2013.01.02 – IL FEDERALISMO VERO E QUELLO DEI PARTITI ITALIANI

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da L'ACCADEMIA DEGLI UNITI:
Inchiesta sul Federalismo e la Democrazie Diretta.
Federalismo, democrazia diretta, Europa dei popoli, quale soluzione all’Unione Europea degli Stati ottocenteschi controllati dalle èlite econimico-politiche, che si nascondono dietro la finta democrazia, ovvero la democrazia rappresentativa, dove l’inefficienza, lo spreco ed i privilegi contrastano con la “fatica di vivere” ed i diritti di partecipazione della maggioranza delle popolazioni.
Penso che un federalista che conosce la materia abbia poco da condividere con la Lega Nord e con i suoi alleati sulla bellissima idea della forma di stato e di governo “Federale”. Infatti:
la Lega accetta l'idea che lo stato sia costituito da un centro di POTERE posto sopra ai cittadini (stato onnipotente e sovrano) fondato su PRINCIPI e VALORI;
per il Federalismo lo stato è un sistema di GARANZIA della libertà e della sovranità dei cittadini a qualunque livello dello stato, sui FATTI e BISOGNI.
La Lega, esattamente come tutti gli altri partiti di regime, accetta l'idea che con la crocetta dell'analfabeta posta sulla scheda elettorale preparata dalle segreterie dei partiti il cittadino ceda ai rappresentanti tutta la sovranità che gli appartiene per diritto naturale;
per il Federalismo la quantità di potere e di sovranità cui ogni avente diritto al voto rinuncia con la scelta dei rappresentanti è sempre inferiore a quella che riserva per sé.
Per la Lega e per i partiti di regime i cittadini sudditi sono chiamati a pagare le imposte e le tasse (oggi abbiamo oltrepassato il 75% di quanto producono), decise dai rappresentanti senza responsabilità diretta;
per il Federalismo le tasse, le imposte ed i balzelli pagati dai cittadini sovrani non possono essere superiori a quanto ricevono complessivamente dallo stato, dalla regione, dalla Provincia e dal Comune sotto forma di benefici e servizi e sono controllate direttamente dai cittadini sovrani con i Referendum legislativi.
Per la Lega (come per gli altri partiti di regime) lo stato ha il diritto di espropriare i cittadini imponendo loro con la forza di pagare le tasse e le imposte decise dai loro rappresentanti;
per il Federalismo i cittadini possono abrogare leggi esistenti sulle tasse e sulle imposte o possono cambiarle o deliberarne di nuove se lo ritengono vantaggioso e necessario per il bene di tutti.
Per la Lega i cittadini possono continuare ad essere sudditi della monarchia partitocratica insediata in parlamento;
per il Federalismo ogni cittadino sovrano deve conservare tutta la propria libertà, sovranità ed iniziativa meno la parte relativa all'oggetto specifico per il quale il "contratto politico" (limitato ai FATTI limitati della vita sociale) è stipulato e per la quale si chiede la garanzia allo Stato federale.
La Lega accetta e condivide il centralismo statale e regionale;
il Federalismo nega ogni tipo di potere centralista e suddivide il potere dello stato fra i suoi organi ai vari livelli istituzionali in relazione alle competenze specifiche loro attribuite e sotto il controllo diretto dei cittadini sovrani.
La Lega accetta il presidenzialismo con ampi poteri;
il vero Federalismo predilige un Direttorio formato da pochissime persone SAGGE con poteri decisionali limitati, esclusivi e ben definiti.
La Lega condivide il principio che le competenze fra gli organi possano continuare ad essere concorrenti e sovrapposte fra gli organi ai vari livelli dello stato;
il Federalismo prevede che le competenze di ogni organo dello stato a qualsiasi livello siano rigidamente divise e fortemente separate.
La Lega condivide l'idea di "stato unitario sovrano".
il Federalismo pone la "sovranità" dello stato e dei suoi organi territoriali unicamente nelle persone, negli individui responsabili, nel popolo.
La Lega riferendosi al Federalismo non ha mai parlato di "Contratto politico";
il vero Federalismo è "la Teoria dello stato contrattuale", in quanto "Contratto politico" è sinonimo di FEDERAZIONE.
La Lega non ha mai parlato e non conosce la differenza fra “contratto politico bilaterale” (o sinallagmatico, che deve avere un "nesso di reciprocità") commutativo e quello aleatorio;
per il Federalismo il contratto politico o di federazione deve essere bilaterale e commutativo (minimo rischio e massima garanzia di esecuzione per i contraenti che sono i cittadini, come nella vicina Svizzera) e che il rapporto che unisce i cittadini e forma lo stato non può essere aleatorio (minima garanzia di esecuzione e massimo rischio come è attualmente in Italia).
La Lega ha ormai accettato l'assoluto dell'art 5° della Costituzione sull'unità per cui l'Italia è una ed indivisibile;
per il Federalismo lo stato è sempre una "scelta" condivisa dalla maggioranza responsabile che vota un "contratto di unione" fra diverse entità territoriali, che lascia ognuno padrone a casa sua.
La Lega approva e condivide la "rappresentanza integrale" difesa dal grande capitale, dalle banche del “signoraggio” e dalla partitocrazia;
il vero federalismo prevede che Democrazia diretta e Democrazia rappresentativa siano equilibrate mediante i Referendum popolari di iniziativa e di revisione delle leggi, senza l'antidemocratico Quorum che non rispetta il principio di Sovranità degli individui (popolo).
La Lega non accetta i Referendum di iniziativa popolare deliberativi a livello comunale e di conseguenza non li ha mai introdotti negli Statuti dei Comuni, delle Province e delle Regioni dove è in maggioranza;
il Federalismo ritiene che i Referendum deliberativi (Comuni e Province) e legislativi (Regione e Stato) di iniziativa popolare senza Quorum siano il cardine della Democrazia e della Legge e che la modifica degli Statuti comunali con l'introduzione dell'istituto del Referendum deliberativo sia il primo passo verso il vero federalismo che parte dal basso, dai cittadini.
La Lega vuole calare il federalismo dall'alto secondo le direttive di chi lo ha sempre usato unicamente come "piede di porco" per aprire le stanze del potere;
il Federalismo può nascere solo spontaneamente dal basso, dalle persone "associate" in Comunità e stato.
La Lega identifica il "federalismo fiscale" col Federalismo;
il vero Federalismo prevede che il federalismo fiscale sia la conseguenza di una struttura federale dello stato già in atto e che non sia possibile introdurlo in un sistema accentrato (l'Italia di oggi).
La Lega ritiene che il "federalismo fiscale" porterà vantaggi ad ogni cittadino;
per il Federalismo si tratta di un matrimonio incestuoso fra due diverse concezioni contrapposte ed antitetiche dello stato che possono sommariamente essere riassunte in Stato moderno sovrano (quello esistente) e Stato contrattuale o federale in cui “sovrano” è il cittadino. Nelle attuali condizioni appare verosimile che il federalismo fiscale porterà prima ad uno scontro sociale e poi al fallimento dello Stato.
La Lega, come tutti i partiti di regime, intende la sussidiarietà come principio gerarchico fra organi dello stato partendo dal vertice, ovvero dal "centro";
il Federalismo afferma che la sussidiarietà è sinonimo di Democrazia diretta e di Sovranità popolare e che l'individuo e la famiglia, e non la gerarchia verticista, siano il cardine della Comunità e dello stato.
La Lega approva il principio che la legge, fatta dai partiti per i partiti, sia legittimata dal presidente della Repubblica;
il Federalismo prevede che la Legge possa essere sempre legittimata, fatta, abrogata o modificata dagli aventi diritto al voto con lo strumento del Referendum legislativo di iniziativa popolare senza Quorum.
La Lega ha mostrato di ritenere che gli unici Referendum possibili siano quello abrogativo, quello consultivo e quello propositivo, in linea con i partiti centralisti ed antidemocratici;
per il Federalismo tutti e tre referendum sono TRUFFE di Democrazia in quanto lasciano sempre l'ultima parola agli eletti nelle istituzioni.
La Lega vuole mantenere le Regioni, le Province ed i Comuni;
per il Federalismo si dovrebbe chiedere l'abolizione delle Regioni ed il mantenimento delle Province in quanto enti territoriali più vicini ai cittadini e pertanto più facilmente controllabili dagli stessi.
Quelle sopra esposte sono solo alcune delle differenze fra il vero Federalismo e quello proposto dalla Lega nord. È mia opinione che il Federalismo, in quanto forma di stato e di governo, si possa o meno condividere, ma è necessario che ogni cittadino sia opportunamente informato su come stanno veramente le cose e soprattutto che possa “scegliere”, cosa non consentita dall'ordinamento vigente.
Qui termina l’analisi del nostro Paolo Bonacchi. Disamina per noi condivisibile.
Ci sentiamo, tuttavia, in animo d’implementare questo discorso per esternderlo a tutta la partitocrazia italiana. La Lega, infatti, ha fatto passare i suoi propositi con l’appoggio degli alleati e senza che la cosiddetta opposizione presentasse controproposte autenticamente federaliste.
Di qui la necessità, secondo noi, di fare almeno altri due discorsi: uno sulla cultura, l’altro sull’utilità dei partiti politici.
La partitocrazia pretende che chiamati a decidere siano i pochi che se ne intendono. Ai tempi degli Stati assoluti, il volgo doveva essere tenuto lontano dagli arcana imperii perché lo si riteneva troppo ignorante. Ora il volgo è certamente meno ignorante. Ma i problemi da risolvere, problemi come la lotta all'inflazione, del pieno impiego, della più giusta distribuzione del reddito, non sono diventati sempre più complicati? Non sono questi problemi tali da richiedere cognizioni scientifiche e tecniche, che non sono meno arcane per l'uomo medio di oggi (anche se più istruito)?
In primo luogo c’è da osservare che attraverso il federalismo la democrazia è aristocrazia per tutti; è un livellamento in alto, non un livellamento in basso. Il vero democratico non desidera raggiungere l’uguaglianza abbassando il livello culturale della società e riducendo ognuno a una grigia uniformità di esistenza. Egli desidera la vita più ricca e più piena possibile.
La partitocrazia, invece, cosa ci propina: un sistema mass-mediatico basato sulle “assistenze” all’editoria. Giornali, radio, televisioni pubbliche e private difficilmente sopravviverebbero senza i sussidi di Stato. Non occorrono censure quando chi scrive sa che il suo reddito dipende dalle sovvenzioni erogate dal potere.
Chi crede, poi, che il controllo delle masse si attua prevalentemente gestendo le notizie nei programmi d’informazione è completamente fuori strada. Il nucleo del controllo delle masse nei sistemi democratici, come abbiamo spiegato più volte, consiste nel determinare, alla lunga, dei modi di pensare generalizzati.
La televisione si presta meglio per manipolare le grandi masse, specialmente per periodi di tempo prolungati. Radio, giornali o la rete Internet (soprattutto quest’ultima al momento), sono d’impatto secondario sulla psiche delle masse e sulla formazione di mode, culture, opinioni e consensi.
La televisione circoscrive le scelte. Offre l’immagine dell’individuo vincente. Promuovere tutti gli aspetti positivi dell’immagine individualista e forte, furba e determinata e magari anche un po’ aggressiva e bugiarda. Si omettono dalla consapevolezza comune del paese tutti gli altri aspetti della vita non favorevoli economicamente o politicamente al regime che possono essere l’altruismo, la delicatezza, la sensibilità, la serenità, la riflessione, l’arte, la profondità, la sincerità, la cultura, etc…
Inoltre, si stimolano invidie e sensazioni di inadeguatezza verso chi non si conforma al modello che tutti devono conoscere (estetico, politico, stile di vita, economico).
Il Giusto e lo Sbagliato non deve più nascere da una indagine intellettiva, libera da coinvolgimenti di parte, ma invece dalle risate contagiose dell’arena in cui si grida, ridicolizzando l’avversario con una furba e cattiva battuta d’effetto.
Fatte salve rare eccezzioni, si può affermare che l’Italia ha un sistema di disinformazione, piuttosto che atto alla consapevolezza civile e democratica del cittadino.
Di qui, scendere all’analisi dei mali derivanti dal sistema attuale dei partiti politici in generale, il passo è breve.
È vero che secondo alcuni sondaggi, buona parte delle popolazioni dell'America Latina si dicono disponibili a tornare sotto dittature militari e la maggioranza dei Russi afferma che privilegia la necessità di un leader forte rispetto alle libertà individuali, e si capisce quanta parte della popolazione mondiale accetti questo scambio.
Ma in occidente un uomo ha i suoi diritti, anche contro lo stato. L’intera storia d’Europa è la storia della rivendicazione di questi diritti e dell’affermazione della libertà umana, tanto da parte di classi e comunità, quanto da parte degli individui, dai baroni inglesi di Runnymede, alle città libere del Medio Evo, ai contadini svizzeri, alla Camera dei Comuni in Inghilterra, fino alla definitiva dichiarazione dei diritti dell’uomo da parte dei padri degli Stati Uniti e dei fondatori della Repubblica Francese.
Sfugge a tutti coloro che sono disposti a delegare l’intera sovranità ai “rappresentanti” che il diritto all'autodeterminazione è un diritto che spetta semplicemente a tutti coloro che individualmente sono capaci di essere responsabili della propria vita.
Come individui, noi siamo membri di una comunità in quanto rinunciamo a una parte del diritto ad autodeterminarci in maniera assoluta, ed accettiamo di regolare la nostra vita secondo le decisioni e le regole della comunità. Ma la vita è la nostra e come tale abbiamo il diritto a contribuire a determinare la gestione di quella parte che abbiamo messo in comune, come chiunque altro che abbia fatto la stessa rinuncia a favore della comunità. Troviamo, infine, utile ricordare che a proporre una democrazia libera dai partiti fu non già un dittatore, ma Simone Weil e prima ancora di lei, agli inizi del 1900, Moisei Ostrogorski [Vedasi: «Contro i partiti». Saggi sul pensiero].
Ricordiamo che la Weil fu incaricata dal governo di Charles De Gaulle in esilio durante la guerra (1943), di elaborare una forma di Costituzione per la Francia futura. Essa pensò in modo radicalmente nuovo, a come garantire la libertà da ogni limite: e l’esistenza di partiti era, per lei, il limite più insidioso.
Il risultato del suoi pensieri è scritto nel suo libro migliore, «L’enracinement» [nell’edizione italiana, «La prima radice»].
Vi si legge: «Dovunque ci sono partiti politici, la democrazia è morta. Non resta altra soluzione pratica che la vita pubblica senza partiti».
Bisogna creare un'atmosfera culturale tale, dice Simone Weil, che «un rappresentante del popolo non concepisca di abdicare alla propria dignità al punto da diventare membro disciplinato di un partito».
Simone Weil respinge l’obiezione che l’abolizione dei partiti avrebbe colpito la libertà d’associazione e d’opinione.
«La libertà d’associazione è, in genere, la libertà delle associazioni», contro quella degli esseri umani. Infatti, «la libertà d’espressione è un bisogno dell’intelligenza, e l’intelligenza risiede solo nell’essere umano individualmente considerato. L’intelligenza non può essere esercitata collettivamente, quindi nessun gruppo può legittimamente aspirare alla libertà d’espressione».
È possibile che Simone Weil fosse ingenua.
Voleva una repubblica fondata non sui «diritti», ma sull’«obbligo».
«L’adempimento effettivo di un diritto non viene da chi lo possiede, bensì dagli altri uomini che si riconoscono, nei suoi confronti, obbligati a qualcosa».
«Obbligo» è non negare agli altri uomini quelli che Simone Weil chiama «i bisogni dell'anima».
Certo il progetto di Simone Weil, nella sua radicale ingenuità, parrà inattuabile.
Forse lo fu.
Ma bisogna almeno ripensare così radicalmente, per non ridurci vittime passive della partitocrazia, dei suoi collaborazionisti (numerosi intellettuali compresi), dei gangster, delle intercettazioni selettive. E degli ignoranti estremi che li mettono al potere, e se ne fanno corrompere.
In ultima analisi noi proponiamo di ricondurre i partiti italiani nel loro alveo naturale di semplici associazioni private di cittadini, che come tali non hanno nemmeno l’obbligo di una qualche iscrizione da qualche parte (vedasi l’art. 21 della Costituzione), libere associazioni che, secondo il dettato dell’art. 49 della Carta scaturita dalla resistenza, CONCORRANO (NON egemonizzino) a determinare la politica nazionale.
lì,18 aprile 2010

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