TRADIZIONI VENETE

2011.06.13 – I VENETI NEL MONDO

tratto dal sito della Life: clicca qui
 
Ci sono milioni di Veneti, figli degli emigranti (vocabolo sconosciuto ai Veneti fino al 1866) che hanno lasciato la nostra terra subito dopo l’annessione del Veneto all’Italia.
Nei primi 24 anni di emigrazione fuggirono 1.385.000 Veneti su 2.800.000 abitanti (il 50%). Dal 1876 al 1978 bel 4.439.840 di Veneti hanno lasciato la nostra terra con tanta voglia di fare, alla ricerca di fortuna e di speranza, due essenze di vita sempre più difficili da trovare qui anche attualmente.
Dal 1876 al 1880 la proporzione dell’esodo fu questa:
35 Veneti contro 1 Siciliano, 41 Veneti contro 1 Pugliese.
Dal 1881 al 1890:
12 Veneti contro 1 Siciliano, 25 Veneti contro 1 Pugliese, 125 Veneti contro 1 Umbro.
Dal 1891 al 1900:
18 Veneti contro 1 Pugliese, 25 Veneti contro 1 Laziale, 39 Veneti contro 1 Sardo.
Attualmente ci sono più di 10 milioni di Veneti in giro per il mondo, hanno mantenuto la nostra lingua (chiamata taljan[?]) e le nostre tradizioni. (dati tratti da “Gli ultimi Veneti” di G.Cavallin, Panda Edizioni)
La loro maggiore concentrazione è nel sud del Brasile, dove in un intero stato, Rio Grande do Sul, è in uso come lingua ufficiale il Veneto.
Testimonianza commovente è questo documento: un tuffo alla scoperta del nostro Popolo,
 
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2011.06.11 – LA MESSA IN VENETO DEI FRATELLI BRASILIANI


«Pare nostro, che sei nel ciel, santificà sia el vostro nome, vegna a noantri el vostro regno, sia fata la vostra volontà, cossì in tera come nel ciel.

El pan nostro de ogni dì dane incoi.
Perdonane le nostre ofese, come noantri perdonemo a quei che i ne ha ofendesto.
E no assarne cascar in tentassion, ma liberane del mal».
Le dita seguono sul messale le parole di un’invocazione familiare, mentre i fedeli intonano all’unisono la preghiera più famosa del mondo: il Padre Nostro.
Anzi, in questo caso, il “Pare nostro”.
Perché nello Stato brasiliano del Rio Grande do Sul, la Santa Messa viene celebrata anche in lingua veneta.
Sono venuto a conoscenza di questa usanza quasi per caso e nel modo più bello, partecipando direttamente ad una celebrazione durante la mia recente visita insieme ad un gruppo di altri 16 giovani veneti, nelle terre dell’emigrazione veneta del Sud del Brasile.
A quasi 10.000 kilometri dal Veneto!
La calorosa e festosa accoglienza che abbiamo ricevuto in tutte le tappe del nostro viaggio ci ha fatto capire come i discendenti dei nostri emigranti si sentano in tutto e per tutto, anche dopo 4 o 5 generazioni, figli della nostra stessa terra: una terra che magari non hanno mai visto, ma con la quale hanno mantenuto un fortissimo legame.
E lo stupore è stato immenso quando ci siamo resi conto che quel legame arrivava al punto da spingerli a pregare nella lingua dei loro padri e nonni, quel nostro veneto che laggiù chiamano “talian” o veneto-brasilian.
Trovarci di fronte alla liturgia in lingua veneta ci ha dapprima incuriosito e poi commosso; ci ha coinvolto, ci ha colpito nell’animo.
La lingua madre è uno strumento comunicativo che sa arrivare direttamente al cuore di chi la ascolta, abbatte le diffidenze, avvicina le persone.
E così, d’un tratto, abbiamo capito il motivo profondo di quel meraviglioso benvenuto che ci era stato riservato: i nostri amici brasiliani non stavano salutando dei semplici visitatori, ma dei “fradèi”.
Ho ancora davanti agli occhi tanti volti di tante persone che ci avvicinavano, ci raccontavano “dei só veci” e di quanto avevano patito i loro progenitori, fuggiti dalla fame e dalla povertà “in serca de la Merica”. E quanti non ce l’hanno fatta…!
Per loro in quel momento eravamo un ponte che li legava alla loro terra d’origine e ad un passato che lasciava ancora aperte molte ferite.
Quante lacrime e quanta emozione abbiamo visto nei loro volti…
Al termine della celebrazione è nato in tutti noi un auspicio e una speranza: “sarebbe molto interessante proporre anche da noi, in Veneto, una Messa nella nostra lingua”, ci siamo detti!
Al nostro ritorno, per una di quelle misteriose coincidenze che portano a interrogarsi sul senso di ciò che accade in questo mondo, proprio l’idea di una Messa in lingua veneta, lanciata da un amministratore locale, dominava le pagine dei giornali.
Siamo consapevoli che ogni decisione in merito spetta soltanto alla Chiesa Cattolica, che del resto ha già dimostrato una grande sensibilità per le culture locali: celebrazioni in friulano, ad esempio, si svolgono da diversi anni.
Crediamo che sull’argomento si potrebbe ragionare serenamente, senza forzare i tempi e senza soprattutto rovinare questo tema importante e delicato con le solite polemiche da basso impero.
In conclusione, come spunto per una riflessione, riporto una semplice e commovente citazione dal libretto dei canti e delle preghiere che nel Rio Grande do Sul viene distribuito ai fedeli durante la Messa, e chi i nostri fratelli brasiliani hanno voluto portassimo con noi al di qua dell’Oceano:
«Mi no me garia mai pensà che’l Signor, un giorno, el parlesse anca lu come noantri.
Desso sì se capimo propio col Signor e Lu el se capisse co noantri».
Davide Guiotto
 
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25 APRILE… FESTA DI SAN MARCO

  Per i Veneti il 25 aprile è ricorrenza assai più antica dell'attuale festa nazionale italiana.
Vi cade infatti il giorno del Santo Patrono Marco le cui reliquie, che si trovavano in terra islamica ad Alessandria d'Egitto, furono avventurosamente traslate a Venezia nell'anno 828 da due leggendari mercanti veneziani: Buono da Malamocco e Rustico da Torcello.
Si tramanda che per trafugare ai Musulmani il prezioso corpo (l'Islam riconosce e venera a sua volta Cristo e i Santi), i due astuti mercanti lo abbiano nascosto sotto una partita di carne di maiale, che passò senza ispezione la dogana a causa del noto disgusto per questa derrata imposto ai seguaci del Profeta.
Va ricordato che in quei tempi (e in parte ancor oggi) le reliquie erano un potente aggregatore sociale; inoltre attiravano pellegrini e contribuivano a innalzare il numero della popolazione nelle città, effetto molto importante per un urbanesimo agli albori che stentava ad affermarsi sulle popolazioni prevalentemente rurali.
Ogni reliquia era quindi bene accetta assieme a chi la recava e quella di San Marco lo fu particolarmente a Venezia, in quanto proprio quel Santo, mentre era in vita, avrebbe evangelizzato le genti venete divenendone Patrono ed emblema sotto forma di leone alato.
Alato, armato di spada e munito di un libro sul quale, in tempo di pace, si poteva leggere la frase Pax Tibi Marce Evangelista Meus (Pace a Te o Marco Mio Evangelista); un libro che veniva minacciosamente chiuso quando la spada, anziché cristianamente discriminare il bene dal male, si arrossava di sangue guerriero.
La commemorazione è oggi ridotta al solo 25 aprile, data della morte del Santo, ma ai tempi della Serenissima si festeggiava anche il 31 gennaio (dies translationis corporis) e il 25 giugno, giorno in cui nel 1094 dogante Vitale Falier avvenne il ritrovamento delle reliquie del Santo nella Basilica di S.Marco.
Alla celebrazione si associarono col tempo alcune leggende popolari.
Secondo una di queste, durante la fortissima mareggiata che, come narra Marin Sanudo, colpì Venezia nel febbraio del 1340, un barcaiolo riparatosi presso il ponte della Paglia fu invitato a riprendere il mare da un cavaliere.
Durante il tragitto verso la bocca di porto, il barcaiolo fece sosta a S.Giorgio Maggiore e poi a S.Nicolò del Lido.
Raggiunto il mare aperto, i demoni che spingevano l'acqua verso Venezia furono affrontati e battuti dai tre cavalieri, che altri non erano che i santi Marco, Giorgio e Nicolò.
Sconfitti i demoni, San Marco affidò al barcaiolo un anello, da consegnare all'allora doge Bartolomeo Gradenigo perchè fosse conservato nel Tesoro di San Marco.
Sebastiano Giorgi & Umberto Sartori
tratto da: clicca qui
 

Il 25 aprile l'Italia festeggia la liberazione dal nazifascismo, ma per Venezia e per i veneziani il 25 aprile è una tradizione ben più antica dell'attuale festa nazionale: è la festa di San Marco, santo patrono della città. 
Le reliquie di San Marco furono trafugate da Alessandria d'Egitto e trasportate a Venezia nel 828 da due leggendari mercanti veneziani: Rustico da Torcello e Buono da Malamocco.
Si racconta che per trafugare il corpo di San Marco i due mercanti lo abbiano nascosto sotto un carico di carne di maiale, che riuscì a passare senza ispezione la dogana a causa del ben noto disprezzo dei Musulmani per questo alimento.
La reliquia di San Marco fu accolta con grande gioia a Venezia, non solo per la sua funzione di attrarre pellegrini da tutta Europa a Venezia, ma anche perché la storia veneta racconta che proprio l'evangelista Marco, mentre era in vita, avrebbe evangelizzato le genti venete divenendone patrono.
San Marco divenne così il patrono e l'emblema della città assumendo le sembianze di un leone alato che brandisce una spada e stringe tra le zampe un libro sulle cui pagine aperte si legge: Pax Tibi Marce Evangelista Meus,  Pace a Te o Marco Mio Evangelista.
tratto da: clicca qui
 

 
wikipedia, l’enciclopedia libera… di disinformare!

La festa di San Marco è la festa patronale di Venezia che viene celebrata il 25 aprile, in memoria di San Marco Evangelista.
Durante il regno della Serenissima (quello dello Serenissima non è mai stato un regno ma una Repubblica), veniva organizzata una processione da piazza San Marco.
A tale manifestazione, partecipavano le autorità maggiormente influenti, sia civili che religiose, della Repubblica, (infatti qui poi si parla di Repubblica).
Erano dedicati a San Marco anche il 31 gennaio, ricordo della traslazione a Venezia delle reliquie, e il 25 giugno, data del rinvenimento, nel 1094, del luogo in cui esse erano state occultate.
 


 

25 APRILE… FESTA DEL BOCOLO

Il 25 Aprile a Venezia, Festa del Bocolo 
In occasione della festa del Patrono i Veneziani usano donare il bocolo (bocciolo di rosa) alla propria amata; sulle origini di questo dono conosciamo due ipotesi leggendarie.
Una riguarda la storia del contrastato amore tra la nobildonna Maria Partecipazio ed il trovatore Tancredi.
Nell'intento di superare gli ostacoli dati dalla diversità di classe sociale, Tancredi parte per la guerra cercando di ottenere una fama militare che lo renda degno di tanto altolocata sposa.
Purtroppo però, dopo essersi valorosamente distinto agli ordini di Carlo Magno nella guerra contro i Mori di Spagna, cade ferito a morte sopra un roseto che si tinge di rosso con il suo sangue.
Tancredi morente affida a Orlando il paladino un bocciolo di quel roseto perché lo consegni alla sua (di Tancredi, non di Orlando) amata.
Orlando fedele alla promessa giunge a Venezia il giorno prima di S.Marco e consegna alla nobildonna il bocciolo quale estremo messaggio d'amore del perito spasimante.
La mattina seguente Maria Partecipazio viene trovata morta con il bocciolo rosso posato sul cuore e da allora gli amanti veneziani usano quel fiore come emblematico pegno d'amore.
Secondo l'altra leggenda la tradizione del bocolo discende invece dal roseto che nasceva accanto la tomba dell'Evangelista.
Il roseto sarebbe stato donato a un marinaio della Giudecca di nome Basilio quale premio per la sua grande collaborazione nella trafugazione delle spoglie del Santo.
Piantato nel giardino della sua casa il roseto alla morte di Basilio divenne il confine della proprietà suddivisa tra i due figli. Avvenne in seguito una rottura dell'armonia tra i due rami della famiglia (fatto che sempre secondo le narrazioni fu causa anche di un omicidio), e la pianta smise di fiorire.
Un 25 aprile di molti anni dopo nacque amore a prima vista tra una fanciulla discendente da uno dei due rami e un giovane dell'altro ramo familiare.
I due giovani si innamorarono guardandosi attraverso il roseto che separava i due orti.
Il roseto accompagnò lo sbocciare dell'amore tra parti nemiche coprendosi di boccoli rossi, e il giovane cogliendone uno lo donò alla fanciulla.
In ricordo di questo amore a lieto fine, che avrebbe restituito la pace tra le due famiglie, i veneziani offrono ancor oggi il boccolo rosso alla propria amata.
Sebastiano Giorgi & Umberto Sartori
 
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CIAO …

ciaouna piccola semplice parola di origine veneta...
Hello, Hallo, Hola, Bonjour, Ola, Helo, مرحبا, Բարեւ Ձեզ, Salam, Kaixo, হ্যালো, Прывітанне, halo, Здравейте, ahoj, 你好, 你好, 안녕하세요, Bonjou, Bok, Hej, שלום, Saluton, Tere, Hei, გაუმარჯოს, こんにちは, Γεια σας, હેલો, नमस्ते, nyob zoo, Halo, Dia duit, halló, ಹಲೋ, ជំរាបសួរ, ສະບາຍດີ, salve, sveiki, Sveiki, Здраво, हॅलो, Hallo, سلام, Olá, Alo, привет, Здраво, ahoj, Pozdravljeni, Hallå, hujambo, สวัสดี, வணக்கம், దూరంగా ఉండేవారిని పిలుచుటకు వాడే ఓ శబ్ధ విశేషము, Merhaba, Привіт, Helló, خوش , chào, העלא …
dal veneto: s'ciavo (schiavo)
Salutare dicendo "schiavo" può parere strano.
Ma così come altre espressioni di saluto – ad esempio "servo suo" – è il retaggio di un rispetto profondo che si rinnovava ad ogni incontro mettendosi simbolicamente a disposizione dell'altro come un servo, come uno schiavo.