabata, game director di Final Fantasy XV, circa  vent’anni fa compì un lungo viaggio in italia, partendo da Milano e passando per Venezia, Firenze, Roma sino ad arrivare a Napoli; fu quest’esperienza a dargli l’ispirazione di questo quindicesimo capitolo.
In alcuni articoli promozionali del videogioco si parla di Venezia come se facesse parte dell'italia.
Si dice che lo stesso Hajime Tabata avrebbe cercato di ricostruire la "tipica atmosfera italiana" negli scenari del gioco tra architettura e arte culinaria, con una città ispirata del tutto a Venezia ed elementi tipici della cucina napoletana, di cui il director è perdutamente innamorato.
Ecco proprio due realtà di due civiltà colonizzate ancora oggi dallo stato straniero occupante italiano e che nulla può vantare a proprio merito.
La civiltà Veneta, di cui Venezia è una significativa portavoce non ha nulla a che fare con l'italia che da poco più di un centinaio d'anni occupa illegalmente e illecitamente i suoi territori.
Venezia non l'hanno fatto di certo gli italiani.
Venezia è e rimane ancora oggi la capitale della Serenissima Repubblica Veneta e non è certo quella che erroneamente viene definita il capoluogo veneto, che è solo una regione nell'ambito illegale italiano.
Ecco un tipico esempio di neo/colonialismo tendente a frodare le nuove generazioni dell'identità del proprio Popolo nascondendo la verità e cercando di appropriarsi della civiltà veneta e di altre Nazioni pre-unitarie.
Ed è così che la frode continua.
Ma, tanto per essere chiari … Venezia non è italia e non lo sarà mai.
WSM
Venetia 19 marzo 2018
Sergio Bortotto
Presidente del Movimento di Liberazione Nazionale del Popolo Veneto
e del Governo Veneto Provvisorio.
 
 
Nel negozio Funbox Videogiochi & Fumetti sito in via O. Marinali nr.69 a Bassano del Grappa potete trovare oltre ai vostri videogiochi preferiti anche alcune copie del nostro libro "LIBERO POPOLO IN LIBERA PATRIA", il racconto di una storia vera che come una leggenda rispecchia un pò la trama della lotta intrapresa dal Principi Lucis Noctis Caelum per riconquistare il regno rubato.
 
 

I VENETI NON SONO UNA MINORANZA ETNICA NAZIONALE DELLO STATO ITALIANO.

Ed ecco l'ennesimo inganno in danno del Popolo Veneto.
Il consiglio regionale, a maggioranza leghista e centrodestra, il 6 dicembre 2016 ha approvato il disegno di legge 116 che ridefinisce il Popolo Veneto come "minoranza nazionale".
Innanzitutto il consiglio regionale è un ente italiano e non può in alcun modo rappresentare il Popolo Veneto, tanto meno il suo presidente, esponente di un partito politico italiano, qual'è la lega.
Che mi si venga a parlare poi di Franco Rocchetta, esponente storico dei "venetisti" ci posso anche stare, venetista infatti, non indipendentista.
Non a caso l’articolo precisa che "Si tratta di un passo importante per dare maggior forza alla richiesta di autonomia speciale del Veneto – ha detto il relatore Riccardo Barbisan, capogruppo della Lega – e ora vogliamo gli stessi diritti e le stesse risorse finanziarie che lo Stato riconosce a Sudtirolo e Trentino".
Dunque “autonomia” che non ha nulla a che vedere con “indipendenza”.
C’è di che rimanere stupefatti anche della vergognosa reazione del “pd” che asserisce, secondo l’articolo, di essere scosso, considerato che fino all'ultimo ha tentato di evitare quella che considera "un'umiliazione per tutti i veneti, che non sono affatto una minoranza, ma un'operosa maggioranza italiana che ha dato il sangue per la patria”.
Il sangue dei Veneti, per la vostra patria, l’italia se l’è preso e l’ha preteso con la forza, con l’inganno, con la mistificazione di un’inesistente risorgimento.
Non dimentichiamo l’annessione militare forzata dei territori della Repubblica Veneta che per essere “giustificata” e mitigata è stata adombrata dal falso plebiscito truffa del 1866.
L’italia è uno stato a cui manca un popolo e che fonda le sue radici sull’inganno, la frode e i massacri compiuti per un’inesistente unità.
A ragion veduta viene contestato, in particolare, il fatto di trasformare i Veneti in una minoranza etnico-linguistica perché i Veneti non sono italiani.
Parlare poi di  "inventare una lingua veneta" che in realtà nessuno conosce e nessuno parla, essendoci in regione decine di dialetti che segnano province e comuni, significa essere lontani anni luce dalla realtà, perché questa è la lingua Veneta che rispecchia ciò che sono i Veneti una comunità di Genti Venete.
E allora basta con le vostre “puttanate” e i vostri giochetti da perfetti politicanti italiani, i Veneti non sono italiani e non saranno mai una minoranza nazionale italiana … “italiano sarà lei … mi son Veneto!
Ai Veneti ribadiamo di non credere a nessun partito politico che si candida in ambito italiano, neppure a quelli che si definiscono indipendentisti, stanno mentendo, cercano solo “careghe”.
« Ogni collettività umana avente un riferimento comune ad una propria cultura e una propria tradizione storica, sviluppate su un territorio geograficamente determinato (…) costituisce un popolo.
Ogni popolo ha il diritto di identificarsi in quanto tale.
Ogni popolo ha il diritto ad affermarsi come nazione. »
Dichiarazione Universale dei Diritti Collettivi dei Popoli (CONSEU – Barcellona, 27 maggio 1990)
Ma ecco cosa prevede il diritto internazionale circa le minoranze nazionali:
“Sotto il profilo normativo, il principio di autodeterminazione dei popoli è stato accolto in maniera selettiva.
In particolare, la disciplina giuridica sull’autodeterminazione non trova applicazione nel caso di gruppi etnici e delle minoranze nazionali, religiose e culturali.
Il diritto internazionale non solo nega a questi gruppi il diritto all’autodeterminazione, interna od esterna, ma non mira nemmeno a fornire rimedi alternativi di carattere generale alla condizione in cui molti di essi si trovano.”
E’ come il ciarlatano di turno, che per accaparrarsi  visibilità politica, vuole fare un referendum per il riconoscimento internazionale (istituto inesistente) del Popolo Veneto … è come negare gli oltre mille anni della Serenissima Repubblica o i reperti storici dei Paleoveneti di oltre tremila anni fa .. ma Venezia, poi, chi l'avrebbe fondata, gli italiani forse?
Smettetela di prendere in giro il Popolo Veneto e di generare confusione tra la Genti Venete.
WSM
Venetia, 23 dicembre 2016
Sergio Bortotto, Presidente del MLNV e del Governo Veneto Provvisorio
 

asino ignoranteVENEZIA
"Venexit": anche i veneti, come i sudtirolesi, pretendono di essere una minoranza nazionale dello Stato italiano e annunciano l'addio al Paese.
Dopo aver dato una spallata decisiva al referendum costituzionale e al governo Renzi, aver affossato la riforma Madia sulla pubblica amministrazione e aver confermato che la prossima primavera si terrà un altro referendum per ottenere l'autonomia speciale regionale, Venezia si dimostra sempre più lontana da Roma.
Il consiglio regionale, a maggioranza Lega e centrodestra, ha approvato oggi il contestato disegno di legge 116 che ridefinisce il "popolo veneto" come "minoranza nazionale", aprendo la strada alla dichiarazione di appartenenza etnica, al patentino di bilinguismo, all'insegnamento del veneto nelle scuole e all'uso del dialetto negli uffici pubblici e nella toponomastica, cartelli stradali compresi.
Il Veneto vuole così che lo Stato applichi in regione la Convenzione quadro europea varata dal Consiglio d'Europa per tutelare le minoranze storiche, come quella dei rom, ratificata anche dall'Italia nel 1997.
La legge, dopo l'ennesimo rinvio tra le polemiche una settimana fa, è infine passata con 27 voti a favore, 16 contrari e 5 astenuti.
A schierarsi dalla parte dei veneti minoranza e del bilinguismo i consiglieri di Lega, Lista Zaia e gruppo Tosi: contro Pd, 5 Stelle, Lista Moretti e un tosiano, astenuti Forza Italia e Fratelli d'Italia.
Il disegno di legge era stato proposto da quattro Comuni, Grantorto, Segusino, Santa Lucia di Piave e Resana e ha trovato il sostegno dell'Istituto della lingua veneta, che vede tra i responsabili uno degli "eroi" storici del venetismo, Franco Rocchetta.
In base alla legge, i Comuni veneti potranno ora imporre l'uso della "lingua veneta" nel proprio territorio, mentre le scuole dell'obbligo dovranno offrire lezioni di "dialetto". I funzionari pubblici, a partire da quelli non nati in Veneto, per ottenere il posto dovranno superare un esame, ottenere una "patente di veneticità" e dimostrare di conoscere la "lingua veneta", definizione ancora vaga su cui nemmeno linguisti e storici concordano.
"Si tratta di un passo importante per dare maggior forza alla richiesta di autonomia speciale del Veneto – ha detto il relatore Riccardo Barbisan, capogruppo della Lega – e ora vogliamo gli stessi diritti e le stesse risorse finanziarie che lo Stato riconosce a Sudtirolo e Trentino".
Scosso il Pd, che fino all'ultimo ha tentato di evitare quella che considera "un'umiliazione per tutti i veneti, che non sono affatto una minoranza, ma un'operosa maggioranza italiana che ha dato il sangue per la patria".
Secondo l'opposizione, ma pure secondo illustri giuristi, la legge approvata è "chiaramente incostituzionale e verrà bocciata dalla Consulta", ottenendo il solo risultato di "coprire di ridicolo tutti i veneti".
Contestato, in particolare, il fatto di trasformare i veneti in una minoranza etnico-linguistica e di "inventare una lingua veneta" che in realtà nessuno conosce e nessuno parla, essendoci in regione decine di dialetti che segnano province e comuni.  
Altro motivo di scontro, la data di applicazione della legge.
Secondo la maggioranza, compreso il presidente della Regione Luca Zaia, il bilinguismo e la dichiarazione di appartenenza etnica devono partire subito ed essere applicati fino ad un eventuale pronunciamento contrario della Corte costituzionale.
Pd e opposizione chiedono invece che prima di "sostenere oneri pubblici assurdi" e promuovere "discriminazioni" si attenda l'eventuale via libera della Consulta.
Ciò che è certo è che da oggi il Veneto è un altro passo più lontano da Roma e che le spinte separatiste, che non riconoscono l'annessione al regno d'Italia del 1866, hanno ottenuto un riconoscimento senza precedenti.
La "Venexit", fissata con il referendum regionale sull'autonomia, tra pochi mesi può diventare una realtà.
Tratto da (clicca qui)

UNITA’ D’ITALIA? L’ALTRA STORIA… LE STRADE DEL SUD DEDICATE AL MACELLAIO DEI MERIDIONALI.


Chissà se lo sanno.

Chissà se quelli che abitano nelle piazze e nelle vie intitolate ad Enrico Cialdini sanno chi fu quell’uomo.
Sulla targa leggono «generale ».
Ma lo sanno contro chi combatté?
Sanno che il suo nomignolo era «macellaio dei meridionali»?
Facendo una ricerca su alcuni stradari abbiamo verificato che questa toponomastica è presente in Puglia da nord a sud.
Per esempio, a Monopoli, Carbonara, Altamura, Rutigliano, Giovinazzo e Bitonto (Bari); Barletta, Andria e Bisceglie (Bat); San Severo (nel Foggiano); Nardò e Trepuzzi (nel Salento); San Pancrazio Salentino (Brindisi); Massafra (Taranto). In Basilicata c’è via Cialdini a Stigliano (in provincia di Matera).
E allora è bene chiarire che questo generale modenese Enrico Cialdini fu, obiettivamente, un capace condottiero.
Portò l’esercito sardo-piemontese alla vittoria contro i Borbone (la famiglia regnante nel Mezzogiorno).
Poi ebbe l’incarico di guidare la repressione del brigantaggio (il movimento armato che si opponeva ai Piemontesi e rivoleva i Borbone sul trono), e anche qui riuscì nell’intento.
Ma va pure detto che, sotto il suo comando, le truppe si accanirono sulla popolazione del Sud.
Con lui vi furono carneficine di civili.
Giusto per fare due esempi, ai suoi ordini, il 17 febbraio 1861, fu letteralmente rasa al suolo Mola di Gaeta, a colpi di cannone.
Poi, dopo l’unità d’Italia, con Cialdini nominato luogotenente dell’ex Regno delle Due Sicilie e, sotto il suo comando supremo, i bersaglieri ebbero mano libera nel vendicare un gruppo di loro commilitoni.
Per l’esattezza, quarantacinque soldati che furono trucidati da briganti e contadini.
Gli insorgenti meridionali si abbandonarono a raccapricciante crudeltà: il corpo del tenente Augusto Bracci fu decapitato e la testa fu portata in trionfo.
Per risposta, i bersaglieri non diedero la caccia agli assassini.
Non effettuarono rastrellamenti a raffica, arresti a decine.
No, i bersaglieri, il 13 agosto 1861, piombarono negli abitati di Pontelandolfo e Casalduni e fecero carne da porco.
Le testimonianze dell’epoca riferiscono di militari addestrati e armati fino ai denti che entravano in casa di civili e – prima di appiccare il fuoco – uccidevano la gente con la baionetta e a fucilate.
Al termine del massacro, quasi si fecero vanto di aver ridotto i due paesi in cenere.
Aurelio Lepre (in La storia. Dalla metà del Seicento alla fine dell’Ottocento, Zanichelli ed.) riporta le parole di uno dei militari, un ufficiale dell’esercito che fu testimone: «Un battaglione di bersaglieri entrò nel paese, uccise quanti vi erano rimasti, saccheggiò tutte le case e poi mise il fuoco al villaggio intero, che venne distrutto».
E Giovanni De Matteo in Brigantaggio e Risorgimento (Alfredo Guida ed.), scrive che il giorno dopo la carneficina il luogotenente colonnello Gaetano Negri, telegrafò al comando generale la lieta novella.
Questo il testo del messaggio: «Giovedì 14 agosto 1861. Ieri all’alba, giustizia fu fatta contro Pontelandolfo e Casalduni. Essi bruciano ancora».
Al massimo responsabile di quelle stragi, la Puglia e la Basilicata hanno tributato il riconoscimento più ambito, eternandone il ricordo.
Spesso le vie sono in posizione centrale.
Addirittura, a Barletta, in via Cialdini, sorge la scuola elementare.
Invece, a chi lottò sul fronte opposto, agli insorgenti che affrontarono le milizie di Cialdini, non è stato intitolato alcunché.
Non risultano vie, vicoli o tratturi, a ricordo di Pontelandolfo, di Casalduni, o delle vittime civili della conquista del Sud Italia da parte del Nord.
È giusto?
È sbagliato?
Ciascuno, oggi, è libero di valutare.
ingrosso@gazzettamezzogiorno.it
19 Febbraio 2011
 
tratto da: clicca qui

2011.09.24 – PAPERIBALDI E LO SBARCO DEI 2000 … IL LAVAGGIO DEL CERVELLO FIN DA PICCOLO!

Garibaldi eroe e Borbone Oppressore…
questo è il messaggio che traspare da un vecchio numero del giornale a fumetti Topolino (nota bene: la critica è rivolta al messaggio che traspare da quella singola storia e non al giornale in se).
Nel video viene analizzata la VERA STORIA DEL RISORGIMENTO ITALIANO utilizzando documentari e sceneggiati nella quasi totalità dei casi già presenti sul mio canale:Porta a porta, Su al Sud, TG-Mizar, Ulisse, Geo & Geo, E' una domenica sera di Novembre (di Lina wermuller), Bronte – cronaca di un massacro che i libri di storia non hanno raccontato, Garibaldi il generale, I Vecchi e i giovani (dal romanzo di Luigi Pirandello), Storie della Camorra.
La musica all'inizio è Malaunità di Eddy Napoli
 
 

2011.09.24 – LA RESISTENZA: QUEL 30 LUGLIO 1861… MALEDETTI BERSAGLIERI ITALIANI!


30 luglio 1861
“Pattugliando da 6 ore con un forte caldo arrivammo nei campi di Casalduni e qui scorgendo un cafone nella campagna decisi di far riposo sfruttando quel momento.
Afferratolo per il collo gli intimai di dirci chi nel suo paese fosse contrario alla nuova Italia.
Guardando fisso nel basso non pronunciava alcunché bensì ansimava.
Ed allora gli ordinai di urlare viva Vittorio Emanuele.
Ma niente.
Poi afferrata la pala gli ordinai di scavarsene la fossa e questi quasi a compiacersene si diede a farlo di gran lena.
Finito il lavoro il sergente Bertacchi ridendo di cuore lo fece entrare nello sterrato ed il disgraziato eseguì e prese a pregare come se stesse per finire di li a qualche momento la sua esistenza.
Poi fu ricoperto con la terra fino al mento e con sassi e massi intorno e sopra la testa.
Solo in quel momento, con poca voce ripeteva quanto prima gli era stato comandato.
Allora il sergente gli disse di essere libero e di andarsene ma con le sue forze.
Fu un gran ridere per tutti ed il cafone starà ancora là ad invocare il nostro amatissimo sovrano ed a cercare di uscire dalla sua tomba.”
Cesare Augusto Bracci, Capitano del 36° fanteria.
 
Dal mio libro : " 1861-1871, Dieci anni di storia nascosti"
In libreria o sul presso l'editore : info@falcoeditore.com
tratto da: clicca qui
 

CASALDUNI A FERRO E FUOCO
[…]
Il 25 aprile del 1861, Carlo Melegari, bersagliere di Sua Maestà Vittorio Emanuele II, fu promosso Maggiore e prese il comando del 18° battaglione di stanza a Borgo San Donnino.
Dopo due mesi di dure esercitazioni in montagna, il neo promosso maggiore ebbe ordine dal Comando della Divisione di Piacenza di partire per Napoli agli ordini del luogotenente Generale Cialdini.
Era il 3 agosto ed il caldo soffocante fiaccava le forze della truppa.
Cialdini, sapendo che l'ozio origina sempre i vizi, per mantenere in forma i suoi soldati, li spedí sulle Mainarde a conoscere il terreno e a riparare i fili del telegrafo che i partigiani sudisti avevano distrutto.
L'11 agosto il maggiore Melegari ricevette l'ordine tassativo di rientrare immediatamente in Napoli con il suo battaglione.
I giornali riportavano la notizia della rivolta contadina di Pontelandolfo e Casalduni; poiché ormai la stampa era solo filogovemativa, la notizia venne artatamente data dalle redazioni della Luogotenenza.
Il Cialdini era consapevole che bisognava ubriacare l'opinione pubblica di sdegno contro i briganti, e perché ciò si avverasse abbisognava che i quotidiani piú importanti, a tiratura locale e nazionale, parlassero continuamente delle nefandezze e delle malvagità contadine.
Le popolazioni del Sud venivano dipinte come primitive, barbare, invasate di religione, analfabete; i partigiani regi venivano fatti passare per briganti che scannavano e decapitavano i soldati piemontesi.
Il 12 agosto al maggiore Melegari fu ordinato di presentarsi dal generale Cialdini; con solerzia si recò alla luogotenenza, dove lo ricevette il generale Piola-Caselli, che lo fece accomodare e gli disse: – Maggiore, lei avrà sentito parlare di sicuro del doloroso ed infame fatto di Casalduni e Pontelandolfo; ebbene, il generale Cialdini non ordina, ma desidera che quei due paesi debbano fare la fine di Gaeta, ossia devono essere rasi al suolo ed i suoi cittadini massacrati.
Ella, Sig. Maggiore, ha carta bianca ed è autorizzata a ricorrere a qualunque mezzo, e non dimentichi che il generale desidera che siano vendicati i soldati del povero Bracci.
Infligga a quei due paesi la piú severa delle punizioni e ai suoi abitanti faccia desiderare la morte.
Ha ben capito?.
Melegari:- Signorsí, so benissimo come si devono interpretare i desideri del generale Cialdini.
Sono stato con lui in Crimea e con lui ho fatto tutta la campagna del 1859, cosa devo fare.
Cialdini in un'altra stanza stava istruendo il generale De Sonnaz che doveva dirigere le operazioni.
Melegari partí con una compagnia di quattrocento soldati e il 13 mattina giunse a Solopaca; a mezzogiorno nei pressi di Guardia.
Alle due del mattino del 14 agosto Melegari ed i suoi quattrocento eroi avevano invaso San Lupo; fece svegliare il capitano della Guardia Nazionale al quale disse: -Capitano, mi occorrono duecento uomini, devo attaccare i briganti.
Maggiore, i briganti sono tanti e bene armati.
Ci faranno a pezzi se andiamo sul loro terreno!
rispose l'ufficiale della guardia nazionale.
Melegari: – Capitano, niente di tutto questo, non sono venuto qui per combattere contro Giordano, ora è troppo forte.
Sono venuto qui per punire gli abitanti di Casalduni; a Pontelandolfo sta dirigendosi De Sonnaz.
So cosa devo fare.
Lei deve occupare il promontorio da cui si domina la valle ed aspettare miei ordini.
Qualcuno, forse qualche parente del capitano della guardia nazionale, corse ad avvertire il sindaco di Casalduni, Ursini.
Da quel momento iniziò l'esodo dei casaldunesi verso le montagne difese dai partigiani di Giordano.
Ursini, conoscendo la storia del Piemonte, conoscendo la barbarie dei suoi ufficiali e la viltà di Cialdini, conoscendo bene le idee liberali massoniche e sapendo che quelle erano idee di conquista, idee di s'opraffazione dell'uomo sull'uomo, idee di arricchimento di pochi a spese dei piú, di libertà di pochi sui piú; idee di democrazia limitata, democrazia di ladri e ladroni; libertà di imbrogliare la gente, libertà di fare brogli elettorali, libertà di ingannare il popolo; idee di conquistare un regno felice e ricco, dove per tutti c'era lavoro; idee di rubare ai Meridionali le loro ricchezze per trasferirle al Nord, fece spargere per la città la voce che i piemontesi stavano per arrivare.
Tutti, o quasi, corsero sui monti.
Rimasero in paese solo qualche malato e qualcuno che non credeva ad una dura repressione; qualche altro pensava di farla franca restando chiuso in casa.
Alle quattro del mattino il 18° battaglione, comandato dal maggiore Melegari e guidato verso Casalduni dal liberale Jacobelli e dalla spia Tommaso Lucente, ricco nobilotto di Sepino, aveva già circondato il paese.
Melegari si attenne agli ordini ricevuti dal generale Piola-Caselli e fece disporre a schiera le quattro compagnie di cento militi ciascuna.
Dovevano aprire il fuoco di fila per incutere paura ai partigiani, che, secondo le informazioni ricevute, avrebbero dovuto difendere Casalduni da attacchi esterni; e poi attaccare il paese, baionetta in canna, di corsa, concentricamente.
Le quattro compagnie ebbero il comando di carica alla baionetta dall'eroico Melegari e cominciarono la carneficina ed il saccheggio delle case e delle chiese come erano soliti fare per poi passare ad incendiarle.
La prima casa ad essere bruciata fu quella del sindaco Ursini, indicata alla truppa dal servo nonché traditore Tommaso Lucente da Sepino.
Sentendo gli spari e le grida dei bersaglieri, i pochi rimasti in paese uscirono quasi nudi; cercavano la montagna e trovarono la morte, infilzati dalle baionette dei piemontesi.
Un certo Lorenzo D'Urso commerciante, fattosi sull'uscio per salutare i soldati, fu crivellato di colpi e poi infilzato dalle baionette; e cosí moltissimi cittadini inermi.
L'eccidio fu meno feroce che a Pontelandolfo perché appunto, la gente, avvertita, era scappata.
Dopo aver messo a ferro e fuoco Casalduni ed aver sterminato gli abitanti ivi rimasti, l'azzurro ed eroico maggiore Melegari chiamò a sé il tenente Mancini e gli ordinò di andare a Pontelandolfo per ricevere istruzioni dal generale De Sonnaz.
Dopo un' ora il tenente ritornò, scese da cavallo e rivolgendosi al suo maggiore disse: – Possiamo tornarcene a San Lupo il colonnello Negri ha distrutto completamente Pontelandolfo.
Ho visto mucchi di cadaveri, forse cinquecento, forse ottocento, forse mille, una vera carneficina!
Melegari: Ci hanno fregati quelli del 36° fanteria!
Casalduni era quasi vuota, qualcuno ha avvertito la popolazione!
Dalle alture i partigiani osservavano ciò che stava accadendo nei due paesi sanniti. Vedevano tanto fumo, sentivano gli spari dei bersaglieri, si sentivano impotenti di fronte a tanto orrore.
Molti volevano attaccare i piemontesi, anche sapendo di andare incontro a morte certa, visto il divario delle forze in campo.
Giordano e i suoi scortarono oltre duemila casaldunesi fino alle porte di Benevento.
Una volta in città Ursini chiese udienza al governatore.
Fu incarcerato!
I morti furono tanti a Pontelandolfo e Casalduni, molti di piú che a Montefalcione, San Marco e Rignano, pure eccidiate ed incendiate.
A Pontelandolfo e Casalduni i morti superarono sicuramente il migliaio, ma le cifre reali non furono mai svelate dal governo piemontese, come mai è stato svelato il numero dei morti della guerra civile del 1860-70.
Il Popolo d'Italia , giornale filo governativo e quindi interessato a nascondere il piú possibile la verità sui morti, indicò in 164 le vittime di quell'eccidio, destando l'indignazione persino del giornale francese Patrie, filo unitario, e quella del mondo intero.
Ma nessuno intervenne presso il governo dei carnefici piemontesi.
L'invasione del Sud costò la vita, l'espatrio, il carcere ed il manicomio ad un milione di persone, costò la libertà e la dignità del popolo meridionale, ma, una cosa è certa, la gente del Molise, degli Abruzzi, del basso Lazio, della Terra di Lavoro, del Sannio, della Capitanata, della Basilicata ha venduto cara la propria pelle; ha dimostrato ai piemontesi ed al mondo di avere carattere e coraggio.
Francesco II e la Regina Sofia sui bastioni di Gaeta disprezzarono la morte.
Vittorio Emanuele III di Casa Savoia nel 1943 ha dimostrato di essere un codardo.
Cosí il generale Cialdini, un vero assassino e criminale di guerra, a Custoza scappò come un coniglio di fronte all'esercito austriaco.
Il colonnello Gaetano Negri (9), milanese purosangue, scrivendo al padre dopo l'eccidio di Pontelandolfo, non mostrò alcun segno di pentimento e di umanità. Questo signore fu eletto sindaco del capoluogo lombardo negli anni ottanta. Riportiamo qui di seguito uno stralcio di quella lettera:

Napoli, agosto 1861
Carissimo papà, Le notizie delle province continuano a non essere molto liete. Probilmente anche i giornali nostri avranno parlato degli orrori di Pontelandolfo.
Gli abitanti di questo villaggio commisero il piú nero tradimento e degli atti di mostruosa barbarie; ma la punizione che gli venne inflitta, quantunque meritata, non fu per questo meno barbara.
Un battaglione di bersaglieri entrò nel paese, uccise quanti vi erano rimasti, saccheggiò tutte le case, e poi mise il fuoco al villaggio intero, che venne completamente distrutto.
La stessa sorte toccò a Casalduni, i cui abitanti si erano uniti a quelli di Pontelandolfo.
Sembra che gli aizza tori della insurrezione di questi due paesi fossero i preti; in tutte, le province, e specialmente nei villaggi della montagna, i preti ci odiano a morte, e, abusando infamemente della loro posizione, spingono gli abitanti al brigantaggio e alla rivolta.
Se invece dei briganti che, per la massima parte, son mossi dalla miseria e dalla superstizione, si fucilassero tutti i curati (del Napoletano, ben inteso!), il castigo sarebbe piú giustamente inflitto, e i risultati piú sicuri e piú pronti.. (10)
Una vera bestia immonda.
Se simili personaggi hanno fatto l'Italia una, oggi non dobbiamo piangere sulle due Italie: una ricca e prospera e l'altra povera.
Questi personaggi hanno distrutto le ricchezze del Sud, hanno massacrato e fucilato gli uomini migliori, mentre hanno costretto all'emigrazione una grande moltitudine di Meridionali.
Il 15 agosto 1861 il Generalissimo Enrico Cialdini, dalla sede dell'alto Comando di Napoli, telegrafò al ministro della guerra piemontese e quindi al mondo intero: "ieri all'alba giustizia fu fatta contro Pontelandolfo e Casalduni" […].
 
tratto da: clicca qui

2011.08.16 – CONCLUSIONE … FORZATAMENTE ITALIANI.

L’invasione piemontese del pacifico Stato delle Due Sicilie fu ben piú di una semplice sconfitta militare e si può affermare che essa ha tanto inciso sulla nostra vita sociale ed economica che ancora oggi viviamo nell’atmosfera creata da quell’evento, dal quale sono nati tutti i nostri mali presenti.
Gli effetti di una sconfitta militare, infatti, per quanto terribili, col tempo vengono sanati se il territorio e la popolazione non vengono annessi a quelli del vincitore.
Per le Due Sicilie, invece, a causa della particolare posizione geografica, senza soluzione di continuità territoriale con il resto della penisola italiana, l’annessione ha prodotto effetti cosí devastanti che la coscienza del popolo stesso ne è stata alterata.
La storia piú che millenaria del Sud, ricca di immense glorie e di immani tragedie, prima dell’occupazione piemontese era stata la storia di un popolo che non aveva mai perso, nel bene e nel male, la propria identità nazionale.
È stata, dunque, questa perdita, causata dalla forzata unione con gli altri popoli della penisola, il piú grave danno inferto al Popolo Duosiciliano.
Il Regno delle Due Sicilie proprio nel 1860 si stava trasformando in un grande Stato moderno.
C’erano tutte le premesse, perché allora era una tra le piú progredite nazioni d’Europa, ma la delittuosa opera delle sette che governavano la Francia e l’Inghilterra e la sete di conquista savoiarda ne distrussero i beni e le tradizioni, compiendo un vero e proprio genocidio umano e spirituale.
Come fu precisato da Lemkin, che definí per primo il concetto di genocidio, esso "non significa necessariamente la distruzione immediata di una nazione … esso intende designare un piano coordinato di differenti azioni miranti a distruggere i fondamenti essenziali della vita dei gruppi nazionali …
Obiettivi di un piano siffatto sarebbero la disintegrazione delle istituzioni politiche e sociali, della cultura, della lingua, dei sentimenti nazionali, della religione e della vita economica dei gruppi nazionali, e la distruzione della sicurezza personale, della libertà, della salute, della dignità e persino delle vite degli individui … non a causa delle loro qualità individuali, ma in quanto membri del gruppo nazionale".
Si dice, inoltre, che vi sono due metodi per cancellare l’identità di un popolo: il primo, quello di distruggere la sua memoria storica; il secondo, quello di sradicarlo dalla propria terra per mischiarlo con altre etnie.
Noi Duosiciliani abbiamo subíto entrambi i soprusi, ma fortunatamente, per la nostra storia di quasi tremila anni, il nostro inconscio collettivo ci ha salvati in parte dalla distruzione della nostra identità nazionale.
La principale causa del crollo delle Due Sicilie va, senza dubbio, inquadrata nel marciume generato dalla corruzione massonica.
Esso era dappertutto: nelle articolazioni statali, nell’esercito, nella magistratura, nell’alto clero (fatta salva gran parte dell’episcopato), nella corte del Re, vera tana di serpenti velenosi.
Infatti, come ha esattamente analizzato Eduardo Spagnuolo: "addebitare ai piemontesi le colpe del nostro disastro è vero solo in parte e contrasta anche con i documenti dell’epoca.
La responsabilità della perdita della nostra indipendenza e della nostra rovina è per intero della classe dirigente duosiciliana, che si fece corrompere in ogni senso.
Non a caso le bande guerrigliere piú motivate, come quella del generale Crocco e del sergente Romano, si muovevano per colpire, innanzitutto, i collaborazionisti e gli ascari delle guardie nazionali".
L’opposizione armata, tuttavia, fu soltanto un aspetto della piú vasta resistenza all’invasione piemontese, perché la resistenza si sviluppò per anni in modo civile. Numerose furono le proteste della magistratura e dei militari, le resistenze passive dei dipendenti pubblici e i rifiuti della classe colta a partecipare alle cariche pubbliche. Moltissime le manifestazioni di malcontento della popolazione, soprattutto nell’astensione alla partecipazione ai suffragi elettorali, e la diffusione, ad ogni livello, della stampa legittimista clandestina contro l’occupazione piemontese.
Mai, nella sua storia, lo Stato delle Due Sicilie aveva subito una cosí atroce invasione. Quante ricchezze, inoltre, furono distrutte insensatamente, che avrebbero potuto fare veramente grande l’Italia.
L’economia dell’Italia meridionale, poi, ebbe un crollo verticale non solo perché il centro propulsore fu spostato al Nord, che ne venne privilegiato, ma anche perché la concezione dogmatica del liberoscambismo imposto dal Piemonte, impedí in seguito di porvi dei ripari.
Il miope colonialismo dei piemontesi, come poi si rivelò l’occupazione dei "liberatori", divenne una vera e propria tragedia, che dura ancora ai nostri giorni e che solo il conciliante e forte temperamento della gente del Sud ha impedito che divenisse una catastrofe irreversibile.
Gli abitanti delle Due Sicilie furono usati, prima come carne da cannone per le altre guerre coloniali dei Savoia, poi come mercato per i prodotti delle industrie del Nord e come serbatoio di voti per quei ciechi politici meridionali, spesso solo servi sciocchi delle lobby del cosiddetto "triangolo industriale".
La classe dirigente meridionale, inoltre, allo scopo di conservare piccoli vantaggi domestici, ha fiancheggiato sempre tutti i governi che si sono avvicendati in Italia dall’inizio dell’occupazione, governi che pur definendosi "italiani", hanno curato solo e sempre gli interessi di alcuni, i quali per questo mantengono eterna la "questione meridionale".
Il Popolo delle Due Sicilie, in tutta la sua lunghissima storia, non ha mai fatto una guerra d’aggressione contro altre genti.
Ha dovuto, invece, sempre difendersi dalle aggressioni degli altri popoli, che lo hanno assalito con le armi o con le menzogne.
Ancora oggi dal Nord dell’Italia, per una congenita ignoranza, alimentata continuamente dalla propaganda risorgimentale avallata dallo Stato "italiano", siamo ancora puerilmente aggrediti con violenze verbali, con luoghi comuni sui "meridionali".
Nella considerazione di tutti gli avvenimenti succedutisi dopo il 1860 fino ad oggi si può senza dubbio affermare che proprio a causa di quel violento movimento nato nel Nord, il cosiddetto "risorgimento", si originò un processo autodistruttivo, che, passando attraverso continue guerre, per lo piú suggestivamente etichettate, culminò nel fascismo, che, con la sua fine, ridusse a una sciatta repubblica tutta la penisola italiana, cosí ricca di valori prima del "risorgimento" .
I Duosiciliani veraci, tuttavia, sanno di far parte di un paesaggio unico e inconfondibile, sanno che il loro animo è immutabile e viscerale, proprio per questo, dovunque si troveranno, si porteranno sempre dietro questa loro contraddizione: quella di essere diventati forzatamente "italiani".
Antonio Pagano
 
In memoria di Francesco II di Borbone delle Due Sicilie

LA RESISTENZA DUOSICILIANA


Proprio con la farsa dei plebisciti scoppiarono con grande violenza contro gli invasori piemontesi le prime rivolte, che si propagarono a macchia d’olio in tutto il Sud.
Fu una vera e propria guerra che durò piú di dieci anni ed in cui le truppe piemontesi compirono tanti delitti e tali distruzioni che non si erano mai visti in alcuna altra guerra.
Le forze militari impegnate dai piemontesi furono di circa 120.000 uomini, ai quali vanno aggiunti 90.000 militi della collaborazionista guardia nazionale.
Queste forze, verso il 1865, comprendevano circa 550.000 uomini, quanto gli Americani nel Vietnam.
Dopo la resa di Gaeta intere zone della Lucania, della Calabria, delle Puglie e degli Abruzzi si erano liberate dei presidi piemontesi ed avevano innalzato i vessilli duosiciliani.
I piemontesi nel ritirarsi compirono molte rappresaglie su civili inermi.
Nell’aprile del 1861 si formarono le prime grosse bande di partigiani comandati da Carmine Crocco, detto Donatello, Nicola Summa, detto Ninco Nanco, Domenico Romano, detto il sergente Romano, che liberarono centinaia di paesi.
La reazione piemontese fu immediata.
Interi paesi furono distrutti a cannonate e chi si opponeva all’occupazione veniva fucilato immediatamente.
Significativo quanto avvenne il 14 agosto del 1861 a Pontelandolfo e Casalduni, ove allo scopo di terrorizzare le popolazioni vi furono saccheggi, violenze, stupri e le case furono bruciate e completamente rase al suolo.
Vi furono oltre un migliaio di morti.
Alcuni furono trucidati nel modo piú barbaro, con le teste mozzate poi esposte agli ingressi dei paesi come monito.
I generali piemontesi, come Cialdini e tanti altri, furono dei veri e propri criminali di guerra.
Lo Stato "italiano" ancora oggi li venera come "eroi" .
Dai dati ufficiali piemontesi, non attendibili, nel solo 1862 i paesi rasi al suolo furono 37, i fucilati furono 15.665, i morti in combattimento circa 20.000, incarcerati per motivi politici 47.700, le persone senza tetto circa 40.000.
Ma nonostante l’impari lotta di un popolo male armato e scoordinato, costretto ad una vita difficilissima nelle valli e tra i monti, la guerriglia diventò sempre piú fiera, tanto che nel 1863 il Savoia valutò la possibilità di abbandonare i territori conquistati, ma poi il suo governo emanò la tremenda legge Pica che autorizzava fucilazioni immediate senza alcun processo.
La repressione continuò piú ferocemente.
I Partigiani duosiciliani con velocissime incursioni attaccavano ovunque i rifornimenti militari, le colonne militari, distruggendo i collegamenti telegrafici e postali.
Ma era una guerra impari e destinata all’insuccesso perché senza alcun aiuto esterno.
Nel frattempo tutti i macchinari industriali utili erano stati trasferiti al Nord, il resto fu distrutto con determinazione e per cause belliche.
L’Ansaldo di Genova, ad esempio, che era una piccola officina, nacque praticamente con i macchinari dello Stabilimento di Pietrarsa.
Nel 1862 chiusero la maggior parte degli opifici tessili, le cartiere, le ferriere della Calabria, le concerie.
Alle ditte lombardo-piemontesi furono affidati i lavori pubblici da compiere nelle province duosiciliane.
La solida moneta duosiciliana d’argento e di oro fu sostituita da quella cartacea piemontese.
L’economia meridionale ebbe cosí un crollo verticale e la disoccupazione si aggiunse al dramma della guerriglia.
Nel 1863 il debito pubblico piemontese fu unificato con quello di tutto il resto d’Italia. Il Sud "liberato" ne sopportò tutte le spese.
Da quell’anno incominciò l’emigrazione, che in pochi anni diventò una vera e propria diaspora.
A tutt’oggi sono emigrati dal Sud dell’Italia circa 20 milioni di persone che si sono sparse in tutto il mondo.
Nel 1864 furono espropriati e venduti tutti i beni ecclesiastici e demaniali del Sud, il cui ricavato venne usato per il rilancio dell’agricoltura della Valle Padana.
È di quell’anno lo scandalo delle speculazioni Bastogi nella costruzione delle ferrovie meridionali.
Intanto in Sicilia, per catturare i renitenti alla leva, interi paesi venivano circondati e privati dell’acqua potabile.
I renitenti trovati, oppure i loro parenti, venivano fucilati come esempio.
Interi boschi furono bruciati perché i "briganti" non avessero piú la possibilità di rifugiarvisi.
Nel 1865 fallirono quasi tutte le fabbriche meridionali, perché senza piú commesse.
In quell’anno il carico fiscale venne aumentato dell’87%, ma il danaro cosí drenato fu tutto speso al Nord.
Soprattutto quello tratto dall’agricoltura meridionale che finanziò le nascenti imprese industriali del Piemonte e della Lombardia.
Nel 1866 anche in Sicilia si ebbero delle serie sommosse.
Palermo fu ripresa dopo un lungo assedio da parte di migliaia di soldati piemontesi. Oltre ai duemila morti causati dalle cannonate, si ebbero poi in tutta la Sicilia, nel giro di circa una settimana, 65.000 morti per il colera scoppiato tra le truppe piemontesi. Diventarono sistematiche la pratica della tortura e le ritorsioni sulla popolazione inerme, con stragi di interi villaggi e la distruzione dei raccolti per affamare i paesi dove si trovavano i resistenti legittimisti.
La guerra per la definitiva conquista piemontese, durata circa 10 anni, costò al Regno delle Due Sicilie oltre un milione di morti, 54 paesi rasi al suolo, 500.000 prigionieri politici, l’intera economia distrutta e la diaspora di molte generazioni.
Il Piemonte ebbe il doppio dei morti che aveva avuti in tutte le sue sedicenti guerre d’indipendenza.
 
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2011.08.16 – LE VICENDE GARIBALDINE E L’INVASIONE PIEMONTESE

Il Garibaldi era di corporatura bassa, alto 1,65, ed aveva le gambe arcuate.
Era pieno di reumatismi e per salire a cavallo occorreva che due persone lo sollevassero.
Portava i capelli lunghi perché, avendo violentato una ragazza, questa gli aveva staccato un orecchio con un morso.
Era un avventuriero che nel 1835 si era rifugiato in Brasile, dove all’epoca emigravano i piemontesi che in patria non avevano di che vivere.
Fra i 28 e i 40 anni visse come un corsaro assaltando navi spagnole nel mare del Rio Grande do Sul al servizio degli inglesi che miravano ad accaparrarsi il commercio in quelle aree.
In Sud America non è mai stato considerato un eroe, ma un delinquente della peggior specie.
Per la spedizione dei mille fu finanziato dagli Inglesi con denaro rapinato ai turchi, equivalente oggi a molti milioni di dollari.
In una lettera, Vittorio Emanuele II ebbe a lamentarsi con Cavour circa le ruberie del nizzardo, proprio dopo "l’incontro di Teano": "… come avrete visto, ho liquidato rapidamente la sgradevolissima faccenda Garibaldi, sebbene – siatene certo – questo personaggio non è affatto docile né cosí onesto come lo si dipinge e come voi stesso ritenete.
Il suo talento militare è molto modesto, come prova l’affare di Capua, e il male immenso che è stato commesso qui, ad esempio l’infame furto di tutto il danaro dell’erario, è da attribuirsi interamente a lui che s’è circondato di canaglie, ne ha eseguito i cattivi consigli e ha piombato questo infelice paese in una situazione spaventosa".
 
SBARCO DI MARSALA: fu di proposito "visto" in ritardo dalla marina duosiciliana, i cui capi erano già passati ai piemontesi, e fu protetto dalla flotta inglese, che con le sue evoluzioni impedí ogni eventuale offesa.
Tra i famosi "mille", che lo stesso Garibaldi il giorno 5 dicembre 1861 a Torino li definí "Tutti generalmente di origine pessima e per lo piú ladra ; e tranne poche eccezioni con radici genealogiche nel letamaio della violenza e del delitto", sbarcarono in Sicilia, francesi, svizzeri, inglesi, indiani, polacchi, russi e soprattutto ungheresi, tanto che fu costituita una legione ungherese utilizzata per le repressioni piú feroci.
Al seguito di questa vera e propria feccia umana, sbarcarono altri 22.000 soldati piemontesi appositamente dichiarati "congedati o disertori".
 
CALATAFIMI: contrariamente a quanto viene detto nei libri di storia, il Garibaldi fu messo in fuga il giorno 15 maggio dal maggiore Sforza, comandante dell’8° cacciatori, con sole quattro compagnie.
Mentre inseguiva le orde del Garibaldi, lo Sforza ricevette dal generale Landi l’ordine incomprensibile di ritirarsi.
Il comportamento del Landi risultò comprensibilissimo quando si scoprí che aveva ricevuto dagli emissari garibaldini una fede di credito di quattordicimila ducati come prezzo del suo tradimento.
Landi qualche mese piú tardi morí di un colpo apoplettico quando si accorse che la fede di credito era falsa: aveva infatti un valore di soli 14 ducati.
 
PALERMO: il Garibaldi, il 27 maggio, si rifugiò in Palermo praticamente indisturbato dai 16.000 soldati duosiciliani che il generale Lanza aveva dato ordine di tenere chiusi nelle fortezze.
Il filibustiere cosí poté saccheggiare al Banco delle Due Sicilie cinque milioni di ducati ed installarsi nel palazzo Pretorio, designandolo a suo quartier generale.
In Palermo i garibaldini si abbandonarono a violenze e saccheggi di ogni genere.
A tarda sera del 28 arrivarono, però, le fedeli truppe duosiciliane comandate dal generale svizzero Von Meckel.
Queste truppe, che erano quelle trattenute dal generale Landi, dopo essersi organizzate, all’alba del 30 attaccarono i garibaldini, sfondando con i cannoni Porta di Termini ed eliminando via via tutte le barricate che incontravano.
L’irruenza del comandante svizzero fu tale che arrivò rapidamente alla piazza della Fieravecchia.
Nel mentre si accingeva ad assaltare anche il quartiere S. Anna, vicino al palazzo di Garibaldi, che praticamente non aveva piú vie di scampo, arrivarono i capitani di Stato Maggiore Michele Bellucci e Domenico Nicoletti con l’ordine del Lanza di sospendere i combattimenti perché … era stato fatto un armistizio, che in realtà non era mai stato chiesto.
L’8 giugno tutte le truppe duosiciliane, composte da oltre 24.000 uomini, lasciarono Palermo per imbarcarsi, tra lo stupore e la paura della popolazione che non riusciva a capire come un esercito cosí numeroso si fosse potuto arrendere senza quasi neanche avere combattuto.
La rabbia dei soldati la interpretò un caporale dell’8° di linea che, al passaggio del Lanza a cavallo, uscí dalle file e gli gridò "Eccellé, o’ vvi quante simme.
E ce n’aimma’í accussí ?".
Ed il Lanza gli rispose : "Va via, ubriaco".
Lanza, appena giunse a Napoli, fu confinato ad Ischia per essere processato.
I garibaldini nella loro avanzata in Sicilia compirono efferati delitti.
Esemplare e notissimo è quello di Bronte, dove "l’eroe" Nino Bixio fece fucilare quasi un centinaio di contadini che, proprio in nome del Garibaldi, avevano osato occupare alcune terre di proprietà inglese.
 
MILAZZO: Il giorno 20 luglio vi fu una cruenta battaglia a Milazzo, dove 2000 dei nostri valorosissimi soldati, condotti dal colonnello Bosco, sgominarono circa 10.000 garibaldini.
Lo stesso Garibaldi accerchiato dagli ussari duosiciliani rischiò di morire.
La battaglia terminò per il mancato invio dei rinforzi da parte del generale Clary e i nostri furono costretti a ritirarsi nel forte per il numero preponderante degli assalitori. Nello scontro i soldati duosiciliani, ebbero solo 120 caduti, mentre i garibaldini ne ebbero 780.
Eroici, e da ricordare, furono i valorosi comportamenti del Tenente di artiglieria Gabriele, del Tenente dei cacciatori a cavallo Faraone e del Capitano Giuliano, che morí durante un assalto.
Episodi di tradimento si ebbero anche in Calabria, dove nel paese di Filetto lo sdegno dei soldati arrivò tanto al colmo che fucilarono il generale Briganti, che il giorno prima, senza nemmeno combattere, aveva dato ordine alle sue truppe di ritirarsi.
 
NAPOLI: Il giorno 9 settembre arrivarono a Napoli i garibaldini.
Mai si vide uno spettacolo piú disgustoso.
Quell’accozzaglia era formata da gente bieca, sudicia, famelica, disordinata, di razze diverse, ignorante e senza religione.
Occuparono all’inizio Pizzofalcone, poi nei giorni seguenti si sparsero per la città, tutto depredando, saccheggiando ogni casa.
Furono violentate le donne e assassinato chi si opponeva.
Furono lordati i monumenti, violati i monasteri, profanate le chiese.
Il giorno 11 il Garibaldi con un decreto abolí l’ordine dei Gesuiti e ne fece confiscare tutti i beni.
Furono incarcerati tutti quei nobili, sacerdoti, civili e militari che non volevano aderire al Piemonte, mentre furono liberati tutti i delinquenti comuni.
Il Palazzo Reale fu spogliato di tutto quanto conteneva.
Gli arredi e gli oggetti piú preziosi furono inviati a Torino nella Reggia dei Savoia.
Il filibustiere con un decreto confiscò il capitale personale e tutti beni privati del Re dal Banco delle Due Sicilie, che fu rapinato di tutti i suoi depositi.
Napoli in tutta la sua storia non ebbe mai a subire un cosí grande oltraggio, eppure nessun libro di storia "patria" ne ha mai minimamente accennato.
 
CAPUA, VOLTURNO, GARIGLIANO, GAETA: eliminati i generali traditori i soldati duosiciliani dimostrarono il loro valore in numerosi episodi.
La vittoriosa battaglia sul Volturno non fu sfruttata solo per l’inesperienza dei nostri comandanti militari.
In seguito, la vile aggressione piemontese alle spalle costrinse il nostro esercito alla ritirata nella fortezza di Gaeta, dove il giovane Re Francesco II e la Regina Maria Sofia, di soli 19 anni, diventata poi famosa con l’appellativo di "eroina di Gaeta", si coprirono di gloria in una resistenza durata circa 6 mesi.
Gaeta non poté mai essere espugnata dai piemontesi, ma solo bombardata.
Con la resa di Gaeta (13.2.61), di Messina (14 marzo) e di Civitella del Tronto (20 marzo), il Regno delle Due Sicilie cessò di esistere.
I Piemontesi non rispettarono i patti di capitolazione e i soldati duosiciliani in parte furono fucilati, altri vennero deportati in campi di concentramento in Piemonte.
Di questi soldati, morti per la loro Patria, oggi non c’è nemmeno una segno che li ricordi e non meritavano l’oblio cui li ha condannati la leggenda risorgimentale.
 

 
PLEBISCITO. Il giorno 21 ottobre 1860 vi fu a Napoli e in tutte le provincie del Regno la farsa del Plebiscito.
A Napoli, davanti al porticato della Chiesa di S. Francesco di Paola, proprio di fronte al Palazzo Reale, erano state poste, su di un palco alla vista di tutti, due urne: una per il Sí ed una per il NO.
Si votava davanti ad una schiera minacciosa di garibaldini, guardie nazionali e soldati piemontesi.
Il giorno prima erano stati affissi sui muri dei cartelli sui quali era dichiarato "Nemico della Patria" chi si astenesse o votasse per il NO.
Votarono per primi i camorristi, poi i garibaldini, che erano per la maggior parte stranieri, e i soldati piemontesi.
Qualcuno dei civili che aveva tentato di votare per il NO fu bastonato, qualche altro, come a Montecalvario, fu assassinato.
Poiché non venivano registrati quelli che votavano per il Sí, la maggior parte andò a votare in tutti e dodici comizi elettorali costituiti in Napoli.
Allo stesso modo si procedette in tutto il Regno, dove si votò solo nei centri presidiati dai militari con ogni genere di violenze ed assassini.

LE PIU’ IMPORTANTI REALIZZAZIONI

Lo Stato delle Due Sicilie fu il primo al mondo a far navigare per mare una nave a vapore.
La nave, con caldaia inglese, era il Ferdinando I, varato il 24 giugno 1818.
In Inghilterra il primo battello a vapore per la navigazione sui mari fu varato nel 1822: il rimorchiatore Monkey.
Da ricordare la prima realizzazione al mondo dei ponti in ferro ad impalcato sospeso, il "Ferdinandeo", che fu completato nell’aprile del 1832 sul Garigliano, e quello sul Calore, il "Cristino", inaugurato il 5 aprile del 1835.
Il 4 ottobre 1839 fu inaugurata la prima ferrovia italiana con il tratto Napoli – Portici, di circa 9 km.
Dopo questo tratto furono iniziati i lavori per collegare la capitale con Bari – Brindisi – Reggio Calabria.
Nel 1840 fu inaugurato il grandioso complesso industriale del "Reale Opificio di Pietrarsa" con oltre mille addetti, all’epoca il primo e l’unico in Italia.
L’Opificio ebbe vasta risonanza in Europa.
Esso fu visitato dallo zar Nicola I, che lo prese d’esempio per la costruzione del complesso ferroviario di Kronstadt.
Per fare un paragone, il complesso della Breda nacque 44 anni piú tardi, quello della Fiat 57 anni dopo.
Sorsero in tutto il Regno anche diverse e numerose scuole di "Arti e mestieri" per la formazione del personale.
In quell’anno Napoli, dopo Londra e Parigi, fu la terza capitale in Europa ad avere le strade illuminate con 350 lampade a gas.
Da ricordare le colossali opere di bonifica, delle paludi Sipontine (Manfredonia), di quelle di Brindisi, del bacino inferiore del Volturno, dei Regi Lagni e del Simeto, opere che resero fertili tutte quelle terre, distribuite poi gratuitamente.
Sorse nel 1841 ad Ercolano l’Osservatorio Vesuviano, la prima struttura scientifica nel mondo realizzata per lo studio dei fenomeni vulcanici.
Nello stesso anno, venne installato a Nisida il primo faro lenticolare a luce costante. Tali fari furono installati negli anni successivi su tutte le coste del regno.
A Castellammare fu varata il 24 ottobre 1843 la prima nave da guerra a vapore, la pirofregata a ruote Ercole, progettata e costruita interamente nel Regno.
Da ricordare che le navi da guerra duosiciliane furono le prime ad entrare nei porti statunitensi e nell’America del Sud, dove facevano capo le crociere di addestramento per gli allievi dell’Armata di Mare.
A Napoli, il 20 settembre 1845, fu organizzato il VII Congresso Scientifico italiano, a cui parteciparono ben 1.408 scienziati.
Proprio durante il convegno, il giorno 28 fu inaugurato l’Osservatorio meteorologico alle falde del Vesuvio.
Nel maggio del 1847 fu varata, per la prima volta in Italia, una nave a propulsione ad elica, la Giglio delle Onde.
Il 14 novembre, si ebbe il varo della pirofregata a ruote Ettore Fieramosca che era la prima nave progettata e fornita con macchina a vapore costruita interamente in Italia dal Real Opificio di Pietrarsa.
A Capodimonte il 25 giugno 1852 Napoli fu la prima città d’Italia ad organizzare un esperimento di illuminazione elettrica.
L’esperimento fu abbastanza rilevante per l’epoca, tenuto conto che la lampada di Edison fece la sua comparsa solo nel 1877 e che la prima lampada a filamento fu realizzata due anni dopo.
Lo stesso anno fu inaugurato il nuovo bacino di raddobbo in muratura (bacino di carenaggio) nell’arsenale di Napoli, il primo del genere ad essere realizzato nella penisola italiana.
Nel marzo del 1855 Napoli fu collegata attraverso una linea telegrafica con Roma, Parigi e Londra.
Alla Mostra di Parigi del 1856 la tecnologia e la capacità dell’economia duosiciliane furono riconosciute unanimemente come le migliori in assoluto, subito dopo Francia ed Inghilterra.
Molto successo avevano avuto anche i preziosi manufatti dell’oreficeria, dell’argenteria e del corallo prodotti da piú di duecento aziende con l’impiego di circa 5.000 addetti.
Furono apprezzatissimi anche gli strumenti musicali, soprattutto quelli a corda prodotti nelle Puglie.
Si riconfermò, infine, lo straordinario successo che aveva la produzione di guanti e del cuoio per selleria delle manifatture napoletane.
Il 18 gennaio 1860 fu varata a Castellammare di Stabia la nuova fregata ad elica Borbone di 3.444 tonnellate.
Era la prima nave militare ad elica ed in ferro della flotta duosiciliana ed era anche la piú potente.
È significativo, a questo punto, fare una semplice riflessione e cioè che se nelle Due Sicilie erano state realizzate tante importanti opere, che avevano posto il Regno ai vertici degli Stati piú progrediti del mondo, queste smentiscono con i fatti le affermazioni di arretratezza delle Due Sicilie.
Se cosí non fosse, perché queste opere non erano state realizzate prima dal Piemonte o dagli altri Stati preunitari?
La complessità di queste opere, infatti, presuppone la presenza di scuole di alto livello, di valenti tecnici, di grandi industrie e di una sana economia e finanza, per cui se ne deve dedurre che, negli altri Stati preunitari, tutti questi fattori evidentemente non esistevano, o almeno non in tale misura.
Tanto per fare un esempio, come prova di questa situazione di arretratezza del Nord, a Milano il Politecnico fu fondato solo nel 1863 ed il primo ingegnere si laureò nel 1870.
 

SITUAZIONE SOCIALE ED ECONOMICA DELLE DUE SICILIE

Il Reame aveva praticamente due amministrazioni: quella delle province napoletane che comprendeva tutte le regioni continentali dagli Abruzzi alle Calabrie e quella siciliana.
Nel 1860 la popolazione del Regno delle Due Sicilie era poco piú di 9 milioni di abitanti.
Il Regno in quell’anno poteva sicuramente essere considerato in campo economico al primo posto in Italia ed al terzo in Europa.
La moneta circolante nelle Due Sicilie era pari a 443,2 milioni di lire, risultante oltre il doppio di tutte le altre monete circolanti nella penisola italiana.
Per fare un paragone si può considerare che il Piemonte possedeva solo 20 milioni di lire.
Questo era stato il risultato di previdenti leggi che avevano regolato le importazioni e le esportazioni proprio con lo scopo di favorire la nascita dell’industria, dosando opportunamente i dazi doganali e le misure fiscali.
Infatti già dal 1818 l’industria tessile (seta, cotone e lana) e quella metalmeccanica erano i due principali settori trainanti dell’economia duosiciliana, tanto che molti stranieri trovarono conveniente investire nel Regno.
La politica industriale era stata insomma lungimirante e coerente, anticipando di un secolo in Italia la formula dell’iniziativa pubblica nell’industria senza peraltro privilegiare le industrie statali che erano sempre in concorrenza con le private.
Lo sviluppo industriale del Regno delle Due Sicilie, cioè il trasferimento di risorse dal settore agricolo al settore industriale, non avvenne infatti per opera di privati come negli altri Stati (grossi proprietari terrieri, come in Inghilterra, o Banche, come in Germania), ma per diretto intervento dello Stato, che tuttavia venne anche coadiuvato da imprenditori privati con capitali agrari, commerciali, bancari e di paesi esteri.
Per quanto riguarda il territorio continentale, nel 1860 gli addetti alle grandi industrie erano 210.000 in quasi 5.000 opifici e costituivano circa il 7% della popolazione attiva.
Il capitale investito nella sola industria si può valutare intorno ai cento milioni di ducati (1 ducato: 4,25 lire dell'epoca) e dava utili che raggiungevano in molti casi il 15 o 20 %, con una media di circa l’8%.
Il reddito pro-capite era pressoché uguale a quello medio italiano, per un totale complessivo di 275 milioni di ducati all’anno.
Per quanto riguarda la vita economica bisogna dire che i prezzi erano estremamente stabili ed il Governo era sempre attento a garantire sia un’attività produttiva redditizia sia paghe adeguate al contesto socioeconomico.
Rarissime erano le emigrazioni, poiché la disoccupazione era molto limitata.
Il settore agricolo, aumentata del 120% la sua produttività negli ultimi 40 anni, dava una eccedenza di risorse alimentari che erano cosí disponibili sia per la manodopera dell’industria sia per l’aumento della popolazione.
A proposito di agricoltura è necessario dire che è una favola quello di un Sud latifondista con i Borbone.
I latifondi al Sud si formarono con la venuta dei Piemontesi, che svendettero ai loro collaborazionisti tutte le terre demaniali rapinate ai contadini che ne avevano l’uso civico da centinaia di anni.
Il Regno, in quegli anni, aveva dunque una forte economia, con una stabile e solida moneta, ma non aveva un forte esercito.
Lo Stato delle Due Sicilie, infatti, non aveva mai avuto mire espansionistiche per cui le cure per l’Armata erano per lo piú indirizzate solo al suo mantenimento, con pochissimo addestramento di guerra.
Anche perché, a causa delle continue sommosse carbonare, le forze armate erano state spesso impiegate per l’ordine interno e venivano distolte dal necessario addestramento.
Le forze veramente operative e seriamente addestrate erano costituite da tre reggimenti svizzeri, che però proprio nel 1860 furono sciolti.
Ottima era invece la flotta navale militare, senza dubbio la prima in Italia e la terza in Europa.
La Marina Mercantile duosiciliana, la seconda in Europa con oltre 9.800 bastimenti, aveva avuto un forte sviluppo perché aveva dovuto soddisfare le crescenti esigenze dei trasporti commerciali, che dai registri doganali dell’epoca erano valutati per circa 500.000.000 di ducati tra import ed export.
Nel Regno esistevano allora circa quaranta cantieri navali di una certa rilevanza.
L’amministrazione dello Stato, dopo i malanni apportati dall’occupazione francese (nel periodo dal 1799 al 1815), era in via di evoluzione, ma in sostanza era efficiente e funzionale.
La giustizia era proprio borbonica, cioè era la migliore in assoluto in Italia, ed i suoi codici erano di riferimento per tutta la legislazione della penisola italiana e anche d’Europa.
In questo quadro è necessario anche illustrare, sia pure brevemente, la situazione delle varie regioni, iniziando con la CALABRIA, che è veramente un esempio emblematico.
Prima dell’unità d’Italia era la piú ricca regione della penisola italiana, ora è la piú povera d’Europa.
In Calabria l’industrializzazione iniziò con lo sfruttamento delle miniere di ferro e di grafite che vi erano state rinvenute.
Per questo fu fondato il Real Stabilimento di Mongiana, dove su un’area coperta di 12.000 metri quadri furono costituiti una fonderia e un grandioso stabilimento siderurgico, potenziato con due altiforni per la ghisa, due forni Wilkinson e sei raffinerie.
Accanto vi era anche una fabbrica d’armi su un’area coperta di circa 4.000 metri quadri.
La produzione della ghisa e del ferro era di eccellente qualità e da essi si ricavavano trafilati, laminati e acciai da cementazione.
Alla fine del Regno la Calabria era, insomma, fortemente industrializzata e negli stabilimenti di Mongiana, di Pazzano, di Fuscaldo, di Cardinale e di Bigonci vi lavoravano circa 2.500 operai, numero veramente notevole per quell’epoca.
Altre attività importanti in Calabria, per antica tradizione, oltre alla produzione agricola, erano quelle tessili, in cui primeggiava la produzione della seta, gli arsenali ed i numerosi cantieri navali.
I calabresi impiegati nelle industrie importanti erano allora poco piú di 31.000.
Nelle PUGLIE ed in BASILICATA vi erano importantissimi opifici di lana, di cotone e di lino, la cui produzione veniva esportata in tutto il mondo.
Vi erano anche centinaia di filande di cui molte motorizzate.
Famose anche le fabbriche di presse olearie e di macchine agricole di Foggia e di Bari. Non meno importanti erano le aziende agricole e chimiche, le numerosissime flottiglie per la pesca ed i cantieri navali.
A Barletta vi era un’efficientissima salina che riforniva tutta l’Europa.
Centro di riferimento, per tutto il Regno, era l’attivissima Borsa di Commercio di Bari.
Negli ABRUZZI e nel MOLISE era eccellente e notissima la produzione di utensili, di lame di acciaio, rasoi e forbici.
Vi erano anche molti opifici tessili e per la produzione della carta.
Notevoli, infine, erano gli allevamenti bovini e caprini.
La CAMPANIA del 1860 era la regione piú industrializzata d’Europa, particolarmente l’area napoletana, lungo l’asse Caserta – Salerno.
In essa vi erano sia il grandioso Opificio di Pietrarsa dove si producevano motori a vapore, locomotive, carrozze ferroviarie e binari, sia i famosi cantieri navali tra i migliori d’Europa, fabbriche d’armi e di utensileria, aziende chimiche – farmaceutiche e per la produzione della carta, del vetro, concia e pelli, alimentari, ceramiche e materiali per edilizia.
Prestigiosa era la produzione della seta di S. Leucio.
Numerose anche le fabbriche di strumenti tecnici, orologi, bilance, e insomma tutta una miriade di fabbriche minori, nei piú svariati campi di attività, diffuse geograficamente in tutto il territorio.
In SICILIA, infine, il reddito si basava, oltre che sulla pesca e sui cantieri navali, sull’esportazione di zolfo, olio d’oliva, agrumi, sale marino e vino.
Le principali correnti di traffico erano dirette verso l’Inghilterra (40%), verso gli Stati Uniti (con un terzo della produzione di agrumi) e verso gli altri paesi europei.
La Sicilia per questi suoi commerci aveva costantemente un saldo attivo.

LE CAUSE DELLA FINE DEL REGNO DELLE DUE SICILIE

È necessario innanzitutto precisare che il "risorgimento" italiano, nei riguardi del Regno delle Due Sicilie, è stato ed è un grande falso storico oltre che un grandissimo crimine.
Il cosiddetto "risorgimento" fu una martellante propaganda di guerra e rappresenta il classico esempio che la storia viene sempre scritta dal vincitore.
Esso non è stato in realtà che un capitolo della storia dell’imperialismo inglese.
La mistica risorgimentale ci ha abituato a considerare Cavour come un grande statista, un genio della politica.
In realtà la maggior parte delle sue decisioni non furono altro che esecuzioni dei "suggerimenti" che venivano orchestrati da Londra.
La politica imperiale inglese si è sempre basata su due fattori cardini: il mantenimento di una grande potenza navale (the silent power of sea) e l’alimentazione di disordini all’interno degli altri Stati, che venivano cosí distolti dalla politica estera.
L’Inghilterra, per quanto riguarda in particolare il Mediterraneo, perseguí una sua complessa strategia politica che si sviluppò attraverso varie fasi.
Iniziò con l’impossessamento di Gibilterra e, nel 1800, di Malta, che apparteneva alle Due Sicilie, approfittando dei disordini causati dalle guerre di Napoleone.
Poi, intorno al 1850, in previsione dell’apertura del canale di Suez, per essa divenne vitale possedere il dominio del Mediterraneo per potersi collegare facilmente con le sue colonie.
Per questo i suoi obiettivi principali furono l’eliminazione della Russia dal Mediterraneo, contro la quale scatenò la vittoriosa guerra di Crimea nel 1853, e il ridimensionamento dell’influenza politica della Francia nel Mediterraneo.
Il fattore determinante che spinse l’Inghilterra a dare inizio alle modifiche dell’assetto politico della penisola italiana furono gli accordi commerciali tra le Due Sicilie e l’impero russo, che aveva iniziato a far navigare la sua flotta nel Mediterraneo, avendo come base di appoggio i porti delle Due Sicilie.
La Francia, a sua volta, voleva rafforzare la sua influenza sulla penisola italiana, sia con un suo protettorato sullo Stato Pontificio, sia con un suo progetto di mettere un principe francese nelle Due Sicilie.
Per raggiungere questi obiettivi le due potenze si servirono del piccolo Stato savoiardo che, non avendo risorse economiche e militari per fare le sue guerre, dovette vendere alla Francia Nizza e la Savoia, ed era in procinto di vendere anche la Sardegna se non fosse stato fermato dall’Inghilterra che temeva un piú forte dominio della Francia nel bacino mediterraneo.
In Piemonte, infatti, il sistema sociale ed economico era ben povera cosa.
Vi erano solo alcune Casse di risparmio e le istituzioni piú attive erano i Monti di Pietà.
Insomma esistevano solo delle piccole banche e banchieri privati, generalmente d’origine straniera, che assicuravano il cambio delle monete al ridotto mercato piemontese.
In Lombardia non c’era alcuna banca di emissione e le attività commerciali riuscivano ad andare avanti solo perché operava la banca austriaca.
E tutto questo già da solo dovrebbe rendere evidente che prima dell’invasione del Sud, al nord non potevano esserci vere industrie, né vi poteva essere un grande commercio, né i suoi abitanti erano ricchi ed evoluti, come afferma la storiografia ufficiale.
Per il Piemonte, dunque, il problema piú urgente era quello di evitare il collasso economico, dato il suo disastroso bilancio, e l’unico modo per venirne fuori era quello offertogli da Inghilterra e Francia che gli promettevano il loro appoggio per l’annessione dei prosperi e ricchi territori delle Due Sicilie e degli altri piccoli Stati della penisola italiana.
Il mezzo con cui l’Inghilterra diede esecuzione a questo disegno fu innanzitutto la propaganda delle idee sul nazionalismo dei popoli e critiche sul "dispotismo oppressivo" dei governi di Austria, Russia e Due Sicilie.
A proposito di "Nazione", bisogna dire che si tratta di un concetto in termini giuridico-politici elaborato a partire dalla Rivoluzione Francese e sviluppatosi soprattutto nell’800.
Questo concetto è stato un’autentica invenzione di un’ideologia molto coinvolgente ed emotiva che è servita, e serve ancora, per tenere insieme le parti e gli interessi di uno Stato.
In tal modo si preparavano psicologicamente le masse a "giustificare" le sommosse popolari poi artatamente sollevate da sovversivi prezzolati, i quali istigavano anche ingenui idealisti, suggestionati da idee libertarie.
Quando poi questi moti scoppiavano, si predicava il principio del "non intervento", spacciandole per "faccende interne" di uno Stato.
Quelli che furono chiamati "moti liberali" venivano fatti scoppiare continuamente ad opera delle sette massoniche, che raggiungevano cosí numerosi scopi: la dimostrazione concreta che i governi erano oppressivi e che il popolo "spontaneamente" si ribellava al dispotismo.
Inoltre, queste sommosse, facendo scatenare la necessaria reazione di quei governi, aggravavano e rendevano verosimili le menzogne propagandate.
Per quanto riguarda le Due Sicilie i moti piú gravi furono quelli del 1820 e del 1848, a cui vanno aggiunti gli episodi degli attentati del 17 dicembre 1856 (scoppio deposito polveri a Napoli con 17 morti) e del 4 gennaio 1857 (nel porto di Napoli saltò in aria la fregata Carlo III con 38 morti), quello del 25 giugno 1857 con lo sbarco di Pisacane e poi le rivolte di Palermo precedenti lo sbarco di Garibaldi.
La regía di queste azioni era del Mazzini collegato direttamente con Londra, il cui governo aveva affidato anche al Cavour l’incarico di far scoppiare sommosse in tutti gli altri Stati italiani, con l’evidente scopo di legittimare l’intervento del Piemonte per sedare i "disordini".
Molti furono i disordini causati, tra l’altro, coll’invio di carabinieri in borghese.
Nel frattempo, in preparazione allo sbarco del Garibaldi, erano stati formati nelle Due Sicilie alcuni centri sovversivi, che assoldavano molti delinquenti per le sommosse e corrompevano alte personalità duosiciliane per agevolare l’avanzata del pirata.
 
BREVE STORIA DELLE DUE SICILIE
 
La storia della formazione dello Stato italiano è stata cosí mistificata che non è facile fornire un quadro abbastanza fedele di tutti gli avvenimenti che portarono all‘unità. Dal 1860 in poi è stato eretto dal potere italiano un muro di silenzio sia attorno alle vere cause che questa unità hanno originata sia attorno alla resistenza del popolo duosiciliano contro l’occupazione piemontese (il cosiddetto brigantaggio), molti importanti documenti della quale sono stati fatti sparire o tenuti nascosti.
Ancora oggi è impossibile consultare la documentazione archiviata; al suo posto è stata inventata quella ignobile oleografia che con felice espressione Gramsci definí "la biografia nazionale"
 
BREVE SINTESI STORICA
 
Nel 1130, notte di Natale, con una fastosa cerimonia Re Ruggero II sancí a Palermo la nascita del Regno di Sicilia.
Tutto il Sud fu unificato come nazione indipendente con capitale Palermo.
Quel 25 dicembre è una data simbolica: Ruggero II si presentava come il redentore di tutte le popolazioni del Sud della penisola dagli Arabi, dai Bizantini e dai Longobardi e nello stesso tempo annunciava al mondo la nascita di un regno cristiano.
Questa unità durò piú di 700 anni fino al 1860, quando, a causa dell’invasione piemontese, le popolazioni duosiciliane perdettero la propria identità nazionale con la forzata unione con gli altri popoli della penisola.
Il governo normanno durò fino al 1194.
Poi vi fu quello degli Svevi, il cui piú illustre rappresentante fu Federico II.
Con l‘avvento degli Angioini nel 1266 la capitale del Regno di Sicilia fu portata a Napoli.
A seguito dei "vespri siciliani" del 1282 la Sicilia fu occupata dagli Aragonesi e divenne Regno di Trinacria.
Nel 1443 gli Angioini dovettero cedere agli Aragonesi anche la parte continentale del Regno: le Due Sicilie furono riunite con Alfonso il Magnanimo (Regnum utriusque Siciliae).
Nel 1503 il Regno fu incorporato dalla Spagna, come vicereame autonomo; cosí come avvenne nel breve periodo austriaco, che va dal 1707 al 1734, anno in cui tutta la Nazione diventò nuovamente indipendente con i Borbone.
In questa breve sintesi tralasceremo i pur importanti avvenimenti del periodo relativo ai primi Borbone: Carlo, Ferdinando I e Francesco I.
Ricordiamo comunque che nel 1815 Ferdinando I unificò il Regno di Napoli e il Regno di Sicilia in un unico stato che fu chiamato Regno delle Due Sicilie.
Fondamentali per la vera ricostruzione storica dell’unità d’Italia sono il periodo di regno di Ferdinando II, e quello del giovane Francesco II.
Sui Borbone sono stati raccontati moltissimi aneddoti, per lo piú tendenti solo a denigrarli allo scopo di ingannare l’opinione pubblica e di giustificare l’aggressione al Regno delle Due Sicilie.
Indubbiamente la nazione duosiciliana, contrariamente a quello che ancora oggi si continua a leggere nei libri di storia, acquistata nuovamente la sua indipendenza, ebbe con i Borbone il suo periodo piú splendido e piú significativo.
Eppure la storia è stata a tal punto mistificata che ancora oggi "borbonico" è sinonimo di inefficienza e di retrivo.
Molti scrittori, inoltre, hanno raffigurato la situazione dei Territori Duosiciliani "dopo" che vi era stata la devastazione piemontese, attribuendo all’amministrazione borbonica le pessime condizioni sociali ed economiche in cui erano state ridotte le Due Sicilie a causa dell’aggressione savoiarda.
Il fatto piú spregevole è che tali menzogne, pervicacemente avallate da uno Stato che si definisce "italiano", cioè di tutti i popoli della penisola, sono insegnate come storia ufficiale ai nostri figli, i quali si formano in un culto che, non solo non è il nostro, ma che è stato creato proprio contro di noi Duosiciliani.
Ma la storia, come si vedrà in seguito, è soprattutto narrazione di avvenimenti, che nella loro materiale concretezza non possono essere piú di tanto mistificati o nascosti.
 

2011.03.18 – FORTE DI FENESTRELLE… OGGI UNA “META TURISTICA”.

La grande muraglia piemontese, in Val Chisone, la più grande fortezza alpina d'Europa. Per arrivare fin lassù, ci vogliono ben 3996 gradini…
Ma ecco alcuni dei commenti.
Ma su quanti crimini e su quante menzogne si regge questa falsa unità d'italia?
LA NOSTRA CIVILTA' VI SPAZZERA' VIA, VENDICHEREMO TUTTE LE DONNE,I VECCHI, E I BAMBINI CHE SONO STATI TRUCIDATI IN NOME DELL'UNITA', VENDICHEREMO TUTTE LE FAMIGLIE CHE SONO STATE COSTRETTE AD EMIGRARE PER IL MONDO, AD ELEMOSINARE UN POSTO DI LAVORO, CHE ANCORA OPPRIMETE, ASSASSINI , MERDE, NON C'è DIPLOMAZIA CHE REGGA, AL PIù PRESTO CI LIBEREREMO DELLA VOSTRA CRIMINALITà, W IL SUD …..VIVA LA PATRIA NAPOLETANA !!!!
Onore agli 8 mila soldati napoletani morti nel lager piemontese di Le Fenestrelle fra il 1869 e il 1861. Questo è uno dei tanti eccidi compiuti da Casa Savoia!
Perchè non abbattere questo cesso di pietra? Inferno dei Meridionali…
MALEDETTI SAVOIA….UNA MALEDIZIONE PER OGNI GRADINO DEL FORTE…..ONORE AGLI EROI BORBONICI CHE NON RINNEGARONO IL LORO RE!!!!
MALEDETTI SAVOIA….MALEDETTI PER OGNI GRADINO DEL FORTE…..ONORE AGL'EROI BORBONICI CHE NON RINNEGARONO IL LORO RE!!!
Onore ali eroi della mia patria
W IL SUD
Grande monumento alla vergogna dei Savoia e dell'Ifalia.
Onore a voi soldati borbonici.
il primo campo di concentramento è questo, mi meraviglia come una descrizione cosi dettagliata e precisa, non abbia detto di come i sabaudi sfruttavano questo "lager"
Mi viene da piangere a pensare quanti napoletani e meridionali sono stati trucidati in questo lager piemontese. Io li ricordo!
guarda il filmato: clicca qui

2011.03.18 – 60.000 MORTI BORBONICI PER L’UNITA’ D’ITALIA…CONOSCERE LA VERITA’ PRIMA DI FESTEGGIARE.

A tutti coloro, i quali ben conoscendo le ragioni storiche che portarono all'unificazione, che per ragioni di interesse e di cieco nazionalismo, accettano falsamente di festeggiarlo, auguro che la data dei festeggiamenti sia per loro il primo di tanti giorni maledetti della loro vita.
Mi sento di doverlo fare, per i 60.000 morti borbonici massacrati nel campo di concentramento Sabaudo di Finestrelle, per gli stupri contro donne e bambine, le esecuzioni sommarie, le confische arbitrarie, i furti delle risorse ad uno stato sovrano, per avere definito il movimento partigiano del sud " brigantaggio", e per avere costretto un popolo che non conosceva l'emigrazione ad abbandonare la loro terra a milioni per le Americhe a seguito della depredazione.
Non ultimo, per avere infangato il nome della nostra terra ( Regno di Sardegna) legandolo ai crimini di una banda di assassini quali si dimostrarono i Savoia.
Uno stato che non ha l'onestà di ammettere che l'unità è stata possibile solo attraverso il versamento del sangue di innocenti, e ha causa di indicibili ingiustizie che si trascinano fino ad oggi, non è uno stato che si può considerare democratico. Se poi a questo aggiungiamo che, quegli avvenimenti vuole anche festeggiarli, siamo di fronte ad uno stato nazista!
Condividete tutti i video e documenti che si trovano su internet tendenti a denunciare la verità sull'unificazione.
Non devono mai festeggiare questa vergogna!
 

tratto da: clicca qui

2011.03.15 – GIORNO DELLA MEMORIA IN COMMEMORAZIONE DELLE VITTIME DELL’UNITA’ D’ITALIA

Il 17 marzo le associazioni “CSNNS”, “la Sicilia ai Siciliani”, “Movimento Consumatori del Sud”, “Identità Mediterranea”, “Voràs Zancle” organizzeranno una fiaccolata intitolata “Giorno della Memoria in commemorazione delle vittime dell’unità d’Italia”.
L’evento, che si svolgerà in altre piazze siciliane, partirà da piazza Cairoli alle 21 e percorrerà in maniera pacifica via Garibaldi fino a giungere a piazza Municipio.
Obiettivo della manifestazione è portare alla luce storie poco conosciute che vedono coinvolta la nostra Sicilia e fare chiarezza su alcune vicende del Risorgimento che purtroppo vengono cancellate dai libri di storia.
Ma come è avvenuta l’unita d’Italia?
Il 17 marzo 1861 fu proclamato il “Regno d’Italia” che di fatto fu l’annessione di alcuni territori al Regno di Sardegna, da notare bene che mancava ancora Roma e il Veneto che sarebbero stati annessi una decina di anni più tardi, e, soprattutto, non ci fu una nuova entità statale nata con il consenso del popolo ma un semplice cambio di denominazione dello Stato sabaudo che annetteva diversi territori e si autoproclamava “Regno d’Italia”.
Cosa ha portato al Sud questa proclamazione?
Dieci anni di guerra civile con centinaia di migliaia di morti tra il 1861 ed il 1870 detta “guerra al brigantaggio”.
Infatti lo stato piemontese è stato una dittatura feroce che ha messo a ferro e fuoco l’Italia meridionale e le isole, squartando, fucilando, seppellendo vivi i contadini poveri che scrittori salariati tentarono d’infamare col marchio di “ briganti”.
Da quel momento avvenne una spoliazione di ricchezze, una distruzione del nascente tessuto produttivo ed industriale borbonico per favorire l’affermazione dell’industria al Nord, un inasprimento feroce delle tasse.
Per avere un Paese davvero unito ci vuole una politica che crei le stesse possibilità al Nord ed al Sud, in una parola una politica di giustizia e di riequilibrio economico per diminuire le differenze invece che accentuarle.
Dove uomini e donne del Sud abbiano gli stessi diritti di quelli del Nord.
Dove un giovane laureato di Messina o di Palermo abbia, a parità di merito, le stesse possibilità di lavoro di un suo collega di Milano.
Dove per andare in treno da Messina a Roma ci si impieghi lo stesso tempo che per andare da Roma a Milano.
Un Paese dove un imprenditore al Sud abbia le stesse possibilità di un suo collega al Nord e le banche gli concedano prestiti alle stesse condizioni.
Un Sud con le stesse infrastrutture e gli stessi servizi del resto d’Italia.
Allora si che si potrà parlare di “unità”.
Commemorare i nostri caduti a nostro modo è un modo, quindi, per ricordare la Verità sull’Unità d’Italia. I libri di storia, lo sappiamo, sono scritti dai vincitori, ma sono passati ormai 150anni ed è giunta l’ora che si sappia la verità.
Indico di seguito le Piazze o il Luoghi simbolo dove verranno accese queste candele come Ricordo e Commemorazione e come una Luce di Speranza per il Futuro:
Altavilla Milicia ( PA ) – Ville Belvedere
Andria ( BT ) – Montegrosso – Piazza Sant’Isidoro
Apricena ( FG ) – Piazza antistante la villa Comunale
Assisi ( PG ) – Piazza del Comune
Auletta ( SA ) – Largo Cappelli o P.zza Giallorenzo
Bagheria ( PA ) – Piazza Matrice
Bari – Giardino Peppino Impastato, albero di Giovanni Falcone
Bronte ( CT ) – Piazzale Chiesa di San Vito
Campobello di Mazzara ( TP ) – Piazza garibaldi
Capaci ( PA ) – Piazza Matrice
Capo d’Orlando ( ME ) – Piazza Matteotti
Casarano ( LE ) – Piazza d’Elia ( vicino alla Chiesa Madre )
Casteldaccia ( PA ) – Piazza Matrice
Foggia – Piazza Italia ( Università )
Frosinone – Piazzale Europa
Lecce – Piazza San Oronzo ( nei pressi dell’anfiteatro romano )
Manfredonia ( FG ) – Piazza Duomo
Marsala ( TP ) – Piazza della Repubblica ( Piazza della Loggia)
Mazara del Vallo ( TP ) – Piazza della Repubblica ( Statua di San Vito )
Messina – FIACCOLATA con partenza alle 20,30 da Piazza Cairoli e con arrivo a Piazza Unione Europea davanti al Municipio.
Napoli – Piazza Dante
Nola ( NA ) – Piazza Duomo o L’Immacolata
Palermo – Piazza Ruggero Settimo ( Piazza Politeama )
Palermo – Piazza San Domenico
Poggio Imperiale ( FG ) – P.zza Placido Imperiale
Rocca di Capri Leone ( ME ) – Piazza Gepy Faranda
Rovereto ( TN ) – Casa
San Nicandro Garganico (FG) – Pzza IV Novembre
San Severo (FG)- P.zza Incoronazione
Sassari – Piazza del Comune
Taviano ( LE ) – Chiesa di Santa Lucia
Termini Imerese ( PA ) – Piazza Duomo
Termini Imerese ( PA ) – Stabilimento Fiat
Torino – Museo Lombroso
Trapani – Via Torrearsa ( Palazzo Cavarretta )
Vibo Marina ( VV ) – Piazza Capannina
Vibo Valentia – Piazza San Leoluca
Villabate ( PA ) – Piazza Regione
BRASILE – Rio de Janeiro – Praça (Piazza) do Lido a Copacabana
CATALOGNA – des de CATALUNYA, la meva candela solidària!
COLOMBIA – Medellin – Calle de mi Barrio
FRANCIA – NORMANDIA -Bernay (Eure) – Place de la Poste
MESSICO – Città del Messico – Distrito Federal
U.S.A. ILLINOIS – Santi Cortile, Centralia,
Ricevo inoltre segnalazioni, ma ancora senza una Piazza o Luogo preciso per quanto riguarda:
Agira ( EN ) –
Carini ( PA ) –
Floridia ( SR ) –
Giarre ( CT ) –
Leonforte ( EN ) –
Nicosia ( EN ) –
Priolo ( SR ) –
S.Flavia ( PA ) –
Terni –
Terzigno ( NA ) –
Roma – Pantheon -Giorno della Memoria in commemorazione delle vittime dell’unità d’Italia
 
tratto da: clicca qui